recensione di Gianclaudio de Angelini
In questi ultimi tempi sono usciti vari libri che si sono occupati di
una pagina tragica della storia italiana sino a pochi anni fa
ghettizzata nel chiuso mondo degli esuli giuliano-dalmati: la storia
delle foibe e delle sue vittime. Dopo oltre cinquant'anni sembra che
di colpo sia maturato il momento di togliere il velo su quei morti e
sulla loro storia. Il libro di Guido Rumici si iscrive a pieno titolo
in quest'opera meritoria. Lo fa con un un lavoro approfondito di
ricerca, di compulsazione delle fonti, di analisi dei documenti di
archivio e con le testimonianze di sopravvissuti e testimoni oculari
in grado di narrare in prima persona il destino atroce di chi veniva
gettato, alle volte ancora vivo, nelle voragini carsiche di cui il
territorio istriano è ricco.
Innazitutto Rumici inquadra il fenomeno nei rapporti spesso
contrastati tra le varie etnie istriane in cui la componente italiana
era maggioritaria nella città e la componente slava (soprattutto
croata e slovena) nelle campagne. Rapporti che non furono mai del
tutto idilliaci ma che i nazionalismi del XIX secolo portarono
inevitabilmente ad uno scontro che il Regno d'Italia ed in particolare
il ventennio fascista inasprirono attuando quella politica di
omogeneizzazione culturale tipica degli stati nazionali dell'epoca
(vedi l'opera di deitalianizzazione operata dalla Francia in
Corsica).
La guerra scatenata dall'Asse che portò all'invasione della Jugoslavia
e l'annessione all'Italia di gran parte della Slovenia e della
Dalmazia fornisce il quadro in cui la triste pagina delle foibe funge
da corollario una volta che le sorti della guerra mutarono. Così
Rumici tratteggia il disfacimento dello Stato Italiano susseguente 1'8
settembre con lo sfaldamento del Regio Esercito (a parte pochi
reparti isolati), l'irrompere dell'esercito tedesco e le bande
partigiane titine, i nazionalisti croati ustascia, i cetnici serbi, i
reparti della Repubblica di Salò ecc.: iniziava quella guerra di
tutti contro tutti mentre la popolazione italiana della
Venezia-Giulia assisteva indifesa.
Rumici non manca di sottolineare come il destino degli italiani di
quei territori di frontiera fosse segnato anche dalle divisioni
interne causate da quell'internazionalismo comunista che considerava
come non fosse importante "l'appartenenza nazionale, bensì la scelta
di classe" dato che i veri comunisti erano "senza patria" ovvero la
patria era là dove si conduceva la lotta contro i borghesi ed i
capitalisti". Cosa che, se valeva in massima parte per i comunisti
italiani di Togliatti, che sposarono appieno tale idea, non valeva
per i titini i quali operarono con sistematicità "non solo contro
tutti coloro che avevano militato nelle organizzazioni fasciste,
gerarchi e semplici militanti, ma pure, più in generale, contro tutte
le persone che rappresentavano in qualche maniera lo Stato Italiano.
ed i suoi enti locali, visto come il principale nemico da abbattere,
ora che il fascismo era caduto"; ed è questo uno dei motivi per cui,
come dice lo stesso Rumici in un'intervista al Secolo d'Italia del 15
maggio 2002, è calato un velo colpevole di silenzio sulla vicenda
"foibe" poiché: "C'era tutto l'interesse a tenerla nascosta. Nel
secondo dopoguerra le etichette affibbiate sia agli esuli ("tutti
fascisti") sia ai rimasti ("tutti comunisti"), facevano comodo alla
politica del tempo. Regnava il pregiudizio. All'epoca la nostra
sinistra era legata allo schema internazionalista comunista. E i
misfatti fatti dai partigiani Tito andavano coperti".
