La mia piccola guerra

di

Neumann Antonio




Erano trascorsi pochi giorni dal mio trasferimento da Ponte Iudrio a Cormons al termine di un mio dissenso con il maresciallo tedesco di collegamento alla nostra unità sul ponte (mi ero rifiutato di partecipare all'abbattimento di una magnifica quercia la quale, secondo lui, ostruiva la visuale di tiro) quando, nella nuova destinazione, il capitano italiano in riserva (proveniva dagli amministrativi) che la comandava ci impose di ricavare delle difese a uomo nell'ampio spazio erboso posto dalla stazione ferroviaria che ospitava il nostro drappello e il vasto edificio della filanda,difese a uomo che consisteva nello scavo di una linea di buche nelle quali celarsi in caso di un improbabile attacco di truppe alleate sbarcate nel vicino Adriatico. Comunque a Cormons non ci si stava male. Si aveva a disposizione due locali adibiti a dormitorio ed uno più piccolo per la cucina da campo entro al quale si muoveva con insolita agilità una grossa cuoca pagata con le nostre tasche. Tra le altre cose, era diventato mio dovere accompagnarla al mattino a fare le spese giornaliere al mercato. Tornando alle nostre difese a uomo, si era giunti a livello di spalle  e quando la cosa accadde, un soleggiato mattino d' agosto, si stava raggiungendo, con le nostre piccole vanghe, il livello del prato. La scena avrebbe potuto essere anche idilliaca ove non fosse stato per una rumorosa, sbuffante vecchia locomotiva a vapore che spostava qua e la tra i binari, vagoni giunti in nottata. Mi trovavo nella buca quando, all' improvviso fui colpito dall'assordante rumore di un veivolo che sfrecciava a bassa quota sopra di noi sparacchiando con le mitragliatrici di bordo. Mi accovacciai il più possibile nella buca, agevolato in ciò dal peso del mio vicino di buca che, colto dal panico, s'era ricoverato precariamente nella mia mentre l'aereo eseguiva diverse puntate, per nostra fortuna realizzammo che suo obiettivo era la locomotiva che ben presto ebbe a fermarsi tutta bucherellata dai fori dei proiettili e con i sibili di bianchi vapori che fuoruscivano da essi. Alla fine di uno dei passaggi, mi scrollai di dosso l'ingombrante commilitone e, con una rapida corsa, mi infilai in un cunicolo costituito dal ponticello della straducola che portava alla filanda. Questa fu, in effetti la nostra prima azione che avesse a che fare con la guerra in corso. Ben altre ne seguirono.

