PREMIO RICERCA PER GLI STUDENTI DELLA SCUOLA SUPERIORE

Rassegna storica delle visite di illustri Capi di Stato a Fiume dal 1800 ai giorni nostri, con adeguati riferimenti al sistema politico vigente al momento della loro visita

 

Introduzione

 

Nel corso della sua millenaria storia, la posizione politica della città di Fiume subì numerosi e grandi mutamenti. Dei cambiamenti drammatici si verificarono soprattutto nello scorso secolo, perché travolsero gli ordinamenti complessivi, da quello amministrativo, economico, giuridico, a quello sociale e religioso; mirarono a modificare, se non quasi ad annullare, le tradizioni che si erano consolidate nei secoli, il volto etnico, il patrimonio culturale. Quali ruoli ebbero, di fronte alle suddette considerazioni, le visite dei capi di stato alla città?

Nell’Ottocento furono momenti, forse più occasionali che politicamente mirati, di grande solennità. Gli imperatori arrivavano per ottenere un rinnovamento degli omaggi dei fiumani alla Casa d’Asburgo, anche se la loro fedeltà non fu mai messa in discussione. Non a caso il motto sullo stemma civico (concesso dall’imperatore Leopoldo I nel 1659) recita «Indeficienter», inesauribile.

Nel Novecento, i capi di stato visitarono Fiume a scopi politici e di promozione: dovevano contribuire alla soluzione di contese storiche sul passaggio della città all’uno o all’altro stato, influenzando l’opinione pubblica al fine di costruire il consenso al regime.

 

1) TRA AQUILE

BICIPITI E IMPERIALI:

LE «ISPEZIONI»

DI FRANCESCO GIUSEPPE

 

Divenuta dominio ereditario degli asburgo nella seconda metà del XVI secolo, Fiume ebbe fin dalle origini un rapporto particolare con i regnanti della casa d’Austria. Incendiata e distrutta dall’eterna «nemica», la Repubblica di Venezia, nel 1515 ottenne dall’imperatore Massimiliano, in guerra con quest’ultima, il titolo di «fedelissima». Lo stemma municipale, concesso dall’imperatore Leopoldo I nel 1659, reca il motto di «Indeficienter» e rappresenta quasi un’ulteriore testimonianza di questa «inesauribile» fedeltà ai dinasti.

Una delle prime «teste coronate» a giungere a Fiume è l’imperatore Carlo VI, nel 1728. A lui la città deve la concessione (con patente del 19 marzo 1719) dello “ status di porto franco”, ottenuto insieme con Trieste. Il consiglio civico di Fiume aveva accettato la Prammatica Sanzione fin dal 1720, riconoscendo il diritto alla successione del trono anche alle eredi femmine.

Intanto Fiume si stava trasformando in un emporio commerciale, favorito dalla posizione geografica e dalla mitezza del suo clima. Per avviare il commercio venne progettata ed eseguita una nuova strada carreggiata - la Carolina, per l’appunto - che collegava Fiume con Karlovac. L’imperatore l’ispezionò percorrendola in carrozza. In quell’occasione, Carlo VI dopo aver simbolicamente ricevuto le chiavi della città nella sala maggiore del Palazzo, accolse l’omaggio di sottomissione del Consiglio. Durante il soggiorno venne ospitato nel Castello, che sorgeva nel luogo dell’odierno Palazzo di Giustizia, demolito nel 1904. Nel 1730 si apre la filiale della Compagnia Orientale per il commercio con il Levante e l’Estremo Oriente.

Il periodo dell’assolutismo illuminato di Maria Teresa e Giuseppe II, nella seconda metà del XVIII secolo, significarono per i fiumani un ulteriore slancio economico e culturale. Maria Teresa li assoggettò inizialmente a Trieste negli affari politici, militari, commerciali e marittimi, ma nel 1779, dietro ripetute richieste degli stessi fiumani, affidò la città all’Ungheria, mantenendone l’autonomia con la formula del “Corpus separatum”. Nel 1758, siamo sempre in periodo teresiano, ebbe inizio la costruzione del nuovo porto, mentre l’epoca del giuseppinismo vide a partire dal 1787 la costruzione dei palazzi di via del Corso.

