La foiba grande

recensione di Anna Balducci


La parola foiba rievoca immagini di morte, di violenza; molti pensano che sia una parola di origine slava, invece è parola di origine latina e viene da " fovea" luogo vuoto, fossa , grotta.
La foiba grande, che dà il titolo al libro, si trova vicino a Umizza, un immaginario paesino dell'Istria interna, poco lontana dal canale di Lemme, ma potrebbe essere qualsiasi foiba in qualsiasi parte dell'Istria. Il libro di Sgorlon è pervaso da un'atmosfera fantastica che all'inizio mi ha fatto pensare alla Macondo di "Cent'anni di solitudine", ma poi, man mano che procedevo nella lettura, ho notato che i fatti storici si fanno più precisi e l'atmosfera più reale. E' un libro quindi di invenzione, ma anche di storia quello dello Sgorlon, che si è servito, per quello che riguarda i fatti storici, della consulenza e dei consigli di Bruno Maier. Quello che mi ha fatto pensare a Marquez sono dei personaggi strani come la vecchia Partenija, nobildonna amica dell'imperatrice Zita il cui marito è sparito misteriosamente da anni, forse inghiottito anche lui dal sottosuolo istriano, e che da nobildonna si è fatta contadina. C'è poi la somiglianza tra Benedetto Polo e Milan Bencovich, l'uno uomo di terra l'altro ufficiale di marina, imparentati alla lontana a causa di un adulterio commesso molti anni prima dal loro bisnonno. Questa somiglianza è così perfetta che i due vengono scambiati uno per l'altro ed alla fine sarà proprio questo strano fenomeno che salverà la vita di Benedetto e causerà la morte di Milan.
All'inizio del romanzo lo Sgorlon ci parla di una terribile pestilenza avvenuta in data imprecisata durante la dominazione veneziana che causa la morte di gran parte degli abitanti dell'Istria. Le autorità si riuniscono e decidono che bisogna colmare i vuoti prodotti dal morbo e ripopolare quelle terre. Così dal territorio dalmata e ancora più in giù" fino dove cominciavano le terre del turco" giungono i nuovi abitanti della penisola ad occupare le case e i campi di quelli che la morte ha portato via. Alla fine del romanzo lo scrittore ci parla di una nuova pestilenza, questa volta artificiale, fatta di morte e terrore che costringe i filoitaliani all'esodo universale. Così l'inizio e la fine si collegano idealmente.
La storia vera e propria ha inizio con la prima guerra mondiale con la diserzione di uno dei protagonisti: Benedetto Polo, che si imbarca e fugge in America. Poi il libro tratta del periodo tra le due guerre e della politica italiana di cui Sgorlon non nasconde le colpe e gli errori.
" Gli Italiani ( così pensa Frane, uno dei protagonisti) avevano sempre un comportamento rozzo, burocratico, ed erano duri e superbi con i poveri e servili con i potenti." E più avanti li giudica " di una superficialità arrogante e incapaci di capire la vera sostanza dell'Istria e della sua gente."
Le scuole croate soppresse, la lingua italiana imposta con la forza generano non poco scontento, ma quello che rende più grave il malcontento é l'occupazione e l'annessione della Slovenia. Giungono al paese notizie di processi sommari, di fucilazioni, di crudeltà di ogni genere. Gli Umizzani, che erano gente di confine, sanno come istinto atavico che ogni violazione di territorio ha ripercussioni senza fine. " C'era un cane ringhioso che dormiva lungo tutte le frontiere e gli Italiani lo avevano svegliato nel più sciocco dei modi." Dice l'autore.
Si forma "l'esercito del popolo dei boschi" ed iniziano le crudeltà da ambo le parti. Ma il ripetersi di questi fatti, che dapprincipio sconvolgevano gli abitanti del paese, suscita sempre meno impressione, come se la gente finisse col farci l'abitudine; inoltre sia gli Slavi che gli Italiani di Umizza hanno la sensazione che la barbarie del popolo fratello sia meno barbara dell'altra, e in certo qual senso, giustificata dallo stato di necessità. Questo è il modo in cui il nazionalismo agisce e si manifesta.
Uno dei primi atti di crudeltà fatto dall'armata partigiana è l'uccisione di un uomo di un paese vicino trovato morto con una baionetta austriaca infilata nella gola; non era un fascista, era solo un maestro elementare che si indispettiva quando non era capito subito dai ragazzi slavi. Gli Umizzani vengono colpiti dal rapporto tra la sua arroganza e la baionetta infilata nella gola, si impauriscono perché si rendono conto che una sentenza di morte può essere emanata contro chiunque e senza alcun motivo.
