10 febbraio 2006 – Giornata del Ricordo – L’angosciosa attesa

di

Neumann Antonio




DOCUMENTI SU CRIMINI PARTIGIANI CONTRO MILITARI ITALIANI

Vi si tratta dell’eccidio di venti fanti della 2^ Compagnia al comando del tenente Pedrazzini del XIV Battaglione Italiano Costiero da Fortezza al comando del Maggiore Soravito, eseguito il 3 maggio 1945.

Nominativi dei caduti: COSULICH da Pecine Geofilo di Gradisca (1926); CORRENTE Giordano di Trieste (1926); CANTO Giacomo di Trieste (1924); LUCANI Marino di Trieste (1923); RICABON Aureliano di Trieste (1923); RIGO Angelo di Udine (1926); ZENAROLO Giuseppe di Udine 1926); MICHELONI Silvano di Bolzano (1926); ZANUTTINI Luigi di Medeuzza) (1926); BORSELLO Manlio di Padova (1924); MARSANICH Aurelio di Fiume (1924); GALLOVICH Valentino di Fiume (1925); CORAZZATO Benito di Fiume (1923); CORAZZATO Rodolfo di Fiume (1924); IANUALE Raffaele di FIUME (1925); SCROBOGNA AUGERO di Fiume (1923); SUPERINA Silvio di Fiume (19923); SCHMIED Nevio di Fiume (1924); ZULICH Mario di Fiume ( 1925); NEGRO Andrea di Fiume (1923).

I loro resti furono rinvenuti, dopo circa un anno dalla scomparsa, da militari neozelandesi, la Polizia Civile di Trieste pubblicò sul “Corriere Alleato” fotografie di oggetti rinvenuti insieme ai corpi. Da uno di questi oggetti, in una grande croce di poco prezzo, riconobbi il fante Zulich per cui nel giorno seguente alla pubblicazione mi recai a Trieste, al Comando della Polizia Civile per il riconoscimento. Questo era già avvenuto il giorno precedente per opera dei congiunti dei ragazzi triestini.

In seguito si appurò che il gruppo di fanti facenti parte della 2^ Compagnia, alla fine delle ostilità di guerra, si diresse da Canale d’Isonzo verso Gorizia ma, all’altezza di Plava, venne catturato da una banda di partigiani i quali, dopo aver legato le loro mani con del filo di ferro, gli condussero in una vecchia trincea risalente alla prima guerra mondiale, a Sella di Dol (sella collocata tra il Monte Santo e il Sabotino) e dopo averli fatti inginocchiare sull’orlo di questa, gli trucidarono uno per uno con un colpo alla nuca.

Oggi i loro corpi giacciono nel Cimitero di Gorizia, in una tomba con una stele che sopra l’elenco dei deceduti reca la scritta “TRUCIDATI DAI SENZA DIO”, il monumento funebre fu eretto dai congiunti.

Una versione di questi fatti dovrebbe esistere tra le documentazioni dell’ allora Comando della Polizia Civile di Trieste.

In fede, Neumann Antonio *

*Già soldato semplice nella 2^ Compagnia del XIV Battaglione Italiano Costiero da Fortezza

RICORDI DEI MIEI COMMILITONI:

Canto Giacomo di Trieste. Quando a metà giugno del 1944 lasciammo la Caserma di S. Andrea, al termine del periodo di addestramento, ad attenderci fuori dalla garitta d’entrata vì erano alcune madri di ragazzi triestini che si incamminarono accanto al nostro drappello verso la Stazione Centrale di Gorizia. Faceva caldo e noi s’era carichi come muli tra moschetti, sacchi ricolmi, coperte, penzolanti maschere antigas, pochi passi di marcia e già si sudava da bestie. Ad un tratto una mamma si stacco dal gruppetto di donne che ci trotterellava accanto e si accostò ad uno di noi tentando con le mani di alleviare il peso del saccone al figlio. “Cosa fai, mamma? Non si può!. Torna con le altre.” Era la madre di Canto. Obbedì all’imposizione di Canto ma ritornò più e più volte accanto a Giacomo nelle domeniche seguenti, nella nostra postazione. Scendeva dal treno a Cormons e poi si avviava a piedi verso Ponte Iudrio. E li si informava di tutti noi ma di più circondava di carezze il suo figlio unico. Metteva in disparte Cuttini, il nostro cuoco fiumano, e per quella domenica cucinava lei per tutti. Si faceva un tavolone sull’aia della vicina casona del mugnaio e tutti noi si divorava il cibo fresco di mercato da lei portato da Trieste. Non sembrava di essere in guerra e il grigioverde che indossavamo sembrava un controsenso in quel allegro, vivace contesto.