Tra un imperatore asburgico e l’altro, Fiume visse una breve ma significativa parentesi francese, agli inizi dell’Ottocento. Sconfitti gli Austriaci, nel maggio 1809 a Fiume si insediarono le armate napoleoniche, capitanate dal maresciallo Auguste de Marmont. Il capoluogo quarnerino fu accorpato (ma appena dal 1811 e fino alla sconfitta francese a Lipsia, nel 1813) alle Province Illiriche. La tradizione racconta la notizia - ma i ricercatori sono più propensi a smentirla - dell’arrivo di Napoleone Bonaparte a Fiume, vestito da soldato semplice, in incognito, a zonzo per le osterie, a tastare il polso sull’umore dei fiumani nei confronti della dominazione francese. Una credenza che persistette nell’immaginario collettivo, e che valse l’insegna «Al vecchio Napoleone» ad una delle osterie molto frequentate della Cittavecchia. Conclusasi l’epopea napoleonica, la città tornò agli austriaci e per qualche anno fu collegata a Trieste.

Nel corso del 1848/1849, i croati presero Fiume e la amministrarono per circa vent’anni. Infatti, gli ungheresi se la ripresero con uno stratagemma - il famoso «straccetto fiumano» - ideato nella sottoscrizione del compromesso croato-ungherese del 1868 (accordo che regolava i rapporti tra il Regno di Croazia, Slavonia e Dalmazia e il Regno d’Ungheria). Fiume mantenne lo status di ”Corpus separatum”, direttamente annessa alla Corona di S. Stefano. Inizia uno sviluppo economico e culturale che raggiunge l’apice tra la seconda metà del XIX e il XX secolo.

 

Tra una revisione e l’altra della sua posizione politica, Fiume accolse Francesco Giuseppe, che «onorò» la città tornandoci più volte, dopo la sua assunzione al trono. Ligio al dovere e al ruolo di «primo impiegato» dello Stato che si era attribuito, veniva a ispezionare la situazione nel capoluogo quarnerino e nei dintorni. Ai fiumani, beninteso, queste presenze piacevano, vi partecipavano sentitamente, vivendo i più almeno idealmente, l’aria della mondanità che accompagnava l’illustre ospite. Il cerimoniale di queste visite raramente riservava delle sorprese. Il sovrano veniva accolto in pompa magna con grande sfoggio di autorità governative, dei maggiorenti cittadini; immancabile la simbolica consegna all’imperatore delle chiavi della città. Quindi riceveva le varie delegazioni, visitava gli impianti portuali, le industrie, offriva prelibati banchetti, partecipava ad avvenimenti culturali. Solitamente soggiornava nella villa dell’arciduca Giuseppe (l’attuale Archivio di Stato), divenuto una sorta di cittadino «adottivo» di Fiume.

In commemorazione della venuta di Francesco Giuseppe nel 1852, le autorità municipali eressero nel centro della città una fontana monumentale. L’opera fu finanziata con i contributi e le donazioni dei commercianti, degli industriali e degli armatori cittadini. Il monumento, realizzato dallo scultore fiumano Pietro Stefanutti, riproduceva in marmo di Carrara, la figura dell’imperatore in uniforme, sorretta da quattro Atlanti. Da un lato della vasca - la statua giuseppiniana si trovava al centro - era stata apposta l’aquila imperiale e il motto «Viribus Unitis», sull’altro lato lo stemma civico (l’aquila bicipite, con entrambe le teste rivolte a oriente, l’urna dalla quale sgorga l’acqua e la scritta «Indeficienter», inesauribile). Successivamente, l’incremento del traffico cittadino, indusse il Municipio civico a decretare nel 1874 la rimozione della fontana.

