Italiani brava gente

di

Neumann Antonio




Cari tutti, in questi ultimi tempi si allarga il numero di quanti asseriscono che italiani e yugoslavi furono pari in nefandezze e atrocità. Tali asserzioni mi infastidiscono in modo particolare in quanto non solo non ebbi mai, io repubblichino di Salò, ad assistere ad episodi di violenza, ma, al perfetto contrario, trovai esempi di civiltà anche tra i montanari della Slovenia. Qualche episodio, in un mattino soleggiato del mese di dicembre del 1944 mi trovo intruppato in due plotoni della mia compagnia, la Seconda del XIV° Battaglione Italiano da Fortezza, unità di fanteria con l'inserimento di alcuni militi confinari in camicia nera, trovatisi dispersi dopo l'otto di settembre. Eravamo in marcia, diretti verso un piccolo vilaggio collocato sul fianco di una piccola collina sulla sponda destra dell'Isonzo, a forse un cinque chilometri dalle nostre postazioni a Canale d'Isonzo. Non ho mai saputo il perché dell'azione. In testa vi era il comandante della compagnia, tenente Pedrazzini, attorniato da un due marescialli piuttosto anziani della sussistenza. Immagino che si andava ad indagare per il pranzo dell'imminente Natale. I due pingui sottufficiali soffiavano dietro al passo rapido del tenente, mentre noi si procedeva tranquilli per la distrazione offertaci.
Ancora prima di giungere al villaggio si levò, sul cielo azzurro, il consueto scampanio dalla piccola chiesa, per avvisare quanti uomini abili si trovassero in casa, dell'arrivo di un gruppo di armati. In modo che essi potessero allontanarsi per tempo dalle abitazioni o infilarsi in rifugi o nascondigli riposti. Penetrammo nelle straducole, tra le poche casette intonacate, Sugli usci di queste, pochi bambini incuriositi e qualche donna anziana. Una di queste ci interpellò: "Avete del tabacco per un vecchio?" Io ne avevo, ed anche dei sigari se è per questo. Glieli offrii, erano sigari toscani, quelli con la banda tricolore. Mi fece cenno di entrare in casa ed effettivamente, seduto su una seggiola, accanto alla tavola della cucina vi era un vecchietto canuto e rinsecchito che accettò, con mani tremanti, il mio dono. Sul tavolo faceva mostra di se una bella, rotonda polenta, che io adocchiai forse troppo intensamente. La donna se ne accorse, mi indusse a sedere e tirando fuori da una madia posate ed un piatto, me ne tagliò una bella fetta. Dopo la marcia mi ci voleva proprio. Dopo un po' entrò in casa una ragazzina che comunicò all'anziana che noi si era lì per acquistare un vitello. Loro però erano solo poveri contadini e non avevano bestie. Prima avevano un asino ma i tedeschi ghielo avevano portato via. Mentre si chiacchierava, un caporale sardo dei militi confinari mi interpellò bruscamente dall'uscio, ci fu un battibecco, non dovevo trovarmi lì. Terminai di divorare con calma la fetta di polenta, Estrassi dal tascapane tutte le sigarette che avevo e le diedi al vecchio. Le donne mi ringraziarono mentre uscivo sulla straducola per riunirmi al plotone.

Un altro episodio. Una buia notte ancora di dicembre. Sono alla stazione di Canale, insieme ad un altro ragazzo. Ci sveglia piuttosto rudemente un sottufficiale, Si esce per un'azione, "moschetto e munizioni. Non dimenticate l'elmetto". E va bene, cosa mai sarà accaduto ?." Ci ritroviamo, tutto il platone al completo, sullo spiazzo davanti all'edificio. C'è anche il comandante della compagnia. Fa un freddo cane e noi abbiamo solo i nostri striminziti giacchetti grigioverde. Ci si incammina sulla ferrovia verso sud, verso Salona, io ed un altro commilitone ci avviamo, come di consueto, a seguire da mezza via sul costone il folto del gruppo che prosegue, distaccato, lungo la tratta ferroviaria. Poco tempo prima, proprio su quella tratta, un plotone fu annientato in un'imboscata dei partigiani. Da quell'esperienza l'istituzione di due esploratori che dall'alto coprono i compagni che seguono le rotaie. In fila, a distanza uno dall'altro per non prestare un campo troppo ristretto al fuoco di eventuali nemici. Sempre nel buio si giunge a Salona con l'imponente massa del cementificio. Ci uniamo al nostro plotone, in attesa un gruppo di domobrani, la milizia civica slovena, alleata ai tedeschi, che fa guarnigione proprio a Salona. Ed insieme si procede verso Plava dove sembra che, nella notte, per il tradimento di un tenente sardo del nostro battaglione, siano penetrati di sorpresa i partigiani che hanno ucciso un sottufficiale tedesco in funzione di osservatore e fatti prigionieri i fanti della ridotta tranne una postazione di ragazzi fiumani che hanno minacciato i partigiani di aprire il fuoco se si fossero loro avvicinati.. Plava si trova sull'altra sponda dell'Isonzo e dalla ferrovia la si raggiunge attraverso un stretto ponte pedonale in ferro sul fiume. Proprio accanto all'inizio del piccolo ponte vi è una buia casona isolata accanto alla quale ci viene ordinato di sostare, mentre gli ufficiali, con qualche sottufficiale, attraversano il ponte per raggiungere il Municipio dove sono attesi dal Sindaco. I partigiani vi sono penetrati mettendo a sossopra e bruciando qualche documento.