Agosto 1944, ancora a Cormons, in Friuli. Prosegue la mia sosta alla postazione del XIV Battaglione Italiano Costiero da Fortezza con Comando a Salcano d' Isonzo. Terminata la costruzione delle difese a uomo che ora stanno scomparendo sotto l' alta erba del vasto prato che divide la stazione ferroviaria di Cormons dalla filanda, prosegue giornalmente, nelle prime ore del mattino, l' ispezione della tratta ferroviaria Cormons-Ponte Iudrio (il vecchio confine tra Italia ed Austria), s' alternano giorno e notte le guardie alla stazione dalle difese costruite con assicelle dei binari alle estremità della pensilina scoperta. Il tempo si mantiene sempre sul sereno, pochi gli eventi, un giorno, a notte fonda, sorgono dal nulla davanti alla mia postazione sulla pensilina due arnesi mal messi, si presentano come due operai di una ditta tedesca ed esibiscono due lasciapassare con l' aquila tedesca stampata e indecifrabili scritte. Li prendo per buoni, li informo che vige il coprifuoco e che, per loro, sarebbe più sano entrare nella sala d' aspetto e li attendere il il loro treno. Più tardi mi affaccio nella sala ma sono scomparsi. Un altra notte abbiamo a due passi da noi, nello scalo ferroviario, due vagoni carichi di munizioni in sosta. I tedeschi che li hanno scortato parlano di "slafen" e se ne vanno. Due nostri commilitoni saltano il turno di riposo notturno e si pongono accanto a guardia dei vagoni. Non è una notte facile, si teme un attacco partigiano. Si rimane sul chi vive. Passano due giorni a si ferma davanti a noi un convoglio di vagoni blindati pieni di prigioniere che, attraverso gli stretti portellini, a scorgere le nostre divise lanciano insulti in una lingua straniera e abili sputi. I militari tedeschi che scortano il treno ci invitano ad allontanarci. Noi si pensava di rifocillarne alcune. Il treno riparte con un sordo rumoreggiare di proteste. Rammento un pomeriggio che facciamo un incursione sul Collio con carretta e mulo alla ricerca di vino buono, per noi e il battaglione, assaggia di qua, assaggia di la al ritorno è un folle andare tipo western con il mulo che divenita veloce destriero e noi che ci aggrappiamo alle botti malamente sistemate. Il giorno seguente, in treno a Gorizia e poi a Salcano, al comando del battaglione, scambio delle botti di vino con un quarto di manzo, pacchi di spaghetti ed altri viveri per le postazioni di Cormons e Ponte Iudrio. Altra carretta, altro mulo, sosta in una trattoria per il pranzo e poi alla stazione diGorizia dove i miei commilitoni scaricano viveri e me ubriaco fradicio. Per sicurezza sistemano me a sedere in uno di quei grandi vasi con piante tanto cari, come addobbi nelle stazioni, agli austro-ungarici. Mi assopisco per essere poi bruscamente svegliato da forti botti. Scorgo vagamente la terra che si solleva al cielo da qualche parte non lontano da me, poi mi riaddormento, senza capire, tra i botti che continuano. Al loro rientro, i ragazzi si preoccupano delle mie condizioni e m informano che c'è stato un attacco aereo sul ponte della ferrovia senza esito e che qalche bomba è caduta negli immediati pressi della Stazione tanto che pensavano fosse stato quello l'obiettivo. Qualche altro giorno tranquillo e poi tutto cambia. Sono nella pattuglia che percorre la tratta tra Cormons e Ponte Iudrio. E' ancora notte ma già il cielo diventa bluastro quando davanti a noi scorgiano un' improvvisa vampata d'un blu acceso, come quello dei mortaretti, un attimo dopo percepiamo il rumore d'una esplosione lontana.. Affrettiamo il nostro passo e di li a poco ci corrono incontro, nella poca luce, delle ombre, sono gli sbigottiti nostri compagni di Ponte Iudrio. Ci informano con frasi smozzicate che è accaduta una disgrazia alla pattuglia sulla tratta da Ponte Yudrio - San Giovanni al Natisone. Ci sono morti e feriti. Loro non se la sentano di andare a vedere. Il nostro sergente sardo, Loi, ci dice, andiamo noi, lì avranno bisogno. E noi ci avviamo.

Proseguiamo rapidi verso San Giovanni al Natisone, attraversando il ponte sul Iudrio incontriamo altri nostri ragazzi del XIV°, altre ombre silenziose attonite nell'alba che si espande. Loi, che nel frattempo è riuscito ad ottenere due teli da tenda ci informa che la pattuglia Iudrio - San Giovanni al Natisone ha raccolto una mina posta dai partigiani lungo i binari della tratta, la miccia era esaurita e quindi fu ritenuta ormai innocua ed affidata a Faldich, fiumano per poi, al ritorno, esaminarla. Mentre proseguivano intruppati la mina era esplosa straziando il corpo di Faldich e ferendo gravemente Cuttini di Fiume e Cuccagna di Trieste che lo precedevano e lo seguivano dappresso nella pattuglia.. Cuttini e Cuccagna erano già stati portati via con un' autoambulanza militare, un'altra autoambulanza stava sopraggiungeno per recare via i resti di Faldich. I ragazzi della postazione che si erano precipitati sul posto dell'accaduto, ne erano rimasti talmente impressionati da esserne scioccati. Ora toccava a noi.

Qualche giorno prima, la stazione di Cormons era stata nuovamente attaccata da caccia bombardieri aventi come obbiettivo questa la base del treno armato posta nei pressi della stazione, treno armato di un cannone e mitragliatrici che si spostava lungo la costa per affrontare l' eventualità d' uno sbarco alleato nel Quarnero. La base comprendeva un vagone dormitorio, uno adibito a mensa e soggiorno ed un altro contenente un officina. Era un caldo pomeriggio d' agosto. Io e un altro fante si riposava nello stanza della stazione che fungeva da caserma per la nostra postazione. Il fragore dei caccia bombardieri ci era ormai noto per cui non esitai a cacciarmi sotto la branda, l'altro occupante si sistemava, molto più saggiamente, sotto l' architrave di una porta.

