Trieste e l'Istria

recensione di Anna Balducci

Mi è capitato tra le mani un vecchio libro: " Trieste e l'Istria" di Carlo Yarte edito a Milano nel 1875 dai Fratelli Treves, lo ho sfogliato con interesse e mi è sembrato che valesse la pena di parlarne. Sul frontespizio del libro è scritto in grassetto, come per metterlo in rilievo " con note", e le note, in effetti, alle volte sono più interessanti del testo.
L'autore del libro è un francese e ci offre, secondo la prefazione," una illustrazione brillante di una poco conosciuta provincia italiana" che, come dice lo stesso in altra parte," è stata pubblicata dai Treves "per dar modo a un maggior numero di persone di completare con esso quella conoscenza che ciascuna persona colta dovrebbe avere della propria patria."
L'Yarte parte con il pregiudizio, comune agli stranieri a quell'epoca, che l'Istria sia un paese slavo ed é sorpreso dal fatto che la vita civile gli si presenti sotto un aspetto essenzialmente italiano.
Dunque il titolo del libro è " Trieste e l'Istria" ed é questa città la prima ad essere descritta. L'Autore, che ha appena visitato Venezia, sale su un piroscafo presso la Riva degli Schiavoni e giunge a Trieste dopo un viaggio di sette giorni. All'arrivo via mare la città , come dice lui, "si presenta graziosamente al viaggiatore" che ne descrive le bianche ville, il castello che domina con le sue linee severe, gli arsenali, i magazzini, gli alberi delle navi" stivati e numerosi". Una città ricca di vita, di lavoro e di commerci, tanto che, sempre secondo l'autore, un uomo ozioso sarebbe considerato a Trieste "una mostruosità". Per questo forse, per il troppo amore per gli affari, dice sempre lo Yarte, la vita intellettuale vi è scarsa ( Qui l'autore delle note è in disaccordo e cita Kandler che, pur essendo Capodistriano di nascita, visse per oltre 40 anni a Trieste e Rossetti morto nel 1830) Certo l'età d'oro della letteratura a Trieste non era ancora giunta Svevo nel 75 aveva undici anni, Saba nascerà nel 1883, Slataper nel 1888 e Stuparic nel 1891.
A Trieste, dice ancora lo Yarte, oltre agli elementi stranieri, dominano tre grandi elementi nazionali: l'Italiano, l'Austriaco e lo Slavo. L'Italiano si considera a Trieste come in Italia a causa della lingua, della razza, delle memorie, l'Austriaco comanda con dolcezza ( anche qui il commentatore fa le sue riserve), mentre gli Slavi rinserrano da ogni parte la popolazione.
Il viaggiatore descrive con dovizia di particolari la chiesa di San Giusto e il castello di Miramar ( alla spagnola), passa poi a Muggia e a Pirano in cui trova tracce della dominazione veneta e si stupisce, convinto com'è che in Istria viva solo l'elemento slavo, che i due pescatori che lo conducono al largo con la loro barca parlino, come dice lui" il più puro veneziano".
Non lontano da Trieste trova la tribù dei Cici, popolazione di origine romena che a quel tempo serbava ancora la sua lingua anche se sempre più slavizzata. Questa popolazione, spiega l'autore, trascorre quasi tutto il tempo nelle " vente", dove fa il carbone e vive all'aria aperta. Lo Yarte dice anche che le donne dei Cici sono " sottoposte ad una completa abiezione, sono le martiri, i servitori rassegnati, i facchini, gli animali domestici".
Nel 1925 mia madre, allora diciottenne, insegnò a Vodizze tra i Cici. Sostituiva il vecchio maestro slavo e fu la prima insegnate italiana. Mi parlava di loro come di gente buona, ma anche lei fu colpita dalla situazione della donna e dalla vita grama che menavano i carbonai che erano la maggior parte della popolazione. Nel '25 i Cici avevano perduto la loro lingua originale e parlavano lo slavo.
Lo Yarte parte da Trieste e visita Pisino e Parenzo. Parla a lungo dei monumenti di queste due cittadine, soprattutto si sofferma sulle bellezze di Parenzo. Mi ha colpito quando, dopo aver visitato l'isola di San Nicolò, racconta di una stele rappresentante un Editto dei Provveditori emanato in occasione della peste del 1600 e soprattutto quando parla della pestilenza del 1630 che imperversò con tal forza che i superstiti l'abbandonarono. Venezia, che allora governava la città, vi trapiantò dei Greci, degli Slavi, degli Albanesi, dei Dalmati e in meno di un secolo gli abitanti tornarono al numero di duemila.
Da Parenzo, via mare, il nostro si dirige a Pola; durante il viaggio visita Rovigno, Fasana.
A Pola ammira i monumenti romani ( dell'antica Pietas Julia )e i segni della dominazione veneziana. Ha parole di grande ammirazione per l'Arena sulla quale si esprime così:" L'arena antica di Pola non ha né la grandezza opprimente del Colosseo, né la pesantezza dell'anfiteatro di Verona: seduce per l'eleganza delle forme, la leggerezza degli ordini, e, nella ricercatezza delle modanature che la decorano, sentite l'atticismo dell'arte greca."
Il libro è illustrato da copie di stampe dell'epoca.
Anna Balducci

Il libro è ora reperibile nelle edizioni "Italo Svevo" - Trieste