Un’analoga visita imperiale si ebbe nel giugno 1891, presenti l’arciduca Giuseppe, il presidente dei ministri Szápári, il bano della Croazia, il governatore ungherese di Fiume, conte Zichy, i ministri e dignitari accorsi ad omaggiarlo. Il podestà Giovanni de Ciotta gli fece da cicerone, spiegando la città e i suoi sviluppi. Le deputazioni che si susseguirono erano 17 comprese quelle consolari delle venti sedi diplomatiche che operavano all’epoca a Fiume. In Fiumara fu inaugurato il ponte girevole e vennero fatti passare due trabaccoli italiani. Tra le più importanti tappe dell’imperatore, quella alla Raffineria di oli minerali e petrolio (con al fianco il direttore tecnico Milutin Barac’), dove in suo onore era stato innalzato un arco celebrativo costruito con le botti della Fabbrica di Luigi Ossoinack. Quindi passò a ispezionare un altro «gioiello» dell’industria cittadina, la Pilatura di riso e fabbrica di amido. L’Asburgo dimostrò particolare interesse per la Fabbrica torpedini - il Silurificio fiumano - fermandosi nei vari reparti di costruzione, e seguendo attentamente le spiegazioni che gli dava il fondatore e proprietario, cavaliere Robert Whitehead.- Francesco Giuseppe si recò anche alla Caserma comunale in Braida ad ispezionare i due battaglioni del Reggimento Jelacic’, costituenti la guarnigione locale e la compagnia degli Honvéd.

Per ringraziare Fiume della splendida accoglienza Sua Maestà offrì un banchetto di 47 coperti. Immancabile capatina al Teatro comunale «Giuseppe Verdi». Nella loggia l’arciduca Giuseppe, la granduchessa Clotilde e Maria Dorotea, e il principe Battenberg. Accanto, nel palco, in uniforme di gran gala il podestà Ciotta e la consorte Natalia e monsignor Posilovic’, vescovo di Segna e Modrussa. Nel palco accanto alla famiglia del governatore Zichy, il conte Szápáry ed il bano Khuen Héderváry.

La Prima guerra mondiale portò al divorzio di Fiume con gli Asburgo e con le autorità di Budapest. Del resto, questo “ménage à trois” si era ormai esaurito: la routine, che tutto sommato stava bene alle parti, si era trasformata agli inizi del Novecento, in aperta ostilità. La politica di magiarizzazione attuata dai governi ungarici fu contrastata dall’irredentismo italiano. Si profilavano, per Fiume, nuovi sposalizi.

 

2) IL REGNO D’ITALIA:

RE, DUCE E PRINCIPE

 

I rapporti tra il capoluogo quarnerino e il Regno d’Italia furono invece travagliati fin dall’inizio. La Monarchia austro-ungarica si era dissolta dopo la Prima guerra mondiale, lasciando un futuro alquanto incerto per l’ex –“porto principale” dell’Ungheria. Iniziò un carosello di governi «provvisori». L’Italia cercò di impugnare il patto segreto di Londra del 1915 (il politico e giornalista croato, impegnato personalmente nella costruzione del primo stato comune jugoslavo, nonché fondatore del quotidiano locale in lingua croata «Novi List», Frano Supilo, appresi i contenuti dell’accordo, lo «denuncerà» gridando allo scandalo di fronte all’opinione pubblica croata, che da tempo aspirava all’annessione della città alla Croazia), nonostante non contemplasse la promessa diretta di ottenere Fiume. Le rivendicazioni di Roma alle trattative di pace a Parigi non incontrarono il sostegno delle altre potenze vincitrici della Iª guerra mondiale: alla delegazione italiana non rimase che abbandonare l’assise in segno di sdegnosa protesta. I fiumani acclamavano l’annessione al Regno d’Italia, altri sognavano uno stato indipendente, il circondario soprattutto sperava nell’annessione al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.

