A Gorizia giugno 1944

di

Neumann Antonio




Il Periodo di addestramento.

A Gorizia giugno 1944. Nella 2° Compagnia del XIV Battaglione Italiano da Fortezza alloggiata in due cameroni dell’ Ex Caserma del 9° Alpini, alle spalle della Stazione Ferroviaria Centrale della città. Siamo “burbe”, Al pianoterra, nel camerone rivolto verso il largo piazzale siamo sistemati tutti i fiumani, tra noi un ragazzo di Villa del Nevoso, ; l’altro camerone che guarda verso l’Isonzo, è occupato per la maggioranza dai triestini e qualche altro giuliano. I cameroni sono collegati da una’ ampia porta senza battenti. In essi sono sistemati i letti a castelli in legno, qualche giorno più tardi ci accorgeremo che questi castelli ospitano centinaia se non migliaia di cimici per cui dovremo impiegare una giornata, i più grandi pentoloni della cucina e acqua bollente in quantità per venirne a capo.

indossiamo la divisa della fanteria, pantaloni, camicia e giubbotto in grigioverde. Sulle mostrine portiamo il gladio, La bustina e il casco sono anch’essi ovviamente grigioverdi. Siamo, insomma, i tipici fantaccini. La sveglia è alle sei, sono i sottufficiali tedeschi che con dei sonorii “Augstend” ci traggono dai giacigli e ci obbligano a precipitarsi ad un lato del piazzale dove c’è un lungo lavatoio per le nostre precarie abluzioni. Poi la prima adunata,con la rivista in fila per consentire ai sottufficiali di esaminare il nostro stato di vestizione. Il punto più difficile, almeno per me, è costituito dalle fasce avvoltolate intorno alle mie magre caviglie. Fasce che debbono partire dal collo esterno dello scarpone per collegarsi alla parta inferiore del pantalone alla zuava. Dopo i primi passi le fasce si sfilano dallo scarpone non sorrette dalle esili caviglie, urla del sergente che si china per rimediare lui la situazione, dopo un po’ desiste e mi ordina di avvoltolarle direttamente sul piede. Altra complicazione quando dalla sommità dello scarpone, ora libero, fanno capolino le estremità delle pezze da piedi, altre urla.

Per i primi quindici giorni siamo tutti consegnati in caserma e spendiamo il nostro tempo per diventare il più possibilmente marziali. Per noi che proveniamo quasi tutti dai balilla, dagli avanguardisti, sono bazzecole, diventa noioso quando ci fanno disporre in tanti cerchi con un sottufficiale al centro e noi dobbiamo passarci e ripassarci davanti rivolgendogli il saluto con la mano piatta all’altezza della bustina. Iniziano le prime punizioni con le corse intorno alle estremità del piazzale dieci, venti o più giri di corsa secondo l’infrazione. La terza notte accade. Siamo destati da un’enorme esplosione che fa tremare i vetri delle finestre. Saltiamo giù dai castelli così come ci troviamo, giungono semivestiti i sottufficiali che riportano la calma. Qualche altro appare già vestito: vado in città a vedere cosa è successo. Di noi truppa, la maggioranza si rimette a letto. Ci si sveglia di bel nuovo quando dal corridoio arrivano voci e animati commenti. C’è anche il comandante della compagnia, il tenente Pedrazzini.di Milano. A mozziconi di frasi apprendiamo che è stato fatto saltare, nel giardino principale di Gorizia il monumento ai caduti della prima guerra mondiale. Sembra che, li vicino ci sia una caserma di domobrani, la milizia slovena. I sottufficiali tedeschi e italiani, tra noi ci sono anche militi confinari sardi rimasti bloccati lontano dall’ isola e che insistono per la loro divisa con il capello da alpino e la camicia nera, rimangono a lungo nel corridoio a discuterne. In mattinata le discussioni e l’ira si accendono. Si vocifera che siano stati proprio i domobrani a fare saltare quel monumento che era sacro per i goriziani e per gli italiani. In effetti non si saprà mai chi sia stato, c’è chi dice siano stati i partigiani, chi addirittura i tedeschi. Permane l’agitazione, per tutta la mattinata sul piazzale della caserma si formano gruppi di esagitati, non si parla di esercitazioni.

