I miei scioperi

di

Neumann Antonio




Cento anni dalla creazione della CGIL. Festa dei sindacati quindi. Si risvegliano i miei ricordi di scioperi. Inizio da quelli scolastici, il primo in scuola media all’Istituto Tecnico Commerciale Paccinotti a Fiume: c'è la guerra in Etiopia, i nostri entrano in Addis Abeba, la capitale, siamo bambocci ma ci uniamo ai “grandi” per disertare il giorno di scuola e ritrovarci in Piazza Dante tra bandiere e scritte spuntate da chissà dove, tra inni fascisti e canzoni, tra queste trionfa “Faccetta Nera bell’abissina ……”. Nessuna conseguenza scolastica. Segue la guerra 1940-1945, si diffondono ogni tanto notizie trionfanti di vittorie, iniziamo a lasciare le aule dapprima noi del “Istituto Nautico C. Colombo che ci rechiamo a far chiasso davanti alla Paccinotti, poi insieme si marcia verso via Pascoli per far aggregare quelli del Ginnasio e quindi gli studenti dello Scientifico, saltano fuori ancora bandiere e striscioni, altre canzoni: “E va, la vita va, ecc.” e “Giarabub”. Si sfila per il corso e poi ci si dissolve davanti alla pasticceria Sari. A tutta prima ancora nessun intervento, nessuna conseguenza a scuola. Poi, nell’occasione seguente succede che dal Corso Vittorio Emmanuele ci si infila in via Mameli e quindi in piazza Scarpa accatastandoci alla barriera del confine con la Jugoslavia in via Fiumara da dove lanciamo urla e insulti agli slavi. Dall’altra parte c’è solo il tratto di banchina vuoto e poi li fiume Eneo, non c’è nessuno ad ascoltare le nostre vane imprecazioni. Però c’è una novità, da via Roma scende un nutrito gruppo di agenti della questura armati di manganelli, non li usano ma si intrufolano tra noi gridando: “Tornate a scuola, tornate a scuola!”. La terza volta gli agenti ci dissolvono addirittura in piazza Dante, la manifestazione. E al ritorno a scuola ci giunge il monito dei presidi: “Non ci deve essere una prossima volta se non volete essere sospesi per un giorno con avviso ai vostri genitori.”

Passa qualche anno. Sui pennoni di piazza Dante non ci sono più le bandiere italiane verde-bianco-rosso, ma alla bora sventolano quelle blu-bianco-rosso jugoslave con la stella rossa al centro. Sono impaginatore alla “Voce del Popolo”, mi reco al lavoro alle 8 di sera, torno a casa verso le 5 del mattino quando l’ultima copia della “Voce” esce dalla rotativa. Sto quindi bello addormentato quando due amici mi svegliano bruscamente: “Oggi i ragazzi delle scuole hanno voluto fare sciopero, qualcuno ha fatto uscire gli operai dai cantieri navali che ora stanno cercando gli studenti bastonando quelli che trovano in giro. Sono in Corso in pochi minuti, sta davvero accadendo, in piccoli gruppi accerchiano studenti e studentesse, alcuni di loro li prendono a ceffoni e li strattonano, altri s’impossessano delle loro borse di scuola, le spalancano versandone il contenuto per terra stracciando libri e quaderni. Corro su per via Giusti, mi sembra si chiamasse così, ed entro nella ex questura, quella dirimpetto al Palazzo del Governo, ansante e stravolto, urlo ai “drusi” presenti quanto sta accadendo in città. Un loro ufficiale mi ferma: “Lo sappiamo, stiamo preparandoci ad intervenire!” calmo, calmo. E ride insieme agli altri poliziotti. Torno giù al Corso, si sono diradati, all’altezza del bar “Roma” odo provenire urla dall’angolo con via Mazzini, subito dietro all’angolo c’è il ooro capoccione con altri due operai che sta picchiando una ragazzina piangente. La sua cartella è aperta strappata e in giro ci sono pagine di libri e quaderni Non ci vedo più, ho un vecchio conto da saldare con il caporione , non s’accorge di me che dalle spalle lo spingo all’indietro e come si volta gli piazzo un bel pugno a viso pieno, sorpreso perde l’equilibrio e cade per terra con il sangue che già gli cola dal naso. Agli altri impongo, portatelo via, sparite. Cosa che fanno, non c’è nessuna reazione dal caduto, giocatore della squadra dei cantieri del “3 Maj”, in quei tempi ero dirigente ed arbitro della pallacanestro a Fiume, gli potevo capitare da arbitro in qualche partita. Aiuto poi la ragazzina a risistemarsi ed a raccogliere i fogli riaccompagnandola per un tratto nel il caso di altri cattivi incontri. Non erano più tempi per scioperi studenteschi.