Viene l'otto settembre e l'invasione tedesca. La situazione dell'Istria é assurda perché l'unica difesa contro l'avidità di terre degli Slavi sono in quel momento i Tedeschi, padroni feroci e crudeli che dovunque affiggono i loro manifesti vergati a lutto pieni di Verboten e in cui l'unica punizione per chi trasgredisce è la morte.. Tutti sperano che se ne vadano, ma temono che la fine della loro occupazione coincida con l'inizio dell'occupazione slava. L'unica speranza che hanno in quel momento gli Umizzani è che gli Alleati arrivino prima di loro.
L'armata partigiana é un'armata di straccioni che combatte con bravura incredibile. Entrare nel loro esercito significa combattere contro i Tedeschi, ma a fianco degli Slavi, per condurre l'Istria sotto la dominazione di questi ultimi. Gli Italiani che entrano nelle loro file non hanno chiaro questo punto, pensano di combattere in nome del comunismo internazionale, ed invece combattono per il nazionalismo slavo.
Gli Alleati non arrivano, ha inizio l'occupazione slava e comincia l'esodo dei popoli della costa. Tutti quelli che si rendono conto di appartenere alla patria veneta, e quindi italiana e non possono mutarla con quella slava, se ne vanno. Per quelli che restano, per quelli che ancora non hanno deciso di partire, inizia il calvario.
La gente inizia a sparire. Chi viene fermato per la strada, chi nel cuore della notte viene strappato dalla sua casa. " Dove li porteranno?" si chiedono gli abitanti di Umizza, alla fine scoprono per caso che i loro corpi sono nella " Foiba grande".
Benedetto Polo è il protagonista principale, se di protagonista si può parlare in questo che è un romanzo corale. E' un artista, uno scultore,( lo chiamano " Mistro") pieno di amore per la sua terra che a lungo si rifiuta di lasciare. Si sente soprattutto Istriano. " Non starò mai da una parte. La mia parte è l'Istria" dice. E' un po' la coscienza del paese, l'autorità indiscussa, anche se non ufficiale, e solo alla fine del romanzo si decide ad andarsene portando con sé tutta la sua gente. Si rende conto che è in atto un genocidio e che chi non se ne vuole andare viene fatto sparire. Capisce che non vi è più scampo per gli Italiani dissidenti e che:" Il comunismo non c'entrava per niente, era soltanto la faccia deforme di un feroce nazionalismo di contadini affamati di terra."
Altro personaggio importante è quello di Vera, ragazza giovane, piena di forza, vera donna di confine, che conosce la dote della resistenza e i modi per realizzarla, che riesce a superare tutto senza perdere il suo amore per la vita, la violenza fisica,( di cui si libera con un bagno caldo e bruciando un vestito) il dramma dell'esilio. Sulla nave che la porterà a Venezia non si dispera, ma fa programmi per il suo futuro. C'è poi suo fratello Frane che ama la storia e la letteratura italiana ( soprattutto Dante come tutti gli Istriani) oltre naturalmente alla storia dell'Istria, e che, a differenza dei suoi coetanei, non vive soltanto nel presente, ma soprattutto nel passato. Le critiche feroci che fa all'amministrazione italiana nascono anche dal fatto che lui paragona questi omuncoli ai grandi Italiani del passato che continua ad amare e di cui è fiero. Una specie di Benedetto giovane, intelligente e sensibile, che alla fine del libro, quando decide di lasciare il suo paese, ha l'impressione di aver abbandonato un chimerico posto nell'esercito o nella marina e di aver consegnato "L'Istria e la sua gente, i pochi rimasti, in mano agli Slavi."
Molto ben disegnato è il personaggio di Vlado, lo slavo che va a combattere in Serbia con l'armata partigiana. Fin dall'inizio ci è descritto come un ragazzo pieno di vitalità , ma con una crudeltà innata. Ama uccidere gli animali e conficca delle spine nel sedere di un povero asino e in paese racconta storie sulla guerra, storie feroci, cariche di un livore micidiale. Poi, quando si unisce ai soldati dei boschi, la brutalità che era in lui, rispunta. Diviene un capo, viene considerato dai suoi un eroe, ed eroe per loro è chi uccide più nemici. Questo non solo per gli uomini dei boschi, ma anche per gli ustascia, per i cetnici. Verso la fine del libro Vlado ritorna al paese dove tutti lo temono. Alla fine però ha una crisi di coscienza si butta nel fiume per lavarsi del sangue, urlando che mai più se ne potrà pulire. I suoi compagni lo lasciano gridare consapevoli della sua pazzia, ma poco dopo anche lui finisce nella Foiba grande.
Il libro termina con la barca carica di profughi che si allontana nella nebbia.

Anna Balducci

Il romanzo è stato stampato dalla Mondadori nel 1992