Era la stagione delle ciliegie

recensione di Nelida Milani Kruljac


La copertina del libro ci riporta alla fine della guerra: un fucile ormai inutile appoggiato ad un muretto a secco della campagna istriana con accanto uno splendido cestino traboccante di ciliegie benauguranti. È un romanzo breve Era la stagione delle ciliegie di Tullio Tulliach, un romanzo di formazione che asseconda l'assoluta necessità di testimoniare, il bisogno inderogabile di raccontare la verità acquisita da un adolescente attraverso l'esperienza di vita. Il protagonista, Andrea, è un giovane di quattordici anni, fa la seconda classe di Avviamento Industriale, ma è costretto ad interrompere. Tempo di guerra, tempo di bombadamenti e di sfollamento da Pola. Ci si rifugiava in campagna presso parenti e conoscenti. Così Andrea con la mamma, due sorelle e un fratello. Il papà rimane a lavorare in città, loro si sistemano nel paese natale della madre, nel cuore dell'Istria, una trentina di case, chiesa e campanile. Bisogna rimboccarsi le maniche, lasciare i vecchi schemi e le vecchie abitudini cittadine per aprirsi alle nuove circostanze. Il tempo e la paura s'ingannano lavorando. Non si scherza, la vita in campagna è dominata dall'imperativo e dall'ideale del lavoro. La campagna è generosa ma esigente di lavoro, tutti i ragazzi lavorano. Lo scopo è quello di abituarli a non restare nell'ozio, a non prendere cattive abitudini, a sperimentare il significato del lavoro, quel contatto con la realtà che in futuro dovranno affrontare per sempre. Perciò Andrea va a vivere dai Bassano per aiutarli nel lavoro dei campi, suo fratello Aurelio va a fare la stessa cosa dai Persig. In campagna s'impara a soffrire, a resistere, a contentarsi di poco, a vivere più degnamente, con più seria fraternità, con più religiosa semplicità, nella solidarietà e nell'aiuto reciproco. Gli ostacoli possono trasformarsi in occasione di crescita. Allo stesso modo, fondanti per la maturazione, appaiono le relazioni simboliche basate sulla condivisione di animali, cose, oggetti, beni, i cosiddetti "segnamemoria", che aiutano a ricordare e che consentono di evocare e di legare il protagonista alla realtà spaziale e temporale. Andrea comincia a prendere confidenza con il mondo degli animali, si lascia affascinare, si affeziona a manzi, pecore, somari, cavalli, maiali, tacchini, galline. Si incuriosisce a tutti i prodotti materiali dell'attività umana: carri, rastrelli, falcetti, forconi, badili, pagliericci, panche, ecc. Tutto diventa una grande testimonianza del ricordo. La campagna è anzitutto lo sguardo che la osserva e l'animo che la vive come una magna mater. C'è una sorta di adagiato compiacimento nel prolungato soffermarsi su ogni singolo elemento del paesaggio, quasi a voler trattenere con sé la neutra serenità che da ciascuno promana. Il senso di materialità affiora fin dalle prime pagine ordinando il pacato ritmo stilistico sull'armonia eterna delle stagioni della terra e dei suoi frutti. Le cose minime sono osservate minuziosamente e descritte con acuta e profonda leggerezza, esse acquistano un valore quasi terapeutico, restituendo equilibrio ad una condizione esistenziale che le contingenze esterne hanno precipitato nella precarietà. Da ogni pagina affiora una particolare idea di "comunità", di organizzazione anche geografica del sociale, che è strettamente associata all'ambiente istroveneto, e che svolge nel romanzo un notevole ruolo strutturante. Le singole attività - il rastrellare il bosco in gennaio, lo zappare in marzo, l'aratura dei campi ad aprile ed a maggio, il seminare, il sarchiare, il rincalzare la terra alle piantine, il pascolare, il piantar patate, il ripulire le viti