Foibe
Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria

recensione di Anna Balducci


Gianni Oliva è nato a Torino, città dove vive e lavora, nel 1952. E' uno studioso del Novecento e da anni si occupa degli argomenti meno indagati della storia nazionale recente.
Nel libro " Foibe" edito dalla Mondadori nell'aprile di quest'anno, espone uno studio completo e approfondito della questione istriana, scritto col coraggioso intento di fare chiarezza su quel terribile episodio della nostra storia. Le colpe degli uni e degli altri sono messe in luce.. Leggendo la prima parte del libro ( quello in cui parla delle nostre colpe) mi sono sentita in crisi come italiana, alla fine poi,( quello in cui parla di ciò che abbiamo subito) mi è venuta la voglia di dar le dimissioni dall'umanità.
Nella prefazione infatti l'autore ci spiega che lo scopo del suo libro è quello di ricercare e far conoscere la verità , una verità che può apparire scomoda e dolorosa, ma che deve finalmente venire alla luce perché " migliaia di triestini, istriani, dalmati, uccisi nelle foibe hanno atteso fin troppo: è tempo ormai che essi entrino a far parte della nostra memoria nazionale, vittime della grande tragedia che è stata la Seconda guerra mondiale, così come i soldati caduti in Russia e nel Balcani, i combattenti morti nella lotta di liberazione, gli antifascisti e gli ebrei uccisi nella Risiera di San Sabba." (pag.9)
La prima domanda che l'Oliva si pone è: " Come tutto ciò è potuto accadere?"
Secondo l'autore due furono le cause scatenanti: la politica di italianizzazione forzata perseguita durante il ventennio dal fascismo, che fece nascere enormi rancori verso l'etnia italiana, e la politica espansionistica di Tito che voleva annettere alla Jugoslavia, non solo Istria e Dalmazia, ma anche Trieste e il Goriziano. Vedrò di esaminare l'opera capitolo per capitolo e mettere in risalto quelli che, secondo, me sono i punti focali.
Nel primo capitolo " I quaranta giorni di Trieste " entriamo subiti nel vivo degli avvenimenti. " Si tratta di una stagione breve e brutale, dove gli uomini del nuovo potere agiscono sotto la duplice spinta di fare presto e di non far sapere ciò che sta realmente accadendo" ( pag.26). L'Oliva sostiene che l'infoibamento, pur essendo penetrato nell'immaginario collettivo come simbolo di atrocità, non fu lo strumento quantitativamente più rilevante di repressione. La maggior parte degli arrestati in quel periodo fu trasferita nei campi di prigionia in Slovenia, in Croazia e in Serbia. Pochissimi di loro tornarono.
Gli avvenimenti sono raccontati con estrema chiarezza e precisione, con importanti, agghiaccianti testimonianze. L'Oliva si chiede" Perché alla fine della guerra la Venezia Giulia è teatro di un fenomeno di violenza che non ha riscontro nelle altre regioni della penisola? Quali obiettivi si propone la strategia repressiva jugoslava e come è maturata nel corso della storia? Di quali eventuali complicità si avvale?" (pag.29)
Per comprendere bisogna esaminare attentamente i primi cinquant'anni del novecento. Per " comprendere", come tende a sottolineare l'autore, non per "giustificare."

