FIUME DESCRITTA DA GIUSEPPE MODRICH
Una città dove di rado s'incontra un mendicante
(La Voce 18/12/01- Edit)
"Fiume, la regina del Quarnero". Uno dei primi ad appiccicare questa bella
etichetta alla "liburnica città" kobleriana fu un giornalista zaratino,
Giuseppe Modrich, che le dedicò un capitoletto del suo opuscolo "Abbazia una
colonia di civiltà" edito a Milano nel 1891. Le pagine dedicate a Fiume sono
in funzione di una visita consigliata agli ospiti della vicina stazione
climatica.
"Per quanto poco ci si fermi in Abbazia" scriveva il pubblicista - "una
visita alla vicina Fiume è quasi inevitabile, di prammatica. Da Abbazia si
distinguono benissimo le case e gli stabilimenti industriali di Fiume, e, di
sera, il gran faro del suo porto getta i suoi lampi sulla costa orientale
istriana". Guidando i gitanti nella visita intrapresa "un po' per curiosità,
un po' per profittare delle svariate prospettive che porge quella breve
escursione, a seconda del cammino che si prende", l'autore dell'opuscolo
spiegava che la città si poteva raggiungere con i piccoli vaporetti che
facevano servizio due volte al giorno. La traversata, durava poco più di
mezzora. Oppure si poteva viaggiare in carrozza per via terra lungo la
costa, attraverso Volosca e Cantrida. La traversata in vaporetto offriva il
godimento di un "interessante panorama", quello dei monti e dei paesi
litoranei: "si ammirano la pittoresca Volosca, la cupa insenatura di
Preluka, i monti che sovrastano quella costa", quindi "si svolta il
promontorio, e si arriva a Fiume, la quale si presenta favorevolmente allo
sguardo dello straniero con le sue case nitide, con molti edifici sontuosi
che si rispecchiano nel mare e col suo porto grandioso pieno di navi
mercantili". Era "breve e interessante" anche la corsa in vettura lungo la
costa, ma Modrich indicava pure altri itinerari: "Si approfitta della
ferrovia Mattuglie - Fiume, e in meno di venti minuti si arriva alla
stazione di Fiume". Chi invece preferiva le lunghe camminate e amava il
paesaggio romantico c'erano due strade che da Castua facevano capo a Fiume.
"Profittandone - scriveva Modrich - si ha occasione di vedere un tratto del
Carso in tutta la sua squallida selvatichezza e formarsene un'idea. Allora
soltanto si riesce ad apprezzare meglio la bellezza e il significato civile
dell'oasi di Abbazia". Alla fine, però, l'autore della guida scelse e
descrisse la via terrestre costiera. "Dapprincipio si attraversano falde
montane rallegrate da oliveti, da piante di lauro, da cespugli sempre verdi.
Dietro a voi il panorama di Volosca e Abbazia vi accompagna un bel tratto.
Per circa quattro chilometri, non una casa. Sul mare numerose barche cariche
di sassi delle cave di Preluka. In fondo, a sud, le due isole di Veglia e
Cherso si disegnano fantasticamente sull'orizzonte.
Poi incontrate qualche rara abitazione di campagnoli, indi le case di
Cantrida con la notevole fabbrica di prodotti chimici, vicino a cui sorge
l'obelisco che segna il confine del territorio libero di Fiume". Terminava
il territorio austriaco e cominciava quello ungherese, a Costabella.
"Di lì la strada volge ripidamente verso il mare, seguendo poi le tortuosità
della costa. Non può sfuggirvi un complesso di edifizi e di baracche: è la
famosa fabbrica di torpedini Whitehead. Potete visitarla e farvi spiegare il
meccanismo d'una torpedine". Dal che si vede che all'epoca non c'erano
troppi divieti posti a tutela dei "segreti" militari.
Subito dopo il Silurificio, la strada correva in linea retta (come del resto
oggi, per via dell'Industria, fino a Mlaka), costeggiando il mare e
proseguendo "lungo la sponda attraverso il magnifico boulevard Corsia Deak"
prolungandosi fino alla stazione ferroviaria ed oltre. Lungo quella Corsia,
l'autore della monografia poté incontrare non il fiume di automobili, bus,
camion ed altri veicoli che scorrono oggi, ma "carri ed altri veicoli da
lavoro".
"Pensate tosto che la città dev'esser vicina. A sinistra vedrete la
imponente raffineria di petrolio, il più grandioso stabilimento di questo
genere che esista nell'impero. Non vi sfuggano i grandi serbatoi e il
cosiddetto porto del petrolio. Pure a sinistra incontrerete la grande
fabbrica per la pilatura del riso. Le case si fanno più frequenti. Arrivate
alla barriera doganale, indi al verdeggiante Giardino Pubblico: siete a
Fiume". I cantieri navali non sono menzionati, non esistevano ancora. Fiume,
per il pubblicista Modrich, cominciava dunque a Mlaka; prima dei Giardini
Pubblici c'erano soltanto gli stabilimenti industriali e qualche casupola.
Qualche anno prima del 1891, quando fu scritta la monografia, il territorio
del Municipio di Fiume si estendeva su 20 chilometri quadrati, confinando
"ad ovest con l'Istria, a nord ed est con la Croazia e a sud col mare
Adriatico, che in quel punto prende il nome di Quarnero". Dopo un rapido
cenno al clima mite ed alla "classica bora (che) vi si fa sentire
furiosamente", veniva tracciato il profilo di "una città di commercio, dalle
vie non troppo spaziose" (riferimento alla Cittavecchia), nei cui dintorni
era interessante la visione della "vallata rocciosa della Recitza" e delle
alture di Tersatto "che porgono all'alpinista varie prospettive
pittoresche".
