Lo Strappo!

di

Neumann Antonio




18 Aprile 1948 - FIUME. Quel giorno io, mio padre e mia madre sostavamo sotto la terrazza di casa Spehar, in riva Cristoforo Colombo no. 6 (Riva dei Bodoli) insieme a tutti gli altri inquilini. Baci, abbracci, lacrime, tante lacrime. Ed io non mi sentivo nulla, ero come svuotato. Mi vergognavo di non provare nulla di fronte all'evidente commozione dei miei cari che alla loro età lasciavano la casa, la città nella quale avevano vissuto la loro vita, le amicizie, gli avvenimenti più cari. Il taxi che ci doveva portare a Gorizia intanto attendeva con le poche valigie già riposte nel vano portabagagli. Aiutai i miei a sistemarsi sui sedili posteriori e io mi posi davanti, accanto ad un taciturno autista. Proseguirono ancora un po le strette di mani attraverso i finestrini, gli scambi di fazzoletti ormai umidi ed infine la partenza lungo le vie ancora deserte di passanti. Ecco subito piazza Elena con il suo odiato arco ancora eretto a beffarmi, Viale delle Camicie Nere, con i lucidi binari del tram sul selciato e gli ombrosi alberi ai lati, ecco il caffè Budai ed i suoi punch alla menta, il bianco edificio dello Ospedale, il verde Giardino Pubblico, Viale Italia, le Caserme, la ROMSA, il Silurificio Withead, I Cantieri Navali con gli scali vuoti e poi Borgomarina con le ultime case di Fiume ed ora, di fronte, la sagoma del Monte Maggiore e tutte le cime, dal basso Lisina fino all'Alpe Grande, fino al rifugio Andreani, ora tutto mi ritornava insieme nella mente, il Rifugio Egisto Rossi con i suoi campetti di neve, le selve dell'Alpe Grande, la brulla vetta e la vecchia torretta in vetta al Monte Maggiore, gli amici, le comitive, le risate e le cantate insieme con il piano delle spesso legno del tavolone e le chiazze di rosso vino su di esso, il tintinnio dei bicchieri brindati, si, fu allora, in quel momento che a me dapprima mi fece sentire come un nodo alla gola e poi le lacrime infine, liberatorie, non vedrai più quei posti, non sarai più parte dei loro sentieri, era come un rimprovero il loro ed ancora un rimprovero fu la vista, sopra Preluca, del mare, del mio Quarnero, di Volosca, di Abbazia, di Ica, di Icici, di Laurana e laggìù. in fondo,, difficile da discernere, Valsantamarina, le vacanze estive, le prime veleggiate, la spiaggia di San Giovanni, Segnavaz, le salite a Moschiena, su, su per itanti gradini di mattoncini rossi sulla collina verde. Ora, più che un rimprovero era un richiamo, quel richiamo che è sempre rimasto dentro di me, inascoltato.
Il viaggio proseguì in silenzio verso Gorizia. L' autista lo rispettava guidando attento su strade che non conoscevo, vedevo passare soprattutto grandi, interminabili selve verdi ai lati, è tutto quello che ricordo, vasti boschi e il duro, arcigno profilo dell'autista taciturno al volante.. Poi, d' un tratto, l' orizzonte si allargò e fummo su una strada dritta e piana, una curva ed ecco che l' autista si alza quasi di scatto dal sedile, lascia per un attimo il volante ed irrompe in un grido: "ECCOLA LA NOSTRA BELLA BANDIERA, ECCO LA BANDIERA ITALIANA!". Avevamo davanti agli occhi il colle con il Castello di Gorizia su quale una enorme bandiera italiana sventolava nel cielo azzurissimo.