Bruno Tardivelli racconta…4ª parte



Tempo fa ho letto parecchie notizie a ricordo del 60° compleanno del Dramma Italiano di Fiume, una bella iniziativa.
Io sono stato tra i primi attori che costituirono il Dramma Italiano all' inizio del 1946 e ho in merito dei ricordi personali, confortati, nei punti più salienti da una seria ricerca compiuta in un recente libro; si tratta dell'opera della studiosa Nensi Giachin Marsetic, pubblicato dall'EDIT di Fiume per conto del Centro Ricerche Storiche di Rovigno e intitolata "Il Dramma Italiano". In parte tali miei ricordi sono stati pubblicati su "La voce di Fiume" e su di un altro giornale, ma in modo sommario, sorvolando per esigenze di spazio, su qualche particolare giudicato forse dagli odierni redattori..... trascurabile.
I particolari omessi sono nel contesto storico forse, a giudizio degli esperti della comunicazione, delle inezie, ma la vita spicciola, egregi signori, è fatta di inezie che poi si trasformarono, col tempo, in drammi, sintomatici di un subdolo "Progetto Politico" che portò all' Esodo di centinaia di migliaia di persone e fu il vero Nostro Dramma.
Oggi , dopo 60 anni, forse queste inezie si potrebbero anche dire, con il rischio di annoiare qualcuno, tanto più che sono in tanti ad affermare che gli antichi tabù sono caduti. Intanto però un certo antico andazzo continua, alimentato da tante parti.
Non si può spegnere una fiamma, gettandovi sempre sopra dell'altra legna !
Leggo oggi senza stupirmi un'intervista di PANORAMA a Elvia Nacinovic prima donna del "Dramma Italiano" in cui si afferma che ogni nuovo Intendente del Teatro erode un pò dei loro diriritti. Me ne rammarico.
E' una storia antica, gentile e stimata signora, risale all'Atto di Nascita del "Dramma Italiano" e fu fonte di stupende illusioni seguite da cocenti delusioni !
Senza voler mancare di rispetto a nessuno mi viene pertanto in mente un vecchio detto: "La volpe perde il pelo ma non il vizio."
Avrei da raccontarvi dunque, in proposito,se me lo permettete, una vecchia storia, l'ho intitolata :"La Vita è tutta un teatrino" ed è fatta di 8 puntate. in allegato c'è la prima puntata. domani vi manderò, se volete, la seconda.

bruno tardivelli



1 La vita è tutta un teatrino

Appena finita la guerra, nei primi giorni di Maggio del 1945, assieme ad altri elementi del "Gruppo Filodrammatico Fiumano" accettai la proposta "del Tipo", il nostro Direttore-Regista di continuare la mia attività di attore dilettante che avevo iniziato durante la guerra. Dovevamo in qualche modo sbarcare il lunario, meritarci le Tessere Annonarie e l'esonero dalla Leva militare che gli Jugoslavi si erano affrettati a bandire nei territori annessi, suscitando apprensione tra la popolazione italiana Il nostro Regista, da gran maneggione, più navigato di noi muli, era diventato dal 3 Maggio un personaggio importante, era stato nominato Referente del "Propodjel", la Sezione Propaganda del Partito, del quale sicuramente faceva parte, ma non ce lo confessò mai e per giunta entrò pure nella redazione della Voce del Popolo. Egli aveva un suo ufficio al primo piano della casa che sta accanto al Bar Roma; dal poggiolo della sua stanza si godeva una bella vista sulla Piazza Dante e li ci convocava. Avevamo tutti una prospettiva attraente: prima o poi sarebbe stato costituito a Fiume un Teatro Stabile, con una Compagnia di cantanti d'Opera e due Compagnie di prosa: una croata e una italiana, per la diffusione della Cultura tra il popolo. Era un'iniziativa ambiziosa ed esaltante, mai Fiume aveva avuto fino allora un teatro stabile, c'era di che rallegrarsi ! Durante la guerra, dopo il 1943, il nostro Direttore-Regista, "el Tipo" intraprendente, aveva avuto contatti segreti, assieme ad altri fiumani, con esponenti Jugoslavi della Lotta di Liberazione, aveva collaborato con loro nella