Terra rossa e masiere

recensione di Anna Balducci


Normalmente, a quello che mi hanno detto alcuni scrittori, nell'impostare un libro, si crea un ambiente, un personaggio che poi , in certo qual modo, agisce da solo. Non è accaduto così per questo romanzo in cui tutta la trama non è che la preparazione alla pagina finale in cui uno dei protagonisti, Luca, prima di cadere in ginocchio piangente sulla pietraia grigia, grida:
"No, no! Non devo andar via! Devo rimanere e battermi, lottare per la mia terra!…….E' questo che devo fare, questo, questo, questo!…" (pag.258)
E' l'amore per la terra, lo stesso amore che Luca ha ereditato dalla madre e che pervade tutto il libro, che lo convince a restare anche se i nuovi venuti lo hanno maltrattato, lo hanno accusato di colpe che non ha e gli hanno portato via quasi tutto.
" Terra rossa e masiere" è una saga familiare ma , attraverso la storia della famiglia Cikada, l'autore ci fa conoscere la storia dell'Istria dalla fine dell'ottocento al secondo dopoguerra. E' una storia di violenze, dapprima sotterranee, che in un crescendo raggiungono l'acme al momento dell'occupazione titina in cui la violenza diventa vera e propria pulizia etnica.
La famiglia viene fondata verso la fine dell'ottocento da Martin Cikada, " un slavo de Gajan" così povero che non si era portato dietro" neanche un materasso e fosse pure un solo paio di pantaloni senza pezze al culo!" ( pag.9), e Domenica Fioravanti, detta Minima, una piccola possidente di Dignano. Questo matrimonio, questa mésalliance come direbbero i Francesi - i due sono divisi non solo dall'appartenenza a due gruppi etnici da sempre rivali, ma anche dalla classe sociale - provoca la disapprovazione generale del paese e la giovane sposa si ritrova sola, tagliata fuori dal gruppo di amici e parenti. Orgogliosamente si chiude in casa, paga dell'amore del suo uomo, ma nel suo intimo cova rancore verso i suoi compaesani. L'ostracismo verso i Cikada non si placherà col tempo, anzi crescerà quando Martin, dotato di capacità imprenditoriali, col denaro ricavato dalla vendita delle terre della moglie, farà diventare la sua famiglia una delle più ricche del paese.
I Dignanesi mal sopportano che questo slavo che, quando è giunto al paese aveva " I taconi sul cul", sia ora un possidente e giri in calesse. Anche i figli della coppia Giovanni e Luca sono mal visti a scuola e non riescono a legare con gli altri ragazzi del paese.
Minima poi, quando una sua ex amica, di quelle che più hanno sparlato di lei, le si presenta chiedendole un prestito, si vendica e le presta sì il denaro, ma con un interesse alto e mettendo come condizione che, se il denaro non le verrà restituito, la donna dovrà cederle la vigna.
Così, prestando a strozzo, Minima si appropria di molte terre e vigne, ma si isolerà sempre più dagli altri e farà crescere il rancore verso tutti loro, rancore che esploderà alla fine del libro e di cui pagherà le conseguenze Luca., l'innocente figlio della coppia Martin e Minima resteranno legati da un amore profondo per tutta la vita, ma, pur avendo raggiunto la ricchezza, non avranno una vita felice perché i loro tre figli li faranno molto soffrire.
" Basta pensare ai figli, basta farse magnar el cuor per lori! I ne ga proprio tradì." Dice Martin alla moglie (pag.117)
Amareggiati fanno un esame di coscienza, hanno dato troppo ai figli; la ricchezza a cui non erano preparati li ha resi genitori deboli.
Schiavato fa esprimere i due in istro veneto, con intramezzate parole di istrioto lei, di slavo lui. La coppia ha tre figli, una femmina Lucia, che è il personaggio meno riuscito, e due maschi Giovanni e Luca.
