Parlando di lavatoi pubblici

di

Neumann Antonio




Sempre riferendoci alla bella raccolta di foto d’epoca di Fiume curata dall’ Associazione Giuliani nel Mondo, giungiamo alla pagina 19, foto no. 30. La presentazione ci rammenta: “ Lavatoio pubblico prima del sottopassaggio che porta a via dell’Acquedotto. L’acqua a Fiume non è mai mancata: le generazioni più anziane ricordano un lavatoio situato presso l’Eneo a breve distanza dalla linea tranviaria.”. Quella massicciata di pietre che regge i binari della ferrovia per Zagabria, quel sottopassaggio, costituiscono il primo scenario della mia vita quando bambinello mi reggevo in piedi alle inferriate del balcone a ringhiera di una casona popolare al numero 4 di via dell’Acquedotto. Accadeva quando diventavo troppo noioso e mia madre, per continuare in tranquillità le sue faccende di casa, mi appiccicava alle inferriate non senza mie proteste e così ero costretto a rimirare a lungo quelle pietre bianche e qualche occasionale convoglio ferroviario. Il lavatoio non era più quello indicato nella foto ma era collocato più vicino al sottopassaggio, una specie di costruzione con un tetto e ampie finestre e poi le lucide lastre di pietra. Mi accadeva spesso di seguire mia mamma al lavatoio, attaccato alle sue ampie gonnelle di bodola mentre lei portava tra le braccia la grande cesta con la biancheria da lavare. Ad entrarci dentro si era subito assordati dal chiacchiericcio delle lavandaie.

Non lontano c’erano i binari della tramvia, la dove essi percorrevano una larga curva circolare per effettuare il cambio di direzione ai tempi in cui sui caratteristici vagoni, non esistevano i doppi comandi. In mezzo alla curva, sul nudo terreno, venivano installati i grigi tendoni del circo Zavatta o quelli, mi sembra ricordare, nei primi tempi, della Compagnia di Checchelin, un noto comico triestino di cui rammento, al Cinema Fenice, i finali sempre bersagliereschi e patriottici e grande sventolio di verde-bianco-rosso fin sulle gonne delle ballerine (negli anni bui del 1944 o 45, Cecchelin fu arrestato dalle SS tedesche per propaganda dell’attività partigiana (insolita fine per un patriota). Almeno in una occasione, nella piazza venne montata una grande sfera metallica entro la quale un motociclista si esibiva, con la sua potente moto, in veloci evoluzioni. Di circhi, rammento, mi sembra sia esatto il nome, Klein, che collocò i suoi grandi tendoni in un vasto spiazzo a Valscurigne. Furio forse lo rammenterà. Ciò che più mi colpì fu l’uomo sparato come un proietto da un panciuto cannone. Rimanendo su questo genere, non so in quale anno assistetti all’esibizione di un funambolo su un cavo d’’acciaio teso tra il Teatro Verdi e il tetto di un edificio in via Turr percorrendolo addirittura in bicicletta.

Ma torniamo allo Scoieto. Chissà da dove deriva il suo nome? Un tempo, prima che fosse costruita la Scuola Manin, all’angolo della piazza con via Bovio vi era una scuola elementare che venne frequentata da mio fratello maggiore ed ebbe come maestro un Jacobelli, chissà come me ne viene in mente il nome. Sempre se non vado errato, in seguito la scuola fu trasformata in caserma ed ospitò fino alla fine della guerra la Legione 64a della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Sul lato città della piazza vi erano, accatastate, abitazioni civili. Non ci giurerei ma mi sembra ricordare, sempre nella piazza, anche un casottino in legno doveva c’era un tale che riparava biciclette svendendo quelle usate. Nella vicina via Bovio vi era la palestra pugilistica. Ringraziando per la lettura di questi frammenti di vita. Tonci