Un giorno qualunque del 1950, sono le 10 del mattino, allievo ufficiale di macchina sul Conte Biancamano ormeggiato alla Stazione Marittima del porto di Genova mi trovo sul ripiano delle enormi turbine a vapore con indosso il telefono per trasmettere gli ordini alle sale caldaie e confermare al ponte di comando l’esecuzione dell’ordine.. Sui grandi volanti delle turbine di desta c’è il Direttore di macchina spezzino, su quelli di sinistra c’è il primo ufficiale di guardia napoletano, ai telegrafi di macchina i due meccanici navali, sul supporto con la piccola scrivania, a destra, c’è altro allievo ufficiale il cui compito e quello di segnare sul brogliaccio di manovra gli ordine e l’ora di esecuzione.. Dietro di noi il rumorio delle turbine (23.000 cavalli di potenza) in fase di preriscaldamento. Siamo in partenza da Genova, con i passeggeri già a bordo, altri ne imbarcheremo a Napoli e poi la traversata fino a New York. Trillano i telegrafi di macchina, le frecce sul quadrante si fermano sul “Pronti in macchina” ma i due meccanici rimmangono immobili. Dopo qualche secondo altro trillare dei telegrafi ma i due meccanici il cui compito sarebbe quello di agire portando i nostri comandi sul telegrafo a combaciare con quelli del ponte rimangono impassibili. Di uno mi rammento il nome, Squarcia, genovese, è in pratica vissuto tutta la sua esistenza sul “Biancamano”, tranne il periodo nel quale la nave, catturata dagli americani e rinominata “Hermitage” , fu trasformata in trasporto militare degli Alleati. Nei miei tredici mesi di imbarco lo Squarcia fece di me un vero macchinista, fu il mio tutore ed istruttore. Dopo l’ultimo trillo segue una pausa, tutti ci guardiamo in faccia, poi il direttore lascia i volanti delle turbine di destra e mi chiede il telefono: “Il personale non risponde alla manovra”., dice. Dopo un attimo udiamo dagli amplificatore la voce del comandante: “A tutto l’equipaggio, siamo in stato di sciopero. Nessun membro dell’equipaggio può lasciare la nave. Rimane il servizio di guardia in navigazione. Mantenere in stato di pronti alla manovra argani a salpare e macchine. E’ tutto!”. E’ uno sciopero vero questa volta. Insieme al direttore di macchina io e l’altro allievo saliamo in coperta con l’ascensore. Si ripartirà l’indomani.

