Una storia istriana

recensione di Anna Balducci


Storia del " profondo nord" dice la prefazione, questa definizione mi sembra calzare a pennello a "Una storia istriana" di Diego Zandel. La vicenda si svolge in un luogo ed in un tempo precisi: in un paese dell'altopiano tra Arsia ed Albona negli anni trenta, ma, leggendolo, ci si sente calati in una terra senza tempo in cui gli uomini sono spinti da istinti primordiali e in cui le donne accettano supinamente il loro ruolo di serva docile e obbediente all'uomo. Questo libro, pur nella sua diversità, mi ha ricordato Verga o, più esattamente, il mondo e gli uomini che popolano il mondo dello scrittore siciliano. Profondo sud e profondo nord.
In questo paese, dove tutto si svolge secondo le norme da tutti accettate da secoli, due persone, un uomo e una donna, seguono le regole del cuore invece di seguire quelle della società, ma la forza del protagonista e l'amore che unisce lui e Mariza, non potranno avere la meglio, saranno gli altri a vincere alla fine ed a punire chi ha osato trasgredire.
I personaggi sono tracciati con profondo acume psicologico, Giovanna, la moglie, donna ubbidiente e lavoratrice, che per tutta la vita si è comportata come le hanno insegnato deve fare una buona moglie e che, quando Ive la abbandona, si lascia morire perché la sua vita non ha più scopo ora che non ha un marito da servire. Giovanna è zoppa e soffre per questa sua menomazione e per non aver dato dei figli al marito, ma quando questi gli porta in casa, il nipote Ludwig, lei lo accoglie malvolentieri," Ludwig non sarebbe mai stato figlio suo" (pag. 41), non scatta in lei il senso materno, non sa amare né comprendere la sofferenza del ragazzo; sterile il suo ventre, ma egualmente sterile il suo cuore. Il piccolo Ludwig, adolescente sensibile, su cui pare tutti si accaniscano. Mariza, la giovane vedova che avrà il coraggio di vincere la paura "della vita" e non solo di amare il protagonista, ma anche di andare a vivere con lui e di dargli l'agognato figlio. E soprattutto Ive Miculian, alto, biondo, forte come un toro, nonostante i suoi cinquant'anni, pieno di coraggio e con un cuore generoso.
"Entrò un uomo alto, aveva baffi biondi e un ciuffo di capelli gialloargentei sulla fronte." (pag. 10) che desidera con tutto il cuore un figlio che la moglie sterile non è riuscita a dargli per lasciargli, la casa, il noceto e il campo. ( la robba direbbe Verga)
"…E la casa? E il pezzo di terra? A chi li lascio? Non si può morire sapendo che la bora….si porterà via tutto." (pag.23)
Ive ama la vita, il canto e soprattutto il ballo con cui esprime la sua gioia. "Finché canto e ballo vuol dire che sono ancora vivo, per dio." dice, (pag.10)
E poi c'è il mondo intorno a loro, la miniera, in cui Ive ha trascorso tanti anni, con i suoi pericoli e le sue tragedie, la terra splendida, ma aspra che li circonda, le osterie, il vino d'Istria, la rakija, le sorelle di Giovanna, dal corpo sfatto e dall'abito nero, i vecchi amici di Ive che non gli perdonano di aver infranto le vecchie regole e gli rifiutano persino il saluto.
E la fine giunge improvvisa, ma prevedibile e la danza di gioia di Ive viene interrotta bruscamente da una fucilata, l'adultero che ha osato sfidare il mondo è stato punito.
"Così va il mondo" avrebbe detto padron 'Toni.