Preferendo l’ardire all’ordire, il poeta Gabriele d’Annunzio forzò l’esito delle trattative e nell’autunno del 1919 entrò in città con il suo corpo di volontari e vi instaurò la Reggenza italiana del Carnaro. Un’esperienza politica singolare, che valse ai fiumani la «Carta del Carnaro», un esempio di costituzione tra le più moderne in Europa. Nel periodo dannunziano (1919-1920) i capi di stato disertarono la città. Vi giunse invece il «padre» della radio, Guglielmo Marconi, a bordo dell’«Elettra», nel settembre del 1920.

Saranno considerazioni di carattere politico, le elezioni per il nuovo governo, fissate al 16 novembre 1919, a spingere Mussolini (non ancora duce) a Fiume. Ufficialmente per rendere omaggio a d’Annunzio, in effetti, per dissuaderlo da nuove, radicali contromosse che potevano compromettere l’ascesa al potere di Mussolini. Arrivò a Fiume il 7 ottobre 1919 con un aereo «Sva» e tornò a Milano il giorno dopo, lasciando in tutti l’impressione di aver avuto un cordiale colloquio con il Poeta, del quale parlò invece con gli intimi come d’un pazzo pericoloso. L’annessione di Fiume all’Italia divenne comunque un «cavallo di battaglia» per il Duce, in particolare quando voleva dimostrare, alla vigilia delle elezioni del 1924, la fedeltà del fascismo a uno dei miti dell’irredentismo italiano.

Il passaggio all’Italia avverrà con molte difficoltà: sfrattato d’Annunzio, nel 1920 il Trattato di Rapallo porterà alla costituzione dello Stato libero di Fiume, guidato dall’autonomista Riccardo Zanella. Infine, gli accordi di Roma, stretti tra Mussolini e il capo del governo del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, Nikola Pašic’, sancivano l’annessione ufficiale di Fiume al Regno d’Italia. Fiume si univa alla compagine politico-amministrativa dello Stivale il 24 gennaio 1924.

A suggello dell’avvenuto «passaggio di proprietà», il 16 marzo 1924, alle ore 10,30 il re Vittorio Emanuele III, a bordo della R.N. «Brindisi» (costruita nei cantieri fiumani della «Ganz & Co. Danubius», oggi «3 maggio/3. maj») attraccava alla testata del molo Adamich. Fischi di sirene, campane e musiche intonavano la Marcia Reale, seguivano il saluto del governatore, la consegna delle chiavi della Porta maggiore della città, (poggianti su un cuscino di azzurro Savoia); quindi il corteo inforcava quell’effimero (presagio della durata dell’Italia fascista) arco di trionfo improvvisato sulle rive, per raggiungere in automobile il palazzo del Municipio, dove si svolse la cerimonia ufficiale. Toccata e fuga a Volosca, Abbazia e Laurana, il re assistette in serata all’opera lirica «Il piccolo Marat» di Mascagni, in scena al Teatro comunale; alle 19,45 ripercorse le rive per imbarcarsi sull’esploratore «Brindisi» e salpare qualche ora dopo.

Nel luglio del 1938 era approdato a Fiume anche il principe Umberto. Il Duce arrivò a Fiume il 26 giugno 1939, accolto tra ali di folla in delirio. Incontro con le autorità, saluto dei giovani, visite agli impianti industriali, tra cui il Silurificio. Si stava avvicinando lo scoppio della IIª guerra mondiale. Il processo di razionalizzazione industriale, l’autarchia, la guerra d’Etiopia ebbero un contraccolpo positivo: le industrie meccaniche, i cantieri navali ottennero nuove commesse. Uno slancio economico che proseguì sulla spinta della guerra di Spagna e della IIª guerra mondiale.