Seguiva la spiegazione dalla posizione statuale della città: "Politicamente,
Fiume appartiene al regno d'Ungheria, non già all'impero d'Austria, ed è
come Trieste porto franco. Gli ungheresi vanno orgogliosi di quel loro
emporio marittimo e per ingrandirlo sempre più e per renderlo un gioiello
del mare vi profusero e vi profondono oggidì con amore molti milioni di
fiorini". Era un porto in continuo progresso, grazie soprattutto alle
esportazioni di cereali, legname da costruzione e farine; da Fiume si
esportavano "milioni di doghe dai ricchi boschi della Croazia", ed era sede
della società di navigazione Adria, "per la quale il governo di Budapest
conierebbe monete false". La popolazione?
Era di "nazionalità italiana e slava; ma si parla molto anche il tedesco e
l'ungherese", quest'ultima lingua ufficiale "e d'obbligo per chi desidera
qualche appoggio o protezione dalle autorità magiare del paese. Nei dintorni
di Fiume predomina l'elemento slavo". I fiumani, scriveva Modrich, vivevano
di commercio, di navigazione, d'industria e di pesca. Qualche risorsa dava
pure l'arte navale. "Così che a Fiume s'incontra di rado un mendicante". I
grandi stabilimenti e fabbriche erano "appoggiati generosamente dallo
Stato". Grazie appunto "alla generosità principesca del governo di Budapest
senza la quale Fiume sarebbe un villaggio di pescatori - il sentimento
pubblico è ben disposto verso i magiari e le file dell'opposizione al
governo si assottigliano d'anno in anno.
Notate che il governo ungherese vi rispetta le nazionalità italiana e slava,
tanto è vero che il giornale politico di Fiume La Bilancia, scritto in
italiano e fatto abbastanza bene, è sussidiato dal governo di Budapest con 6
mila fiorini annui".
I paragoni con la realtà attuale li faccia chi vuole. Notiamo unicamente che
le lodi venivano fatte soltanto ventiquattro anni prima dello scoppio della
prima guerra mondiale che avrebbe mandato all'aria l'Impero austriaco.
"La città che conta 30 mila abitanti ha qualche strada larga, bene selciata
e pulita, ricchi negozi, vaste piazze e giardini pubblici ameni, hotel di
primo ordine, club e luoghi di ritrovo; tre porti: lo stupendo porto nuovo
che costò trenta milioni di fiorini, il porto Petrolio per i traffici di
questo articolo, e il porto Canale Fiumara per il commercio del vino". Nel
nuovo porto l'attenzione era richiamata da "otto ingenti magazzini e
depositi", da lunghi moli selciati "con pietre di lava vesuviana" e
spaziosissimi "quais". Il pubblicista sottolineava in particolare "l'immenso
molo Maria Teresa, lungo 870 metri", prima parte della diga foranea o Molo
Lungo sulla cui cima, sarebbe stato costruito "un faro dalla luce intensa".
Dal porto l'attenzione veniva pilotata sulla piazza del Teatro "dove sorge
l'elegantissimo teatro Comunale in cui tutti gli anni si danno spettacoli
d'opera e di commedia". Anche allora, erano rari a Fiume i monumenti
pubblici; per il Modrich, inoltre, erano "poco importanti le chiese", e non
ne indicò nessuna. "Ammirabili però le passeggiate pubbliche che conducono
nei dintorni" e "rilevanti e numerosi gli opifici e gli stabilementi
industriali".
Seguiva una breve storia della città, con particolare riferimento al periodo
in cui "dopo varie peripezie storiche, ottenne nel 1659 di battere una
propria bandiera": il porto franco, l'annessione al regno d'Ungheria come
corpus separatum (era il 1779 e contava 2500 "miseri abitanti"), la breve
presenza francese all'inizio dell'Ottocento, il ritorno sotto il dominio
austriaco e nel 1822 sotto l'ungherese, il dominio croato dal 1848 al 1868,
la "definitiva" restituzione del titolo di corpo separato della sacra corona
del regno d'Ungheria. "Da quell'epoca è governata da un luogotenente
sottoposto al ministro degli interni di Budapest, e da quell'epoca data il
risorgimento materiale e morale di Fiume" che sarebbe durato fino alla prima
guerra mondiale.
Che cosa ne pensava Giuseppe Modrich dei fiumani? "I fiumani, in generale,
non emergono per intelligenza né per spirito di iniziativa". Aggiungeva: "Su
questo punto non possono gareggiare, per esempio, con i triestini. Ma sono
bravissimi marittimi, gente laboriosa, paziente e attiva. I traffici
marittimi, oggidì alquanto decaduti, furono la fortuna di molte famiglie.
Eppoi la navigazione a lungo corso, oltre che essere un elemento di
prosperità materiale, ne fu un coefficiente di progresso morale. I capitani
fiumani, prendendo stabile dimora nella loro patria, dopo lunghi anni di
lavoro, di peripezie, di viaggi lontani, recano seco un soffio di ideali più
produttivi. Contribuiscono, ad eliminare dalla loro città nativa lo spirito
esiguo del campanilismo.." E la visita qui si conclude.
Giacomo Scotti