Oltre ad un elenco puntuale delle vittime, Rumici non manca di
analizzare il fenomeno delle Foibe nella sua essenza, operando una
prima grossa distinzione tra le vittime della prima ondata
nell'autunno del 1943, ascrivibili in parte ad un moto spontaneo di
rivolta contro l'ex classe dominante in cui c'era una componente di
jaquerie popolare a cui partecipò sia l'elemento slavo delle campagne
che elementi italiani delle città ed in cui non mancarono delazioni e
vendette personali anche per meschini interessi personali; dagli
infoibamenti più sistematici e mirati operati a partire da 1945 in
cui si può intravedere la volontà politica di Tito di risolvere una
volta per tutte il contrasto etnico istriano, terrorizzando la
popolazione italiana ed inducendola a quell'esodo che ne stravolgerà
per sempre la fisionomia, che era sostanzialmente passata indenne
attraverso i più svariati regimi. Sempre nell'intervista al Secolo
d'Italia Rumici puntualizza che "si cercò di colpire tutte quelle
persone che rappresentavano in qualche modo lo Stato italiano.
Andando a confrontare nelle varie località chi fu eliminato, si vede
che grosso modo furono uccisi appartenenti alle stesse e significative
categorie. Insegnanti, segretari comunali, rappresentanti delle forze
dell'ordine, carabinieri, poliziotti. Non esclusivamente fascisti in
quanto tali, quindi, ma cittadini espressione dell'Italia sul
territorio". Il che porta Rumici a sostenere la tesi, avvalorata da
tante testimonianze e da tanti documenti doverosamente citati nel
libro, che non si trattò soltanto di un moto popolare di reazione a
vent'anni di fascismo, come vorrebbe certa storiografia di parte, ne
un'esplosione incontrollata di vendette personali, ma si trattò
soprattutto di un preciso, preordinato progetto tendente
all'eliminazione dell'elemento italiano colpendo in particolare tutti
coloro che per cariche pubbliche ricoperte, per prestigio personale o
per aver lottato contro il fascismo potevano vantare il diritto di
opporsi all'annessione dei partigiani comunisti slavi. Pertanto fu
essenzialmente un disegno politico di distruzione della classe
dirigente italiana, vista come un ostacolo all'affermazione del
nazionalismo sloveno e croato, con la finalità ultima di costringere
il popolo minuto, senza più alcun punto di riferimento e senza più
alcuna certezza, a prendere la dolorosa via dell'esilio.
Una ultima doverosa menzione va fatta alla sezione Documenti, posta
in appendice all'opera di Rumici, che mette a disposizione del grande
pubblico la preziosa "Relazione", stilata dall'Ufficio "J" del
comando Militare Alleato di Pola, dell'interrogatorio del maresciallo
dei Vigili del Fuoco di Pola Arnaldo Harzarich, che si occupò
dell'esplorazione delle foibe e del recupero delle vittime, ove
possibile, tra il 16 ottobre 1943 ed il 2 febbraio 1945. Rapporto che
ci fornisce, in uno stile asettico e burocratico, la tremenda
drammaticità delle foibe, il nero inghiottitoio, in cui sono
scomparsi migliaia di italiani.
Certo il lavoro di Rumici è un primo passo, seppure importante, per
svincolare l'analisi del fenomeno delle Foibe da interessate
interpretazioni di parte; va detto però che una approfondita analisi
degli archivi di stato italiano, croato, serbo e sloveno è ancora da
fare perché ancor oggi tanti documenti essenziali per capire il
fenomeno giacciono ben occultati e solamente quando tutti gli omissis
verranno tolti e tutti i documenti verrano aperti ai ricercatori
(come per esempio l'incartamento Masserotto) si potrà avere sia un
elenco più esaustivo ed attendibile delle vittime e sia un'analisi
degli elementi "politici" che scatenarono gli eccidi; resta il fatto
che "Infoibati" è l'opera che, meglio di tutte quelle apparse sinora,
fornisce il quadro più attendibile del fenomeno e rimarrà a lungo una
pietra miliare per chi abbia la voglia di approfondire quella lontana
e tragica pagina della nostra storia nazionale.
GUIDO RUMICI, Infoibati [1943-1945].
I nomi, i luoghi, i testimoni, i
documenti.
Mursia, Milano 2002, pag. 498.