Terminato l' attacco, mi affacciai sulla pensilina deserta, binari divelti, piloni delle linee elettriche abbattuti con un intrico di cavi, buche di bombe, alti lamenti giungevano dalla base del treno armato e mi ci diressi con l' intenzione di prestare soccorso a qualcuno ma mi fermai. Appoggiato ad un vagone c' era un militare tedesco con il ventre squarciato che si ricacciava nella ferita i visceri invocando la parola "Mutter, Mutter".
Cosa avrei potuto fare, scorsi un altro tedesco che gli avvicinava per cui mi allontanai, guardando se c' era qualcosa da fare e scorsi, a distanza, un vagone isolato che stava bruciando.Come ebbi a scrivere in un altro ricordo, impossessatomi di una manichetta d' incendio, ne spensi le fiamme, apprendendo solo più tardi che quel vagone custodiva la santabarbara del treno armato. Per tale gesto ne ricavai una licenza premio di dieci giorni.

Noi di Cormons si era, di conseguenza, più adusi ad esperienze belliche e perciò considerati più idonei alla triste bisogna che ci attendeva di raggruppare i poveri resti del Faldich. Che ricuperammo come ordinatoci, raccogliendoli dentro i due teli da tenda. Da quel momento le cose per me precipitarono, fui immediatamente trasferito da Cormons per sopperire alle assenze di elementi al ponte, dopo pochi giorni mi giunse la bassa per la licenza di dieci giorni. Al rientro da casa trovai che la nostra guarnigione del ponte era stata sostituita da un' altra formazione. Allo Iudrio, ad attendermi trovai il solo sergente Loi con il quale, il giorno seguente raggiungemmo il comando del Battaglione a Salcano di Gorizia per essere subito avviati alla stazione di Montesanto per prendere il treno per Canale d' Isonzo. Erano i primi giorni di settembre, sfilammo sotto una grigia pioggia attraverso l' insolito, mesto passaggio di montagne avvolte nel basso cielo nuvoloso. Ormai lontana l' assolata pianura veneta.

Canale d' Isonzo può anche essere considerata zona turistica estiva di mezza montagna ma in quella giornata di fine settembre appariva un cupo agglomerato di casupole con un edificio a forma di cubo più elevato sugli altri, probabilmente un albergo in tempi migliori ma quest'oggi caserma per i fanti della 2a Compagnia del XIV Battaglione Italiano Costiero da Fortezza, con il comando stabilito in una graziosa villetta di altri tempi un può fuori paese. Comandante della compagnia era il Tenente Pedrazzini di Milano con signora o compagna che fosse. Con lo stesso nostro treno era giunto il mobilio nuovo di una camera da letto destinata al comandante stesso,la cui signora non era evidentemente soddisfatta di quello trovato in luogo. Io invece ero destinato alla stazione ferroviaria in stile austro ungarico ed avevo per me una cameretta nella quale giganteggiava un enorme stufa di maiolica. Il posto pullulava di militi confinari, ed era comandato da un sergente maggiore. Compiti nostri la sorveglianza della tratta ferroviaria tra Canale e Salona, più a sud, dove sorgeva un complesso cementificio. Su una specie di torretta sul tetto della stazione era collocata una mitragliera da 20 millimetri che copriva tutte le postazioni intorno al lugubre paesotto a monte del quale si ergevano, sopra all'Isonzo, un ponte ferroviario della linea Gorizia - Klagenfurth ed una massiccia diga idroelettrica. Fui subito informato dai zelanti militi che, in caso di attacco partigiano, il mio compito sarebbe stato quello di trasportare le munizioni per la mitragliera dalla riserva in cantina, su alla torretta, oscuro facchinaggio, tentarono quindi di affidarmi il compito delle pulizie dei locali fino al rifacimento dei letti dei militi. La faccenda mi sapeva di oltraggio alla mia condizione di diplomato nautico e a quella di unico fante presente per cui feci loro ben chiaro che io ero li per combattere eventuali partigiani e non per essere il loro garzone. Ci vollero una bella sfuriata con il sergente e l' ostilità in seguito degli altri. La pattuglia lungo la ferrovia non era una cosa semplice, due mesi prima i suoi componenti erano caduti in una imboscata e ne era uscito vivo un solo milite. Dopo tale evento era stato predisposto un sentiero a monte della linea ferroviaria e il diradamento della boscaglia in modo da consentire una sorveglianza dalle appendici della montagna sul sottostante percorso ferroviario. Venni avviato proprio sul sentiero elevato insieme ed un altro componente mentre il grosso della pattuglia sfilava sotto di noi sui binari. La cosa mi garbava, il sentiero all'orlo del bosco mi riportava alla mia giovinezza sui monti accanto a Fiume e mi sentivo più sicuro che non intruppato nel pattuglione. Di tale opinione non erano gli altri per cui spesso e volentieri mi trovavo a percorrere da solo quella lieve traccia.

