Uomini di mare 2

di

Neumann Antonio




Il comandante Emerico Siriani di Fiume

Suo padre, Capo Macchinista sotto l’Austria-Ungheria faceva un nome assai difficile Orbonki o qualcosa di simile ed era di origine ungherese per cui, ad un certo punto,il comandante Emerico Siriani, per facilitarsi le cose come era nel suo carattere, decise di appropriarsi del cognome Siriani (a quei tempi era possibile italianizzarsi il nome in prefettura). Frequentò l’Istituto Nautico di Fiume e, ottenuta la licenza, iniziò a navigare con una società che faceva linea tra Fiume e Costanza, allora un vivace porto rumeno dove, al loro arrivo, venivano accolti da belle ragazze in carrozza a cavalli che generosamente offrivano loro calda ospitalità durante la sosta in porto (particolare storicamente controllato dai racconti d’un mio cugino).

Tra un imbarco e l’altro, Siriani amava crogiolarsi seduto ad un tavolino esterno del Caffè Centrale, in Piazza Dante a Fiume, ammirando il passeggio delle nostre ragazzine locali, l’ unico passatempo consentito dalla loro ritrosia. In un giorno di stanca, i tavolini erano occupati solamente da anziani signori con vistosi orologi e relative catene dorate sui panciotti, il nostro Emerico fù avvicinato da un cameriere che, correttamente, gli chiese se conoscesse qualcuno che parlasse l’ungherese al chè egli rispose che, in casa sua, l’ungherese era la lingua praticata. Avvenne così che venne avvicinato da uno dei signori che si presentò come l’agente di una società ungherese di importazioni e che si trovava a Fiume per l’arrivo di una nave che portava un carico di zucchero da Cuba per l’Ungheria. Non conosceva altre lingue che il magiaro e si trovava in imbarazzo per le operazioni di sdoganamento del carico e per le altre pratiche relative al suo trasporto a Budapest. Siriani gli rispose che essendo egli un ufficiale della marina mercantile italiana qualche idea delle pratiche le aveva ma non certo l’esperienza per portarle a buon fine. L’ ungherese lo convinse di quanto meno aiutarlo promettendogli un buon compenso. Con questo argomento, Siriani promise di prendersi cura del suo caso e sottraendo un’informazione di qua, una parolina di là tra le varie agenzie di spedizione di Fiume, riuscì a far pervenire lo zucchero a Budapest.

L’importo di denaro che ottenne lo fece strabiliare si che ebbe a dirsi: “Ed io che peno a navigare quando c’è da farsi tanti quattrini nel campo delle spedizioni!”. Detto e fatto, si unì a Ciani, altro fiumano, ed aprirono un’agenzia di spedizioni dentro alla zona portuale, la “Ciani e Siriani Spedizioni”. Ebbero successo solo che, dopo un due o tre anni l’Italia entrò in guerra e Siriani fu richiamato nella Regia Marina trovandosi al comando di un sommergibile di quelli che riuscirono a passare lo stretto di Gibilterra in immersione e che fecero poi base a Bordeaux per le azioni in Atlantico. Per la prima volta Siriani seguì doverosamente le istruzioni del suo comando. Entrò nella zona indicatagli per l’appostamento al naviglio nemico, attaccò un convoglio, affondò forse un cargo ma non ebbe il tempo per gioirne in quanto venne attaccato da una nave da guerra della scorta al convoglio che lo costrinse per ore ed ore a navigare in immersione tra una mina di profondità e l’altra. Fù una dura esperienza per lui e per l’equipaggio. Riuscì a sganciarsi e da quel giorno si guardò bene dal dare fastidi agli avversari. Ad un certo punto il sommergibile dovette subire una qualche modifica e lui si recò a brigare qualcuno (o, è più facile, qualcuna) a Roma per cui ottenne un incarico come ufficiale di collegamento della flotta di mini sommergibili nel Mar Nero (mare a lui ben più congeniale) stabilendo i suoi Uffici a Bucarest.

Si lasciò talmente distrarre dalla fervida vita mondana di quella capitale rumena che non si accorse che le truppe sovietiche avevano fatto il loro ingresso nella città. Fatto prigioniero dai russi, venne abbastanza ovviamente inviato a trascorrere la prigionia in qualche campo di concentramento in Siberia. A tutta prima fù dura, per Emerico, molto dura, poi, un bel giorno, i carcerieri sovietici chiesero chi tra gli internati fossero disposti ad andare a tagliare gli alberi nella tundra. Emerico non si lasciò sfuggire l’occasione, giurò e spergiurò che lui era nato tra i boschi e come gli mancassero le sue abetaie. E così si mise a fare il taglialegna, l’unico albero che cresce in tutta la grande Russia è la betulla e di conseguenza il lavoro non era poi faticoso, inoltre i lavoratori usufruivano di doppia razione di cibo per mantenersi ben vigorosi. Quello che più contava, mi disse Siriani, era che con il lavoro uno pensava a dove andava a finire l’ascia e non ai propri cari a casa, erano i pensieri di casa quelli che minavano le menti di quanti rimanevano a scrutare per ore, stesi sulle cuccette, la base del giaciglio superiore, le menti ed il fisico.

Le cose migliorarono ancora per Siriani il giorno in cui i russi chiesero, nelle camerate, chi sapesse riparare i motori degli autocarri. Fù ancora una volta pronto: “Io, si, proprio io, mia madre mi ha partorito dentro al pozzetto di un garage, sono nato e cresciuto in mezzo ai motori. Il latte di mia madre sapeva perfino di benzina!” . E, in tal modo, si trovò a vivere in mezzo al villaggio, fuori dai fili spinati, lontano dalle sentinelle. Ospite più che gradito nelle isbe ove si pensi che tutti gli uomini validi erano intenti a fare il militare da qualche parte. Ai motori applicava le piccole cognizioni che già conosceva o era qualche vecchio ad aiutarlo Nel villaggio solo vecchi e bambini. Emerico Siriani tornò a casa due anni dopo la fine della guerra, con riluttanza, mi disse. Giunto in Italia volle rimettersi negli affari ma gli andò male con la vendita di un certo quantitativo di coperte militari. Si trovò nei guai giudiziari da cui lo trasse fuori la Sidarma Società di Navigazione di Venezia ma fondata a Fiume.

Ho tratto personalmente queste note dai suoi racconti a bordo della nave scuola “Giorgio Cini II” della Fondazione Cini di Venezia.