Storia di un gatto profugo

recensione di Anna Balducci


In "Storia di un gatto profugo" Piero Tarticchio tocca varie corde, quella drammatica, quella ironica e quella in cui fantasia e sorriso si mescolano; nel suo libro le alterna in modo che, quando il dramma raggiunge il suo acme con la corda drammatica, subito interviene quella di fantasia e sorriso che smorza la tensione e ci rasserena, mentre la corda ironica spunta qua e là.
E' un libro che va letto con attenzione ed anche riletto, perché ad ogni rilettura si scoprono altri significati, in cui nulla è stato scritto a caso.
Dalle vicende e dalle considerazioni dei personaggi ne esce la storia di un'epoca travagliata, raccontata con estrema obiettività, cosa non facile e particolarmente meritoria per chi queste tragedie le ha sofferte sulla propria pelle.

Nella casa del vecchio professor Leo Bonivento, valente studioso d'arte: antica e moderna, sacra e profana, muore il gatto Normy e il suo padrone, se ne addolora. Il suo cuore è rimasto puro e giovane, capace d'amare e di soffrire per la perdita di un animale.
Leo Bonivento è un uomo che ha saputo realizzarsi, fuggito giovanissimo dall'Istria in cui è nato, ha saputo ricrearsi una vita. Abita in campagna in una casa piena di libri, accanto a una moglie amorosa e intelligente, a una fedele e affezionata governante, ed è nonno felice di Martina, una ragazzina che frequenta la seconda media.
Ed è proprio la telefonata di Martina che dà inizio alla storia, perché la ragazzina, oltre a domandargli il significato della parola empatia (e qui il nonno nel risponderle anticiperà la caratteristica di Torpedine, un personaggio chiave del romanzo), gli chiede come mai non le abbia mai voluto raccontare la storia della sua infanzia e degli avvenimenti che l'hanno condotto lontano dalla sua terra.
Leo Bonivento riflette sulle ultime parole di Martina. Riconosce che la piccola ha ragione, è vero che per anni non ha voluto parlare e si è tenuto dentro quel grumo di dolore, la sofferenza era troppo grande perché potesse palesarla, ma capisce anche che è giunto il momento di raccontare perché: "Tacere a lungo la verità umilia e offende la dignità dell'esiliato, che finisce per configurare il proprio destino come una sorta di punizione che gli viene dal cielo." Pag.37