clandestinità. Durante quel tempo, questi nostri concittadini avevano ricevuto assicurazione che, una volta giunta la Liberazione, a Fiume sarebbero stati garantiti particolari diritti in fatto di autonomia amministrativa, di tutela della popolazione e della cultura italiana, con la nomina dei suoi rappresentanti, eletti democraticamente e inseriti nella gestione cittadina, regionale e statale; di tutto queste faccende, il nostro "Tipo" in quei primi giorni di Maggio, ormai non ci faceva più mistero .Egli doveva assumere un ruolo importante in tale progetto del quale era entusiasta. Io e diversi altri muli della Filodrammatica eravamo stati all'oscuro dei suoi maneggi, eravamo troppo giovani e forse non tanto affidabili nel periglioso periodo bellico. Nonostante ciò, "el Tipo" inaspettatamente, forse per dimostrare ai suoi ragguardevoli interlocutori che aveva un suo seguito e un ascendente, ci coinvolse a nostra insaputa nelle sue trame; i nostri nomi dovevano essere stati segnalati a qualcuno che se li fece scappare di bocca e così, assieme a lui, io e Nino, un altro attore più bravo ed anziano di me, una notte fummo arrestati delle SS. Fu un'esperienza tremenda, tuttavia ci andò bene, io e Nino dopo un mesetto uscimmo dalla galera di Via Roma indenni, spaventati, pieni di pidocchi e di piattole, mentre "el Tipo", il nostro Regista, il più indiziato, ci rimase fino alla fine della guerra e gli andò di lusso, si prese solo qualche nerbata, dopo che gli ebbero fatto togliere gli occhiali ! Mentre ero lì, una notte dalla prigione le SS prelevarono una quindicina di detenuti politici come noi, a carico dei quali avevano gravi prove, e li fucilarono sulla scalinata dell'ALGA, sotto la "Piramida", a Susak, per una rappresaglia. Fu una notte di terrore e di incubo che rivedo ancora. Durante la nostra prigionia ebbi modo di conoscere quanto " el Tipo" fosse ammanigliato con il Fronte di Liberazione Jugoslavo e fu per me una vera sorpresa. Eravamo ammassati in un'ampia cella, uno stanzone, dove erano rinchiusa gente di sua conoscenza, compromessa come lui con i Partigiani, che riuscì a farla franca; io ebbi un'avventura indimenticabile durante la quale vissi in confidenza e intimità, accanto a personaggi che sarebbero diventati influenti a Fiume, nell'immediato dopoguerra. Con queste nostre referenze e ammaliato dalle più rosee promesse, appena finita la guerra, il "Gruppo Filodrammatico Fiumano" incominciò la sua attività. Appena convocati per la nostra attività teatrale, ingenuamente, io e gli altri babbei come me, pensavamo che avremmo preparato degli spettacoli leggeri, allegri, comici, per farci quattro risate e del buon sangue divertendo il pubblico Fiumano; ce n'era proprio bisogno ! La gente di tragedie non ne voleva più sapere. Arrivarono i copioni e furono la prima amara sorpresa: erano traduzioni dal croato di due atti unici che avevano per tema la Lotta Partigiana ! Per noi fu pugno nello stomaco. Spiritualmente eravamo preparati a qualcosa di ameno e di ridanciano, dopo tutte le brutture che avevamo passato ma dovemmo cimentarci con due polpettoni intrisi di aulica propaganda politica pieni di eroici, intrepidi e bonari Partigiani, macilenti ma risoluti, feriti ma indomiti, alle prese con sanguinari e bestiali Nazisti, biechi e torvi Fascisti, loro servitori, ai quali, nella finzione scenica, veniva già voglia almeno di sputargli in faccia. Nei ruoli femminili apparivano "madri coraggio" che incitavano i loro figli alla Lotta, incuranti se fossero stati accoppati, vedove scarmigliate che prendevano il posto dei loro uomini morti nella battaglia, ragazze bellicose accanto ai loro amanti che impugnavano, con disinvoltura, al pari di una scopa, il mitra, nel momento dell'assalto. Compariva sulla scena pure una baldracca, che naturalmente non poteva essere che una spia fascista.

