Da Pointe Noire a Parigi

di

Neumann Antonio




L'areoporto di Point Noire, nel Congo, consiste, a quell'epoca, in quattro pali piantati nella terra rossa della pista. Sopra ai pali una piastra di eternit a far da tetto. Vicino a questa specie di costruzione un piccolo aereo a 6 posti. In attesa che accada qualcosa io, l'ingegnere della "Carboflotta" e un imprenditore italiano di una birreria in preda ad un attacco di malaria, Ci è stato affidato dal infermiere di un qualche ospedale subito scomparso con una sgangherata autoambulanza. Il poveretto ha sognato per anni un viaggio in Italia e propria ora la malaria, all'inizio del viaggio. Ma ecco che arriva il nostro pilota, Si tratta un un negro grosso pianciuto, in divisa e un gran beretto con visiera in capo, simpatico però anche se a vederlo così conciato sembra un generale di un qualunque staterello locale più che un pilota di aerei. Ci stringe amabilmente le mani e ci invita a prendere posto nell'arereo. Dapprima sistemiamo l'ammalato il più comodamente possibile, poi, accatastati nel corridoio tra i sedili, le voluminose valigie dell'imprenditore e la mia sacca da marinaio. Vediamo che il pilota, grazie a dio, si sbarazza del copricapo riponendolo accanto a se, e poi si siede pesantemente al posto di guida iniziando a maneggiare con i comandi. Io e l'ingegnere ci guardiamo, riuscirà mai a sollevarsi l'aereo? Saprà condurre il veivolo quel vistoso omaccione, fino a Brazzaville, la capitale del Congo?. Per intanto avvia il motore con molta dolcezza e poi inizia il rullaggio sulla terra rossa della pista e quindi effettua un placido decollo, senza scosse sul terreno, infine si è in volo, un volo senza scosse ne vibrazioni. Ci sa fare quel negro. Effettuerà altri due scali con sicurezza, accogliendo altri tre cienciosi passeggeri nativi che passeggiano con naturalezza, con i piedi nudi, sopra i nostri bagagli per infilarsi poi nei sedili rimasti. E con uguale naturalezza e delicatezza atterra sull'aereoporto di Brazzaville, tra i grossi aerei di linea. E' un aereoporto modello, con larghe sale d'aspetto, bar e ristoranti, tavolini e seggiole all'aperto riparati da colorati tendoni. Viaggiatori europei, qualche bella donna, bianche e nere, tutti con modi eleganti ed abiti di grido. Un ambiente inaspettato, in una regione africana nota per le intemperanze dei suoi governatori.

Un incontro improvvisato tra il mio compagno di viaggio e un suo collega che ozia ad un tavolino. Sono compagni di corso all'Accademia Navale di Livorno, parlano fitto tra loro. Hanno lasciato la Marina per carriere più gratificanti, I compagni di corso di quella istituzione rimangono per sempre in collegamente tra loro, si aiutano tra loro, distribuiscono impieghi a quelli in momentanei imbarazzo economici, formano insomma una piccola casta. Annunciano il nostro volo con scalo a N'Diamena, capitale del Ciad e poi arrivo al De Gaulle di Parigi. Siamo in pochi passeggeri, ci prendiano ancora cura del nostro amico con la malaria, lo affidiamo alle hostesses più idonee di noi a seguire le sue esigenze. E' certo un aereo ben differente da quello preso a Pointe Noire. Scorriamo i giornali recenti nelle comode poltrone tra una bibita e l'altra. Si arriva verso l'imbrunire a N'Diamena, Molto movimento. Un nutrito quanto rumoroso gruppo di parà mercenari tedeschi circondati da venditori nativi che smerciano le consuete cianfrusaglie. Durante il rifornimento dell'aereo ci indirizziamo verso l'edificio della stazione aereoportuale, non è imponente come quello di Brazzaville ed ha tanto l'aspetto esterno che interno trascurato e fatiscenti, cartacce e cartocci a terra nella sala d'aspetto, deludente anche il bar dove ci informano che hanno il frigorifero guasto e quindi niente bibite rinfrescanti. La temperatura è particolarmente elevata, ci allontaniamo, io e l'ingegnere, decisamente giù di corda. Ci riavviciniamo al nostro aereo, stanno staccando le manichette del rifornimento e i infatti, dalla scaletta di salita s'affaccia una hostess che ci invita a risalire. Ci sediamo nuovamente ai nostri posti non senza assicurarci delle condizioni di quello che possiamo ormai chiamare nostro paziente. E' più vivace, la febbre gli è scesa, ci informa una delle hostesses. Che poi si precipità velocemente verso l'ingresso al velivolo e si pone a frenare l'impeto dei parà tedeschi che tentano di entrare agitando per aria lance, corazze, mazzi di frecce, teste in nero ebano ed altri souvenir, sono in stato di esaltazione mentre prendono posto pesantemente sui sedili. Indossano leggere divise cachi e bustine col frontino che mi rammentano tanto quelle della Wermacht hitleriana. Anche il Ciad è irrequieto, da li a poco vi sarà l'intervento di truppe francesi per sedare i disordini. Nel frattempo ci dobbiamo sorbire le interperanze, quartiere dei mercenari quando chiedono agli stewards le birre, mentre questi cercano di informarli che anche sull'aereo il frigorifero è guasto per cui niente bibite od alcolici. Continuano a strillare anche quando l'aereo decolla. Interviene un qualche anziano del gruppo con dei gradi sulle spalline fintantoché si calmano. Dopo un'ora di volo sono tutti addormentati, quei ragazzoni biondi ed abbronzati che magarii avranno fatto fuori chissà quanti nativi, rivoltosi e, come accade in questi casi, civili innocenti. Si vola per tutta la notte e si giunge a Parigi all'alba. Noi lasciamo subito l'aereo prima che quegli energumeni abbiano a sommergerci. All'arrivo a Roma, davanti alla stazione Termini, mentre appoggio un attima la mia borsa per infilare la sacca di marinaio nel bagagliaio del taxi e allungare la mano per raccoglierla, questa è sparita. Ci avevo dentro solo il necessario per il viaggio di ritorno. Però il fatto mi fa ricordare che sono a Roma, a casa, a quei tempi, con la mia famigliola, si viveva in via Panaro, quartiere Trieste.