I confini dell'odio

recensione di Anna Balducci


Era da tanto che un libro non mi coinvolgeva così emotivamente, se è vero, come dice Paul Auster citato all'inizio del volume, che l'autore si immerge nel personaggio immaginario e finisce per diventare il personaggio stesso, anch'io, leggendo questo libro, mi sono sentita catapultata nel mondo che Diego Zandel ha descritto.
Il protagonista e voce narrante è Bruno, un giornalista italiano che si è recato a Fiume per seppellirvi il padre, un profugo fiumano che, in punto di morte, aveva espresso il desiderio di riposare per sempre nella sua terra. Il padre, dedito al bere, è morto di cirrosi epatica, ed il suo rapporto con il figlio, salvo gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza, è stato spesso costellato di incomprensioni e di contrasti. Bruno Lednaz parla correttamente il croato, lo ha appreso dalla nonna che lo ha allevato e che ha seguito il figlio nell'esilio e conosce bene anche Fiume, dove ha trascorso tutte le estati della sua giovinezza a casa della nonna istriana di lingua italiana.
La struttura de " I confini dell'odio" è quella di un romanzo di avventura, ed infatti i colpi di scena si susseguono a ritmo incalzante, ma è, nello stesso tempo, un viaggio della coscienza in cui Bruno riesce a comprendere suo padre e ad avvicinarsi a lui ( bella la scena in cui lui si addormenta piangendo abbracciando la bara).
Il passato e il presente si mescolano, i profughi che incontra " un'umanità brulicante, derelitta di donne, bambini, vecchi" (pag.113) gli ricordano altri profughi, i suoi genitori che lasciarono Fiume poco più che ventenni.
La vicenda si svolge nel sanguinoso dopoguerra che seguì la guerra tra serbi e croati del 1991-95, un dopoguerra in cui gli animi degli uomini erano ancora pieni di odio.
Fin dal primo capitolo veniamo presi da questa spirale dell'orrore di cui sono maggiori vittime i più deboli: le donne, i bambini, gli anziani.
Bello il personaggio di Boris Sarnic, un ufficiale dei corpi speciali dell'esercito croato figlio di un ministro, che, nei quattro giorni che Bruno trascorre in Croazia, gli diventa amico fraterno e compagno di avventure. Boris, che all'inizio è un uomo sicuro di sé, un po' alla volta si rende conto che tutto quello che gli avevano fatto credere era falso e che le guerre vengono innescate per l'interesse di dominio di pochi, e che, tra questi pochi, c'è suo padre, che scopre essere un uomo corrotto. Sentendosi tradito e non riuscendo a sopportare la vergogna, si uccide, ma lascia una lettera di denuncia all'amico che, giunto in Italia, la renderà pubblica.
Alla fine del libro Bruno decide di non lasciare suo padre a Fiume, lo riporterà in Italia con sé. " Ma improvvisamente avvertii una resistenza. Perché mio padre doveva starsene là per sempre, lontano da me, dalla mia vita?.. a fianco di morti che non avevano niente a che fare con la "sua Fiume"… volevo andare alla sua tomba ogni volta che ne avessi sentito il bisogno e parlargli. Mio padre non mi aveva mai tradito." Il libro è una atto di accusa contro la guerra, non contro i Croati o i Serbi. Boris, l'agnello sacrificale, è croato, come croato è Grga, il pescatore che non solo li ospita a rischio della sua stessa vita, ma dà loro anche i suoi risparmi, e poi c'è il ricordo dolcissimo della nonna croata di Bruno ( in questo libro i morti sono presenti come i vivi) che gli cantava per farlo addormentare:" Tana nina nena, Krava nina sena.."

Diego Zandel è figlio di genitori fiumani ed è nato nel 1948 a Fermo, nelle Marche, in un campo profughi giuliani. E' vissuto poi nel villaggio dei profughi giuliani di Roma. Attualmente è un dirigente della Telecom Italia per la pubblicità, vive e lavora a Roma.