(continua) Bruno Tardivelli (18.04.2007)


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2 La vita è tutta un teatrino


Durante la lettura del copione, uno di noi, osò commentare con aria stomacata: "Ma dai, ma cossa dovemo proprio meter su sta roba, adeso che xe finido tuto ! De la guera tutti quanti gavemo le bale piene !" Diversi, più furbi e prudenti di lui, tacevano. "Tasi, "sabotator", non incominciar a far "el reazionario", se ti pensi de parlar ancora come un "fascista", camina, pompa via !
Là te xe la porta e rangite da solo! "
Gli urlò in faccia "el Tipo"; l'imprudente ammutolì e gli altri facendo finta di nulla, non ebbero mai più il coraggio di fiatare sulle sue scelte. Romeo, il mio amico, che faceva il suggeritore, e nel tempo di guerra, beccato dai tedeschi, si era messo nella milizia fascista per non essere spedito in Germania, assunto per pietà, perché non trovavamo un suggeritore bravo come lui, non diceva nulla.
Taceva e roteava i suoi grandi occhi, gonfiando le gote.
Faceva delle smorfie quando era sicuro che gli altri non lo vedevano e in segreto mi mormorava: "Amico mio, saria ora de finirla con ste storie, cossa ne toca sentir !" Per ammansirlo gli sussurravo:
"Amico, tasi, ricordite del povero Nereo che i lo ga fato fori"
Nereo Giurso, un comune amico nostro e mio compagno di scuola, era finito in prigione ed era sparito. In un crocchio, passeggiando con "certi amici" per il Corso, aveva protestato contro la Leva a cui dovevamo essere sottoposti a Fiume tutti, trai 17 e i 45 anni; ai familiari, in trepida attesa davanti alla prigione, avevano consegnato una sua camicia macchiata di sangue, poi non ne seppero mai più nulla. Avevamo paura ?
Si, di certo, una paura che certe notti ci faceva fare dei brutti sogni, anche se io con le conoscenze che mi ero fatto in prigione, credevo di essere più sicuro, ma temevo per gli altri. In Teatro fervevano le prove con inusitata intensità, tutto il giorno e pure fino a tarda sera, lo spettacolo doveva essere pronto in pochi giorni perché saremmo andati anche in Istria e a Pola. Non ricordo quanti fossimo, il nostro Regista per mettersi in mostra, con le nozioni che aveva appreso in prigione, si dilettò a fare la parte del fascista sadico e aguzzino. C'erano Tullio, la Sonia e la Nella, ma queste erano a loro agio, erano state staffette Partigiane, anzi ci davano dei consigli su come dovevamo comportarci, per apparire dei veri combattenti. A Pola avremmo trovato dei compagni volonterosi che avrebbero fatto le comparse o detto solo qualche battuta. Era ancora Maggio, quando ci giungemmo, tutti impolverati. sopra un camion sgangherato, senza il telone, seduti sulle panche, con in mezzo ai piedi le scene arrotolate, dipinte sulla carta da Willi Stipanof. Portavamo in testa la bustina con la Stella Rossa, la "Partizanka" che ci era stata consegnata alla partenza, con la raccomandazione di non togliercela mai. Mi stava nascendo un sospetto, mi ricordavo che qualche anno prima ci conducevano per le adunate, in giro sui camion, col Fez in testa e temevo che fosse sempre la solita manfrina, ma stavo zitto; come l'altra volta, era meglio tacere e sorridere. Qualcuno brontolava per il mezzo di trasporto poco confortevole ma "el Tipo" e le ragazze ex Partigiane lo redarguivano asserendo che i Compagni erano andati per tutta la guerra a piedi, portandosi la roba sulle spalle. Pola era squallida, come Fiume. Agli spettacoli c'era tanta gente, forse più per la curiosità di vedere ciò che era rappresentato, ma udendo i commenti, ebbi l'impressione che diversi spettatori si attendevano dell'altro, non tragiche vicende di vita partigiana della quale tutti, col dovuto rispetto, dovevano avere le tasche piene. Penso che ricevemmo i calorosi applausi dalla "claque" che aveva ll compito di farlo e gli altri spettatori vi si adeguarono senza spellarsi le mani. Gironzolavo per la città, In piazza era esposto, in una vetrina un "Giornale murale"e davanti c'era parecchia gente. Andammo a guardarlo pure io e Romeo che stava sempre con me. Restammo esterrefatti: Erano parecchie fotografie giunte da Milano, ritraevano Piazzale Loreto con Mussolini la Petacci ed i Gerarchi, giustiziati ed appesi per i piedi e la folla plaudente sotto. Uno spettacolo orrendo. Non credevamo che la "Liberazione" in Italia avesse avuto anche questo aspetto truculento, con tutte le Camicie Nere plaudenti che c'erano state solo qualche anno prima. Ma non lontano da noi erano accadute ben altre tragedie, però non lo sapevamo ancora. Ritornammo a Fiume e dopo poco giunse notizia che a Pola erano arrivati gli inglesi, come a Trieste. Da quaranta giorni era finita la guerra ! Il mio amico Romeo mi confessò che se l'avesse saputo, si sarebbe nascosto in una cantina di quella città, a costo di morire la fame. Io lo canzonavo:
"Va là che ti senza Fiume e senza magnar, non ti pol star !"
Tutti parlavano di libertà, ma io proprio libero non mi sentivo; quell'ambiente, intriso di asfissiante propaganda, non mi piaceva, così mollai tutto e me ne andai a fare il Maestro in Belvedere, illudendomi di farmi i fatti miei, ma come tempo fa narrai , anche li, il diavolo ci mise la coda.

