Una capatina a Parenzo

di

Sergio Fogar




Trascorrere una quindicina di giorni di vacanza in Istria era per me il desiderio recondito che s'avverava. Fu così che, in un caldo mese d'agosto nell'anno 2002, raccogliendo al volo l'offerta d'aggregamento della figlia sposata, lasciammo alle spalle la Padania con rotta da Ovest a Est, attesi al Sol Polinesia a 10 minuti da Umago, dove anni addietro già avevamo trascorso belle vacanze.
Per l'occasione avevamo preparato un programmino sulle località da visitare, ovviamente inclusa una visitina a Pola e poi a Fiume a trovare i parenti. Una mattina che il tempo era così così, si partì per Parenzo facendo la strada costiera. Arrivati, parcheggiammo vicino alla stazione delle corriere, due passi dal mare e quattro dal centro. Piacevolmente sorpresi per la bellezza di Parenzo nel presentarsi a noi. Stupenda la Basilica Eufrasiana, e giù in discesa in una affollata strada stretta, la via Decumana, dove le facciate delle case, richiamavano per architettura epoche di Veneziana memoria, ma dell'idioma istroveneto poco o niente udivo attorno a me. Comunque il tempo volò, tra una foto in posa vicino alle testimonianze romaniche che la via offriva e riprese con la telecamera alla nostra nipotina, quando un forte acquazzone ci consigliò al ritorno verso il parcheggio, con il proponimento di ritornare in questa bella città, così interessante e ricca di storia.
Mia moglie notò sul marciapiede delle bancarelle, bella frutta e verdura, e decise di approvvigionarsi. Chiese al giovanotto dietro il banco, indicando con il dito, cosa le servisse, ma il giovane non capiva, e noi, ahimè ignoranti, non conoscendo che pochissime parole di lingua croata, eravamo tutti imbarazzati. Un'anziana signora nei pressi, seguiva la scena. Si avvicinò a noi e in dialetto ci disse:
"Ste atenti perchè questi se furbi e i fa finta de no capir". Si offrì di aiutarci e con fare deciso ordinò al giovane, quanto mia moglie desiderava.
Quando si trattò di pagare, volle controllare che le "kune" di resto che il giovane ci porgeva, fossero giuste. Infine ci chiese da dove venivamo. Io le risposi che venivamo dall'Italia ma che eravamo nati a Fiume. Sembrò illuminarsi in viso. Cominciò a narrare di Sue parenti che avevano in quegli anni tribolati lasciato l'Istria per venire a fare le badanti in Nord Italia. Alla mia precisa domanda di come vivesse la nuova realtà, che a noi sembrava decisamente migliore, mi rispose:
"Assai mal, son vecia e no vedo niente de bon davanti. A mi, i me ga fregà (in realtà usò un termine più pesante) tre volte. La prima volta Mussolini, la seconda sottoTito, adesso con questi qua, perchè la pension no basta per viver".
Si era attardata con noi e stava perdendo la corriera, abitava a S.Lorenzo, "qua sora" ci disse. La salutammo, e pure noi riprendemmo la strada verso l'interno in direzione Visignada - Buie per poi scendere a Umago. Nell'attraversare il centro abitato di Visignano, un'invitante insegna sulla destra attirò la nostra attenzione, e ci prese per la gola. Portava scritto "Cucina Istriana, prosciutto Istriano, palacinche". Tra una portata e l'altra, il discorso andò a quella gentile signora di scuro vestita, conosciuta poco prima. Cercai di spiegare a mio genero come con quelle poche parole " I me ga fregà tre volte" avesse condensato la Sua vita di rimasta. Forse a noi e ridico forse, era andata meglio, nonostante tutto eravamo riusciti a rifarci una vita. Lei invece, portava a noi, gente sconosciuta, la Sua amara testimonianza, che traspariva dall'evidente espressione seria del Suo volto. Non fu l'unica persona nei quindici giorni che girovagammo per l'Istria e anche a Fiume, a dimostrarsi felice solo di poter scambiare qualche parola in dialetto. Nello scendere da Buie a Umago, un tramonto spettacolare ci attendeva al Polinesia. Invece di cenare ci sedemmo sui grossi massi che protraendosi sul mare, formavano un molo e una piccola insenatura, dove lo sciabordio dell'onda, come rilassante musica sinfonica, addormentava la bimba e incantava noi. Ci accorgemmo che non eravamo soli sulla scogliera. Guardavamo quella enorme palla rossa che rifletteva i suoi rossastri colori come in un magico gioco sulla piatta superficie marina quasi a voler unire le due sponde, sembrava volesse accompagnare ancora per un pò il viaggio della grossa petroliera, oramai arrivata alla meta nel Golfo, offrendo a noi Gente oramai Padana un indelebile quadro d'autore da conservare caro nel cuore.
Sergio.