BORA

recensione di Gianclaudio de Angelini


BORA
Anna Maria Mori e Nelida Milani
1998 Edizioni Frassinelli
240 p.
ISBN 88-7684-532
Prezzo Lire: 24.500

Questo libro singolare nasce dal felice incontro tra Anna Maria Mori, giornalista RAI, e Nelida Milani docente di lingua italiana all'università di Pola.

La singolarità nasce dal fatto che la Mori e la Milani rappresentano le due facce di una città, Pola, e di una regione, l'Istria, che non esistono più... o meglio non esistono più come naturale conseguenza della lunga sequela di stratificazioni storiche, culturali, etniche, succedutesi nel corso della loro storia millenaria.

La Bora del titolo si richiama ai tragici avvenimenti del dopoguerra che spazzarono via dall'Istria la maggioranza della popolazione di cultura italiana e che costrinsero ad un difficile esilio in casa la comunità dei "rimasti".

Il merito maggiore del libro è quello di farci vivere dall'interno, tramite il ricordo di quelle che allora erano due bambine, lo sgretolarsi di un mondo ed il diverso modo di reagire difronte al prepotente affacciarsi alla vita cittadina di quei partigiani che, sotto il nome dell'internazionalismo comunista, portavano a compimento il sogno degli slavi del sud: giungere, da padroni, al mare.

La Mori tramite i suoi ricordi ci fa vivere il travaglio della stragrande maggioranza dei cittadini di Pola, quelli che poi in maniera quasi totale scelsero la via dell'esilio ed imbarcarono le loro poche cose sulla motonave Toscana alla volta della disastrata Italia del dopoguerra.

La Milani invece ci fa vivere il travaglio, forse ancor più duro, della ristretta minoranza italiana che scelse o fu costretta a restare e che con l'esodo si trovò da un giorno all'altro accerchiata dai nuovi arrivati composti solo in piccola parte da contadini slavi dell'interno. Mentre la maggioranza era formata da croati, serbi, bosniaci, ecc. che di quella realtà sapevano poco e nulla e che in ogni italiano vedevano un fascista.

Ma tutto ciò, almeno per noi giuliani, è cosa risaputa.

Però scorrendo il dipanarsi dei ricordi della Mori e della Milani, anche chi di questi avvenimenti non sa nulla, ha il modo di riviverli e di farli propri come in un film in cui flash-back e dissolvenze a mano a mano compongono un quadro nitido: in questo caso quello di una realtà doppiamente perduta, quello dell'infanzia delle due autrici e di un'Istria che oramai non esiste più, se non nel ricordo dei sopravvissuti.

Così ad esempio la Mori passa dai ricordi nostalgici di un mondo perduto con i suoi sapori i suoi odori in cui campeggia un inno alla Jota, la tipica minestra istriana fatta con i crauti, fagioli rossi, ed insaporita con le costole di maiale affumicato, per arrivare allo spartiacque tragico l'arrivo dei "liberatori": "..Era primavera, primavera inoltrata. Sono arrivati: avevano ciabatte, invece delle scarpe. Trascinavano i piedi per terra anzichè sollevarli, un pò come fanno l'estate i ragazzi al mare: chissà, saranno stati stanchi. Venivano dalla Bosnia, dal Montenegro".

Ma l'impatto con il nuovo mondo si coglie forse meglio nella voce della Milani:

'Ricordo che la nostra osteria nazionalizzata venne data in gestione ai vari Zika, Mustafa, Andrija, Rifat.... Sparirono dall'osteria gli ultimi avventori polesani lasciando il posto ai dobrodosli, i 'benvenuti'...
O in questo episodio occorsole insieme ad altri suoi compagni di scuola: "Vicino alla scuola elementare "Vladimir Gortan" un uomo stava fermo con un grosso cane... Quando gli fummo vicini, lui ci guardò con gli occhi cupi e fermi nella faccia larga e pelosa e ci disse: "Se vi sento ancora una volta parlare in italiano, mollo il cane che vi divori. Ve la faccio passare io la voglia di parlare questa lingua fascista".... Le orecchie che ardevano, i cuori d'un subito piccoli e molli, ce ne restammo zitti e terrorizzati per tutta la strada, fino a casa di nonna. Ma come dovevamo parlare, in quale lingua?".
Un mondo in cui "come dall'albero le foglie d'autunno" a mano a mano sparivano i volti, gli accenti, le usanze solite per venire travolti da un mondo nuovo in cui come dice sempre la Milani: 'il liberatore slavo aveva deposto ogni cautela, aveva tirato il demone fuori dall'otre in cui lo aveva tenuto per centinaia di anni... urlavano bianco rosso e verde il color delle tre merde, bianco rosso e blu il colore della gioventù. L'Ozna prelevava di notte gli italiani, li teneva prigionieri, li interrogava. Faceva pagare a caro prezzo esistenze passate a confondere scientemente la giustizia con l'intimidazione fascista, la morale con la legge. Ma pagavano anche gli innocenti, pagava un'intera popolazione'. Per concludere riporto da un brano della Mori una scenetta che in maniera più o meno analoga ha vissuto "in Patria" ognuno dei circa 300 esuli giuliano-dalmati:
Nata a...? La risposta tarda ad arrivare.
L'interlocutore è il professore delle medie prima, poi del liceo, dopo ancora l'impiegato degli uffici amministrativi dell'Università, e via via continuando...
Aspetta, con un pò di impazienza: è preparato sul'eventuale esitazione quanto alla data di nascita. Ma sul luogo...
"Allora: nata, dove?"
"A Pola".
L'impazienza aumenta: questa qui si permette di far perdere tempo anche con una banalità come la geografia.
"Come ha detto?"
"Pola. Istria".
Questa volta, l'esitazione passa dall'altra parte: qualche secondo di silenzio imbarazzato. E poi:
"Ah, in Jugoslavia... Lei è jugoslava".
"Veramente no: io sono italiana. Sono nata in Italia".
Un'illuminazione: "Ah già, dimenticavo... Allora lei è profuga".
E chissà perchè la cosa, "lei è profuga", faceva così ridere il professore, la professoressa, l'impiegato del comune o dell'anagrafe che me lo chiedevano.
A me veniva da piangere. Anche e soprattutto perchè gli altri ridevano.'

Per questo "Bora" è un libro la cui lettura va consigliata a chi vuol saperne di più di quello che, è bene ricordarlo è un pezzo di storia nazionale, ai molti distratti, agli smemorati di ogni campo... ma soprattutto ai figli innocenti di vincitori e vinti, di esuli e rimasti, di fascisti e comunisti, di slavi ed italiani e le dicotomie potrebbero continuare, per capire che nessuna ideologia, nessun -ismo può giustificare l'annientamento dell'Altro perchè tale annientamento comporta, inevitabilmente, anche l'impoverimento della controparte e che alla fine entrambe le parti, qualsiasi esse siano, ne escono sconfitte.