Il mio diario
A vent'anni nei Campi di sterminio nazisti
Flossemberg 40301

recensione di Anna Balducci


" A miei figli Silva e Dario, atto doveroso, perché ricordino." Leggo nelle prime pagine, ma non solo ai suoi figli, ma a tutti quelli che, per loro fortuna, sono venuti dopo, dedica questo libro il maestro Rusich, che, dopo aver passato la vita ed educare le giovani generazioni a Firenze da dove è giunto esule dalla natia Pola, giunto alla pensione, ha voluto raccontarci questa sua terribile esperienza di vita.
Durante il periodo della prigionia, l'autore si era ripromesso di far conoscere agli altri quello che accadeva nei lager, convinto com'era che il raccontare sarebbe stato un dovere dei sopravvissuti, spesso però lo prendeva lo sconforto e lo assillava il pensiero che la loro storia fosse troppo atroce per essere creduta." Mai nessuno ci crederà se avremo la fortuna di sopravvivere e raccontare" ( pag. 41) dice un suo compagno e, più avanti , lo stesso Rusich "….forse non ci avrebbero nemmeno creduto" (pag.58)
E' un libro questo " Il mio diario" in cui gli avvenimenti sono esposti, senza recriminazioni, senza odio, il racconto scorre semplice e lineare. L'autore espone semplicemente i fatti, ma questi fatti sono talmente orribili da farci provare un profondo senso d'angoscia.
Basta leggere l'arrivo al campo ( pag.35) i prigionieri debbono spogliarsi e abbandonare ogni loro bene. Uno di loro si attarda, ha lasciato nelle tasche della giacca qualcosa che vorrebbe riprendere e un carceriere gli dice garbatamente:" Dopo, dopo, tornerai." Ridendo sommessamente e facendosi beffe di lui. Rusich cerca di collocare il suo maglione di lana inglese che aveva accompagnato lo zio Lorenzo nei mari di tutto il mondo in un punto in cui si possa facilmente ritrovare. Ancora non sa, non immagina. Poi, dopo una doccia, i prigionieri passano tra due file di aguzzini che, muniti di grossi tubi di gomma piena, li pestano; un prigioniero si ribella, cerca di scappare, ma questo sua trasgressione viene duramente punita. Tutti allora si rendono conto di come funzionano le cose nel lager "Da questo momento il prigioniero sarà nelle loro mani, avranno loro potere di vita e di morte."(pag.35)
Ma i cinque mesi trascorsi nel lager non distruggono la sensibilità dell'autore che riesce ancora a vedere la natura intorno a sé " ormai le gemme delle betulle hanno preso consistenza" ( pag.75) " Non fa più freddo, il sole ora riscalda. L'Elba è quasi azzurro e le sue sponde sono verdi e rigogliose d'erbe." (pag.101). i ricordi aiutano a superare i momenti più cupi e Sergio Rusich racconta ai suoi compagni del mare di Pola, delle isole di Brioni che " sembrano un arcipelago delle Hawaii." (pag.65), di Bagnole e Promontone, della spiaggia del Medolino, l'unica spiaggia sabbiosa e del Quarnero" profondo azzurro, tranquillo" (idem), altri più prosaicamente si scambiano ricette di cucina.
L'autore ha vent'anni, i suoi compagni più o meno la sua età ed hanno la forza della giovinezza. Il fronte si avvicina " Abbiamo udito un rumore di aeroplani" (pag.45), poi, sempre più vicino, sentono tuonare il cannone russo. Inizia il passaggio dei profughi, gente sui camion e gente a piedi, che si trascina stanca e demoralizzata. Da dietro il filo spinato i prigionieri li guardano, una donna ha messo le sue cose in una carrozzina e avanza lentamente, il Rusich, cui toccherà tra breve la triste esperienza dell'esilio, li guarda e prova pietà E' questo che mi ha colpito in questo libro la capacità del protagonista di mettere da parte la sua sofferenza personale e di provare pietà per la sofferenza degli altri.
Indimenticabile è quando descrive un gruppo di prigioniere che transita per il loro campo. Sono di una magrezza spaventosa ma, passando vicino all'autore e ai suoi amici, sorridono e li guardano con quegli occhi che in quelle facce scheletriche sembrano più grandi" lo sguardo è espressivo, affettivo, amoroso; è uno sguardo di madre, di sposa, di sorella, di amica:" (Pag.106)
Poi il campo viene liberato, è la mattina del nove di maggio, c'è il sole, Rusich vede lontano un gruppo di soldati che si avvicina, poi, alle tre del pomeriggio, giungono i primi russi. Sono ragazzi giovanissimi coi capelli rasati, uno di loro ritaglia un pezzetto di giornale, arrotola una sigaretta e la offre ai deportati. Poi, su un landò scoperto tirato da una pariglia di cavalli, giungono quattro ufficiali di grado superiore tra cui una donna, che beve con loro una tazza di te e poi stringe a tutti la mano. " Dopo tanto tempo di schiavitù, un gesto d'amicizia, quant'è bello!" (pag.147) dice Rusich.
Comincia quindi la strada del ritorno, Prina , Praga, Brno. Un viaggio lungo ed avventuroso quasi come quello che ci racconta Levi in " La Tregua". A Brno, Rusich conosce il maggiore Ferrari che indossa con dignità una divisa grigioverde ridotta a uno straccio e nota con emozione patriottica che, incontrandolo, gli ufficiali e i soldati sovietici gli fanno un rispettoso saluto. Va anche a visitare lo Spielberg che, come dice lui, "è ora un museo, ma è anche storia vera e, per noi, storia sacra."
Poi altre avventure e finalmente i prigionieri salgono su un carro bestiame che li porterà in Italia. Passato Villaco, attraversano una fitta abetaia, poi vedono una casa cantoniera, dentro, sul vetro di una finestra, è appiccicato il tricolore. Dai deportati che ritornano" Sale un urlo di gioia."
Il 21 di giugno Rusich giunge a Pola, una tragedia è finita ed un'altra sta per iniziare.