Fu in una di queste occasioni che si verificò l' improvviso incontro con due valligiani che ho descritto in uno dei miei ricordi, due presunti partigiani probabilmente, armati colti nell'atto di abbandonare una casa di contadini ma ai quali un costone di montagna aveva celata la mia presenza. Loro più in alto mi presentavano le spalle, io più in basso con il moschetto già armato, dietro di me la casona nella quale si erano evidentemente attardati. Fu una cosa buffa, loro voltarono soltanto i volti verso di me fermandosi di colpo a sentire i miei passi, io incerto su da farsi. Sotto alle mantelle grigioverdi, eredi della prima guerra mondiale, spuntavano i due fuciloni, su una finestra della casa avevo scorto per un attimo uno spaventato volto femminile. Io mossi un primo, lento passo lungo il sentiero, i due, fossero partigiani o boscaioli, si mossero lentamente verso l' alto della montagna sovrastante senza perdermi di vista. uno poi altri passi miei sul sentiero con gli occhi verso l' alto dove essi stavano muovendosi cauti per poi scomparire tra gli alti arbusti. Fu una cosa davvero buffa ma penso ancora oggi che agii saggiamente, che agimmo tutti saggiamente.

E tutto prosegui così per qualche tempo senza inconvenienti, di notte qualche fanatico ci sparava dai monti giusto per farci sapere che c' erano ma una sventagliata del nostro 20° sui puntini rossi delle vampe dei fucili o moschetti che fossero li chetava da ogni cattiva azione. Mi resi poi conto che Canale d' Isonzo si difendeva anche con postazioni collocate a raggiera intorno al paese ma soprattuto concentrate a difesa del ponte ferroviario della Gorizia--Klagenfurth e della diga sull'Isonzo si che, a monte di questa si formava un proprio e vero lago. La prima delle postazioni proteggeva la breve galleria subito dopo Canale ed era collocata dentro ad uno strano castello all'uscita della stessa. Più a monte, sulla stradale, il piccolo edificio che ospitava i tecnici della diga e nostri ragazzi muniti di un mortaio 81. In cima alla diga un casotto in legno che sovrastava tutta la zona, munito di un cannoncino francese. Infine, dalla sponda opposta dell'Isonzo, su una altura, una specie di capanno in pietra dove vegliavano altri fantaccini. La gente in paese non sembrava ostile, una donna non ancora in età puliva i miei scarsi panni, intimi e non. C' era una panetteria che forniva pane e focacce fresche a noi e ad Auzza. Da Auzza scendeva ogni mattino una caretta militare trainata da un asinello , più tardi fu soggetta ad un' imboscata partigiana, perirono un sergente sardo e l' asinello, si salvò un milite confinario. Troppo spesso si salvavano quei militi, vi era chi parlava di collusione con il nemico, chi diceva che avevano maggior esperienza di noi pivelli.

Si avvicinava l' inverno tra quelle cupe montagne ma noi si aveva addosso sempre le stesse giacchette grigioverdi. Verso la fine di novembre si ebbe una prima nevicata con punte di bora. Nel corso della notte si era udita una forte esplosione lungo la tratta ferroviaria tra Canale e Salona. Certamente una mina. Al nostro risveglio, alla stazione, ci vestimmo indossando quanti più indumenti possibili sotto all'esile giacchetto, preparandoci per un pattugliamento sotto alla neve che continuava a cadere fitta. Ma nello stretto corridoio dell'uscita si verificò un intasamento dovuto ai militi che si rifiutavano di uscire in quelle condizioni, più vivaci le proteste del sergente maggiore: "La mina è esplosa sui binari, oggi niente passaggi di treni mentre eseguono le riparazioni. Cosa usciamo a fare?". Noi pivellini ci tenevamo a sortire, c' era da divertirsi in tutta quella neve. Un diversivo. Svegliato dal chiasso inusuale, il maggiore tedesco osservatore, intervenne nella diatriba ma il sergente maggiore della milizia gli oppose il rifiuto, era lui a comandare la posizione. Allora il tedesco, avvolto in un bel cappottone, se ne usci da solo avviandosi verso Salona, qualcuno di noi usci pure ma venne fermato dal sergente imprecante. A me fece pena quel vecchio ufficiale tedesco che si allontanava tutto solo nel nevischio, senza pensarci troppo, sollevai da terra una mitragliatrice e mi avviai a mia volta nel nevischio, lo seguii per qualche passo e poi mi diressi verso il mio sentiero. Seguii la scena dall'alto, altri due ragazzi s' incamminarono sulla massicciata e poi anche altri, poi, non potendo udire le sicure imprecazioni dei militi, anche questi si intrupparono riluttanti nel pattuglione. Qualcosa deve essere accaduta al nostro rientro.. Il sergente maggiore si sarà recato al comando dennciando il mio comportamento, fatto gli è,che nel pomeriggio, con armi e bagagli, fui trasferito dalla stazione alla villa comando.

