“Ricordi
di un esule”
di Francesco Covelli
Rastrellamento
Delle volte basta un niente, una parola, un suono o un articolo di giornale per far scattare la memoria verso tempi lontani, verso ricordi sepolti che non avrebbero motivo di rinascere e ricreare situazioni ormai dimenticate nel tempo.
Ho letto in una e-mail: “La Voce del
Popolo - 02/07/02 – Fiume – Il sindaco con i giornalisti: restauro grattacielo”
. Notizia non eccessivamente importante né per i fiumani esuli né per i
restanti. Una necessità di riparare il nostro grattacielo di Piazza
Regina Elena, di riparare il palazzo più alto della nostra città, di riparare
quello che noi vecchi chiamavamo “el grataciel dela Standa” , il palazzo
sul quale in cima a tutto, dal 1945, spiccava la scritta “TITO” , parola
d’odio e d’amore secondo il punto di vista.
Appena letto l’articolo ho fatto un salto
in dietro di cinquant’anni. Anno 1944, primi mesi del 1945, non ricordo con più
esattezza la data. Con mio papà eravamo scesi in città, così si diceva visto
che abitavamo in collina, su in Valscurigne, eravamo appena giunti in Piazza
Regina Elena provenienti da Via Carducci, proprio all’ingresso della salumeria,
davanti al grattacielo, che si trovava sull’angolo con Via Ciotta, quando
all’improvviso comparvero dei camion pieno di militari tedeschi che bloccarono
tutte le strade che immettevano in piazza.
Subito delle esclamazioni da parte di persone terrorizzate:“i
tedeschi”…,”scampemo”…. “Dio mio ma cosa i vol”….un fuggi fuggi generale.
Per lo più uomini che cercavano di non farsi prendere, forse per la paura di
dover andare a lavorare per la Todt o per motivi ancor più gravi visto l’epoca.
Mio papà mi prese la mano e mi disse “sta sitto” , figuriamoci se avevo
la forza di parlare. Guardavo sbalordito il tutto e non mi rendevo conto del
dramma per molte persone che sino a quel momento passeggiavano, chiacchieravano
o pensavano ai loro problemi magari fiduciosi di non dover subire per quel
giorno né bombardamenti né mitragliamenti.
Un’ombra improvvisa, un giovane mi sfiora
come un lampo, entra in negozio, vedo ancor oggi i due salumieri, un uomo e una
donna con i loro grembiuli bianchi e il berrettino dello stesso colore in
testa, il giovane tutto trafelato che dice : “per favor, xe i tedeschi,
nascondème” uno dei due disse
subito “zò, cori in cantina”, Tutto si svolse in un attimo, sì proprio un
attimo perché intesi alle mie spalle una voce brusca ed autoritaria “document,
bitte”. Mio papà non ebbe alcun problema perché era in possesso di
documenti che dimostravano che lavorava per la Vulkan, ditta di Sussak, che
riparava i motori dei pochi natanti tedeschi ancora in porto. I tedeschi non
entrarono nella salumeria per ulteriori controlli, dettero solo una sbirciatina
all’interno senza nemmeno aprire bocca. Era finito! I camion ripartirono pieni
di uomini e giovani donne per chissà dove. Per costruire altri fortini nella
periferia della città o per località delle quali il solo nome era simbolo di
orrore.
Immagino il terrore subito dai due
salumieri. Avevano fatto una buona azione. Avevano salvato la vita a quel
giovane. Chissà se avranno ricevuto anche loro un così grande regalo. Già,
avevano compiuto, senza nemmeno pensare alle conseguenze, un’azione veramente
degna di ogni rispetto. Purtroppo mio zio e mio cugino non hanno conosciuto
delle persone come loro anzi, conobbero dei delinquenti che in nome di
un’ideale commisero dei crimini degni solo a delle bestie che s’illudevano di
combattere.
Chissà che fine avrà fatto quel giovane?
Sarà riuscito a trovare un’ altra volta delle persone che avrebbero rischiato
la loro vita per salvare la sua. Chissà se, a sua volta, avrà contraccambiato
il favore ricevuto o invece si sarà comportato in tutt’altra maniera.