Nel secondo capitolo l'autore passa a trattare un avvenimento accaduto il 13 luglio 1920, ossia l'incendio del " Narobi Dom", meglio conosciuto come Hotel Balcan. Questa azione dei fascisti triestini ( che fu la prima seguita da molte altre ) è giudicata dall'autore " esemplare nella sua brutalità, anticipazione di quello che saranno le azioni delle Camicie nere nelle zone agricole della pianura padana." ( pag. 32) La Venezia Giulia e Trieste vivevano in un'atmosfera assai più problematica di quella del resto d'Italia- Trieste in particolare era preoccupata per il futuro del suo porto- e questo fece sì che il fascismo trovasse qui un terreno fertile per il proprio radicamento. Il " fascismo di confine", come si nominò sin dal 1919 il fascio di Trieste, saldò la lotta contro il bolscevismo a quella contro la slavismo " Razza inferiore e barbara" come la definì Mussolini nel settembre 1920.
La politica fascista tendeva alla snazionalizzazione degli " allogeni" ma nel corso di vent'anni alternò atteggiamenti diversi: ora usando la repressione poliziesca, ora tentando la bonifica etnica, ora l'assimilazione. Ma questi progetti non furono mai portati in fondo e restarono sulla carta. La propaganda contro gli " allogeni" faceva parte del clima di esaltazione patriottica, di illusione di grande potenza " attraverso cui Mussolini creò una base di massa tra la piccola e la media borghesia" ( pag. 49). L'opera di snazionalizzazione fu " fiacca e brutale", ma i risultati non furono meno drammatici. Sloveni e Croati, abituati al rispetto della loro identità nazionale, vissero come oppressivo il dominio dell'Italia fascista " aggregandosi progressivamente attorno al denominatore comune della liberazione nazionale e identificando l'antifascismo con l'antitalianità " ( pag.50).
Con la guerra le cose naturalmente peggiorarono e, come scrive lo scrittore Carlo Schiffer "( Gli Slavi) si gettarono allo sbaraglio nella guerra partigiana…proprio per reazione spontanea ad un sistema di coartazione spirituale, più odioso ancora del sistema di violenze materiali che lo sorreggeva."( Chiesa e stato a Trieste durante il periodo fascista pag. 6)
Durante l'occupazione militare italiana i personaggi più noti degli " allogeni" vennero allontanati e mandati al confino e poi, col proseguire e l'intensificarsi della lotta partigiana, vennero creati appositi campi di deportazione con condizioni di vita durissime in cui si registrano elevati tassi di mortalità. La durezza della repressione alimentò l'odio così che il Fronte di Liberazione sloveno può facilmente rafforzare l'equazione italianità-fascismo-oppressione.
Queste in sintesi le nostre colpe.

Nel terzo capitolo si tratta di quel che accadde dopo l'8 settembre.
Nel vuoto di potere nacque dapprima la rivolta contadina. I tragici avvenimenti di quel periodo ( E' esemplare la storia di Norma Cossetto) sono mossi da due logiche diverse: da una parte una jacquerie contadina e dall'altra un lucido progetto politico: distruggere tutto ciò che vi è di italiano. Il nuovo potere che nasce vuol dimostrare la propria capacità di vendicare i torti subiti dalle popolazioni slave e nello stesso tempo coinvolgere quelle popolazioni in una guerra senza quartiere contro gli Italiani.

Nel quarto capitolo " Il litorale adriatico e la risiera di San Sabba"
L'Istria, che è divenuta parte dell' Adriatisches Kustenland ( la zona è affidata al Gauleiter della Carinzia e della Carniola Friedric Rainer), è esclusa dall'ambito di competenza della repubblica di Salò e le uniche autorità italiane riconosciute sono quelle che ricevono la nomina dai Tedeschi. L'" Operazione nubifragio" con cui i Tedeschi riconquistano l'Istria è scandita dalle distruzioni, dalle decimazioni di massa, dagli incendi. Vi si attua un severo controllo poliziesco diretto da Odilio Lotario Globocnik, un triestino di origine slovena, che già si era segnalato per la sua attività svolta nei campi di sterminio in Polonia , è in questo periodo che nasce a Trieste la risiera di San Sabba.

Nei capitoli quinto e sesto " Tra tedeschi e Titoisti. La lotta di liberazione nella Venezia Giulia" e " La corsa per Trieste."
Vediamo la nascita della resistenza italiana che fu formata da comunisti, dal partito d' Azione e dai cattolici. Nel 1944 troviamo unità osoviane e garibaldine. Ufficialmente le nostre formazioni collaboravano con quelle jugoslave, in realtà ci furono tensioni continue e i rapporti tra le due resistenze si rilevarono subito difficili. " il problema coinvolge tutte le componenti ma, in primo luogo, i comunisti, che al movimento jugoslavo sono legati da affinità ideologiche." (pag. 116) A lungo il Pci sostiene il diritto all'autodecisione dei popoli suscitando così l'irritazione degli sloveni, presto però anche loro si accorgono che " in Istria non è ammessa la presenza di unità italiane non soggette alle direttive slovene."
Alla fine del quinto capitolo viene esaminato l'ambiguo comportamento di Togliatti.
Nel capitolo successivo vengono esaminati gli avvenimenti che precedettero la strage di Porzius e la strage stessa. Questa pagina nera della resistenza italiana.