Alla villa Comando fui adibito esclusivamente alla guardia notturna nel settore più esposto della villa, verso le vicine boscaglie, un prato incolto che separava i primi alberi dalla villa costituiva il mio campo di visibilità, chiunque avesse tentato di sorpassarlo avrei provocato l' allarme usando il fuoco del mio moschetto contro gli intrusi. A mia difesa avevo un risalto del terreno. Il personale del comando era costituito da due pasciuti anziani marescialli, uno con funzioni amministrative e l' altro incaricato ai rifornimenti della compagnia, due giovani amanuensi lombardi, il cuoco con garzone e due militi con compiti di pulizia e manutenzione. Gente con i quali non stabilii alcun contatto anche perché io ero entrato palesemente nelle simpatie del tenente Pedrazzini, comandante della compagnia, il quale mi tratteneva di sovente, in lunghe chiacchierate.

Verso la fine di dicembre, giunse un mattino un maggiore della Guardia di Finanza di Trieste, suo figlio si trovava come semplice fantaccino nella ridotta collocata accanto alla base occidentale della diga considerata la più pericolosa perché più soggetta ai tiri dei cecchini partigiani dalla montagna letteralmente sovrastante il fabbricato. Comunque il maggiore giunse, con tutta la pompa del grado e autista al volante, al comando dove richiese di parlare con il nostro comandante della compagnia. Fu del tutto casuale che in quel momento mi trovassi a passeggiare proprio con questi sul vialetto alberato all'ingresso della villa e potei seguire il discorso del maggiore il quale, qualificandosi, chiedeva che suo figlio, un ragazzo debole di nervi e timoroso venisse trasbordato dalla sua attuale sistemazione, proprio al Comando di battaglione. Il mio tenente li fece osservare che tutto il complesso della vallata si trovava sottoposto alla pressione dei partigiani e che quindi nemmeno alla sede comando si era in completa sicurezza. Quello citò autorità varie, con lettera di un qualche pezzo grosso a Trieste per cui, ad un certo punto, il tenente Pedrazzini lo invitò ad andare con la sua macchina a prelevare il figlio nella ridotta per sentire le sue lamentele. Lui Pedrazzini, sarebbe rimasto al Comando ad attendere il loro ritorno.. La macchina G.F. partì e noi proseguimmo nella nostra chiacchierata. Palesemente il tenente non era rimasto molto lieto di quell'intervento dall'alto. E quando quelli tornarono, lui interrogò il ragazzo sul perché della sua richiesta. Ascoltammo un discorso confuso sui tiri di cecchini che a notte si avvicinavano alla postazione, sul isolamento del luogo (nella ridotta convivevano con i nostri, due tecnici della diga per il funzionamento delle enormi saracinesche), sul cibo (il cuoco era un ragazzo di San Daniele al Friuli), sulla stretta convivenza in una camera, accalorandosi man mano fino a scoppiare a piangere: "Ho paura, ho paura!".

Pedrazzini rimase perplesso. Dichiarò che lui non poteva assumersi la responsabilità di eseguire spostamenti, e rivoltò a me "Neumann, ci starebbe lei a fare lo scambio?". Non risposi al ché il maggiore aumento il peso del suo maggior grado, delle sue conoscenze, infine, per levare dai guai il tenente, dissi: "E sta bene, ci vado io alla diga".Ci fu un respiro di sollievo da tutte le parti ma quando ebbi a congedarmi dal Tenente Pedrazzini, questi mi disse:"E' stato scemo ad accettare lo scambio. Quel burbanzoso di un maggiore!". E così, nel pomeriggio, mi caricai tutto il mio avere sulle spalle e mi diressi verso la mia nuova destinazione. E in breve tempo mi resi conto di aver migliorato la mia situazione, al Comando ero solo come un cane con tutti che mi guardavano dall'alto in basso, qui ero tra i miei commilitoni di Fiume, di Trieste ad accogliermi con entusiasmo. Mi aiutarono a sistemare le mie cose e, all'ora del rancio, mi accorsi che il cuoco non era per nulla da meno di quello del comando. E a notte montai la mia prima guardia, direttamente sotto al roccione del monte. E con un bel pastrano militare a proteggermi dal freddo, pur se pieno di pulci.

