La figlia del Sergente di Marina

recensione di Nelida Milani Kruljac


Ma dove saranno oggi gli ex-ragazzi che sono stati i reali ispiratori dei personaggi del romanzo di Tullio Tulliach, La figlia del Sergente di Marina?
Un romanzo di formazione, o meglio di iniziazione. Iniziazione al mondo dell'amicizia, dell'amore, dell'eros. Il Bildungsroman è la conquista di un'intelligenza chiara e consapevole del senso della vita, una crescita governata dall'intelletto. L'Einweihung è invece il rito di iniziazione a verità ancora inaccessibili alla ragione. Il romanzo di formazione rivela la parte adulta dell'uomo, quello di iniziazione rivela la parte infantile. I protagonisti del libro, Andrea, Remigio, Dobrilovich, Osvaldo, Ciro, Cionci, Gino, Carosi, Ughetto, Osvaldo rispecchiano l'inquietudine classica dell'età di transizione, vivono un processo di lenta trasformazione, che da un lato fa perdere qualcosa - come pelli di serpente ormai da abbandonare - dall'altro fa guadagnare gradini di consapevolezza sociale in vista dello sradicamento, dell'abbandono, della separazione. Sono adolescenti che tirano la testa fuori dalle macerie perché vogliono vivere la loro vita a morsi e a strappi, nella realtà formatasi dopo le distruzioni imposte a Pola dai bombardamenti e già alimentata dalla prima ondata di "importati" dell'immediato dopoguerra, quando ancora le festaiole truppe britanniche amministrano la città.
Il romanzo racconta le giornate dei ragazzi trascorse alla ricerca di passatempi, di lazzi e scherzi, di risse e piccoli furti, di divertimenti e bravate. Un libro di memorialistica che mette malinconia e allegria insieme, che fa ripensare alla gioventù e alla possibilità di esser felici anche con poco, nel pieno dispendio di sé, nelle allegre scorribande, nel semplicismo dei giochi, nella gioia limpida, innocente, genuina, a contatto con un mare avvolgente e coinvolgente.
Le vie della città, le strade di periferia e il mare sono lo spazio e la scuola di questa muleria. Il mare è il punto di ritrovo, metafora dello scorrere del tempo, della lenta maturazione. L'acqua ha un ruolo centrale, fa parte di una sorta di rito iniziatico: i salti mortali e i tuffi d'angelo, la pesca con ordigni esplosivi, la vittoria sulla rabbia della burrasca dimostrano di essere grandi, di essere pronti a spiccare il salto nel buio del domani, voltando le spalle a un'Istria ormai ceduta alla Jugoslavia di Tito. La vita dei protagonisti, infatti, a mano a mano si fa vortice insensato, che sradica. Ma non prima di aver stabilito un rapporto vero con una città agonizzante raccontata in tutta la sua fisicità, minutamente evocata nei quartieri che si estendono da Monte Paradiso a Valcane, da Veruda a Stoia, dai Giardini alla Mariottica, da Sisplatz alla chiesa della Madonna del Mare, da Valsaline a San Policarpo.
In forza di un'adesione viscerale all'ambiente rappresentato, è un'intera città che vive, che pulsa nelle sue piazze che stanno per diventare palcoscenico di una tragedia che la grande Storia per troppo tempo ignorerà. Un vero percorso e un vero rapporto, rapporto con figure della memoria, con figure assenti, che però hanno lasciato un'impronta fortissima nel narratore. Soprattutto la figura di una ragazzina di tredici o quattordici anni, il volto e le mani chiazzate da vistose lentiggini, che scivola sulla pista al ritmo di Gelosia con un soldato inglese in una sala da ballo improvvisata dell'Ospedale militare di Marina, sopra la camera mortuaria: è la prima apparizione di Anita, il primo incontro fra i molti che traverseranno poi la vita di un ragazzo da lei perennemente attratto e insieme incapace di afferrarla e di decifrare fino in fondo il significato del suo richiamo. Perché troppo giovani e immaturi tutti e due, perché il destino li separa troppo presto. Così, alla fine, a quel ragazzo non rimarrà che diventare il narratore, ripercorrendo il labirinto di immagini, di avvertimenti, di sensazioni che l'inafferrabile, sfuggente e mutevole ragazza ha lasciato, come una scia fosforescente, nella sua memoria.
E, nel seguire il filo del racconto, un dubbio si fa strada nel lettore: che proprio quella vita non vissuta, che proprio quell'amore appena sfiorato, fossero la "vera vita" ed il "vero amore". I migliori anni della nostra vita.
(nmk)

TULLIO TULLIACH, La figlia del Sergente di Marina (L'Autore Libri Firenze)