Con la Mn. “Giovanni Agnelli” siamo attraccati alla banchina della grande Centrale Termica di Fusine, nei pressi di Porto Marghera, a Venezia. Sciopero nazionale dei marittimi. Abbiamo già scaricato il nostro carico di carbone russo con il quale avevamo riempito le nostre stive a Ilicjovski, il porto commerciale di Odessa. Ora non rimane che attendere, io sono il Direttore di Macchina, ci siamo tutti, a bordo, al mattino erano rientrati anche gli operai motoristi, i fuochisti, l’elettricista, tutti residenti a Chioggia dove avevano trascorso la notte nelle loro abitazioni, Chioggia sarebbe per loro quello che, in gergo marinaresco si chiama “porto coscia”. Ci guardiamo in faccia, io avrei da fare manutenzione ad un pistone del motore principale, lancio la proposta: “Se facciamo il pistone, sciopero o non sciopero con l’equipaggio a bordo, ce ne infischiamo, stasera, finito il lavoro, ritornate a casa e ci rivediamo domani mattina per la partenza”. L’avessi mai detto, si precipitano tutti giù in macchina, ufficiali e personale. E’ un lavoro di sei, sette ore. E’ un lavoro pesante ma c’è poi un'altra notte vicino alla moglie. Tutti si danno da fare. Solo che verso le undici del mattino ci arriva a bordo il capoccia dei sindacalisti di Venezia. Siamo amiconi, ha navigato con me che lui era elettricista sull’”Andrea Gritti” della Sidarma, un bravo ragazzo, s’era stabilito un rapporto di vera e propria amicizia tra noi, suo fratello è nella direzione nazionale dei sindacati, a Roma. Si affaccia dal grigliato d’entrata alla sala macchine e guarda giù al pistone e alla camicia vuota, qualcuno di noi se ne accorge e richiama la mia attenzione. Guardo su e lui mi fa un cenno di salire. Mi pulisco le mani imbrattate di grasso e salgo. “Andiamo in cabina.” Mi fa brusco.”. E poi, mentre rinchiudo alle spalle la porta della mia cabina. “Questa non me la dovevi fare.” Io gli rispondo, sono tutti di Chioggia, e da un bel po’ che debbo cambiare le fasce elastiche al pistone, tu sai che noi ci si va avanti e indietro tra Venezia e Odessa, le soste sono brevi, faccio i lavori come e quando posso.” . “Si, mi risponde,va tutto bene ma tu Neumann questa non me la dovevi proprio fare. Sei fortunato che ci sono capitato io, se fosse stato un altro avresti giocato la tua patente.”. Apro il piccolo frigorifero nell’ufficio, ne prendo due birre e ci poniamo a chiacchierare di come vanno le cose. Sono sempre tutti curiosi di sapere di cosa succede in Russia. Anche i sindacalisti.