Poi s’inizia a parlare di una manifestazione patriottica della popolazione goriziana nel pomeriggio. Ad un certo punto ci fanno riunire tutti inquadrati e ci viene comunicato che verrà formato un drappello di trenta fanti che alle 16 si recherà a rendere gli onori di fronte ai resti del monumento. Siamo in tanti ad offrirci di farne parte, cosicché i sottufficiali effettuano una cernita, io vi vengo incluso, Usciremo armati di moschetto ma senza munizioni. In aria c’è tanto astio verso i domobrani. Quando giunge il momento sono gli stessi sottufficiali che ci passano sotto banco i proiettili. Ci inquadriamo di fronte all’uscita dalla caserma quando compare il comandante con due marescialli a frugarci le giberne e le tasche. Saltano fuori i proiettili, dobbiamo riportarli indietro sciogliendo le righe. Lo facciamo ma, ma, sempre su suggerimento dei superiori, infiliamo nelle giberne le bombe a mano Balilla. L’intento è quello di andare all’assalto della caserma dei domobrani. Sfiliamo per il corso, noi “burbe” freschi di leva sfiliamo impettiti ma non troppo truculenti per il corso ed ecco le bianche rovine sparse sui verdi prati del giardino ed ecco, ad un angolo vicino, il nostro obiettivo, la caserma degli slavi, soltanto c’è un inconveniente, l’edificio, con le finestre sbarrate, è circondato dai carri armati tedeschi. Dobbiamo scendere a più miti consigli. E ci disponiamo, inquadrati, per un “presentaaat arm” davanti ai ruderi, “presentataaat arm” accolto da un coro di battimani, di applausi e di grida di “Viva l’Italia” “Viva Gorizia Italiana”. Gli è che ci hanno raggiunto le prime file della manifestazione patriottica del popolo goriziano. Ci sono anziani ma ci sono anche molti giovani e ragazze che si infilano nella nostra formazione, anche se un po’ scompaginata, ci viene ordinato un altra presentazione delle armi in onore ai caduti, poi veniamo letteralmente assaliti da quella che è diventata una folla, ci tirano di qua, ci tirano di là, ci pongono addosso delle coccarde tricolori e ci ritroviamo a far parte della manifestazione colti dal medesimo entusiasmo e commozione del momento.

Nei giorni seguenti continuiamo le nostre esercitazioni dentro alla caserma, impariamo a smontare i moschetti, le mitragliatrici Fiat e quelle Breda, i fuciloni Mauser dei tedeschi, giungiamo poi a scomporre il cannoncino d’accompagnamento 35/47 se ben ricordo, anticarro e tiri a distanza. Si arriva, bene o male alla fine dei quindici giorni e alla prima uscita. Ci aggiriamo al centro della città quasi spaventati dalla gente, dai negozi, dalle auto, ci si precipita nelle osterie, nei ristoranti per sfuggire finalmente alle brodaglie della nostra mensa. E l’ addestramento lo svolgiamo nella piazza d’armi, al di fuori dalla caserma, in un vasto spazio che arriva fino alla sponda dell’Isonzo. A giugno, e fa caldo, spesso fingiamo azioni di guerra sul greto ghiaioso accanto al fiume, su di esso crescono degli arbusti che si prestano bene per fungere le imboscate tra un gruppo e l’altro, usiamo dei proiettili di legno che si dissolvono a breve distanza. Servono per rendere più realistica l’azione di guerra. Mi accade di guidare una pattuglia che compie una manovra di finto accerchiamento del gruppo nemico, improvvisamente mi compare il bel sederone di un, mio amicone fiumano, steso dietro a un cespuglio ignaro che gli siamo alle spalle, è proprio un bel sedere rotondo, non riesco a resistere all’impulso e gli pianto un innocuo proiettile sulle sue parti molle, un urlo e lui che si dimena. Non ho pensato al fatto che la distanza non era molta e quando gli togliamo i pantaloni scorgiamo un segno rossastro su una chiappa. Non si arrabbia con me, mi bacia sulla guancia, mi ringrazia anzi. Chiede l’autoambulanza e si fa portare all’ospedale. Girerà un tre mesi tra un ospedale e l’altro e poi verrà congedato. Dopo qualche giorno ci viene concesso di fare il bagno rinfrescante nell’Isonzo al termine delle esercitazioni. E sempre nell’Isonzo ci viene giocato un bel tiro mancino dai nostri superiori. Un mattino, appena giunti sul greto del fiume, ci viene ordinato di spogliarci, rimanendo con le sole mutandine da bagno e ci viene spiegato che per quel giorno faremo i pescatori, nel senso che noi ci disporremo a catena, da una sponda all’altra dell’Isonzo mentre a monte, i sottufficiali lanceranno, facendole esplodere delle bombe a mano nell’alveo del corso d’acqua. A tutto prima è un bel giuoco, agguantiamo a mano un bel po’ di pesci di fiume stando immersi fino al ventre in acqua, le mani per passare poi di mano in mano il pescato a terra. Ma l’’acqua è ben fredda, a monte si divertono con le bombe a mano, noi, dopo un po’, ci ritroviamo con i brividi. Per giunta, quel pesce, i cucinieri ce lo rifilano ai pasti per un tre, quattro giorni di fila, sempre lo stesso pesce cosicché quando il divertimento ci viene riproposto, lo rifiutiamo. Giunge il giorno del Giuramento alla Repubblica che prestiamo nelle mani della Medaglia d’’Oro al Valor Militare Generale D’Esposito, Al termine della cerimonia, gran pranzo nella caserma, ospite il Generale ed altre autorità, al termine grande euforia e canti nostrani. All’indomani conosceremo le nostre destinazioni alle zone operative.