La seconda parte del romanzo inizia con la corda della fantasia e del sorriso.
Normy, il gatto, per errore, invece di andare nel paradiso degli animali, viene portato su all'ultimo piano dove trova una strana colomba e Dio. Fra il gatto e l'Onnipotente nasce un rapporto di simpatia, potrei dire d'amicizia, tanto che quest'ultimo, tenendolo sulle ginocchia, gli vuol raccontare la storia della sua penultima (la quinta) incarnazione. E' noto a tutti che i gatti hanno sette vite.
"Normy gli forniva il pretesto per riesaminare un momento storico particolare, rivedendo con obiettività i torti subiti da un'intera popolazione su una terra di frontiera." Pag.58. dice la voce narrante toccando la corda drammatica, ma, subito dopo, sdrammatizza con quella ironica.
"Era dal tempo della genesi che non aveva avuto un incontro ravvicinato con un animale." Idem.
E torniamo negli anni che vanno dal '43 al '45 a Pola e poi a Gallesano, popolate da uomini ed animali.
Normy vi troverà Leo Bonivento, il suo padrone, al tempo ragazzino vivacissimo e scapestrato, che vive serenamente la sua infanzia, ignaro delle nubi che si addensano sul suo capo; troverà Amabile Matisich, la vecchia governante, ancora giovane; inoltre conoscerà tanti altri personaggi umani, la madre di Leo, malata di nervi, il padre, l'ingegner Alfredo, nonno Toni, simpatico e burlone, il fido guardiacaccia, la famiglia dei mezzadri fedeli e affezionati, Esterina, anziana signorina di rara gentilezza d'animo, morta e vissuta con dignità, che ricorda Egle Schwarz, personaggio chiave del primo libro del nostro autore, "Nascinguerra"; un cenno particolare merita Torpedine, lo sciocco del villaggio, in realtà il più saggio, quello che ha il dono, come re Salomone, di comprendere il linguaggio degli animali; ecco il concetto di empatia che ritorna.
Poi ci sono gli animali: Bandito, che non è che Normy nella sua precedente incarnazione, Nerone, il ras dell'Arena, il topolino amico della signorina Esterina, Anassimandro, il corvo ed infine Lucifero, il cane nero.
La guerra incalza, la tragedia è nell'aria, ma ci sono ancora scene di pace, piccole cose di un tempo che fu, da una parte la distesa di grano che pare un insieme di onde argentate, Lijuba che prepara l'impasto per il pane, dall'altra i cadaveri dei partigiani appesi come monito, i cani di Pola che ululano prima che suoni l'allarme antiaereo.
Poi la sventura si avvicina sempre più alla famiglia di Leo Bonivento. L'amico guardiacaccia, ucciso a tradimento, prima di spirare confida a nonno Toni che tra gli Italiani, fra quelli che parlano il nostro dialetto, c'è un traditore:
"So che si trova in bosco coi partigiani di Tito e che ha dato loro una lista di paesani da eliminare- sussurra l'uomo con le sue ultime forze- In quella lista c'è anche il suo nome."
" Dimmi il nome del traditore!" lo esorta paron Toni.
Il morente borbotta una parola che il vecchio non riesce ad afferrare.
Scosso dalla rivelazione del guardiacaccia il nonno di Leo cerca di capire di chi si tratti, ma, non riuscendoci, preferisce tacere per non diffondere il sospetto.
A questo punto giunge, preparata da tanti tristi presagi, la scena più drammatica del libro: l'assassinio del padre di Leo. L'autore che, oltre ad essere scrittore è pittore, ce le rappresenta, o forse meglio ce le dipinge, con rapide pennellate, e il quadro è così realistico che, leggendo, ho avuto l'impressione di essere lì, testimone muta, presente alla scena. In qualche momento ho avuto la sensazione di leggere una pièce teatrale, l'effetto è sconvolgente.
L'ingegner Alfredo giunge a Gallesano per prendere Bandito; nella cucina dei fidi mezzadri giungono tre partigiani slavi e un funzionario della polizia segreta titina che, dopo un interrogatorio farsa, lo legano col fil di ferro e lo portano via con loro. Anche Lucifero, il cane nero, viene legato e trascinato via.
Bandito, che ha seguito il gruppo tenendosi in disparte, sarà testimone della fine del suo padrone, lo vedrà coperto di sputi e percosso brutalmente con calci e pugni, ed alla fine gettato vivo nella foiba dei pipistrelli assieme a Lucifero; più tardi racconterà ogni cosa a Torpedine, l'uomo che riesce a capire il linguaggio degli animali, che a sua volta trascriverà quello che ha appreso in una lettera che consegnerà a nonno Toni perché la dia a Leo quando questi avrà raggiunto la maggiore età.

Alla fine paron Toni deciderà di fuggire e raggiungere l'altra sponda dell'Adriatico assieme alla figlia e al nipote. Torpedine e Bandito li raggiungeranno in modo rocambolesco poco dopo.

Esaurita la corda drammatica torniamo a quella della fantasia e del sorriso. In Paradiso Bandito chiede al Padreterno di poter vivere ancora con lo stesso padrone la prossima reincarnazione (ha vissuto solo sei vite, gli spetta la settima).
La scena si sposta in casa del professor Bonivento.
L'uomo sente un flebile miagolio in giardino, esce fuori a vedere e trova, proprio sulla tomba di Normy, una piccola gattina tigrata. La prende in braccio e la porta in casa con sé. Il Padreterno ha acconsentito alla richiesta del micio ed inizia la settima vita di Bandito-Normy.

Nelle ultime pagine troviamo la storia dell'Istria trattata in modo breve, ma estremamente chiaro. Chissà che leggendola a qualcuno venga voglia di approfondirla!