(continua) bruno tardivelli (21.04.2007)


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3 La vita è tutta un teatrino


Fiume era percorsa spesso da cortei che scandivano a gran voce slogan bellicosi:
"Trst je nas" - ( Trieste è nostra )
"Zivot damo ali Trst ne damo" (Diamo la vita ma non Trieste )
"Nase granice su na Soc(i)u" (I nostri confini sono sull'Isonzo )
Io guardavo e mi venivano i brividi, a questa gente, cinque anni di guerra non erano bastati ! Dopo la parentesi in cui avevo fatto il Maestro in "Belveder" tornai a lavorare in Teatro, "el Tipo" era tutto contento, era a corto di attori e mi diceva:
"Ti vedi che ti sta mejo con mi !
Qua ti sarà pagado de più !"
Qualche mio amico era scappato in Italia per la paura che la situazione degenerasse, io non potevo, non avrei saputo dove andare ed avevo una famiglia da mantenere.
Volevo tentare di restare a Fiume, anche se una volta finita la guerra, dopo l'esperienza Polesana, mi era venuta parecchia perplessità e qualche timore.
Forse gli animi si sarebbero poco per volta calmati !
Questa era l'opinione del nostro Regista, uno che avrebbe dovuto saperla lunga di ciò che bolliva in pentola………….
Non avremmo recitato mica per tutta la vita polpettoni di grama vita partigiana !
Avevo bisogno e mi adattai. E poi all'avvenire lontano a quell'età non ci si pensava, contavano i risultati immediati e qualche soldo di più in tasca. Ritrovavo gli attori dilettanti e gli amici dei bei tempi, quelli del Gruppo Filodrammatico Fiumano e dei Gatti selvatici. Pensavo che quella fosse una buona scelta soprattutto perché tra noi c'era Nino che aveva smesso di fare il magazziniere. Io ritenei sempre Nino una persona molto a modo, mi dava sicurezza: intanto aveva sei anni più di me e a 22 anni non è un fatto trascurabile, era sposato, aveva una bella casa, era colto, per ogni evenienza aveva imparato molto bene l'inglese per conto suo, andando a lezioni private durante la guerra, era religioso, sapeva darmi buoni consigli. Se Nino aveva accettato le rassicurazioni dell'amico Regista, per Fiume c'era da sperare solo nella clemenza del vincitore jugoslavo. Lontano da Fiume la vita ci sembrava impensabile. Tanto valeva la pena tentare questa carta per salvare i pochi cocci che ci erano rimasti, campare alla giornata ed augurarci che ci andasse bene. Facevano parte del gruppo che trovai in Teatro Nereo Scaglia che era ritornato dalla prigionia, la Sonia Romaz, la Nella Colonnello; la Gianna intravaia, e il mio Amico Romeo si sarebbe presto innamorato di lei; c'era Tullio Fonda che aveva la stoffa del Primo Attor Giovane, la Lilly Pontoni, figlia del maestro di musica che componeva per "Gatti Selvatici", Federico Manzoni, anche se la sua passione era il Cabaret. Era ora di riprendere l'attività con impegno, per presentare al pubblico spettacoli graditi e decenti e mettere da parte la politica. La gente voleva anche ridere e divertirsi. Era una richiesta diffusa. Così rimettemmo in scena vecchi cavalli di battaglia come "Il Medico e la Pazza" e lo "Smemorato" col quale avevamo avuto successo in tempo di guerra. Poi presentammo due atti unici :"Don Pietro Caruso"e tanto per tacitare il Commissario Politico che esigeva pure lavori "impegnati" ci cimentammo, al pari della Compagnia Croata, non senza qualche borbottio, ne "Il Furfante di Amsterdam". Era un lavoro "in linea",tragico, ridotto all'essenziale: con tre personaggi. Manco a dirlo il Furfante era un sadico Nazista che aveva fatto impazzire con la tortura Jezenko, un povero ragazzo; io ero Jezenko e "el Tipo" si sbizzarrì con successo a fare "Il Furfante". La Lilly, poco più che ventenne, doveva fare la Madre desolata per il semplice motivo che non era snella, bassa di statura, si poteva "imbottire" a piacere ed aveva un bella voce pastosa. Le prove furono un tormentone, la poverina non riusciva mai ad essere abbastanza desolata ed io dovevo fare il pazzo, suscitare compassione; guai se invece avessi provocato l'ilarità del pubblico, i nostri dirigenti non me l'avrebbero perdonato ! Il dramma si concludeva con la morte del nazista, accoltellato dalla madre del pazzo, in un impeto di disperazione, con un coltellaccio da cucina che, guarda caso si era trovata tra le mani, mentre in lontananza riecheggiava un canto intonato dai Liberatori che stavano giungendo. Come effetto scenico, l'applauso ed il successo erano garantiti, anche se fossimo stati dei cani, purché io non avessi fatto scatenare ilarità con le mie stranezze da giovanotto fuor di senno. La rappresentazione riuscì bene, fummo convincenti e gli applausi scrosciati alla fine ci ripagarono dello sfinimento della recitazione nervosa e drammatica. Romeo che faceva il suggeritore, a distanza di molti anni continuò sempre ad affermare che la parte del pazzo Jezenko fu una delle mie migliori interpretazioni nel breve tempo che feci l'attore.

