Sul Monte Cervino

di

Neumann Antonio




A Fiume, in via Edmondo de Amicis 3, era situata la sede del Club Alpino Italiano, un vasto appartamento. In una grande locale era collocata la nutrita biblioteca del Club, le scaffalature, su tutti i quattro lati della stanza, erano in legno pregiato. Fui bibliotecario del Club per un breve tempo ma ebbi modo di consultare libri, libercoli ed annose copie del giornalino “Lo Scarpone” organo ufficiale del C.A.I. Appresi i resoconti di nuove imprese alpinistiche, i nomi e la storia dei più famosi alpinisti, le conquiste delle più alte e difficili vette, delle nuove vie su di esse. Mi soffermai più spesso sulla storia del Monte Cervino, conosciuto anche con il nome di Matternhorn. Vi erano anche cenni sull’’attività alpinistica fiumana e sulla segnalazione di sentieri, dal Monte Maggiore, all’Alpe Grande, al Lisina, al più alto, il Monte Nevoso.

Ma, anni prima, avevo assistito al cinema al film sulla prima ascensione del Monte Cervino, regista ed attore Louis Trenker. Mi ero letto e riletto a casa scritti e libri su quella tragedia che concluse la contesa conquista della vetta tra due figure, quella del viaggiatore inglese Edward Whymper e del valligiano valdostano Jean Antoine Carrel. E fu per questo motivo che nell’estate del 1952 mi ritrovai, in una bella giornata di luglio a desinare nel ristorante dell’Hotel Plan Maison a Cervinia, insieme alla guida Bruno Bich, pronti e bardati per salire la montagna. Nella sala c’erano qualche ospite dell’albergo e una comitiva di ragazzi e ragazze milanesi, Erano in molti a guardarci con curiosità. A quei tempi, scalare il Cervino costituiva ancora una specie di impresa.

Percorremmo rapidamente i verdi prati che, d’inverno, si trasformavano in piste da sci, ed ora erano dimora estiva per branchi di lenti bovini con i loro sonori campani. Le prime rocce non presentavano difficoltà, bisognava comunque affrontarle con rapidità perché esposte alla caduta di sassi se non di massi. Al termine, della prima, facile salita giungemmo al Colle Sud, quasi una esile cresta che unisce il massiccio montuoso alla elegante e svettante forma del Cervino stesso. Un Colle che è gia storia dell’alpinismo per il suo lato ripidissimo che scende fino ai prati del Breuil. Qui ha inizio la scalata vera e propria e ci poniamo in cordata però con prese ed appoggi alla roccia non difficili fintantoché non si giunge al “camino”, uno stretto, esposto passaggio, un camino vero e proprio, come quello delle case, che manca di un lato, è verticale e la roccia è liscia. Osservo come lo affronta Bich facendogli assicurazione, attorciglio la corda che ci unisce ad un chiodo in modo fa fermare una sua caduta, e poi salgo a mia volta assicurato dalla guida che tiene tesa la corda per fermarmi dovessi scivolare. Supero il “camino” puntando ginocchia e suole degli scarponi contro le pareti. Il resto dell’ascesa verso la capanna “Duchessa d’Aosta” dove trascorreremmo la notte è abbastanza agevole, gli appigli non mancano. Dentro alla capanna troviamo quattro alpinisti napoletani ed una coppia di coniugi austriaci. Posso finalmente posare il mio pesante sacco e liberarlo di qualche ceppo di legno che a sera dovremo accendere al di fuori per segnalare a valle che siamo giunti regolarmente a quel punto della nostra scalata. E’ una tradizione valligiana, poi, da basso, c’è, chi ha seguito con il batticuore i nostri progressi, nel mio caso due ragazze milanesi ospiti dell’albergo, risponde con un altro fuoco.

Ad un tratto, sulla porta d’accesso alla capanna compare un'altra guida alpina, una cordata di quattro alpinisti triestini è rimasta bloccata al “camino”, un suo componente è preso dal panico proprio dentro ad esso. Chiede a Bruno Bich di scendere ad aiutarlo cosa che Bruno fa prontamente. Dopo qualche tempo rientrano guide e alpinisti. Ci sono dei problemi, tre triestini intendono scendere dalla cima dal lato svizzero, verso Zermatt, il quarto quello che ha provocato la fermata vuole scendere al più presto dal lato italiano., non se la sente di proseguire. Si apre una discussione tra loro, sembra che si tratti di amici che più volte hanno arrampicato insieme senza problemi. Anche la loro guida esita a proseguire, ci sono, avanti, verso la vetta, altri tratti chiave. La cosa potrebbe ripetersi. Le guide si rivolgono a me, mi chiedono se sono disponibile ad accettare in cordata, nella discesa il rinunciatario, Bich ci sta. A questo punto ci sto anch’io. Noi raggiungeremo la vetta e al ritorno prenderemo con noi il quarto triestino. Gli altri tre con la loro guida proseguiranno per la cima e scenderanno per il versante svizzero.

A notte, con Bruno, accendiamo il falò nella notte fredda. Dopo un po’ rispondono da Plan Maison, non è soltanto un falò, sembra addirittura un incendio, sono i miei amici ed amiche di Milano che lasciano scatenarsi il loro entusiasmo per le montagne e le sue tradizioni. Al rientro mi diranno che stava prendendo fuoco anche l’albergo (qualche anno più tardi verrà ridotto a ceneri proprio per un incendio). Mentre siamo fuori all’aperto, Bruno (abbiamo già salito insieme, in precedenza il Breithorn, ghiaccio e il Piccolo Cervino, roccia) mi dice che sarà meglio per noi lasciare per primi la capanna poiché ha timore che quei quattro napoletani, possiedono una corda lunghissima, ci impiccino per strada.