 

3) LA JUGOSLAVIA

SOCIALISTA E FEDERATIVA:

I «BAGNI DI FOLLA»

DEL MARESCIALLO JOSIP BROZ-TITO

 

Lo sbarco degli Alleati in Sicilia fece precipitare la situazione italiana e contribuì al crollo del Ventennio. Ottenuto dal Gran Consiglio del Fascismo il voto di sfiducia a Mussolini, il re incaricò il maresciallo Pietro Badoglio di formare il nuovo governo e avviare le trattative con gli Alleati per la firma di una pace separata. L’armistizio, firmato segretamente a Cassabile il 3 e reso noto l’8 settembre, segnerà anche la fine di Fiume italiana. La città sarà prima invasa dai Tedeschi, poi questi il 3 maggio 1945 si ritireranno - incalzati dai partigiani dell’esercito di liberazione jugoslavo - provocando per rappresaglia pesanti danni all’infrastruttura portuale, alle industrie e al centro storico fiumano. Ai nazisti subentrano gli jugoslavi. Anche se formalmente le sorti della città non sono ancora state decise, i partigiani procedono con lo smantellamento di ogni residuo del sistema politico italiano, mettono in atto intimidazioni e l’eliminazione fisica dei personaggi ritenuti «scomodi» e degli italiani, relegati a minoranza. Nel 1947 a Parigi saranno stipulati i trattati di pace. Di irrisolto era rimasto soltanto il contenzioso su Trieste, Gorizia e una fetta dell’Istria (la cosiddetta Zona B, Capodistria, Pirano, Buie...). Il Memorandum di Londra nel 1954 farà rientrare Trieste all’Italia e nel 1975 il Trattato di Osimo decreterà il definitivo passaggio alla Jugoslavia dei rimanenti territori.

Il presidente jugoslavo Tito sarà a Fiume e dintorni in diverse occasioni e fasi della sua vita. Infatti, giovane fabbro e militante del Partito comunista jugoslavo, aveva lavorato nei cantieri navali di Portorè (Kraljevica) nel 1925-’26. Finirà in carcere a Sušak e Buccari (Bakar) per aver diffuso, tra i cantierini, la propaganda comunista.

Invece, in qualità di capo della Federazione socialista jugoslava, giungerà a Fiume e nella regione ben 150 volte, dal 1946 al 1979, tra visite ufficiali, mirate, e tappe di passaggio nei suoi viaggi a Brioni e all’estero. Il cerimoniale non risultò modificato: accoglienza ufficiale sulle rive, discorsi dal palco allestito nel porto di fronte a folle acclamanti il maresciallo e le «glorie» del socialismo, visita agli impianti portuali e industriali. Diverso era soltanto il tono dei discorsi di Tito, impostati, a seconda delle circostanze politiche, sui problemi e le difficiltà del momento.

Il 23 ottobre 1946 il maresciallo jugoslavo arriverà a Fiume distrutta dalla guerra, accompagnato dal presidente del Consiglio nazionale polacco Boleslaw Bierut.

Nei primi anni Settanta, inaugurata una nuova epoca nei rapporti tra la Jugoslavia socialista e l’Italia, avviata anche la collaborazione con l’Università Popolare di Trieste a favore della comunità nazionale italiana in Jugoslavia, arrivò a Fiume anche il primo presidente della Repubblica Italiana a soggiornare in veste ufficiale nel capoluogo quarnerino, Giovanni Leone. Nel 2000 non cambiò lo stato ma il complessivo clima politico nel paese.

 

5) LA REPUBBLICA DI CROAZIA:

LE CAMPAGNE

DEL PRESIDENTE CROATO

FRANJO TUDJMAN

 

Morto nel 1980 il presidente Tito, venne a mancare quel «collante» che aveva tenuto insieme i popoli della Jugoslavia: il sistema del «bastone e della carota» che il maresciallo aveva applicato di fronte al periodico riemergere dei vari nazionalismi, il culto della personalità... Vennero al pettine, uno ad uno, tutti i nodi che la repressione e la propaganda di partito avevano cercato di nascondere sotto il tappeto: esplosero la crisi economica, l’inflazione, il centralismo, le antiche contrapposizioni etniche, l’aspirazione alla democrazia.

Crollato il blocco comunista, i picconi che abolirono il Muro di Berlino contribuirono all’abbattimento del regime socialista nella federazione jugoslava. Gli aneliti di libertà contagiarono per prime Slovenia e Croazia, le repubbliche più vicine per mentalità all’Occidente, quelle che - tra industria e turismo - producevano e guardavano di sott’occhi al confluire dei loro proventi a Belgrado.

