Dalla padella nella brace

di

Neumann Antonio




Nel giro di tre mesi passo dalle grinfie di Tito a quelle di Stalin. Da Fiume in Croazia a Poti in Russia. Con un intervallo da profugo in Liguria. Sono sul P/fo "Stromboli" davanti a Poti, una piccola località in fondo al estremo est del Mar Nero. Siamo fermi all'ancora ben distanti dall'entrata al porto, la carta nautica segnala che al suo ingresso vi è un'area minata. Sono trascorsi tre anni dalla fine della guerra ma non si sa mai, afferma il comandante. Manteniamo comunque i turni di navigazione, le caldaie sono in pressione, la motrice è in riscaldamento, siamo pronti a manovrare in pochi minuti. Ma da terra c'è solo silenzio e vani sono i tentativi del nostro marconista di contattare la locale stazione radio. Siamo giunti a Poti nel primo mattino di una splendida giornata di sole di fine agosto 1948, il cielo è bello terso, si scorgono in lontananza senza difficoltà alcuna i primi contrafforti delle montagne del Caucaso.

Trascorre così l'intera giornata su un mare senza increspature. Siamo ignorati. L'indomani mattina, verso le nove si avvicina al porto una nave da carico con bandiera sovietica. Il comandante decide, quelli sono russi, conosceranno senz'altro le rotte di sicurezza, poniamoci dietro a loro ed entriamo insieme. In sala macchina squilla il "Pronti in macchina", io corro al mio posto accanto al telegrafo e alla piccola scrivania aprendo il brogliaccio di manovra. Il mio compito è quello di rispondere agli ordini del telegrafo e segnare su brogliaccio le indicazioni delle andature da assumere. Procediamo dietro all'altra nave e con lei entriamo nell'ampio avanporto nel quale diamo nuovamente fondo all'ancora. "Finito in macchina" ma dal ponte ci telefonano di rimanere sempre pronti a muovere. Non accade ancora nulla. La nave che è. entrata con noi viene avvicinata da un piccolo motoscafo, sarà il pilota ed ecco che essa si avvia verso le banchine. Noi si rimane in paziente attesa.

Trascorrono lente le ore nell'avanporto, da terra silenzio, trascorre così il pomeriggio, poi la notte. Al mattino presto qualcuno a bordo scorge il piccolo motoscafo del pilota che si dirige verso di noi. Si va a banchina. Trilla il telegrafo con il "Pronti", trilla ancora con l'"Avanti Adagio" ("Slow Ahead" scusate, la nave è stata costruita negli U.S.A.), le grosse manovelle della motrice si mettono a ruotare, sbuffi di vapore, vibrazioni dello scafo essendo in zavorra. Altri trilli poi una scossa da far traballare, siamo arrivati, e dopo un pò arriva anche lo "Stop with engines". Il paesaggio che ci accoglie in coperta è quello di una brulla distesa con grandi mucchi di minerali grigio scuri, di poppa due piccoli sommergibili mezzi arrugginiti, in lontananza delle casette tra il verde delle betulle. Sulla banchina un'enorme gru, anche lei con chiazze rossastre di ruggine ed una piccola cabina di comando su, bene in alto. Arrivano anche le autorità portuali e si ritirano con il comandante nella saletta ufficiali. Apprenderemo poi che per prima cosa hanno comunicato al comandante che la nave ha subito una forte multa in rubli per essere entrata in porto senza pilota, poi si sono dedicati all'esame delle carte di bordo, certificati di stazza, di sicurezza nave e quanto altro accompagna la vita dello "Stromboli". Come di consueto è sopraggiunto il cameriere con un gran vassoio di bevande alcoliche o non alcoliche e bicchierini ma, stranamente hanno tutti rifiutato freddamente il gesto, il cameriere ha posato il vassoio su un lato della tavola e se ne è uscito. Dopo circa un'ora il gruppetto di autorità se ne è andato esibendo freddezza anche nel congedo. A terra, accanto alla nave, si dispongono tre poliziotti, uno a prora, uno sullo scalandrone (la scala di accesso in coperta) ed il terzo a poppa, sono armati di mitra. Quello accanto allo scalandrone ha vicino uno strano arnese, un piccolo cassetto sorretto da quattro gambe. Il suo uso? Se un membro dell'equipaggio scende a terra, dovrà consegnare al militare il proprio libretto di navigazione e ritirare un cartoncino verde numerato per ricuperare il libretto al rientro a bordo.

