"La Tore" - Fiume 15 giugno 1999

SI "SALVA" L' AQUILA BICIPITE, MA IL GONFALONE CAMBIA ASPETTO

Sullo stemma un compromesso quasi... storico


Gli ordinamenti che la città di Fiume ha cambiato nel corso della sua millenaria vicenda, hanno sovente comportato mutamenti nella sua struttura politica, economica, sociale, sovvertendo rapporti tra le nazionalità usi e costumi.

E, quasi puntualmente, ogni nuovo ordinamento ha cercato la "legittimazione" dell'avvenuto cambiamento per mezzo dei simboli della città. Le trasformazioni piü radicali hanno avuto luogo in questo secolo e paradigmatiche ne sono le vicende-vicissitudini dello stemma e del gonfalone.

Ma l'inesorabile Ruota della Storia rende giustizia...

Persi gli emblemi che nei secoli avevano personificato la specificità fiumana, di recente rimasta a lungo senza il proprio blasone e il gonfalone, la città si é da poco riappropriata della sua carta d'identità, anche se non del tutto integralmente.

L'aquila bicipite, scaturita dalle aspirazioni del popolo fiumano quale imperituro simbolo del capoluogo del Quarnero, é stata riconosciuta dal Consiglio municipale quale simbolo di Fiume.

Purtroppo, il Ministero dell'amministrazione, dal quale dipendeva il placet sulla decisione dell'amministrazione municipale, ha operato una mutilazione alIo stemma storico, quello concesso dall'imperatore Leopoldo Iº con diploma del 6 giugno 1659, privando l'aquila della corona granducale ed eliminando la scritta Indeficienter.

Invece di perseverare nella propria scelta e nel rispetto del patrimonio storico, il Consiglio cittadino, memore anche delle polemiche scatenate dalIa questione dello stemma, ha preferito adeguarsi e riconoscere che, anche cosi ridotto, lo stemma poteva rappresentare a tutti gli effetti l'identità vera della città.

II nuovo-vecchio blasone fiumano risulta perció composto da uno scudo dai margini d'oro, con lo sfondo rosso porpora in cui, nel mezzo, l'aquila bicipite nera, con le due teste rivolte a levante e le lingue rosse, poggia sopra una roccia e con un artiglio sostiene un vaso di coccio in oro, da cui sgorga l'acqua azzurra.

Invece una modifica piü radicale é stata realizzata dalle autorità di Zagabria sul gonfalone.

Ripristinato con delibera municipale il tricolore tradizionale,quello carminio, giallo dorato ed ultramare, risalente al 1870, il Ministero ha richiamato i fiumani all'ottemperanza delle norme di legge, che alle città consentono soltanto l'utilizzo di bandiere monocolore. II Consiglio cittadino si visto costretto a una scelta, optando per l'azzurro.

Comunque, a un occhio vigile non potranno sfuggire gli altri due colori "storici", conservati con pochi accorgimenti.

Infatti, su un drappo azzurro rettangolare, campeggia lo stemma cinto da un ovale giallo oro e all'interno del quale, su base rosso porpora, trionfa l'aquila bicipite.

In un contesto in cui lo studio, la riscoperta e il mantenimento della storia, delle tradizioni,della stessa identità culturale della città vengono proposti all'insegna dell'abbandono di ogni anacronistica contrapposizione e nel superamento di ormai logori cliché e luoghi comuni, l'eliminazione di alcuni elementi perché considerati simboli di realtà trapassate, non più esistenti, risulta a dir poco anacronistica. Il revival di una certa fiumanità é sintomo di una nuova sensibilità, ma anche di determinate esigenze, presenti soprattutto nelle nuove generazioni, di cui si dovrebbe tenere conto. Magari con la saggezza di chi, secoli fa, ascoltó le richieste dei fiumani.

Del resto, il percorso stesso compiuto dal blasone fiumano appare indicativo a chi intende comprendere a fondo l'identità di una città orgogliosa della propria particolarità.

Fiume, nel 1465 ceduta dai Walsee all'imperatore Federico III d'Asburgo e organizzata come libero municipio, gelosa della sua autonomia, codificata negli Statuti del 1530, aveva ottenuto la prima volta uno stemma vero nel 1659.

In passato, agli inizi del XIV secolo, la "Magnifica Comunità di San Vito al Fiume" faceva ricorso all'immagine di San Vito inserita in uno scudo come stemma. Fu la stessa città a richiedere ben precise sembianze e motto del suo vero blasone.

Lo stemma del 1659 puó essere cosi descritto:

"Scudo ovale di rosso porpora rabescato all'aquila imperiale con il corpo e le due teste rivolti a sinistra, con le ali semiabbassate, rostrata ed armata d'oro, linguata di rosso, sormontata dalla corona imperiale d'oro, foderata d'azzurro e munita di due bande d'oro svolazzanti.
L'aquila é posata con l'artiglio destro su una roccia al naturale e con il sinistro su un'anfora di coccio, pure rivolta a sinistra, dal cui orifizio defluisce un fiume che lambisce la roccia ed occupa la punta dello scudo.
Su un cartiglio d'oro, in lettere nere, il motto Indeficienter".

Appassionati di araldica e studiosi delle tradizioni e del passato di Fiume hanno cercato di individuare presupposti e ragioni di una così originale composizione araldica.

Si é cercato forse di sottolineare la posizione geografica della città confine orientale dell'Impero, con l'aquila vigile "sentinella", come da certi ipotizzato?