dell'erba matta, il potare gli alberi, il governare le bestie in stalla prima di cena, il cuocere il pane che incorpora, con il sole e la pioggia, con l'acqua e i sali della terra feconda, la sapienza dell'uomo - costituiscono un tessuto di attività, di relazioni e di funzioni nel quale ogni singolo è armoniosamente integrato, partecipando secundum possibilitatem al superiore disegno del benessere comune. Non manca l'aspetto ludico, ci sono anche i passatempi: la caccia con la fionda a pettirossi e passerotti, merli e cinciallegre, verdoni e fringuelli; le ore passate a pascolare e a custodire le pecore; l'arte di allestire e piazzare le labure, cioè le trappole per le pernici. Ma ci sono anche i momenti di spasimo, di angoscia. Aurelio ha vissuto un'esperienza bruttissima nel luglio del 1944, quando i tedeschi hanno fatto irruzione nel paese deportando la gente e incendiando le case nelle quali avevano trovato materiale di propaganda antinazista. In quell'occasione ha assistito all'uccisione di un contadino, ha assaggiato da vicino il sapore amaro della morte e si è guadagnato l'itterizia da trauma.
Nella seconda parte del libro, molto più dinamica, in un'aria di grave tensione, c'è tutto un susseguirsi di eventi, fra i quali l'odissea per ritornare a Pola, perché la nostalgia di casa non vuol sbiadire e perché il papà di Andrea è finito all'ospedale "Santorio" in uno stato di totale prostrazione fisica dovuta a denutrizione. E in tempo di razionamento dei viveri c'è l'impossibilità di procurarsi i generi alimentari con le carte annonarie a causa di una storia di delazione al cantiere navale. Ancora una volta il protagonista ritorna in campagna, ritrova le amicizie. Sullo sfondo intanto si snoda la Grande Storia carpita dalle conversazioni e dall'esperienza degli adulti, ma anche vissuta in prima persona, con la partecipazione ingenua di Andrea e dei contadini istroveneti a una manifestazione di piazza a Buie, ad ascoltare i discorsi infuocati dei drusi in mezzo ad un gran sventolio di bandiere croate e italiane ma tutte con la stella rossa in mezzo. Dopo i festeggiamenti e le esaltazioni nazionalistiche, sulla strada del ritorno, i contadini si fanno protagonisti di un'iconografia tutta brughelliana e improvvisano un baccanale morigerato, mangiano e innaffiano, ridono e cantano. Anche Andrea, che ormai si sente parte di una collettività e partecipe del suo destino, balla al suon della fisarmonica e scrocca i primi baci appassionati alla procace Maria. Sono immagini bucoliche che stemperano i brutti presentimenti e la durezza della Storia che incalza.
Lo sfollamento in campagna è stata la prima crepa nei pilastri che sorreggono la vita. Andrea non immagina ancora che da lì a poco un altro sfollamento lo sradicherà dall'Istria, sradicherà lui, la sua famiglia e tutti i contadini di quella piccola località di trenta case, chiesa e campanile, sradicherà la storia di quella comunità che con i suoi abiti mentali, culti, gesti, rituali, strumenti, aveva costruito, giorno dopo giorno, un'identità smarritasi in un attimo. Oggi di quel mondo non è rimasto più nulla. Le case coloniche sono ridotte a cumuli di macerie invase dagli sterpi e dalle ortiche. Gli squarci e le crepe si richiuderanno, si rimargineranno e sembreranno dimenticati, ma in fondo al cuore di Andrea-Tullio continueranno a vivere e a sanguinare prima di trovar sbocco nella scrittura. Solo le parole, per chi vuole leggere il libro, sono rimaste, come mezzo per tenere in vita la memoria di coloro che non ci sono più e senza i quali la vita stessa dell'Autore non sarebbe stata possibile. (nmk)

Tullio Tulliach, Era la stagione delle ciliegie
Editore L'Autore Libri Firenze 2006