Capitolo sesto " La Corsa per Trieste"
Trieste viene liberata dal CLN che però è indebolito dall'uscita dei comunisti. Gli Alleati, che potrebbero giungere in tempo, sono pieni di incertezze, mentre gli Jugoslavi riescono ad occupare la città perché sono determinati e tempestivi.
" Tutti gli elemento ostili debbono essere imprigionati" (PAG. 155) ordina un dispaccio di Kardelj " Disarmate tutto ciò che non rientra nelle strutture della Jugoslavia."
Ufficialmente le persecuzioni sono contro i fascisti, in realtà il fascista è l'antagonista di ieri ed è ormai sconfitto, quello che stanno colpendo in quel momento le forze jugoslave sono i cosiddetti "nemici del popolo" coloro che si oppongono all'instaurazione della società socialista, cioè all'annessione. Quindi soprattutto gli esponenti del CLN, in particolare quello triestino" che gode del prestigio necessario per difendere gli interessi italiani di fronte agli alleati " (pag.158)
Di fronte allo scatenarsi della repressione le autorità alleate non si muovono, solo il 12 giugno del 45 i soldati jugoslavi lasciano la zona A in seguito a un trattato firmato a Belgrado tra Tito e il generale Alexander.
Questi in sintesi i fatti, ma, si chiede ancora l'autore, perché le foibe non sono entrate a far parte del patrimonio collettivo della nazione? La risposta che dà a questa domanda è che questo " silenzio di stato" fu causato da ragioni di politica nazionale e internazionale.
1) Dopo la rottura del 1948 fra Tito e Stalin l'occidente avvia il processo di attrazione della Jugoslavia nel proprio campo, quindi non ha nessun interesse a far chiarezza sulle migliaia di cittadini italiani scomparsi. La diplomazia occidentale accetta la spiegazione jugoslava che dichiara che le eliminazioni furono di carattere politico e antifascista.
2) Per il governo italiano la situazione del confine orientale rappresenta una sconfitta politica in sede internazionale. Quindi la questione della Venezia Giulia diviene un argomento scomodo perché mette in risalto la debolezza della dirigenza italiana.
3) La terza ragione è che la Jugoslavia nel gennaio 1945 aveva chiesto all'Italia l'estradizione di alcune centinaia di soldati e ufficiali italiani accusati di aver commesso crimini di guerra nel 1941-43 e poi nel 1945-46 (fucilazioni sommarie, stragi di civili, incendi di villaggi). La commissione istituita dagli alleati riconosce in molti casi la legittimità delle richieste. Questo metteva in serio imbarazzo i nostri politici perché molti di questi militari erano stati inseriti nel nuovo esercito italiano, così preferirono ignorare la questione delle foibe perché gli Jugoslavi lasciassero perdere l'estradizione.
4) Nemmeno il PCI, il partito di opposizione, ha interesse a tirar fuori la questione che metterebbe in evidenza la contraddizione tra la sua nuova collocazione di partito nazionale, la sua vocazione internazionalista e gli stretti legami con Mosca. Se se ne parlasse salterebbe fuori la grave ambiguità di Togliatti rispetto alla definizione del confine orientale, le indicazioni che furono date al PCI triestino dopo il 1944, il passaggio della divisione garibaldina" Natisone" all'esercito di liberazione sloveno.
Troppi erano gli scheletri negli armadi! Così della questione delle foibe se ne parlò poco e se ne parlò male non cercando la realtà storica, ma sfruttandola per fini elettorali. .