Non c' era il pattugliamento mattutino lungo i binari della ferrovia, c' erano solo l' avvicendarsi ai posti di guardia, uno sul retro della casermetta, uno sullo stradone. A me fu destinato quello sullo stradone, accanto alla casermetta. Le guardie giornaliere erano piacevoli. S'era a dicembre ma il tempo si manteneva al bello. Mi appoggiavo con la schiena al roccione del monte scaldato dal sole e me lo godevo in tranquillità dentro al pastrano militare. La notte era ancora più cheta e le quattro ore di guardia trascorrevano svelte al pensiero del calore del letto al termine del turno. Era poi mio compito, sull'imbrunire, spostare sullo stradone il grosso tronco d' albero che, avvolto con filo spinato, impediva il traffico od eventuali incursioni sullo stradone. Era quello il momento in cui giungevano dall'alto della montagna, gli spari dei partigiani appostati al di la del campo minato. Era, per loro, la fine della giornata di osservazione su quanto avveniva giù, sul nostro stradone. Venivano tacitati dalla mitragliera sul tetto della stazione ferroviaria di Canale con qualche raffica di proiettili normali e, intervallati, da quelli verdi dei traccianti. A volte spuntava dalla casermetta l' unico milite confinario presente che lanciava qualche inutile bombetta del nostro mortaio 81. Una notte sull'albero si schiantò un motociclista tedesco che correva verso valle, lo aiutai a sollevarsi, era rimasto incolume nell'impatto ma lamentandosi per la divisa strappata dal fino spinato. Sullo stradone iniziarono a transitare camion con ragazzi della X Mas, dove fossero diretti non lo sapevamo. Un mattino giunsero dei rinforzi dai nostri di Canale e dopo una breve marcia entrammo in un piccolo villaggio, Come di consueto, lo scampanio della chiesetta al nostro avvicinarsi per avvisare eventuali abitanti in età militare ad allontanarsi dal paese. Non ci fu reso noto il perché di quella azione, fu probabilmente per contrattare l' acquisto di un qualche vitello per il pranzo di Natale della guarnigione. Alcuni di noi circondarono l' abitato, io fu posto al centro della piazzetta deserta tranne che per un vecchietto seduto su uno sgabello alla porta di casa. Gli offrii una sigaretta che si mise a fumare avidamente, gli diedi allora tutto il pacchetto ma mi giunse il rimbrotto duina giovane donna comparsa sull'uscio, no, non tutto, se le fuma in un giorno, è meglio che se le conservi per le feste, e gliele tolse dalla mano. Poi mi chiese se avessi appetito e al mio assenso sparì dentro casa per poi ricomparir e con un piatto ed una bella fetta di polenta, cui aggiunse uno sgabello per me e due bicchieri di vino, mentre brindavo con l'anziano, passò per la piazzetta uno dei militi confinari che ebbe a ridire sul mio comportamento. Era un'altra bella giornata, sul cielo azzurro, tra quelle montagne, transitavano i primi stormi di aerei alleati verso qualche bombardamento più a sud.

Accadde verso la metà del mese di dicembre del 1944. Ero sempre alla casermetta accanto alla diga, tutto era bello tranquillo, al pomeriggio passeggiavo lungo lo stradone, al fianco del canalone di scolo della diga, con il sergente Loi. Molto sopra di noi, alto sul costone del monte, il solito partigiano che seguiva le nostre mosse, giù a valle. Mentre noi si ragionava sul come uscirne da quel canalone cupo, Loi attendeva con ansia la chiamata da Novara per il corso ufficiali. Avvenne all'improvviso, in mattinata. Udimmo lontane scariche di mitragliatori dall'altra parte dell'Isonzo. Attraverso i cunicoli della diga ci precipitammo sull'altra sponda incrociando parte dei ragazzi di guardia sulla sommità di questa. Avevano visto tutto, La carretta del pane, quella che faceva la spola tra Canale ed Auzza, era stata attaccata in un' imboscata poco più avanti sulla carrareccia. Giungemmo sul posto. La caretta era rovesciata con tutto il pane finito a terra, l' asinello che la trainava era steso bell'e stecchito, cadendo s'era trascinato dietro il mezzo. I partigiani avevano steso l' agguato da una casa contadina a lato della strada, ora il portone era tutto spalancato su quella che doveva essere stata la cucina. In mezzo al locale una lunga tavola sulla quale è steso il corpo senza vita di un sergente sardo di Auzza che insieme a un milite confinario accompagnava la carretta. Ora questi è in stato di shock ma riusciamo a comprendere che lui si è gettato fuori rotolando giù lungo il declivio verso ll fiume. Poi, risalito, aiutato dal contadino e dalla contadina abitanti della casa, hanno posato il corpo del sergente sulla tavola. Arriva altra gente da Canale, il tenente Pedrazzini ci incita a tentare una sortita verso la boscaglia, ripartiamo perciò, risalire sull'erta della montagna non è facile, scivoliamo sugli aghi di pino al suolo. Dopo un po si desiste e torniamo indietro, ora c' è già un bel po di folla accanto al casolare, china in preghiera, inginocchiata a fianco del tavolo una donna, la contadina mentre suo marito viene posto tra due poliziotti della feldgendarmeri e condotto via con una macchina. Una doppia tragedia quindi. Noi si ritorna pensosi alla nostra postazione. Tra poco è Natale.