Marsanich Aurelio di Fiume. Un ragazzo a se, serio, pacato, amico di tutti e di nessuno. Interveniva di rado nei discorsi, ascoltava, li piaceva ascoltare. E generoso. Un episodio per tutti. La marcia tradizionale per reclute della fanteria di 30 chilometri a fine addestramento. E’ un evento atteso e temuto. Noi, della 2° Compagnia del XIV Battaglione Italiano Costiero da Fortezza, dalla Caserma di S.Andrea (più nota come la “Caserma del 9° Alpini”), debitamente intruppati ed equipaggiati, percorriamo al passo il centro di Gorizia, il tratto che unisce la città a Salcano, sede del Comando di Battaglione, e quindi inforchiamo, più sciolti la strada sterrata che, in salita, ci porta fino alla Sella di Dol. In coda ci seguono le nostre povere artiglierie, un cannone da 37x42 anticarro/ proiettili normali caricato sul dorso di un mulo e un mortaio “81” scomposto in affusto, appoggio e piastra d’appoggio portati a spalla alternativamente da volonterose reclute. Breve sosta presso la tragica Sella collocata tra i pendii del Monte Santo da un lato e del Colle di San Gabriele dall’altro dove è situata una postazione del nostro Battaglione costituita da un quadrato delimitato da trincee risalenti alla prima guerra mondiale con al centro una piccola casamatta che ospita i veterani del battaglione. Si prosegue verso la vetta del Monte Santo che si raggiunge verso mezzodì sempre sotto un sole irritante. Colazione al sacco (letteralmente), posizionamento del cannone e del mortaio, prova dei tiri, non sempre brillanti in quanto a risultati. Finiti questi, il mulo si riprende il suo cannone, tra noi c’è chi si pone sulla spalla l’affusto, chi l’appoggio, la piastra d’appoggio rimane per terra, è pesante, i denti d’affossamento della base sono dopo un po’ un tormento per il portatore. Nessuno si decide, la sollevo io, forse in discesa darà meno fastidio; è peggio che andar di notte, a scendere i movimenti del corpo sono più scomposti e quei denti triangolari si affondano nella carne. Per di più viene dato il comando di marcia di indossare la maschera antigas, fa caldo, si suda, il carbone del filtro si appiccica agli occhiali, insomma, cerco di affibbiare la piastra a qualcun altro. Tutti si allontanano da me. Mi fermo ed attendo il mulo che trotterella in coda, tengo appoggiata la piastra sul suo lato e proseguo in questo modo ma con difficoltà, il mulo non è che gradisca. Mi si avvicina Aurelio, vede i miei problemi e si accolla sulle sue spalle la piastra. Questo era Aurelio.

Corazzato Benito e Corazzato Rodolfo. Indivisibili i due fratelli di Borgomarina (Fiume).
Dal doppio castello nel camerone della Caserma di Sant’ Andrea al tumulo nel Cimitero di Gorizia. Insieme erano ancora a Canale d’Isonzo, dapprima accasermati nell’edificio sul ciglio della statale per Tolmino, poi, il 3 maggio del 1945 ancora insieme nel gruppo di soldati della 2° Compagnia decisi, considerato la fine delle ostilità, a rientrare al più presto a Fiume. Erano in 21, altri loro compagni si incamminarono al di là dei monti, verso ovest e sostarono, per qualche giorno, celati nella casa del mugnaio di Ponte Iudrio che li ospitò e procurò loro gli abiti civili e la salvezza. I 21, invece, in prossimità dell’abitato di Plava, sostarono per un breve riposo in un boschetto, uno di loro, Giovanni Devescovi di Fiume, cadde addormentato per risvegliarsi da solo in un cespuglio, gli altri compagni s’erano scordati di lui che così proseguì da solo fino a Gorizia dove venne fermato dai partigiani e quindi avviato ad un duro campo di concentramento all’interno della Slovenia. Il suo gruppo invece, sempre nei pressi di Plava, venne circondato da una banda di partigiani e condotti a Sella di Dol per incontrarvi la morte.