Noi, truppa, rimaniamo li, fermi. Come durante la marcia di avvicinamento noi siamo allineati sul lato sinistro della carreggiata, i domobrani su quello destro. Fa sempre freddo, dall'Isonzo sale una nebbiolina umida. D'un tratto, delle luci si accendono nella casona e dopo un pò si apre lo spesso portone di legno di ingresso con le ante spinte da una bella ragazzona bionda la quale rientra in casa chiudendosi alle spalle due porte vetrate che consentono la vista dell'interno. Io e qualche altro sbirciamo dento. Caspita, si tratta proprio di una specie di bar, c'è un bancone dietro al quale ora la ragazzona s'affaccenda china per accendere un distributore di caffè. Ci sono dei tavoli, delle seggiole. Intanto il tempo passa, Il freddo aumenta con i primi albori della giornata. Io ho fame, accidenti, gli altri pure, penso, Mi faccio coraggio, busso sul vetro della porta, lei mi fa segno di entrare. Entro, mica mi mangerà. Mi siedo ad uno dei tavoli più vicino al bancone, quasi accanto al distributore di caffè dal quale mi giunge un po' di calore. Ed ecco che arriva posando sul tavolo una tazza di caffelatte bello fumante e un piatto di cialde, le avrà preparata nella cucina di casa. Ora sono lì, non me ne ero accorto, su un ripiano alle sue spalle. Di fuori i miei commilitoni sono tutti intorno ai vetri della porta, poi uno ci si prova ad entrare, si siede accanto a me guardando la ragazza che sempre seria giunge quasi subito recando anche a lui caffè e cialde. In un attimo tutto il plotone e lì dentro, affollando i tavoli. E lei, la ragazzona bionda a servire tutti, con il bel volto accigliato. C'è chi accenna a qualche motto scherzoso nei suoi riguardi ma lei conserva intatta la sua faccia seria e serena.

Ma ecco che ora, ad entrare, è un domobrano che, con aria esitante, si appoggia al bancone ed interpella in sloveno la donna. Questa reagisce in modo impetuoso vociando contro, per quello che catturo nel mio assai modesto croato: "Mesta! Cesta! Cote anca, cote ANCA, traini ...... , poi visto che anche altri suoi compagni stanno entrando nel locale, spinge quello al bancone e poi tutti gli altri fuori dal locale. Noi si rimane immobili. Ma quella deve essere abituati ai montanari, non ha voluto alcun aiuto da noi, bella e robusta li ha cacciati tutti fuori, urlando sempre e chiudendo fragorosamente la porta a vetri. Ritorna dietro al bancone tutta arrossata sul volto ritornato serio ed i capelli scompigliati. Accoglie con gentilezza le nostre lire sussurrando l'importo. Riusciamo tutti all'aperto, sta facendosi giorno, al rientro a Canale ci chiediamo il perché di quella furia selvaggia contro coloro che erano sloveni come lei.

Ancora, sempre a Canale d'Isonzo. Mi informo in paese per una donna che lavi i miei panni, a pagamento ovviamente. Mi indirizzano ad una donna un po' attempata al centro del paese, mi accoglie con gentilezza mentre le espongo i miei problemi. Acconsente e da quel giorno si prende cura delle mia biancheria . Ne vengono a conoscenza alcuni dei miei commilitoni che mi chiedono di poter ottenere dalla lavandaia la sua opera. Ma quando le trasmetto i desideri dei miei amici mi risponde che lo faceva solo per me, Non volle dirmi di più o dei perché. Pensai allora ad un casuale quanto imprevedibile incontro precedente tra me e due partigiani di Canale, incontro che si era risolto in un imbarazzante impiccio del quale ne uscimmo tutti in maniera poco dignitosa ma che forse era stato apprezzato dai paesani. Concludendo: io, da tutte le mie personali esperienze, dai miei contatti con i miei simili in 84 anni di vita, ad iniziare dalla mia levatrice, a proseguire dai miei compagni di scuola, dai miei commilitoni, dai miei subordinati in mare, dai soci di quindici anni di direzione di un club nautico, di contatti con le autorità portuali e non so più cos'altro, debbo affermare che gli italiani sono brava gente e che è da ignoranti il solo paragonare quel popolo alle nefandezze, alle atrocità di popoli nostri vicini. Ho vissuto per qualche tempo a Elsane ed a Clana, senza vedere case bruciate, senza sentire parlare di sopraffazioni fasciste. Ce ne saranno state in qualche occasione, per reazione ad atti di barbarie così come oggi si reagisce agli stupri, alle vili aggressioni di criminali romeni, ma chi lo consente loro, i governanti italiani, le autorità bonarie, gli italiani brava gente.