di
Sergio Fogar
La nostra belle vacanza Istriana scorreva via veloce, così decidemmo
d'andare a Fiume a salutare i parenti l'ultima domenica utile.
Lasciammo Umago di primo mattino, su per Buie e poi giù ad imboccare
la strada per Fontana, Buzet (Pinguente). Il traffico domenicale era
scarso su quella arteria, io godevo, osservando il paesaggio verde
dell'Istria. Guidava l'auto mio genero, io gli facevo da navigatore,
con la cartina stradale in mano e quel prezioso foglietto dove avevo
trascritto i nomi delle località dal croato in italiano.
Nel passare sotto al Tunnel di Ucka, raccontavo ai miei giovani
parenti che quello sopra di noi, era il mitico monte Maggiore,
infinite volte rievocato da mio padre in epiche sfide tra amici per
scalarlo in bici e poi a ridiscenderlo, cosa ancor più ardua perchè
le bici d'allora erano di ben altra fattura di quelle odierne....
All'uscita del tunnel, l'intensità della luce che ci colpì era
talmente forte che decidemmo di fermarci, per godere della
spettacolare vista che s'offriva ai nostri occhi. Avanti a noi
avevamo il Golfo del Quarnaro, l'isola di Cherso e a sinistra la
costa con le stupende località di villeggiatura, con Abbazia in fondo
e un pochino in ombra, la nostra meta, la città natia. Banale fu il
pensiero al sommo Poeta, ricordando quanto scrisse: "L'talia chiude e
i suoi termini bagna." Chissà se godette pure lui di quella vista.
Scendevamo giù piano, oramai i nomi dei paesi erano famigliari, e
quasi senza accorgerci, eccoci a Zamet in città, e intanto la
commozione dentro di me aumentava d'intensità perchè eravamo fermi al
semaforo di Plasse S.Nicolò, le Case Operaie erano sempre li a
testimoniare che qua ero nato, qui erano nati e vissuto i miei cari.
Parcheggiammo l'auto in Fiumara. Mio genero con la bambina era
attratto dai grossi pesci che nel canale sguazzavano beati. La
visione lo entusiasmava, perchè da pescatore dilettante qual'era,
aficionados dei canali dove spesso si recava sul Mantovano, quel poco
che riusciva a pescare era di ben altre dimensioni. Lo richiamai con
un: "Forza ragazzi che dovemo anche cercar un posto dove andar a
pranzar". Appena finito di parlare, un signore anziano, in canottiera
blu, dal fisico alto e asciutto, con un bambino che gli dava la mano,
si avvicinò a me e a mia moglie e rivolgendoci la parola, disse: " Ma
sè fiumani?". Rispondemmo tutti e due assieme "Sì" e Lui: "Go sentido
che cerchè dove andar a mangiar, mi ve consiglio de andar
dal ........ (non ricordo più il nome), spiegandoci la strada da fare.
"Andè fino al giardin pubblico, girè subito a destra e su, a metà de
la strada troverè questo local, andè tranquilli perchè el se uno dei
nostri."
Ringraziammo il cortese signore, che nemmeno immaginava quanto
piacere ci avesse fatto il suo incontro, era il più bel benvenuto che
si poteva ricevere. Ancor più per quel "el se uno dei nostri". Che le
cose erano cambiate in meglio l'avevamo già visto in Istria, parlando
con la gente. Anche noi avevamo notato come ora si respirava aria
molto diversa dall'ultima nostra visita e la conferma l'ebbi sul bel
Corso, dove fuori dai gremiti bar si sentiva parlare il nostro
inconfondibile dialetto. Breve passeggiata fin sotto la torre e qui a
gustar un veloce gelato come antipasto per soddisfar la gola, e poi a
ricercar el "nostro", che purtroppo trovammo chiuso per turno,
informati della cosa, da una gentile signora. Risalimmo la via, mi fu
detto poi che una volta si chiamava Via della S. Entrata. Commentai:
"che lunga che la se", visto che arrivava fino alle nostre case
Operaie. Comunque ci ritrovammo sulla via Bencica, davanti agli alti
palazzi che si affacciano sul Giardin Pubblico, proprio dove abitava
la cugina di mia moglie, che per prima, avevamo deciso d'andare a
salutare. Decidemmo di lasciare la macchina lì, in Paje Sirola,
all'ombra dei palazzoni, perchè mi ricordavo che giù in fondo alla
discesa della grande strada che scendeva da Podmurvice, al semaforo
c'era un bar pizzeria.
Dissi ai miei di aspettarmi lì, all'ombra, che sarei andato a vedere
se era aperta. Cosa che feci con passo veloce, discesi la larga
strada, con in testa una domanda: "se questa strada la vien so dal
Convento delle Benedettine, che sia questa la famosa via Trieste,
tanto nominata in famiglia dai miei? Boh, ancora adesso me lo
domando. Certo che io e mia moglie eravamo ben strani Fiumani, non
conoscevamo la toponomastica della nostra città ne coi nomi di
"prima" ne con quelli attuali. Ma di questo non potevamo sentirci in
colpa, eravamo bambini quando lasciammo la città 57 anni prima.
