Gli anni della G.I.L.

di

Neumann Antonio




Agosto 1941. Sono a Forlì in divisa grigioverde da avanguardista: camicia nera, pantaloni alla zuava, giacchetta di tipo militare, capello da alpino senza piuma. Il “Campo” è quello dal quale si esce Capocenturia il che consente di appiccicare alla manica sinistra della giacchetta la “V” rovesciata d’oro. Comandante dal campo è un capitano dei bersaglieri un tantino fanatico della sua specialità per cui ogni essere umano che si muova tra le decine di tende, mense e gabinetti di decenza deve farlo di corsa. E il campo è una vasta distesa d’erba posta dietro alla stazione ferroviaria di Forlì, in essa ci si dorme, ci si mangia, ci si defeca, ci si applica alle discipline della guerra con i piccoli moschetti ’91. Si sprecano i “presentat …. arm!”, gli “spall …. arm!”, gli “avanti --- marsc!”, gli “a passo di marcia!”, “a passo di corsa, un-due, un-due ….” Impartiti dagli studenti della Farnesina non ancora sede del Ministero degli Esteri ma istituto a livello universitario dei futuri professori di ginnastica, studenti che fungono da sottu’ufficiali impietosi. E noi, ragazzi provenienti da tutta l’Italia, ci assoggettiamo.

Le normali esercitazioni si fermano il 7 di agosto, allorché muore Bruno, il figlio prediletto di Benito Mussolini, in un incidente aereo sul quale Bruno volava come collaudatore. Si formano subito i picchetti che, a Predappio, renderanno gli onori durante la tumulazione del corpo. Il campo si spopola praticamente quel giorno e vi rimangono solamente, ed io tra questi, coloro che sono di corvè ai servizi. E mi ritrovo sotto la tettoia delle cucine a pelare patate per gli avanguardisti impegnati nella mesta cerimonia. Strano destino il mio. Qualche anno dopo mi ritroverò a pelare patate per i partigiani di Valsantamarina negli unici due giorni trascorsi nelle loro file. Ma la vita continua il suo corso per noi che completiamo il “Campo Capicenturia” alla fine di agosto con la cerimonia, questa piena di sana allegria, della bruciatura in mezzo al campo, dei pagliericci che hanno a sera ospitato le nostre stanche membra per trenta giorni.

Luglio 1942. Sono agli Alberoni, quattro case accanto alla Punta di Malamocco del Lido di Venezia. In un “Campo” più modesto ottanta allievi degli Istituti Nautici italiani effettuano un corso per divenire Cadetti Premarinari della G.I.I. . Non più Capitani dei bersaglieri ma un Capitano di Fregata a comandare il corso con la collaborazioni di anziani Capitani di Vascello (ex marina austro-ungarica) e consunti Capi del C.R.E.M.M. che stava per Corpo Regia Marina Militare italiana. Altre tende, altre tettoie per cucina e mensa ma in più barconi a remi, rondinelle di mare (strana specie di natante in legno con due pale incernierate sull’esile scafo e mosse dalle nostre estremità inferiori), corsi di navigazione piana (malgrado le proteste di noi pochi allievi macchinisti navali), nuoto, voga, nodi navali, studio dei mezzi della marina da guerra italiani e via dicendo. La divisa è quella degli allievi ufficiali dell’Accademia di Livorno, siamo carini ed eleganti ma le ragazze degli Alberoni non ci marciano.

A metà corso vogata lunga dagli Alberoni a Chioggia in mezzo alle “bricole” (i grossi pali, in genere tre, che segnalano il percorso navigabile). Al timone del lungo barcone un Capo Segnalatore che non segnala più niente da un bel pezzo e ci illustra le avventure nelle quali è incorso negli anni della sua navigazione sui battelli a vela. E’ talmente preso dai suoi ricordi che ad un certo punto andiamo a cozzare violentemente contro una bricola per cui, nel contraccolpo, finiamo tutti a pagliuolo. Nella tenda a tre posti siamo in tre fiumani, gli altri sono Morana e Di Marco. Un bel giorno, sul nostro “Campo” si scatena una bufera di vento, frequente nelle acque interne di Venezia, la fragile nostra casetta si agita paurosamente dopodiché prendiamo la decisione di abbattere i tendaletti e di cacciare i lembi riottosi del tessuto sotto ai nostri corpi. Al passaggio del vortice ci ritroviamo ad essere gli unici ad aver conservato intatto il nostro tettuccio. Ci vorranno due giorni per ritrovare le imbarcazioni trasportate qua e là per la laguna e per risistemare tendaggi, tettoie e quant’altro. Qualche giorno prima di lasciare Alberoni, mi concedono un giorno di licenza e ne traggo profitto per recarmi, questa volta in vaporino, a Chioggia dove mio cugino acquisito è Comandante di Porto. Con mia cugina ed io tutto azzimato, ci facciamo condurre nel lucido motoscafo della Capitaneria nel vicino isolotto di Caroman, un’istituzione, a quei tempi perlomeno, gestita da suore, per le vacanze estive di famiglie senza presenza di uomini nel senso di sesso maschile. Per l’occasione sono io, l’unico uomo ad essere ammesso a visitare il luogo insieme a mia cugina, il marinaio che ha condotto il motoscafo è rigorosamente confinato a bordo del mezzo. E così giriamo per il piccolo complesso turistico sempre accompagnati dalla suora, e seguiti forse con qualche rimpianto, dagli sguardi di madri attorniate dai bimbi. Alla fine del corso c’è da affrontare un vero e proprio esame di nozioni di navigazione piana, tracciando qualche rotta, la nostra conoscenza delle navi da guerra, dei nodi marinareschi ed infine le congratulazioni per il conseguimento dell’idoneità al grado di Cadetto Premarinaro. Ovviamente bisogna riconsegnare la divisa di allievo ufficiale con l’augurio, da parte dei nostri temporanei superiori, di reindossarla ben presto in qualità di allievo ufficiale dell’Accademia Navale di Livorno.