(continua) bruno tardivelli (22.04.2007)


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4 La vita è tutta un teatrino


Ma come sarebbe buffa l'umanità se non fosse pure così abbietta da commettere crimini verso i propri simili che nessun altro essere vivente riesce ad immaginare. Da Fiume, chi aveva perso ogni speranza che la situazione cambiasse ed era in grado di farlo, se ne andava, seppure a malincuore; però c'era anche chi dal Bel Paese, misero, disastrato, dall'avvenire incerto, faceva capolino in cerca di fortuna. Dall'Italia, povera e sconfitta stavano per giungere da noi "forze sane e democratiche" per edificare il Socialismo, cercavano il Sole dell'Avvenire! Appresa dai Compagni Jugoslavi la "procedura " per attuare tale progetto, sarebbero ritornati in Italia e ci avrebbero pensato proprio loro ad ammannirlo agli italiani, anche ai recalcitranti; per il loro bene, s'intende, in nome della "Democrazia" ! Avevano fatto la loro comparsa in città gruppi provenienti da tante parti d'Italia, Comunisti Convinti, primi tra tutti "i Monfalconesi" uomini e donne, che giravano per la strada col fazzoletto rosso al collo e la "Partizanka " in testa, convinti di essere giunti nel Paradiso Terrestre. Ci erano antipatici, malignamente mormoravamo che non se la toglievano nemmeno per andare a letto. Noi li guardavamo con diffidenza, erano quasi indisponenti per il loro entusiasmo. Erano attivissimi, saccenti, sembrava che da loro dipendesse l'avvenire del mondo Li temevamo e sentivamo che ci erano ostili. I nuovi venuti erano molto indaffarati per trovarsi la migliore sistemazione possibile: una buona posizione, una lavoro, una casa, possibilmente con bella vista, magari già ammobiliata da qualche Fiumano, a dir loro fascista, che era scappato da essa in fretta. Tra loro c'era un po' di tutto: gente con un mestiere qualificato, politicanti, ma anche opportunisti, avventurieri voltagabbana capaci di sotterrare il loro padre pur di fare strada, partigiani italiani che avevano esagerato un tantino con la pistola carica sempre in tasca, senza tenere conto che era giunta la Pace ed i Fascisti erano stati debellati; questi ultimi cercavano di non dare nell'occhio, anche se per campare non potevano vivere perennemente nascosti nell'armadio. I zelanti Compagni venuti dall'Italia, com'è risaputo, anche nel Paradiso Jugoslavo avrebbero fatto ben poca strada nonostante le loro "referenze". La situazione economica era critica, la moneta italiana stava sparendo per vie misteriose, ne faceva incetta lo stesso governo Jugoslavo, la carestia era grande e per rimediare, nelle terre che si erano in pratica già annesse gli Jugoslavi, in mancanza di liquidità s'inventarono al posto delle Lire Italiane, delle quali gli Alleati avevano negato loro la disponibilità, le "Jugolire", Il rifiuto degli alleati era motivato dalla convinzione che Tito, mai e poi mai avrebbe mollato l'Istria una volta che vi aveva messo piede, vi si sarebbe opposto con le armi. Se mai ce ne fosse stato bisogno era la contro prova che qualsiasi altra soluzione alternativa a quella Jugoslava, per noi era un sogno ormai svanito. Alla fine di Novembre del 1945 avvennero le Elezioni - burla per il Comitato Popolare Cittadino, cioè per il Comune, come altrove. C'era una sola lista per un solo Partito, il loro, con una sfilza di nomi, ma uno valeva l'altro, tanto erano tutti "compagni" che dovevano attuare direttive prestabilite "in alto loco". In Istria, nel Capodistriano erano successe delle contestazioni e dei disordini, coloro che li provocarono furono etichettati Fascisti - Italiani ed eliminati. Il noto antifascista istriano Antonio Budicin a Rovigno ebbe l'impudenza di presentare una sua lista Indipendente, seduta stante fu chiamato Fascista pure lui e la sua Lista non fu ammessa alle elezioni. Si vergognarono di dircelo ma lo sapemmo lo stesso perché di nascosto ascoltavamo "Radio Trieste ", come in tempo di guerra segretamente, in barba ai Fascisti ed ai Nazisti ascoltavamo "Radio Londra" per sapere un pò di verità. Le prime elezioni della "Sloboda", cioè della Liberazione, a Fiume ed in Istria furono una farsa ed un fiasco per gli jugoslavi . Molti di quelli che andarono a votare lo fecero come noi per paura di essere perseguitati e restare senza un lavoro, ma scarabocchiarono la scheda, altri che avevano dove andarsene o stavano per farlo non vi si recarono affatto. In Istria si ebbero percentuali bassissime. Tirava per noi italiani una brutta aria. "Oltre" invece se non furono del 100%, lo sfiorarono……… Il nostro caro concittadino e storico maggiormente informato del periodo più tragico dei Fiumani: Mario Dassovich nel suo libro: "1945 - 1947 Anni difficili e spesso drammatici per la definizione di un nuovo confine orientale italiano" - ed. Del Bianco-Udine, ci fornisce una preziosa e dettagliata documentazione di quegli avvenimenti nel capitolo "VI - I condizionamenti dei regimi politici" ad iniziare da pag 183.