Il bello comincia ora, una trentina di minuti più tardi ritorna a bordo il comandante di porto, quando si incontra con il nostro comandante, gli prende affabilmente la mano e si accompagna con lui di nuovo nella saletta ufficiali sul cui tavolo giace ancora il vassoio con le bevande. Accenna al caldo estivo e che gradirebbe un sorso, i sorsi diventano due o tre ed anche il discorrere aumenta di affabilità, in ultimo esce portandosi, celata dentro alla giacca della divisa, una bottiglia di whisky, passa una quindicina di minuti e si presenta a bordo l'agente tutto inchini verso il nostro comandante, saletta, salamelecchi vari, sorsi ed altra bottiglia di whisky sotto la giacca, questa volta borghese, una piccola pausa ed arriva quello della dogana, stessa scena. Nel frattempo si aprono le stive ed inizia la caricazione, si mette in movimento la gru con sinistri cigolii, di notte emetterà lampi e scoppi disturbando quanti hanno le cuccette da quel lato ma che sembrano non interessare i suoi manovratori che si alternano ai comandi nella cabina di comando, tra loro, come mi informa Schiano, l'allievo ufficiale di coperta, c'è una favolosa biondina.

Si inizia dalla stiva quattro, quella di poppa alle sovrastrutture della nave, vi scende un gruppo di scaricatori malmessi con delle larghe pale di ferro, dovranno spalare il carico del ferro sfuso verso il centro nave, il ferro sfuso è pesante e va regolata la distribuzione dei pesi passando da una stiva all'altra alternativamente per non creare sollecitazioni improprie allo scafo. La "Stromboli" ha si una larga fascia metallica di rinforzo intorno allo scafo ma è anche vero che molte "Liberty" si sono spaccate in due affondando insieme a tutto l'equipaggio per un errata distribuzione dei pesi a bordo. Gli stivatori hanno turni di otto ore entro le quali debbono maneggiare senza sosta le palate del minerale. Il primo ufficiale controlla la distribuzione del carico, a volte a lui si unisce il comandante che, al pomeriggio, vedendo gli stivatori a torso nudo e lucidi di sudore al lavoro, ordina al cuoco di preparare un vassoio di panini imbottiti e posarlo sull'orlo della stiva. Il cuoco obbedisce, si porta sulla stiva e con urla attira l'attenzione di quei poveracci ai panini ma quelli fanno segni di diniego e proseguono nel lavoro. Il cuoco se ne torna in cucina lasciando i panini dove li ha collocato. Ritorna sul posto dopo un'ora e li ritrova ancora li, intatti. Se li riprende, li riporta in cucina posando il vassoio sul ripiano aperto per il ritiro del cibo da parte del cameriere e dei mozzi nelle ore dei pasti. Dopo qualche minuto arriva un primo scaricatore che si prende un panino e lo mangia sul posto, dopo di lui ne arriva un altro e si ripete la scena e così via con tutti gli altri. Una ripetizione della scena del mattino con le autorità portuali. Appare chiaro che si tratta di gente terrorizzata dal regime. Fino al punto di non fidarsi l'uno dall'altro. E' il comunismo!

A sera scenderanno a terra il ragazzo di cucina ed il mozzo, Gireranno per strade semideserte, incapperanno in due ragazze che si accompagneranno loro dichiarandosi disponibili, non chiederanno denaro ma le camicie che indossano, I due si consulteranno, è estate, che diavolo importa, si sfileranno le camicie ma non riusciranno a fare nemmeno un approccio iniziale, le ragazze strilleranno "Polizia! Polizia!" e si allontaneranno in fuga tra le betulle del boschetto. Gli scamiciati rientreranno a bordo a torso nudo. Quanti si avventureranno in città di giorno saranno importunati da torme di ragazzetti scalzi che implorano soldi, sigarette e cibo. Gli "sciuscià" sovietici. Io scenderò un pomeriggio domenicale, nella piazza principali festoni, grandi quadri di Stalin, bandiere rosse con falci e martelli e un assordante diffusione di marce e canti della rivoluzione sovietica. Nelle case, al di fuori di porticati, gente, famiglie che giocano a tombola con fagioli o ceci a ricoprire le caselle. In qualche squallida vetrina di negozio forme di cartone riproducenti il pane, il salame, fette di carne, di cartone si!. Con Tito, a Fiume non è che si stesse tanto bene ma con Stalin non c'era davvero da scherzare.

Dalla poppa mi soffermavo a guardare quei due piccoli sommergibili e gli scamiciati marinai che ci giravano intorno. Forse erano quelli della flottiglia italiana nel Mar Nero di cui era comandante Emerico Siriani, fiumano, poi finito in Siberia dove trovò modo di sistemarsi a modo suo. E sembra che Schiano, il mio collega di coperta, Stalin o non Stalin sia riuscito a farsi la biondina della gru.