Attraversai la strada, entrai nel locale e chiesi al proprietario se
era aperto. Il tipo non capiva una parola d'italiano, mentre io non
sapevo una parola di croato, facendomi sentire veramente in imbarazzo
e foresto come non mai, perchè penso che non ci voglia un grande
acume per capire che desideravo un tavolo con 5 pizze. Per fortuna un
baffuto e gentile avventore, seduto sotto la pergola, venne in mio
aiuto traducendo. Il locale era aperto, così riattraversai la strada
e con ampi gesti delle braccia invitai gli altri a scendere. Mentre
li aspettavo mi colpì una targa cementata sul vecchio muro della
grande costruzione. C'era scritto pressapoco in Italiano: Scuola
elementare dei Gelsi. Quando gli altri mi raggiunsero, gliela feci
notare. Quante generazioni di scolari, quanta storia era passata e
ancora passava all'interno di quel vecchio edificio.
Il titolare del locale in compenso parlava tedesco, e per fortuna,
mia figlia se la cavava bene con la lingua dei "gnocchi". Mangiammo
veloci, eravamo attesi per le 14, cosa che puntualmente s'avverò
quando suonammo alla porta della cugina. Come va, come non va, solite
domande, un po di fotografie messe sul tavolo, dato che non ci si
vedeva da qualche anno. Non andava tanto bene con loro, anziani,
vivevano con la pensione del marito ex portuale, decurtata per le
note cause belliche, i sacrifici che facevano erano parecchi perchè
pure il figlio era disoccupato e tutti con quelle poche Kune a tirar
fine mese.
Prima di salutarli, chiesi loro di farmi vedere, dal loro "pergolo"
il panorama della città, cosa che con piacere fecero: Sotto di noi,
la stazione, il Giardi Publico, il porto, pure la Romsa sembrava
bella. Mi dissero che l'avevano spostata ma che ancora "olezzava"
qualche volta.
Ci salutammo e riprendemmo la strada. Di nuovo davanti a Plasse
S.Nicolò, un ciao alle mie case operaie, e su per Zamet a trovare
l'altro cugino, quello che da tanti anni ci onorava della Sua
amicizia. Svoltammo a destra lasciando la strada principale,
ricordando bene che da queste parti Lui abitava. Per non girare a
vuoto chiesi ad un Signore se comprendeva l'italiano, mi rispose
"certo che si", allora in dialetto gli dissi il nome della via, mi
rispose " Questa la sè, e questa se la casa che la zerca". C'eravamo
di sotto. Certo che dall'ultima volta che eravamo venuti, Fiume era
tutto un cantiere edile. Entrammo in casa, abbracci, un po di
commozione e poi io e lui a farci una birra seduti in "pergolo",
intanto che sua moglie riempiva la tavola di dolci fatti in casa per
l'occasione. Pure Lui pensionato, con 40 anni di lavoro in Torpedo,
avevamo in comune il "mestier", "fresador" lui, "tornidor", mi. Il
nostro feeling durava da tanti anni, trovandoci in sintonia su molte
cose, per quella simpatia reciproca che lega due persone senza un
perchè. Dalle nostre lunghe chiaccherate fatte in occasioni passate,
sapevo della Sua vita di "rimasto" nella Fiume sotto la Yugo di Tito.
Giovane sposo con tante speranze, poi tante delusioni. Il dover
costantemente rimarcare alle giovani leve: "Calma amico, vara che mi
son Fiuman non de ogi, son nato qua come mio pare e i mii nonni e
bisnonni, che no ti pensi di "comandarme" ". Oppure quando incitava i
suoi giovani colleghi a "lavorar de più", perchè con quei ritmi,
secondo lui, non se batteva concorrenza. Poi la delusione della nuova
guerra, e il pensionamento senza un ringraziamento o una stretta di
mano. Per quarant'anni aveva dato come modello di vita il meglio che
un uomo potesse dare, e alla fine: "una piada in cul i me ga dà".
Questa cosa gli bruciava dentro, la vedeva come una grande
ingiustizia. Rispondendo alla sua domanda, gli spiegai che in Italia
normalmente avevamo la buonuscita, ovvero, soldi che anno dopo anno
vengono messi da parte per il dipendente per quando andrà in pensione
o lascia il lavoro. Era incredulo della cosa. Seduti sui "scagnetti
de legno" da lui fatti, per cambiare il discorso che lo rattristava,
mi fece notare il panorama che avevamo dinanzi. "Ti vedi" Sergio, mi
disse, "adesso che son in pension e non posso più camminar, stago ore
a guardar el Golfo. Alla mattina de là, vedo alzarse el sol,
dopopranzo come adesso guardo i bei riflessi che el sol fa sul mar.
Guarda quella barca che scia argentada che la lassa drio". Cherso
s'ergeva maestosa davanti a noi illuminata dal il sole che alto sul
monte Maggiore cominciava a proiettare le ombre d'Abbazia e della
Costa Istriana sul mare. Aggiunse: " Stago ore a guardar 'sto
spettacolo. Non me stanco mai i oci de questa vision, me ripago de
tante delusioni ". Anch'io cercavo di bearmi dello spettacolo naturale
che mi veniva offerto e chissà quando l'avrei più rivisto. Ci
lasciammo con vero dispiacere, ma prima volle rifornirmi di Rakia
della Slavonia, cosa che apprezzai molto.... Nel ritornare verso
Umago, eravamo tutti mogi, cuci cuci. Ho pensato di scrivere questo
ricordo in Suo onore, perchè l'anno scorso ci ha lasciato, subito
dopo seguito dalla sua dolce moglie. Dotati di belle voci intonate,
con il loro repertorio di canzoni di una volta Italiane e Fiumane ci
allietavano in occasione dei nostri incontri. Il mio rammarico è
d'aver perso un importante punto di riferimento a Fiume, ma anche
Fiume ha perso una bella persona.