(continua) bruno tardivelli (22.04.2007)


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5 La Vita è tutta un teatrino


In soccorso alla ma memoria e confermare i miei ricordi un po' sbiaditi di sessant'anni fa, è venuto inaspettatamente un libro stampato nel 2004 a cura del'EDIT di Fiume per il Centro Ricerche Storiche di Rovigo e che io mi sono affrettato ad acquistare durante un mio soggiorno, nella libreria del Corso. Si tratta del volume "Dramma Italiano" opera di Nensi Giachin Marsetic .
Le prime 50 pagine rifanno succintamente la storia del teatro a Fiume, a partire dalle rappresentazioni allestite dai Frati Agostiniani in Piazza San Vito, davanti alla Chiesa appena rinnovata. Tali spettacoli, in genere di carattere sacro, avevano per interpreti, anche nei ruoli femminili, i rampolli dell'alta borghesia cittadina.
Sono un po' pochine 50 pagine per un periodo di 350 anni, ma bisogna tenere conto che risultano una breve premessa all'intenzione dell'autrice che riguarda principalmente gli anni del secondo dopoguerra, fino ai giorni nostri e perciò anche le prime travagliate vicende del Dramma Italiana, in seguito all'esodo degli italiani da quelle Terre.
Io ricordo che. finita la guerra, in una comunicazione del Comitato Popolare Regionale per il Litorale Croato - Servizio per l'Istruzione, al nostro "Gruppo Filodrammatico Fumano" venne affibbiata una vaga denominazione: "Compagnia Teatrale di Fiume". Ne fa cenno la Marsetic nel suo libro, "Dramma Italiano" a pag 36, e afferma che era il 25 Maggio 1945. La nostra "Compagnia" doveva operare in Città assieme alla Compagnia Teatrale (croata) Nikola Car e l'Orchestra Teatrale dell'Opera.
Ai tre gruppi era assegnato il compito di promuovere a Fiume l'attività artistico-culturale presso il Teatro Verdi (lo chiamavano ancora così) ed a tale scopo, afferma la Marsetic, i loro responsabili furono convocati per il giorno successivo, il 26 Maggio 1945, alle ore 14. Alla riunione costitutiva indetta nella sede del Comitato Popolare Cittadino, chi venne convocato per la nostra "Compagnia di lingua Italiana" ?
Sarebbe molto interessante saperlo, ma nel libro della Marsetic non è detto. Io credo di ricordare che alla riunione del Maggio 1945, con i massimi esponenti croati della Città, in cui si decise la formazione delle compagini che dovevano operare nel Teatro Verdi, parteciparono il nostro Direttore-Regista e Tullio Fonda.
Tra i due ci dev'essere stato un passaggio di consegne. Infatti il nostro Regista, pur svolgendo il suo ruolo nella nostra Compagnia, era diventato Capo Redattore de "La Voce del Popolo", ma aspirava ad incarichi di ben maggior prestigio, secondo le promesse ricevute . Nino Bortolotti, l'attore della nostra "Compagnia" con maggiore esperienza e degno della nostra fiducia che era stato da noi designato unanimemente ad accompagnare il nostro Regista, suo coetaneo e amico, si rifiutò allora assumere alcun incarico; Nino in quell'occasione litigò con tutti, se la prese con noi che lo avevamo proposto; non c'era tempo da perdere, bisognava provvedere rapidamente alla sua sostituzione e si ripiegò su Tullio Fonda, mio coetaneo.
Nino per me era un punto di riferimento, ne avevo una grande stima, era prudente e pacato e in fondo aveva ragione; fino a quando le cose a Fiume non si sarebbero chiarite e non si chiarirono mai, era meglio stare alla larga da ogni incarico di rappresentanza, non compromettersi agli occhi dei Fiumani e tornando a casa ne convenni con lui, strada facendo.
Io ero escluso da queste nomine, non avevo ambizioni, mi ero tenuto in disparte, ero politicamente inaffidabile.
Mi ero astenuto giorni prima di partecipare a certi cortei che non mi garbavano ed ero stato biasimato. Avevo addotto il motivo che l'atmosfera mi appariva ostile agli italiani; non mi sembrava bello che certa gente, senza alcun motivo, nelle vocianti manifestazioni accomunasse tutti i fiumani ai fascisti che si erano macchiati di delitti; e poi c'era uno slogan che spesso veniva scandito dai dimostranti e m'indisponeva moltissimo.
Gridavano nella loro lingua:
"Gettateli fuori, gettateli fuori, noi non li vogliamo !"
Cosa significavano e a chi si riferivano ?
Chi si doveva gettare fuori ?
E poi, gettarli dove ?
Con le notizie che filtravano, nonostante tutto dal circondario, le voci e le allusioni a fatti oscuri successi in Istria, c'era poco da stare tranquilli.
Passò qualche mese e si decretò lo scioglimento dei due complessi del Teatro di Prosa, essi erano messi a disposizione della Comitato Popolare Cittadino. In una nota del dott. Djuro Rosic, dalla data incerta, conservata nell'archivio del Teatro e citata della Marsetic, risulta che la Compagnia Croata perdeva la sua denominazione ufficiale "Otokar Kersevani", mentre la nostra "Compagnia Teatrale di Fiume" (quella di lingua italiana), venne chiamata in questa seconda occasione, stranamente, col nome del nostro Direttore - Regista, e restammo tutti sorpresi di questa insolita definizione.
Quale significato poteva avere il nuovo nome della nostra Compagnia, sennonché tutti noi, attori italiani, non sapendo più come individuarci, nonostante ciò che stava accadendo, facevamo sempre capo al nostro Regista e ci riconoscevamo in lui ?
Nel Dicembre del 1945 il nostro Teatro Giuseppe Verdi cambiò ancora denominazione, si doveva chiamare "Narodno Kazaliste Rijeka- Teatro del Popolo-Fiume".
La sua primitiva denominazione, risalente al 1913, quando a Fiume c'era già puzza d'irredentismo, dava fastidio ai nuovi padroni, anche se non lo confessarono mai.
Noi italiani restammo male a tale notizia.
Poco più avanti, a pag 38 dello stesso libro "Dramma Italiano" viene riferito che il dott. Djuro Rosic, il 4 Gennaio 1946 annota di essere stato prescelto quale "Intendente del Teatro Stabile di Fiume". Il nostro Regista ci aveva ripetutamente assicurato che avrebbe assunto la dirigenza del Teatro e certo i suoi Compagni Croati gli avevano giocato un brutto tiro; poveretto, con noi aveva perso la faccia. Egli era certo di ottenere questa carica, quale garanzia per la tutela della identità nazionale italiana, rimase assai deluso e altrettanto avviliti dovettero rimanere tutti coloro che con lui avevano sperato e cospirato durante la guerra, ma molti tra essi preferirono per prudenza tacere e prendere atto della situazione, cos'altro potevano fare ?
Erano passati 7 mesi dal Maggio 1945, in Città la situazione si evolveva in modo a noi sfavorevole.