Giovanni, il maggiore, alla fine della prima guerra mondiale, dopo essere stato ufficiale austriaco, si scoprirà ardenti sentimenti italiani e diventerà un fanatico fascista. Assieme ad altri come lui sfogherà la violenza che fa parte del suo carattere. Giovanni infatti è un violento ed un vigliacco, e , come tutti i vigliacchi, solo quando è in gruppo ha il coraggio di picchiare, di bruciare, di costringere gli slavi, lui che è slavo a metà, a bere l'olio di ricino. Solo alla fine della sua vita troverà il coraggio di agire da solo: sull'orlo della foiba, quando si renderà conto di quale sarà la sua sorte, proverà una pace e una serenità che mai aveva trovato e, senza attendere il suo turno, si getterà correndo nel precipizio, non da solo però, ma con uno dei suoi assassini.
Un'altra caratteristica di questo personaggio è l'opportunismo ( basta pensare ai cognomi che cambia prima Cikada , poi Fioravanti come la madre e poi, in fine Ceccada)ed anche la sua adesione al fascismo è fatta solo per convenienza, come confida alla moglie Maristella, una romagnola dal seno prosperoso. " Sapessi quanto me ne frega del fascismo!…..il duce…..mascella volitiva, mani sui fianchi, bocca a culo di gallina.." ( pag. 153)
Questo lato del carattere di Giovanni mi sembra un po' di maniera, certo fra i fascisti, in particolare modo tra i picchiatori e distributori di olio di ricino, ci furono molti opportunisti, ma Mussolini esercitava un certo fascino. A vederlo oggi nei filmati del tempo sembra impossibile che tanta gente ne sia rimasta stregata, ma lo fu e le parole di Giovanni sembrano scritte col senno di poi. Anche la figura del maestro elementare fidanzato della sorella Lucia non mi è piaciuta, mi sembra un burattino senz'anima. Prima irredentista sfegatato poi, quando si trova al fronte, cambia bandiera e non trova meglio di fare che lanciare epiteti ingiuriosi ai soldati italiani. Mi ha irritato forse perché la figura dell'irredentista è per me legata a Stuparic a Slataper.
Luca , il secondogenito in cui sono convinta Schiavato si identifica, è un pacifista e un filosofo, l'esatto contrario del fratello. Studia lettere all'università di Trieste e, per un certo periodo, frequenta circoli irredentisti. Poi, all'inizio della prima guerra mondiale, parte , va in Patagonia, perché rifiuta la guerra e la violenza. Al suo ritorno decide di dedicarsi alla terra.
Vive schivo e riservato occupandosi del suo lavoro e della sua famiglia, questo naturalmente non lo salverà dalla persecuzioni quando i partigiani di Tito occuperanno Dignano. Vecchi rancori contro i suoi si volgeranno contro di lui, sarà accusato di colpe che non ha commesso.
In quei giorni, chiuso in casa, riesaminerà la sua vita, ritornerà con la mente alle discussioni fatte ai tempi dell'università e "ora capiva quanto quei battibecchi fossero assurdi, capiva che proprio nel dilagare del nazionalismo stavano le premesse dell'intolleranza e del disprezzo verso le minoranze. I soprusi della politica fascista avevano resa impossibile nell'Istria la convivenza fra etnie diverse e preparato il terreno per l'applicazione, al rovescio, di un nazionalismo altrettanto totalitario."( pag. 240) Certo qui l'autore per bocca di Luca esprime i suoi pensieri.
Dopo l'occupazione titina Luca a lungo non sa che fare. Andarsene o restare?
" Ho paura di rimanere e ancora più di partire." (pag.248)
Le mie radici non si sono ancora saziate della linfa di questa terra rossa. Potrò mai recidere queste radici?" (pag.256) si chiede.
Solo nell'ultima pagina trova la forza di decidere e lo dice al figlio. Il libro termina mentre padre e figlio , abbracciati, guardano la loro terra, la distesa degli ulivi, la striscia del mare, la terra arata e il volo dei gabbiani " che solenni planavano alti nel cielo"( pag.258)

Il libro è edito da EDIT Fiume- Rieka 2001