Diverse sono anche le interpretazioni sul significato dei vari simboli.

La corona era segno onorifico e di benevolenza dell'imperatore per il comune di Fiume e per i suoi cittadini, mentre il motto lndeficienter si riferiva alla fede inesauribile della città nei confronti dell'imperatore e dei suoi successori, anche se in seguito fu preferito un altro significato, quello dell'inesauribilità dell'acqua che sgorga dalle fonti di Fiume, duratura come la vita stessa della città.

Dal 1659 fino a dopo la prima Guerra Mondiale non si hanno notizie né diplomi tendenti a modificarlo sostanzialmente.

Nel XVIII secolo comparve, su decreto a stampa di Maria Teresa, l'aquila monocipite (che venne collocata dal 1754 al l890 anche sulla Torre civica), ma quella doppeladler - spesso collocata tra le figure dei Santi Vito e Modesto - continuó sempre ad essere usata ufficialmente, prova ne sono i timbri e i sigilli municipali.

L' aquila a due teste fece ritorno sulla Torre in un altorilievo dopo il restauro della cupola effettuato nel 1890, e in cima a quest'ultima appena nel 1906, fusa in una speciale lega di ghisa nella fonderia Skull.- Il 4 novembre 1919 due legionari di d'Annunzio recisero all'aquila la testa sinistra per issarvi, sul moncone, la bandiera italiana.

Dall' aquila decapitata si passerà -- dopo la parentesi dello Stato Libero in cui si riadottò lo stemma leopoldiano, privándolo però della corona imperiale -- a quella propiamente romana durante l' annessione all' Italia.

L' aquila verrà esautorata del tutto nel 1949, dopo l' annessione all' allora stato jugoslavo, mentre l' urna con l' acqua fluente verrà riproposta, anche se quasi irriconoscibile, stilizzata nella versione di Dorijan Sokolic' , approvata dall' Assemblea cittadina di Fiume nel 1967.

La fretta nello smantellamento di tutto ciò che era in odore di vecchio regime, porterà l'amministrazione cittadina, nei primi anni Novanta, ad accantonare lo stemma del Sokolic' senza però essere capace di sostituirlo con uno nuovo per diversi anni.

Un periodo contrassegnato, del resto, anche dal tentativo di Alleanza democratica fiumana (con l'appoggio di qualche liberale) di ripristinare lo stemma leopoldiano: sforzi a lungo rimasti incompresi da parte della maggioranza politica e osteggiati da altri circoli "patriottici" (leggi nazionalistici croati), nonostante le disposizioni di legge che imponevano, qualora esistessero, i simboli storici.

Il dibattito assunse toni e sviluppi a tratti pietosi, fece emergere una spudorata ignoranza - o forse meglio dire negazione - del patrimonio storico e culturale della città, un'incomprensibile ostinatezza in una parte della leadership municipale e degli storici locali a non voler capire e riconoscere la specificità e il carattere multiculturale di Fiume.

L'obiettivo era quello di screditare lo stemma leopoldiano e di sottolineare in qualche modo l'appartenenza della città allo stato croato.

Si puntò sulla controversa figura - a detta degli oppositori dell'aquila bicipite - di Leopoldo I, "carnefice" di Zrinski - Frankopan; poi si fece leva sul fatto che l'emblema dell' odierna città, nata dalla fusione di Fiume e Sussak, non poteva riprendere quello di una sola parte di essa, quella fiumana.

In seguito si cercò di contestare la "storicità" dello stemma leopoldiano, anteponendogli quello riprendente San Vito.

Spinto dal Partito popolare croato, il Consiglio cittadino aveva addirittura incaricato una commissione di esperti preposti alla scelta del nuovo stemma e gonfalone.

E si era persino giunti alla definizione di una serie di elementi che il signum della città avrebbe dovuto contenere, tra i quali trovavano posto un'ancora, una mezzaluna, la stella a sei punte, la scacchiera croata. Ma giammai l'aquila fiumana.

Poi, nonostante le energie ed i mezzi profusi, non se ne fece nulla: si ebbe l'accortezza di respingere una siffatta impostazione che per nulla corrispondeva alle tradizioni fiumane.

Intantol'aquila bicipite stava facendo proseliti, guadagnando anche alcuni dei suoi iniziali oppositori. Stava maturando il clima politico. Nel 1998 la svolta. Nuove elezioni, nuova leadership: il Trifoglio (Socialdemocratici, Social-liberali, Popolari), che non era riuscito a dotare la città di uno stemma si trasforma in Famiglia (Socialdemocratici, Social -liberali, Popolari, Alleanza litoraneo-montana) e l'evoluzione, per l'apporto dei regionalisti fiumani, diventa decisiva ai fini dell'accettazione dei simboli storici della città. Questa volta però, chi ci mette lo zampino è Zagabria: Il Ministero dell'amministrazione promuove lo stemma leopoldiano, bocciandone la Corona e il motto Indeficienter.
Siamo all'epilogo?

Un compromesso " storico " è stato raggiunto, e molto faticosamente, per cui potrebbe apparire velleitario ogni desiderio o tentativo di riportare i suddetti elementi. La soluzione adottata sembra accontentare un po'tutti. Ai fiumani, indissolubilmente legati alla loro patria fiumana e alle sue tradizioni e che cercano di salvaguardare e trasmettere ai posteri il suo bagaglio culturale e civile, rimane comunque una punta di amaro in bocca.

Ilaria Rocchi Rukavina