(continua) bruno tardivelli (23.04.2007 )


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6 La vita è tutta un teatrino


Prosegue la nota del 4 Gennaio 1946, redatta dal dott. Djuro Rosic e riferita nel volume "Il Dramma Italiano", che ci fu una riunione in quello stesso giorno, presso la Sezione Propaganda, il "Propodjel", al settimo piano del Grattacielo di Fiume, per decidere la nomina del gruppo dirigente del Teatro Stabile. A tale riunione, come risulta dalla citata nota, parteciparono tra gli altri, solo i delegati del complesso di prosa croato, e di quello orchestrale; della Compagnia di Lingua Italiana non era stato invitato nessuno, nemmeno il nostro Direttore e Regista che in passato era stato anche il Referente del Propodjel !
Come mai?
Quale significato aveva tale assenza ?
All' incontro partecipò in rappresentanza degli italiani solo Eros Sequi, alto esponente della Comunità degli Italiani e del Partito Comunista che non era mai presente ad alcuna riunione della nostra Compagnia, né alle nostre preparazioni teatrali, conosceva bene solo il nostro Regista, Tullio Fonda e di sfuggita alcuni di noi in qualità di spettatore.
Cosa voleva significare la presenza alla riunione soltanto di Eros Sequi, uomo fidato del Partito, che con la nostra Compagnia non c'entrava direttamente, se non che la posizione del nostro Regista-Direttore, el "Tipo", era stata posta in discussione e la direzione del complesso italiano era vacante ? Ma ecco che, un paio di settimane dopo, facendo seguito alla riunione del 4 Gennaio 1946, alla quale aveva partecipato per parte nostra il solo Eros Sequi, dopo che la nostra Compagnia ebbe la denominazione ufficiale di "Dramma Italiano" le cose si chiarirono.
Era avvenuto un "terremoto"!
Fu nominato Direttore e Regista del Dramma Italiano, Tullio Fonda, attor giovane, mio coetaneo, mentre il mite e colto Osvaldo Ramous ebbe l'incarico di Vicedirettore del Teatro del Popolo. Il nome del "Tipo", il nostro ex Direttore, quello che ritenevamo ancora il nostro Regista, il nostro Nume tutelare, era d'un tratto scomparso del tutto.
Io, Romeo e qualche altro attore, non addentro ai segreti maneggi che si svolgevano "in alto loco"ci demmo dei pizzicotti per sapere se eravamo desti o sognavamo. Il nostro Regista, il nostro maestro, il"deus ex machina" della nostra antica Filodrammatica, era stato eliminato, non era "in linea"con i progetti del "Partito" !
Egli aveva rischiato grosso durante la guerra, finendo nella prigione delle SS assieme a me e a Nino, proprio perché "Lui" era a contatto con il Fronte Popolare di Liberazione, e tuttavia fu messo in disparte, era caduto in disgrazia !
Tullio Fonda non gli aveva mica "fatto le scarpe"?
Oppure nel Comitato Popolare Cittadino, riguardo al "Dramma Italiano", non sapevano più, sul momento, quali pesci pigliare ?
Della nostra Filodrammatica, durante la guerra solo "el Tipo"-Regista e forse anche Tullio Fonda erano stati a contatto con gli aderenti fiumani al Fronte di Liberazione Jugoslavo. Si era trovato assieme a gente più matura e qualificata di noi: ad Osvaldo Ramous, a Lucifero Martini, Corrado Iliasich, Eros Sequi, a Gioia La Neve, Nico Pitacco, Erio Franchi e tanti altri; noi ne avevamo avuto solo un lontano sentore, non conoscevamo nomi, non sapevamo nulla, eravamo troppo giovani e inesperti, forse infidi e perciò tenuti all'oscuro di tutto. Quanti di questi personaggi, dopo tali avvenimenti, furono gli illusi, quanti i delusi e gli amareggiati che perseverarono con coraggio nella difesa della loro identità nazionale perché ripudiavano, per loro convinzioni personali, altre scelte ? Tanti attesero speranzosi, convinti che col tempo, passato il periodo "caldo", esaltante e burrascoso dei primi momenti, il buon senso comune avrebbe prevalso e le promesse per le quali avevano lottato assieme ai i compagni Croati, si sarebbero realizzate. Parecchi continuarono ad adoperarsi, a resistere, perché non si rassegnarono, non vollero abbandonare la loro Fiume, adattandosi alla nuova situazione in cui si erano costretti loro stessi a vivere. Basta rileggere il ricordo che fa Corrado Iliasich della sua attività a Fiume nel Libro già citato "Italiani a Fiume" per rendersi conto del clima difficile in cui sono vissuti i nostri concittadini" rimasti" nella nostra Città e ogni altro commento è vano. Io li comprendo perché ho vissuto accanto a loro nel primo periodo e li rispetto, nel loro animo restarono italiani, non rinnegarono la loro origine e la loro cultura e ci voleva del coraggio. Altre considerazioni dopo tanti decenni per me sono vane ed inopportune. Se non si cuoce assieme, nello stesso brodo, certe cose difficilmente si riescono a comprendere. A questo punto io posso fare solo delle supposizioni : Il nostro Regista-"el Tipo", era un uomo tutto d'un pezzo, un risoluto, un impaziente che non amava le mezze misure e fin d'allora, a pochi mesi dalla "Liberazione", intravedeva lucidamente ciò che sarebbe accaduto. Certamente nutriva non poche ambizioni. So che ebbe tempestose discussioni con i responsabili dell'Unione degli Italiani e duri contrasti con i dirigenti croati in merito alla tutela dell'identità italiana di Fiume, avendo bene in mente la promesse che gli erano state fatte durante la Lotta di Liberazione. Mano a mano che passava il tempo egli vedeva meglio di noi svanire le belle promesse e in lui si faceva strada una delusione cocente. Si sentiva tradito. La nomina del colto e conciliante Osvaldo Ramuos a Vicedirettore del Teatro del Popolo e del giovane e ambizioso Tullio Fonda a Direttore e Regista del Dramma Italiano, significò che in seno all'Unione degli Italiani si riteneva che bisognava ancora pazientare, mentre al Comitato Popolare Cittadino era stato deciso che il nostro antico Direttore e Regista, nonostante i suoi meriti passati, non era più "in Linea" con le decisioni del Partito, dunque non più idoneo a superiori incarichi ed andava perciò per il momento messo da parte. Il suo carattere e le sue ferme convinzioni non lo rendevano "malleabile", non si piegava ai progetti reconditi della dirigenza jugoslava che erano molto difformi dalle enunciazioni di principio, sbandierate ad ogni piè sospinto durante la guerra. Giunti al potere, ogni volta che queste dovevano avere pratica attuazione prevaleva l'opinione che i tempi non erano ancora maturi, i "reazionari fascisti ed autonomisti" erano sempre in agguato, bisognava andare cauti, non era ancora il tempo di fare concessioni. In tale modo le decisioni per la tutela e l'autonomia ad ogni livello venivano rimandate sempre più lontano e tutto ciò andava a detrimento dei fiumani di lingua italiana.

(continua )

Bruno Tardivelli (25.04.2007)


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7 La vita è tutta un teatrino