Ianuale Raffaele di Fiume (Borgomarina). Ne ho scritto poco tempo fa. Un ragazzo minuto, di professione pescatore. Timoroso di tutto e di tutti. E’ difficile, è penosissimo immaginare i suoi ultimi momenti. Inginocchiato a terra dai suoi carnefici sul ciglio della vecchia trincea a Sella di Dol, udire i vicini spari, sentire sulla nuca il freddo acciaio della pistola del suo assassino. E’ inconcepibile cosa possa aver provato. Bisogna ricordarlo. E’ necessario ricordarlo. Per ieri, per oggi, per il domani.

Superina Silvio e Schmied Nevio, entrambi di Fiume. ed entrambi miei compagni di classe alla della Scuola Elementare di Piazza Cambieri, Nei primi tre anni con la maestra Concetta Centis, negli ultimi due con il maestro Santé Modesto. Sullo stesso castello, proprio di fronte al mio nel camerone della caserma di Sant’Andrea. Bravi ragazzi, un po’ schivi. Ma obbedienti e ligi ai doveri.

Zulich Mario di Fiume: uno spilungone scherzoso e di compagnia, a Sant’ Andrea lo sfottono per il grande Crocefisso di latta appeso al collo. “Cosa volete? Me lo ha imposto mia madre. Dicendomi, più grande è più ti proteggerà figlio mio!”.

Negro Andrea di Fiume. Il giorno della vestizione lui è il più allegro di tutti. Si è nel retro di una scuola adibita a casermaggio vicino al Comando di Battaglione a Salcano, nostra sede provvisoria, sullo spiazzo d’erba giacciono, a mucchi, gli effetti di vestiario, di qua i pantaloni grigioverdi, di la le giacche, in giro i mucchi di scarponi militari, le bianche pezze da piedi, le bustine, le grigie tenute di fatica, i sacchi, tutto insomma quello che farà di noi dei fantaccini. Ci si beffeggia, ci si ride nelle prove per un capo di misura spropositato o troppo piccolo, nel bailamme generale si ode, ad un tratto, il vocione trionfante di Andrea che agita per l’aria un paio di scarponi da montagne civilissimi con tanto di borchie di rinforzo sulle suole, sono belli lucidi, morbidi, nuovi di zecca. Negro ci si attacca, ci si appiccica tutto infervorato, non le abbandonerà più malgrado l’invidia degli altri costretti ad infilarsi ai piedi i duri scarponi della fanteria con il classico puntale rinforzato. Più tardi, molto più tardi avrò modo di conoscere i suoi, suo padre, sua madre,le due belle sorelle. Gestivano il bar alla fermata delle corriere per Abbazia, in Piazza Regina Elena, E vennero più volte, alternandosi, a casa mia per chiedermi notizie sul suo mancato rientro, loro ed altri genitori, sempre più angosciati, sempre più consci della vanità ormai, delle loro ricerche. Vennero anche da Trieste, da Gorizia, da Udine. E genitori fiumani si recarono a Trieste, a Gorizia per una qualche notizia sulla scomparsa dei loro figli. Per più di un anno non se ne seppe niente.

A giorni ho 82 anni. Ho scordato ormai tante cose, tante nozioni, non questi ricordi. Come accadde lo scorso anno, anche nel 2006 sono in tanti a vociferare senza alcuna conoscenza dei fatti, dei luoghi. Ed è triste ……, molto triste

Tonci Neumann dell’Acquedotto