Il Gazzettino 07/08/01"Dalmazia e..nonno Pino"

Martedì, 7 Agosto 2001


Dalmazia

La settimana di Pasqua cadeva nella splendida atmosfera del mese di aprile. Avevamo fatto un lungo giro fuori città sulla collina di Bellafusa, con la chiesetta della Madonna degli Ulivi, sino alla pineta con la spiaggia di Puntamica in mezzo alla natura in pieno risveglio.Il polline dei pini si schiudeva e la polvere gialla alitava al primo soffio del maestrale sui rami. Gli enormi cespugli di ginestre sul declivio verso il mare e lungo la strada polverosa esplodevano di gioia coi loro profumatissimi fiori color zafferano. Ne avevamo fatto un mazzo, ci avrebbe profumato ed illuminato la stanza d'albergo. Ora sedevamo di fianco a S. Donato sulle pietre del Foro di Zara. La chiesa di S. Maria, di fronte, chiudeva l'enorme spiazzo dove pietre vetuste si mescolavano a scavi disordinati, erbacce ed anche immondizie. Mentre il sole limpido faceva sentire il suo benefico tepore da un cielo azzurrissimo con rade nubi, spiegavo a chi era con me che quella era stata un tempo la Piazza delle Erbe. Si vedeva ancora al centro del vecchio selciato l'impronta dell'antico pozzo veneto. Poi le tracce incrociate di Calle Papuzzeri e di S. Maria, Piazza del Laurana sino alla Riva Nuova. Il tutto ora su uno spazio enorme, aperto sino al fondo della vecchia Calle Ciprianis. Su quell'angolo, dove c'è ora un bar, mio padre allora aveva il negozio, si vedevano ancora le vecchie case prima dell'orribile nuova costruzione moderna che scende al vecchio Viale Tommaseo.Erano i risultati dei bombardamenti 1943-1944.

Mentre io spiegavo col braccio teso, la donna anziana seduta vicino a noi su una antica pietra bianca, che risaltava ancor più coi suoi abiti vecchi, neri, mostrava un certo interesse. Crescente, mentre scendevo nei particolari. Ferma come una statua antica, quasi lucertola al sole, quando nominai "la Drogheria" di Calle S. Maria volse il capo e, svegliandosi dal torpore, disse: "Allora siete zaratini, sapete tante cose ...".

Io annuii e dissi chi ero e lei subito si aprì al dialogo, sempre più fitto. "Vi conosco, eravate piccoli, sempre al "Ryci" a Bercagno, con le barche a vela ... mio marito era il custode ("el Mice" - a malapena riuscii ad interromperla) ...; abitavamo alle Case Vlahov in Val di Maistro ... la vostra drogheria era là sul "canton" ...". Anche lei stava "fotografando" quello che non c'era più innanzi ai nostri occhi. Eravamo tornati indietro nel tempo, insieme, sullo stesso filo dei ricordi e delle visioni. Tirando fuori dal nostro cuore, con quel vuoto davanti, quello che avevamo nascosto e serbato gelosamente per tanto tempo. "El Mice come sta? - chiesi, naturalmente. "È morto tanti anni fa" - rispose con gli occhi già lucidi, dopo lo scioglimento improvviso precedente -. "È morto di crepacuore, ha patito per anni, non ha resistito al dolore. Abbiamo perso una figlia nel bombardamento del 28 novembre, sul vaporino in porto". Le lacrime ormai le scendevano brillando al sole; "Era una bambina ... non l'hanno più trovata, non ho una tomba dove piangere ...". Tacque ed io pensai di scusarmi per aver riaperto una ferita dolorosa."Ma no" - disse - "sono rimasta sola, abito in quel casamento vicino alla Colonna, non conosco nessuno ... loro non sanno ... voi siete amici, sapete ... posso piangere. Mi fa bene, potete capirmi ...".

Nubi bianche come fiocchi di cotone veleggiavano nell'azzurro. Ogni tanto la loro ombra passava veloce tra le bianche pietre del Foro.

Oscurò anche le nostre facce al sole, togliendoci il tepore. "È mezzogiorno" - suonavano le campane del Duomo - "vado a cucinare. Grazie". La donna ci salutò allontanandosi verso la Colonna.Il suo volto rassegnato, con le gote umide, era rimasto oscurato nonostante fosse tornato il sole. Anche noi sentimmo che non ci riscaldava come prima. Sentimmo inutile anche quel mazzo di ginestre fulgenti che avevamo in mano. Sarebbe stato bene sulla tomba di una bambina.

Sergio Brcic