Fiume è destinata a cambiare ancora una volta bandiera, agli inizi degli anni Novanta dello scorso secolo. Tra il 1990 e il 1991, nasce la Repubblica di Croazia, stato sovrano e indipendente, ammesso alla Comunità internazionale agli inizi del 1992. A consegnare il solenne riconoscimento da parte della Comunità europea, al capo di stato croato Franjo Tudjman, sarà il presidente italiano Francesco Cossiga. Ma né Cossiga né il suo successore Oscar Luigi Scalfaro, nei loro viaggi in Croazia, o negli incontri con la minoranza italiana, si fermarono mai a Fiume.

Il primo presidente della storia croata Franjo Tudjman, non dimostrò particolari interessi né comprensione nei confronti delle peculiarità fiumane. Anzi, Fiume e l’Istria rappresentavano una sorta di spina nell’occhio: l’Istria per le ambizioni regionaliste (e autonomiste), Fiume perché in dieci anni il suo partito, l’Accadizeta, non era mai riuscito a scalzare dal potere la coalizione di partiti del centro-sinistra; né ebbe successo il tentativo di imporre un’ottica nazionalista croata alla plurietnica popolazione cittadina, da secoli abituata alla convivenza e alla tolleranza. Tudjman fu in città soprattutto in occasione delle elezioni presidenziali, nell’ambito della campagna elettorale. E non mancò di suscitare più polemiche che consensi.

 

6) CARLO AZEGLIO CIAMPI

E STJEPAN MESIC’ :

ITALIA E CROAZIA

A BRACCETTO VERSO L’EUROPA?

 

L’intransigenza nazionalista dell’Accadizeta aveva lasciato il posto a una maggiore apertura e alla democratizzazione della società croata. Per la città quarnerina non ci furono cambiamenti strutturali; al potere si era ormai cristallizzato il centro-sinistra.

In quale contesto si colloca, dunque, la visita a Fiume del presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi? Considerate le riforme interne, l’avvicinamento della Croazia ai processi integrativi, lo storico incontro del presidente Ciampi potrebbe preludere l’inclusione della Croazia nella grande famiglia comune europea?

Significativo anche il fatto che il 10 ottobre dello scorso anno, Ciampi a Fiume (e poi Rovigno e Pola) era accostato dal presidente croato Stjepan Mesic’, mossi entrambi dal desiderio di aprire un nuovo capitolo nelle relazioni internazionali. Ciampi e Mesic’, in visita alla comunità nazionale italiana, hanno dato un importante riconoscimento alla dignità e alla perseveranza con la quale gli italiani di queste terre hanno difeso la propria identità.

A differenza dei precedenti capi di Stato, Ciampi e Mesic’ si sono fatti accogliere sì dalle autorità, ma in primis dai giovani, la parte più vitale della società, quella destinata a creare un futuro in cui l’affermazione dei valori umani e civili vedrà i popoli superare le barriere linguistiche, culturali, i confini. La cerimonia solenne della visita dei presidenti a Fiume si è svolta presso l’Aula Magna della Scuola media superiore italiana, lo storico ex Liceo fiumano, vanto dell’istruzione in lingua italiana. Un momento emozionante, una festa per tutti, noi alunni in particolare che abbiamo potuto vedere da vicino i due presidenti, e i più fortunati anche a stringere la mano alle più illustri personalità che hanno varcato l’ingresso della scuola.

 

Conclusione

 

Le visite di Stato a Fiume sono state una testimonianza dei buoni rapporti tra la città e le altre nazioni, hanno consolidato le relazioni tra la città e chi la governava nelle varie situazioni storiche. In questa ottica Fiume si è dimostrata sempre città aperta, propensa al dialogo, ma allo stesso tempo attaccata alle sue tradizioni, alle sue identità. Insomma, ha dimostrato la sua secolare appartenenza europea.    

Marko Milovic’

Nel Pavletic’  Goricki

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