Un inquietante incontro

di

Neumann Antonio




Circa metà dicembre del 1944. Stazione Ferroviaria di Canale d'Isonzo sulla linea da Gorizia a Klagenfurth. I miei compiti consistono nell'uscire ogni mattina con la pattuglia che sorveglia le condizioni dei binari lungo la tratta da Canale d'Isonzo a Salona. E' una gran brutta tratta, un mese fa vi è stata un'imboscata partigiana e tutta la pattuglia è stata investita da raffiche provenienti dal costone accanto, sono sopravvissuti soltanto due ex militi confinari aggregati al nostro battaglione i quali, hanno pensato bene di ruzzolare giù per la scarpata alla loro sinistra. Da quel giorno a monte, una cinquantina di metri sopra alla ferrovia, è stato tracciato, tra gli alberi, un sentiero sul quale due componenti della pattuglia seguono dall'alto e proteggono il resto del pattuglione. Ed io, spostato dalla pianura friulana, da Cormons e da Ponte Iudrio, a quei monti cupi, e quindi ultimo rincalzo alla Stazione, vengo adibito al percorso sul sentiero lungo ed insidioso. Non che mi spiaccia, mi sento più sicuro che non quando mi trovo intruppato.

E poi, a Fiume, nelle domeniche tra un'estate e l'altra, ci si andava sempre per boschi e monti, ragazzi e ragazze, intonando le nostre canzoni di sempre che parlavano di alpini, della "demoghela", delle "mule di Parenzo" e tanti altri canti popolari. Specie dopo aver sostato, al ritorno, nelle trattorie, per un goto di vino o di grappa. Fu perciò che quella mattina di dicembre, quando fui destato per uscire di pattuglia e mi si informò che fuori nevicava e soffiava la bora, fui quasi felice per l'opportunità di vedere quei posti innevati e di lottare ancora con il freddo vento.

Ma uscito dalla mia camera, mi resi conto, nello stretto corridoio che dava sulla porta d'ingresso alla stazione, che il mio entusiasmo non era condiviso dal resto dei ragazzi e, meno ancora, dal capo pattuglia, un sergente maggiore sardo della confinaria, comandante del caposaldo, che bestemmiava per dover uscire in quelle condizioni di tempo e, più ancora, perché, durante la notte, i partigiani avevano interrotto la tratta. Si erano infatti udite due esplosioni nel corso della notte. Giudicava quindi del tutto inutile andare ad esaminare i cocci sotto alla neve. Noi poveri soldatini, rimanevamo li, nello stretto corridoio in attesa d'una qualche sua decisione. Noi si poteva, ed ovviamente, solamente ubbidire. Ad un certo punto il vocio confuso fu interrotto dal rumore degli stivali del ufficiale tedesco di collegamento che scendeva dal suo alloggio al piano superiore tutto intabarrato nel suo caldo cappotto e con una sciarpa avvolta intorno al collo.

Era la prima volta che accadeva ma evidentemente era stato destato dagli improperi del sottufficiale, e tutto dava da supporre che era intenzionato a guidare lui la pattuglia neve o non neve. Ne seguì un vivace battibecco tra i due ed infine il tedesco spalancò l'uscio e se ne uscì tutto solo. Era un capitano anziano, un altoatesino e si diresse con passo deciso ,versi i binari per Salona. Non so cosa mi prese, ma vedere quel uomo tutto solo in quel turbinio bianco di vento e neve osare cacciarsi da solo in quel modo in zone che pullulavano di partigiani mosse qualcosa dentro di me, un senso di vergogna per noi che per la volontà ottusa del comandante del caposaldo, il quale più volte aveva apertamente rivelato di trovarsi lì unicamente perché venuto a rintanarsi lontano dalla sua isola e di essere ugualmente deciso a ritornarci, mi feci largo tra i ragazzi e uscii a mia volta ponendomi a camminare alle spalle del capitano tedesco, godetti immediatamente nel sentire sulle guance i freddi fiocchi e, alle spalle, la spinta del vento.

Imboccai al solito la carrareccia a monte che poi mi avrebbe portato a passare accanto ad un gruppo di case contadine quasi appoggiate al costone, dopo le case iniziava il sentiero parallelo alla ferrovia. L'ufficiale tedesco si voltò a guardare chi lo seguiva e mi vide proprio quando iniziai a salire l'erta. Si soffermò un attimo e guardammo insieme cosa succedeva all'uscita dalla stazione. Il gruppo costituente il pattuglione era uscito all'aperto ma se ne stavano ancora fermi discutendo tra loro sul da farsi, Io e il tedesco proseguimmo per le nostre strade che ora divergevano, lui proseguendo lungo i binari, io dirigendomi verso i casolari che erano circondati da un gruppo di alberi fronzuti superstiti.

Ero a circa una decina di metri dalla prima casa quando vidi il volto di una donna affacciarsi ad una finestra per poi scomparire subito con un'aria che anche a quella distanza, mi sembrò come spaventata. La cosa mi insospettii, rallentai perciò il passo, mi sfilai il moschetto dalla spalla mettendolo in posizione di prontezza all'uso ed infilando nella canna un proiettile.

A lenti passi raggiunsi l'angolo della abitazione e, appena superatolo, vidi due uomini, incappucciati nella bufera di neve che si inerpicavano in alto, su un sentierucolo di rovi schiacciati appena tracciato, ad una ventina di metri dalla mia posizione, si riparavano dal vento con delle mantelline sotto alle quali era facile scorgere la sagoma di canne d'una qualche arma. Ci fermammo di colpo, loro a guardarmi dall'alto, io a osservarli dal basso con il moschetto pronto tra le braccia. Forse saranno passati pochi secondi o qualche minuto, io sconcertato dall'inatteso incontro, loro sbigottiti dalla mia apparizione.

Io, in un certo senso ero in vantaggio con l'arma, essi avrebbero dovuto sfilarsi le mantelline per liberare le loro. Sotto alle mantelline grigioverdi indossavano pesanti pantaloni di velluto, avevano certamente trascorso la notte in qualcuna delle case, potevano essere qualsiasi persona, forse gli stessi che durante la notte avevano fatto saltare i binari o forse solamente cacciatori o boscaioli ed i rigonfiamenti sotto alle mantelline essere i manici delle asce.

Alle mie spalle incombevano le case cupe e silenziose. Quasi istintivamente allungai un piede verso il mio sentiero che proprio in quel punto usciva allo scoperto,senza perdere di vista i due sconosciuti, Avanzai di un passo e quelli, con i volti girati sempre verso di me, accennarono a risalire tra i rovi. Feci altri due o tre passi ed essi fecero altrettanto senza smettere di fissarmi. Le loro erano decisamente le zampate dei montanari ora che avevano preso ad arrampicarsi di lena sul costone. Io imboccai con passo lento il sentiero tracciato a fianco della ferrovia, senza perderli di vista fintantoché non li vidi scomparire tra gli alti arbusti più in alto.

Mi decisi a guardare in giù, verso i binari e scorsi l'ufficiale tedesco seguito a qualche distanza, dalla riluttante pattuglia. Oggi, a distanza di tempo, mi chiedo ancora chi fossero e rivedo nella memoria quel volto di donna dietro alla finestra e allo spavento dipinto sul suo volto. Se non per altro, quella volta non ci furono sparatorie, non ci furono violenze o devastazioni. Fu una mattinata come tante, nella vallata di Canale d'Isonzo.