21 dicembre 1944. Quest'oggi il grosso della 2a Compagnia di stanza a Salcano sale sulla Bainsizza. Non è un' azione di guerra. Ci si reca a Vecco di Canale per l' acquisto di un vitello da festeggiare il Natale. Tuttavia la zona è segnalata come prevalentemente in mano dei partigiani per cui si attuano tutte le precauzioni del caso. Io faccio parte del gruppo di tre esploratori che procederanno il gruppo, altri tre esploratori copriranno il retro. Siamo armati con un fucile mitragliatore ciascuna. Si procede su un sentiero in mezzo ad una boscaglia non propriamente fitta. Così noi si ha la possibilità di allargarci e disporci anche ai lati e di avere una certa visibilità. Il tempo si mantiene al bello. Ci si inerpica agevolmente, la presa sul declivio è solida. Si giunge in vista di Vecco, noi si attende l' arrivo del tenente Pedrazzini per esaminare la situazione mentre si leva il consueto scampanio di allarme dalla chiesetta del paese. Accanto ad esso si eleva una piccola montagnola in ottima posizione per un controllo sulle case. Noi esploratori vi prendiamo posizione nella specie di conca sulla sua sommità. Il grosso della compagnia penetra a Vecco che rimane in un vasto cerchio di prati sui quali si addossa una fitta boscaglia. Trascorre il tempo in un tranquillo silenzio. Poi improvvisamente udiamo alte grida levarsi davanti al nostro fianco e dall'alte erba sul prato spuntano una decina di esagitati che agitano le armi sopra la testa.

Io ho il fucile mitragliatore, i miei compagni mi incitano, spara, spara. La cosa mi appare strana, il cielo sereno, i monti vicini, il verde intenso dei boschi, quello più tenero dell'erba. Apro con una raffica sopra le teste di quegli incoscienti i quali scompaiono di colpo tra l'alta erba. Erano ad un centinaio di metri, bersagli facili ma non me la sono proprio sentito di stenderli. E siamo rimasti proni, in attesa di una loro riapparizione. Dopo qualche minuto è sfilato fuori dall'abitato il gruppone con un recalcitrante vitello. Non è stato un compito facile convincere l' animale a seguirci nella discesa. Noi, esploratori, ci siamo collocati in coda temendo un nuovo tentativo di attacco.

Lo stesso giorno era stato inviato in licenza il maggiore dei fratelli Ciol, il minore fungeva da nostro cuoco alla casetta accanto alla diga, per procurarci i prosciutti di San Daniele.

