La stanza dei traduttori

di

Neumann Antonio




Ovvero, ricordi dalla "Voce del Popolo" di Fiume negli anni 1946-1947. Erano in tre, un Sirola giovane ma già stempiato che distribuiva il lavoro di traduzione a Nives, morettina minuta e tanto dolce e all'altra traduttrice un Po più in età, biondastra e occhialuta, sempre seria ed intenta nel lavoro. Erano tutt'e tre molto bravi. Noi, come correttori di bozze, io Neumann, Piccoli mio coetaneo, avevamo ben poco da correggere sui loro testi dalla stampa slava, tanto come grammatica che come stile di scrittura. Non cito il terzo correttore di bozze, un anziano ex ufficiale amministrativo del R.E. il quale, quando giungeva nello stanzino a noi riservato, poggiava la sua seggiola a parete ed iniziava ben presto un sonnellino riposante che durava ininterrotto per tutta la nottata; per nostra fortuna non russava. Allora, ci si potrà chiedere, se i traduttori erano tanto bravi si da produrre traduzioni perfette, noi cosa ci stavamo a fare? Gli è che erano i linotipisti ad essere distratti sui tasti delle loro vecchie, fumanti linotypes. Si perché era la stessa linotype a fondere i piombi e ad emettere i vapori che poi si diffondeva per tutto il locale. Quale gratificazione per i nostri polmoni giungeva, ad un certo punto della notte il latte, il pane bianchissimo e soffice, la mortadella gustosa. Ho scritto 1946-1947 quando a Fiume si faceva ancora la fame.

Ma torno ai nostri traduttori. Il loro era un compito improbo, quello di tradurre gli estenuanti, lunghissimi discorsi dei capoccia di quel tempo, in ispecie il maresciallo Tito e l'attivo Kardelj. Spesso la prima pagina non era sufficiente e bisognava traboccare sulla seconda, senza contare le notizie politiche, sempre politiche, della Taniug, l'agenzia di informazioni titina che poi sarebbe stata come la nostra Ansa. Tra l'altro, io fungevo saltuariamente da corrispondente sportivo per la pallacanestro, l'atletica leggera e lo sci e quindi mi accadeva spesso di soffermarmi in redazione anche durante il giorno per discuterne con Tich e Mazzieri. La pallacanestro era particolarmente intrigante da seguire, ne ero dirigente ed arbitro e spesso gli atleti praticanti, non condividevano il tenore dei miei articoli sul giornale. Particolarmente difficili erano i rapporti con la Soldo, già azzurra della nazionale italiana, lesbica dichiarata ma a Fiume non ci si badava a queste cose, solo che nella sua attuale squadra sorgevano problemi per i suoi approcci e simpatie verso le compagne. Dicevo quindi che in redazione c'ero spesso ed ogni volta facevo una breve sosta nella stanza dei traduttori, per sbirciare cosa ci attendeva, a noi correttori di bozze, per la nottata. Una sbirciata oggi, una sbirciata domani, accadde che tra me e Nives si stabilisse un certo quale sentimento che oggi si chiamerebbe "feeling" tra me e la Nives. Fatto sta che prendemmo ad incontrarci al di fuori dell'ambiente giornalistico. Io la convinsi a praticare l'atletica leggera, rifiutò la pallacanestro, lei fece del suo meglio per introdurmi nella corale dei "Grafici", ad assistere a qualche riunione politica, era un attivista comunista e suo padre era un dirigente nel partito, giunse perfino a convincermi a preparare insieme, nella sua stanzetta a casa, manifesti inneggianti a Tito (non è che facessimo altro, cosa pensate?), mi trascinò perfino, in una bella domenica di sole estivo, a prestare lavoro volontario, con pala e piccone, su una nuova strada sopra Cantrida, una continuazione di via della Santa Entrata. Durai un'ora ma, ricoperto di un polverino appiccicaticci, tutto sudato, con il bel fresco mare al di sotto di noi e i bagni "Riviera" e "Savoia" a due passi, gettai via gli attrezzi e con gli occhi sbigottiti di Nives addosso, me la filai sveltamente verso il mare.

Povera, piccola Nives, cercava in tutti i modi di convincermi alle sue idee, ci si mise anche suo padre, era gran brava gente ma io ero ostinato, attaccato alla vita di mare, ai racconti di Jack London, di Jules Verne, di Emilio Salgari e, incidentalmente, all'Italia. Fui veramente addolorato il giorno che ebbi a comunicarle di aver compilato l'Atto di Opzione per la cittadinanza italiana, a vedere ancora una volta quel suo sguardo smarrito. Le avevo proposto di venire anche lei in Italia, con me, con la mia famiglia, non sarebbe rimasta sola durante il mio navigare. Lei era ostinatamente legata al mito del comunismo, anche noi rimanemmo coinvolti nelle tante situazioni che si verificarono a Fiume, anche tra marito e moglie, tra figli e genitori. Si, accadde anche questo, in quei duri anni del dopoguerra. E rivedo pensoso, i suoi occhi felici che si risollevavano ad incontrare i miei da una traduzione, ogni volta che entravo nella stanza dei traduttori.