Esuli di seconda generazione

di Olinto Mileta Mattiuz


" E chi i saria sti qua?" Semplice, quelli nati in Istria, Fiume e Dalmazia prima dell'esodo, ma così piccoli da ricordare pochissimo o non ricordare affatto. I polesani come me e così i dignanesi, rovignesi, fiumani, pisinoti, zaratini... che seguirono frastornati ed impauriti i loro, a dir poco, sgomenti genitori.
(Mi rendo conto che tale divisione di generazioni è arbitraria perché non comprende i figli già grandicelli la cui gioventù l'hanno passata in quelle terre, o quelli nati dopo l'esodo nei campi profughi; ma tant'è). Io sono uno di questi. Nato a Pola nel '41, a differenza di mio fratello più giovane di due anni, ricordo qualcosa; per lo più sono dei flash, degli episodi di cui trovo talvolta difficile dare un'esatta collocazione temporale.
Tralasciando i ricordi legati allo sfollamento in quel d'Albona ed altri ricordi di Pola, mi limiterò a dire dalla vigilia della Partenza.
"Concitazione, nervosismo, voci irate. Mobili spostati, smontati, valige, stanchezza e risveglio al mattino dopo non più nel mio lettino, ma su un materasso in una stanza quasi vuota di quella casa isolata a forma di V su uno dei sette colli, a Monvidal."
"Papà grida, rompe tutto quello che gli capita, divelle finestre e sfonda porte, finché si accorge che lo sto guardando, impaurito. Si calma e mi dice qualcosa, non ricordo, ma mi tranquillizza."
"Una colonna di gente imbacuccata, intirizzita dal freddo s'incammina sulla banchina del molo imbiancato con pacchi e valige verso una porta oscura di un'enorme nave nera.": ho saputo anni dopo che era proprio il suo colore.
"Lassù in alto, una grande scritta bianca. Cossa xe scrito? chiedo. Toscana, risponde papà. E cossa vol dir? Xe el nome de un toco de Italia, mi risponde con voce strana."
"Dall'alto di quella rampa vedo, verso l'Arena, cortei di gente allegra con bandiere colorate (rosse, per lo più) e li sento cantare. Papà, perché i xe cussì contenti, perchè non cantemo anche noi?" Non ricordo cosa mi disse, ma poi non ebbi più voglia di cantare: subito dopo fui inghiottito in un'enorme caverna di metallo, quasi buia."
"Di traverso sono stese delle àmache oscillanti e tanta gente che bisbiglia tra qualche isolato ma forte pianto di bambino."
"Un treno lungo e rumoroso che mi porta sotto un enorme arco di metallo della stazione di Milano. Una bevanda calda in quel freddo pungente."
"Lo stesso treno che si ferma lentamente tra alti cumuli di neve della stazione di Torino." "Grandi casermoni con stanzoni pieni di gente vociante; famiglie divise da coperte e stracci appesi a corde. Rumore, grida, pianti, confusione."
"E di nuovo in treno, verso Gorizia."
"Sanatorio, e sulla porta Mamma. Una corsa, mi prende in braccio e dopo qualche attimo di strozzata apnea, un pianto irrefrenabile tra i singulti."
Ed è in questa città che vissi la mia giovinezza, come in tante altre contrade della nostra dispersione, d'Italia, d'Australia, Canadà, USA, America del sud, ecc. altri miei coetanei della seconda generazione vissero la loro.
A studi terminati, al lavoro! Matrimonio, figli (la terza generazione in attesa - per quanto mi riguarda - della quarta: ma che pigri questi figli!). Pensione, con un po' di tempo per fare.
Cosa? Ad esempio scrivere queste righe. Girare per l'Istria alla ricerca delle radici, dei miei antenati in archivi polverosi o leggere di una storia antica e bellissima che parla di mare di boschi e di bora. Devo a questo punto fare una confessione: c'è stato un periodo, diversi anni fa, che le memorie, le lamentazioni, le maledizioni e gli struggimenti nostalgici del popolo dell'Esodo mi hanno dato disagio, quasi fastidio. E nello stesso tempo trovavo insopportabile tornare in Istria.
E' stato un percorso lento, il mio. Un maturare quasi inconsapevole, una lenta ma costante sedimentazione di pregiudizi, errori di valutazione, per scoprire di colpo il perché del mio atteggiamento di repulsa sia verso quel "piangersi addosso all'infinito", sia verso gli odiati "occupanti" e "rimasti": mi ero vestito con gli abiti della prima generazione! Abiti non miei e pesantissimi da portare.
Pensavo, vedevo, sentivo con la mente , gli occhi ed il cuore dei miei genitori. Ma non erano i miei ricordi, sofferenze non mie, nostalgie struggenti che non mi appartenevano: dovevo scrollarmi di dosso un dramma di cui avevo solo un flebile ricordo.
E così ho fatto.
Solo allora ho potuto tornare a conoscere e gustare la mia Istria, le sue genti, i miei antenati. Un'Istria un po' diversa da quella che ho sentito raccontare, anche se lo sfondo continua ad avere un tenue riflesso di quella grande nave ancorata alla banchina di Pola del febbraio del 1947.