Contrasti 1944-1945

di

Neumann Antonio




A volte si dice di una scena, mi rimarrà davanti agli occhi fin che vivo. Ho ormai vissuto a lungo ma quelle facce, quei volti femminili stravolti non so se dall’ira o dalla disperazione continuano ad accompagnarmi nei miei ricordi. Insieme agli improperi che mi lanciavano contro e gli sputi che mancavano per poco il bersaglio,che poi ero io, un fantaccino in grigioverde con le fasce malamente arrotolate intorno alle pezze da piedi dentro alle scarpe, i pantaloni alla zuava ed uno striminzito giacchetto grigioverde, il tutto completato da una bustina militare grigioverde anch’essa. Magro come un chiodo non dovevo sembrare, in quei panni, una figura troppo impositiva e militaresca e non certo minaccioso poteva apparire quel moschetto Mod. 91 indolentemente posato sulla mia spalla. Quegli occhi spiritati e insolenti, quelle labbra spesse e sporgenti luccicanti di saliva, quegli zigomi accatastati l’uno e all’altro nella stretta feritoia ricavata sulla parte superiore del vagone piombato non mi lasciavano così come non avevano fine le sfilze di evidenti parolacce il cui linguaggio cercavo invano di decifrare, non era ovviamente ne italiano ne dialetto veneto, nemmeno sembrava slavo, aveva uno strano accento gutturale, da dove poteva provenire quel lungo convoglio ferroviario di vagoni merci alcuni dei quali recavano sul davanti le alte garitte dei frenatori come usava in quei tempi. E da esse si sporgevano le sagome dei gendarmi tedeschi con i mitragliatori Mauser impugnati a sorvegliare dall’alto, la pensilina della stazione di Cormons sui cui lati, una ad est ed una ad ovest, s’ergevano, per modo di dire, le nostre postazioni costituite da due cataste di vecchie traversine delle FF.SS. disposte ad elle fino all’altezza del petto a difesa di improbabili attacchi di partigiani all’edificio della stazione.

Quel convoglio era giunto a Cormons in una calda, tranquilla mattinata dell’agosto 1944 provenendo da Gorizia e diretto presumibilmente a Udine e quindi in Germania con il suo carico di deportati. Ma noi non è che lo potessimo intuire a quei tempi. Non è che potessi fare altro se non esprimere il mio stupore all’avvicinarsi dell’altro commilitone di guardia alla cui comparsa accrebbe il tumulto dalla feritoia che si diffuse con un mormorio minaccioso dall’interno del vagone. Non ci si riusciva a comprendere il perché di quell’atteggiamento, il perché di quel lungo convoglio dai larghi accessi accuratamente inchiavardati. E quando esso si mosse tra lo stridore dei freni rilasciati, il cupo mormorio si estese a tutta la fila di vagoni, e noi comprendemmo, infine, che era un mormorio di disperazione.

Nei pressi di un’altra stazione ferroviaria, quella di Fiume, in un mattino nel mese di giugno del 1945. Sono nel viale Camicie Nere sul marciapiede accanto alla Manifattura Tabacchi. Suppongo di essere diretto al viale Littorio per imboccare poi via Trieste. Ma una visione improvvisa mi fa sostare. Sta avanzando nel viale provenendo dai Giardini Pubblici una lunga colonna di prigionieri tedeschi scortati negligentemente da entrambi i lati da pochi partigiani iugoslavi in divisa. I prigionieri sono inquadrati e sembrano camminare di buon grado, anche se le loro divise non sono più impeccabili nel kaki estivo, qualcuno zoppica, c’è chi si appoggia ad un bastone, ciò nondimeno il tutto da l’ impressione di una gaia passeggiata. Quand’ecco che, dal portone della Manifattura, iniziano ad uscire frotte di lavoranti con i caratteristici grembiuli, tutte con le braccia cariche di forme di pane, di cibi di ogni genere, probabilmente estratti dall’involto del loro frugale pranzo, senza badare ai partigiani armati di mitra, si infilano tra i prigionieri ed iniziano a distribuire loro i cibi offerti, i loro custodi a tutta prima cercano di frapporsi ma il flusso crescente delle operaie li imbarazza e finiscono per accettare anche loro qualche cibaria. Il tutto avviene mentre la colonna mantiene sempre lo stesso passo e non si esaurisce il flusso delle lavoranti come ad una gara tra loro per chi è più prodiga. Sembra una scena irreale. E’ come se gli esseri umani fossero tornati nella norma delle azioni giornaliere dopo tante crudeltà. Ma ormai ho imparato che si tratta solamente di un momento, di un episodio singolo. Al di sopra di noi vi sono già coloro che con la loro effimera potenza continueranno ancora a diffondere atrocità nei campi di prigionia o di concentramento.