E’ ancora quasi buio quando riprendiamo la salita, il mio sacco è ancora stranamente pesante, proseguiamo comunque per un tratto facile, non molto ripido, poi aumentano le difficoltà, la ricerca degli appigli, la posa degli scarponi, nel frattempo si leva sopra di noi il sole, si apre il magnifico panorama delle Alpi occidentali, sulla pianura italiana vi è ancora la bruma mattutina. Ad un tratto Bruno Bich si ferma, mi toglie dalle spalle il sacco e lo aggiunge sopra il suo, si scioglie dalla corda e scompare dietro ad una protuberanza della parete, torna dopo una quindicina di minuti e mi ridà il sacco bello e leggero, contrabbando in alta quota. Ora dobbiamo passare dal versante italiano a quello francese ancora in ombra, incappiamo in una nuvola vagante, un batuffolo che ci ricopre per qualche momento di fredda umidità. Dall’alto mi giunge un grido d’avvertimento di Bruno, “Vetrato, andiamo in sicurezza”. Significa che la nuvoletta ha lasciato sulle rocce il suo condensato per cui su di esse si è formato un leggero strato di ghiaccio. Quando viene il mio momento di avanzare mi sembra di avere un paio di pattini a rotelle ai piedi. Procedo lentamente sulla corda bella tesa di Bruno. Quando lo raggiungo, lo assicuro a mia volta, si va avanti adagio con brevi scambi ma poi si esce finalmente al sole rientrando sulla parete italiana.

Poco più avanti c’è la spaccata tra due spezzoni di guglie, è una spaccata molto esposta, sarà salda la sicurezza di Bich? Lo è. Giungiamo al passaggio con la “Corda fissa” per aiutare gli alpinisti titubanti ma Bruno mi dice di non usarla, con prudenza ci si passa accanto senza eccessive difficoltà. Si procede, ora su terreno ricco di appigli senza bisogno di sicurezze. Siamo quasi in prossimità della “Scala di Corda”, la dove la mole del Cervino ci sovrasta arcuandosi. Ecco che la “ Scala di corda” pende sopra di noi. Do una voce alla mia guida, invitandolo a guardare alla nostra sinistra. Ci fermiamo. Sono uno spettacolo i coniugi austriaci che, disdegnando la “Scala di Corda”, arrampicano in diretta, senza assicurazione, con precisi movimenti di braccia e gambe, malgrado l’assoluta perpendicolarità della posizione. In tal modo ci superano rapidamente. Bruno commenta: “L’esperienza di anni di arrampicate insieme.”. Poi lo assicuro mentre sale la scala; per me, quando viene il mio momento sembra la biscaglina di una nave e in un attimo gli sono accanto, mi guarda sorpreso. “Non mi era mai successo!” “Sono un marinaio!” Proseguiamo calpestando agevolmente le ultime asperità, lo stretto corridoio, quasi un sentiero che porta alla “Gran Croce” della vetta. Lo spettacolo, tutte le Alpi intorno a noi, abissi aridi, altri imbiancati di neve. Sulla pianura italiana sempre un po’ di bruma, dirimpetto a noi la luccicante distesa innevata del Lyskamm che troneggia sulle Alpi svizzere.

La discesa sempre incordati. Io primo e Bruno di dietro che mantiene la corsa sempre tesa e mi da, di tanto in tanto, informazioni sul terreno da seguire. Scendendo c’è la tendenza di aumentare la velocità ma è sempre Bich che mi modera. A metà strada, all’altezza delle guglie c’è la spaccata, il passaggio è occupato dalla cordata napoletane che cerca di districarsi con quella lunga corda e le ampie distanze tra l’uno e l’altro. Stanno parlando tra loro di rinunciare. La mia guida gli prega di addossarsi alle pareti per consentirci il passaggio, acconsentono e noi si procede. Alla capanna “Duchessa d’Aosta” c’è l’alpinista triestino che ci attende, si scusa ancora, non gli era mai capitato, S’inserisce nella nostra cordata ed ora Bruno Bich fa sicurezza a me in testa e al triestino in mezzo. Ovviamente diminuisce la nostra velocità. Mentre ci avviciniamo al “Camino” udiamo provenire dal basso colorite bestemmie ed imprecazioni. E difatti, proprio di bel nuovo compare una comitiva composta da due giovani seminaristi e guida, le urla provengono da questo che usa le maniere forti per convincerli a superare l’ostacolo. Non risparmia loro forti strappi con la corda fintantoché riesce ad estrarli dal “camino”. E’ ora la volta nostra, come si comporterà il nostro ospite? Scende tranquillo e con la giusta tecnica. Giungiamo velocemente al Colle Sud. Più avanti, sotto la zona di caduta delle pietre, è l’ora più calda del pomeriggio, addossati sotto una rientranza della parete due altri alpinisti, uno di essi si sta bendando una mano colpita da un sasso. Sono già sconfortati, ritorneranno a valle, insieme a Bruno Bich ed il triestino. Io mi sciolgo dalla cordata e prendo la via, attraverso i prati, verso il Plan Maison. Mi corrono incontro le amichette dell’albergo, tutte festanti. “Come è andata, come è andata?” Ed io, tutto modesto: “Non più che una faticosa camminata.!”