Newcastle in Australia nel 1975. Direttore di Macchina sulla M/n “Eolia”. Ormeggiati ad una banchina del largo porto per un carico di granaglie destinate all’Unione Sovietica. Il giorno precedente in tutta l’Australia ci sono state le elezioni per il governo. I laburisti sono stati sorpassati dal conservatori. Vi è una grande inquietudine. Si parla di uno sciopero generale in tutto il paese. La caricazione è al suo termine, dovrebbe concludersi al pomeriggio, Io ho un grosso pistone del motore principale in riparazione dentro ad un vicino capannone officina. Me lo dovrebbero riconsegnare nel primo pomeriggio. Ma alle 12.00 si mettono a suonare tutte le sirene in porto e udiamo il coro delle campane in città. E’ sciopero generale contro il nuovo governo. Ci si guarda in faccia, il comandante e io. Ci saranno ancora un tre, quattro vagoni di grano da rovesciare nelle stive. Lui si precipita a terrà per una vivace conversazione con il capo caricatore, vedo anche arrivare la macchina dell’agente delegato dalla nostra società, io mi precipito verso il vicino vasto capannone dell’officina, il pistone è appeso bello pronto sul carro a ponte, al centro. C’è il capo operaio: “Sono tutti scappati via, io mi appresto a chiudere tutto e ad andarmene a casa:” Io mi guardo d’attorno. Non c’è davvero nessuno più in giro, quel pistone penzolante sembra prendermi in giro. “Dobbiamo aspettare la fine dello sciopero, per riaverlo?”, “Temo di si. Ma tanto non potete partire lo stesso. In sciopero ci sono anche i piloti ed i rimorchiatori che vi dovrebbero far uscire dal porto.” La vista di quel pistone immobile mi fa venire un’idea in testa: “Senta, può lasciarmi le chiavi del capannone, ce la vediamo da per noi, in un modo o nell’altro ce lo riportiamo a bordo, mi butti giù la fattura del lavoro, ho visto che è arrivata la nostra agenzia e così la fattura la passo a loro.” . “Se pensate di uscire da soli, sono grane grosse per il vostro comandante se vi beccano, comunque sono fatti vostri!”. Ed io, con la fattura e le copie in mani ritorno precipitosamente a bordo, vedo che ci stanno ancora caricando, “Difatti, mi informa il comandante, ho tirato fuori un po’ di dollari e qualche bottiglia di wiskhi e hanno ripreso il lavoro tra un’ora chiudiamo le stive, e lei, come si ritrova?” Lo informo delle mia vicende, c’è il trasbordo a bordo ma qualcosa tireremo fuori. Ce la faremo a tirarci fuori dal porto senza il pilota domattina presto?” “Ho studiato la cosa, non si presentano troppe difficoltà.”. Al pomeriggio esco a terra e mi avvio verso l’uscita della zona portuale. Subito fuori dall’ingresso c’è un bar sempre pieno di stivatori e di conducenti di autocarri. Al di fuori di autocarri ce ne sono, tra essi quello con le scritte del cantiere in grossi caratteri, entro nel locale sperando nei conducenti, ci sono anche quelli e, fortuna delle fortune c’è pure quello dell’officina. Mi siedo tra loro ed offro un giro di birre. Al momento che reputo giusto faccio presenti le mie difficoltà, non le considerano tali e si mettono a ridere, qualche paio di dollari e ci si può mettere d’accordo, litigano quasi tra loro tra una birra e l’altra ma in fine l’ha vinta proprio il conducente dell’automezzo del cantiere. L’indomani alle cinque del mattino, è ancora buio fitto, scendiamo a terra io e il capo fuochista, mentre il personale di bordo arma il bigo piccolo di poppa e prepara l’apertura dell’osteriggio del locale di macchina . Non è un gran lavoro. Davanti al grande portone dell’officina ci sono già autocarro e conducente. Entriamo nel capannone, dalle vetrate penetrano un pò i bagliori dell’illuminazione esterna. Regoliamo la posizione dell’automezzo sotto al pistone appeso, apro la corrente della gru scorrevole, afferro i suoi a comandi a distanza e faccio scendere lentamente il pistone che si adagia sul cassone del automezzo maneggiato dal capofuochista e dal conducente. Giunti sottobordo, agganciamo il pistone al bigo e poi, da bordo, lo infilano direttamente nella sua posizione di riserva. Il motore principale è gia pronto alla manovra. Mollati i cavi d’ormeggio ed agendo su uno spring (cavo laterale obliquo per mantenere aderente la nave alla banchina),faccio partire a lento moto il motore a marcia indietro, un azione che fa spostare la poppa dalla banchina, quando si è allontanata a distanza sufficiente, mi giunge attraverso il telegrafo di macchina, il comando di “Ferma” e subito quello di “Avanti adagio”. Rimaniamo per un bel po’ con il cuore in gola, tentando di seguire sul ripetitore della posizione del timone, i movimenti della nave sul percorso non agevole negli spazi tra banchine e banchine, l’ago del timone infine si ferma sulla posizione centrale, dobbiamo trovarci nel canale di uscita dal porto, una ventina di minuti ancora di ansia e poi l’”Avanti a mezza forza” e quindi l’”Avanti tutta” e il “Finito in macchina.”. Ce l’abbiamo fatta. Siamo in mare aperto, ce l ‘abbiamo fatta senza pilota e senza rimorchiatori. Per tutta la nave si ripercuote l’urlo di gioia per la beffa riuscita. Alla faccia degli scioperi e dei scioperanti.