26 dicembre 1944. Canale d' Isonzo. Ieri si è fatta una bella bisboccia. Alla casetta dei tecnici della diga della diga e nostra casermetta si era una bella brigata a tavola. A partire dal sergente Loi rammento i due tecnici della diga, i due tedescotti altesini, i fratelli Ciol di San Daniele unitosi per l' occasione, un milite confinario e noi ragazzaglia fiumani e triestini. Squisito il vitello ed i salumi. I Ciol si erano superati. Oggi è un altra bella giornata anche se fredda. Io,satollo, avvolto nel pastrano militare, mi crogiolo al sole appoggiato alla roccia del costone del monte. Sono di guardia dalle 08.00 alle 12.00, potranno essere le 9.30, 10 del mattino quando si ode un rombo di motori di aerei. Ne passano tanti, in giornata, alti nel cielo terso, che non se ne fa più caso. Ma questa volta il rombo è più forte, debbono volare più bassi, mi sposto in mezzo allo stradone per vedere meglio ed eccoli, sono sopra di noi, belli argentei, rilucenti nel sole, ma i loro ventri sono aperti, scorgo piccoli corpi altrettanto rilucenti che si precipitano su di noi, grido allarme aereo per quanti si trovano dentro alla casetta e mi stendo al suolo, premendo il mio corpo contro la base del roccione. Ed iniziano le assordanti esplosioni, mirano a noi, al ponte ferroviario, ho assunto la posizione regolamentare, schiacciato a terra con il ventre sollevato e le mani sulla testa per proteggerla. Vengo colpito da scariche di sassi, alcune violente, sono frammenti di bomba che sibilano per aria. Sembra che non si fermano ma poi di colpo tutto il fragore si spegne dopo aver ricevuto un forte colpo alla testa. Debbo essere svenuto. Passa un po d tempo, delle mani mi scuotono, è vivo, è vivo. Sono vivo, ero mezzo ricoperto da detriti di sassi colati giù dal roccione. Mi risollevo, intorno a me i ragazzi, ci sono dei feriti tra quelli in cima alla diga che si erano rifugiati nei suoi cunicoli ed erano stati sbattuti contro le pareti dagli spostamenti d'aria. Io cammino a stento, ho delle abrasioni alla testa. Il tenente Pedrazzini mi prega di rimanere, abbiamo diversi feriti che verranno inviati a Gorizia, non possiamo rimanere sguarniti.

27 dicembre 1944. Canale d' Isonzo. A causa delle assenze, alle 9.30, 10.00 del mattino, a causa delle assenze sono di guardia dalle 06.00 fino alle 12.00. Dalla casetta, con la scusa di andare nei boschi a raccogliere legna per la cucina e le stufe sono scomparsi tutti, tecnici, tedeschi osservatori e i ragazzi, Siamo rimasti soli io e Ciol il piccolo, il nostro cuoco. Si è d'accordo con quelli della postazione più eevata di Bodres, più in alto sulla riva sinistra dell'Isonzo che non appena scorgono gli aerei, sparare in aria un colpo di moschetto per segnalarne l'arrivo ma noi sentimamo il loro rumore ancor prima ci giunga il colpo di moschetto e si è a punto daccapo. Io è il cuoco ci mettiamo a correre sullo stradone, ma fatti pochi passi udiamo già il rumore delle bombe che rotolano verso di noi, vedo Ciol infilarsi nella canaletta per la pioggia sul lato destro dello stradone, la soluzione più saggia ma lo spostamento d'aria mi scaraventa nuovamente contro quel maledetto roccione.. Mi ci appiattisco contro ma questa volta il fragore diventa sempre più forte e ad un tratto diventa fortissimo, vengo sbattuto da una parte all'altra e le botte che ricevo sono tremende, una sembra staccarmi il piede, poi di nuovo le pietre che vengono giù dalla montagna, non finisce mai e quando tutto finisce ho paura di toccarmi, ho il terrore che il mio cranio sia aperto e non oso posare le mani sul capo e sentire le cervella. Lentamente premo, la calotta è grazie a dio intatta ma le mani sono bagnate dal sangue. Scendo a tastarmi il tronco, sembra intatto, accenno a sollevarmi ma un dolore fortissimo mi costringe a ricadere, sono ricoperto da una massa di detriti, adagio, adagio mi risollevo il tronco per liberarmi dello sfasciume, ne sono fuori, guardo alla mia destra, sono proprio sulle labbra di una bomba eplosa che taglia a metà lo stradone, sento un impedimento sul braccio destro, guardo, è la cinghia del moschetto ricaduto al mio fianco; da esso è scomparso il braccio in legno mentre la canna è tutta contorta, accidenti però, stavolta è andata vicina. Accidenti! Accidenti! E Ciol, il piccolo Ciol di San Daniele? il cratere della bomba ha fatto scomparire la canaletta e abbattuta una parete della casa. Di lui non è rimasto nulla. Mi vengono incontro il Tenente Pedrazzini che più tardi, nel corso di una terza ondata di bombardieri rimarrà a sua volta ferito mentre tira fuori i ragazzi della sua 2a Compagnia, dietro al tenente i due tecnici che mi pongono in mezzo e mi trascinano lontano dalle macerie collocandomi in una vecchia trincea della prima guerra mondiale. Più tardi, dopo altre ondate di bombardieri in zona, i frammenti delle bombe sibilano sopra al mio rifugio, giungoono due alpini della Monte Rosa che facendomi attraversare su una barella il ponte ancora intatto, mi infilano in una autoambulanza con la quale giugerò all' ospedale centrale tedesco di Gorizia.

E qui chiudo ringraziando per la lettura. Antonio Neumann