Molti tra noi incominciavano ad essere scoraggiati, percepivamo un clima di vessazione. Sotto l'incalzare degli avvenimenti, mentre un timore indefinito serpeggiava sempre più tra quanti conoscevo, chi tra i fiumani era in grado di trasferirsi in Italia per cercare maggior fortuna lo faceva senza indugio; elementi preziosi e rappresentativi della cittadinanza fiumana scomparivano da un giorno all'altro: era l'inizio del grande Esodo.
Io e altri come me che non sapevamo dove andare, annaspavamo cercando di non annegare. La popolazione italiana veniva in tale modo disorientata e decapitata.
Era quello che più di tutto noi fiumani-italiani paventavamo e che subdolamente gli jugoslavi desideravano.
Appariva evidente che una drastica riduzione degli italiani a Fiume e in Istria era nei loro progetti immediati.
Appare in tutta la sua crudezza una dichiarazione fatta in anni posteriori dal delfino di Tito : Milovan Gilas, caduto poi in disgrazia:
"Nel 1945, io e Kardelj, fummo mandati da Tito in Istria. Era nostro compito indurre tutti gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto."
Questa frase lapidaria e molto chiara, è citata all'inizio del libro "L'Esodo" - La Tragedia negata degli Italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia - di Arrigo Petacco, ed. Oscar Mondadori. Noi vedemmo "el Tipo" in quei giorni del Gennaio 1946 discutere a lungo, animatamente, specie col Commissario Politico del Teatro, lungo il corridoio del Teatro, andando su e giù, mentre noi con Tullio eravamo intenti alle prove di una commedia di Pirandello: "Non si sa come " Mi rimase impressa la sua figura accalorata nella conversazione. Uno o due giorni dopo, "el Tipo"scomparve : "non si sa come!" Del nostro gruppo egli fu il primo ad andarsene esule in Italia. Rimanemmo molto sorpresi, ma ormai era da aspettarselo e gli andò bene che non ebbe seri guai. Ma quale combinazione : L'ultima commedia diretta ed interpretata dal "Tipo" nel Dicembre dal 1945 fu, guarda caso,"La Sposa è scappata" Ed invece scappò proprio "Lui" per evitare malanni peggiori ! Infatti dopo la fine del 1945, come risulta dal recente libro della Marsetic, non figura più negli archivi del Teatro del Popolo di Fiume il nome del nostro Direttore-Regista, non c'è più una sua traccia nelle locandine, negli appunti dell'Intendente Rosic e nelle cronache del giornale cittadino. Io ho una fotografia in cui tutti gli attori della commedia, sono schierati sul palcoscenico del Teatro Verdi. Ci sono nella foto: Gianna Depoli-Salvioli, Bruno tardivelli, Palmina ?, il Regista (el Tipo), Liily Pontoni, Nino Bortolotti. Fu l'addio" al Teatro del nostro "Tipo", chi l'avrebbe mai detto ! In quell'occasione adoperammo ancora le nostre vecchie scene di Juta usate nel tempo di guerra dalla nostra Filodrammatica. La sorte aveva voluto giocare anche questo scherzo birbone di dubbio gusto al neonato Dramma Italiano ed ai suoi anfitrioni. Io ero disorientato, il mio "Grande Amico"e "compare" Romeo Fiorespino, suggeritore e all'occasione attore "tappabuchi", quando ci accorgemmo che "el Tipo", come lo soprannominavamo noi, aveva fatto perdere le sue tracce, scuotendo la testa e senza farci troppo notare, ci facevamo delle matte risate. E cos'altro potevamo fare ? Romeo mi dava delle pacche sulla schiena e mi sussurrava. "Amico," el Tipo" ne ga piantà; da adesso "ocio" , che santoli non ghe ne gavemo più" Ma era il segreto di Pulcinella, lampante come la luce del sole, però tutti facevano finta di non saperne nulla, "el Tipo"divenne il nostro "innominato". Perché io in queste righe non l'ho chiamato col suo nome ? Perché resta qualcuno, del quale ho rispetto, che lo desidera, anche se non è difficile capire chi sia il personaggio. Ormai è tutta acqua passata, può solamente venire a noia; sono rimasto tra quegli attori solo io che sto scrivendo queste cose un po' contorte e meschine che pochi forse trovano la pazienza di leggere. Con garbo Valerio Zappia nel libro "Italiani a Fiume" edito dalla Comunità degli Italiani nel suo cinquantenario, nel 1996, nel preambolo della Terza Parte, riferendosi alle rievocazioni, a pag. 202 fa notare : "il pericolo di……inesattezze ed imprecisioni. La mente umana ha purtroppo i suoi limiti……… .I racconti di alcuni dei protagonisti….non sono documenti d'archivio attendibili al cento per cento nella loro scarna elencazione di date, dati e fatti. Ma parole dettate dal cuore di chi ha operato più o meno a lungo, più o meno bene, ma sempre in buona fede e dedicando buona parte del tempo libero alla promozione del gruppo nazionale italiano. Non ce ne voglia, pertanto il lettore, sia indulgente e non giudice severo delle nostre fatiche". E' proprio così, ci sono delle inesattezze che appaiono irrilevanti, ma solo per chi di quei tempi non porta le cicatrici. Oggi, in un nuovo clima, si cerca di placare tutte le contese mettendo una pietra sopra un passato di cui conviene a tutti, per amor di pace, non rammentare i particolari ed è meglio che sia così, purché serva far capire qualcosa a chi, fino ad oggi, ha tirato sempre la corda.

(continua) Bruno Tardivelli (26.04.2007)


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8 La vita è tutta un teatrino


All'inizio del 1946 tra gli italiani che affluivano a Fiume per costruire il Socialismo da introdurre poi nell'Italia, per amore o per forza, giunsero nel nostro Teatro diversi Compagni. Uno di questi era il Regista milanese Moresco, infatuate del regime Jugoslavo, certamente membro del PCI, assieme alla moglie maestra di ballo dell'Opera. Egli ingaggiò Italia quelli che noi soprannominammo "i milanesi". Erano attori e orchestrali italiani, raccattati da quel regista sulla piazza di Milano, dovevano rimpolpare l'orchestra del Teatro, un po' striminzita, alcuni cantanti e certi giovani attori destinati al "Dramma Italiano" che si davano un sacco di arie e ci squadravano dall'alto in basso, pur avendo quasi tutti la nostra età.
All'atto pratico tranne Carlo Montini e Ada Mascheroni che avevano esperienza di palcoscenico, gli altri si rivelarono delle scartine peggiori di noi fiumani compreso un regista, un certo Della Gatta che si vantava di essere amico di Giorgio Strehler e si credeva bravo quanto lui. Si aggiunsero a loro Sandro Bianchi e Adelaide Gobbi, già ,attori di avanspettacolo, ma col passare del tempo ci apparvero più che altro dei mestieranti. Noi accogliemmo con curiosa deferenza questi nostri nuovi colleghi guardando a loro come a dei maestri ma furono una delusione per tutti, ritenevano Fiume una città piccolina, poco più d'un borgo, inadatto per le loro aspirazioni. Credevano di trovare "la Terra Promessa" per le loro velleità artistiche, non incontrarono il benessere promesso dagli apostoli del Socialismo Reale, anzi una carestia peggiore di quella italiana e ben presto dopo qualche spettacolo deludente parecchi se ne tornarono a casa con le pive nel sacco. Secondo le direttive emanate, i testi teatrali dovevano essere scelti dalla Direzione del Teatro, non dalla direzione del "Dramma Italiano", rispondere a precisi criteri di gradimento del "potere", in modo che nel testo ci fosse un messaggio politico accetto e ben chiaro. Se ho ben capito, da recenti notizie apparse a Fiume, tale prassi sopravvive ancora oggi a 60 ani di distanza e non è troppo gradita agli attori del "dramma Italiano" Ai miei tempi, il pubblico doveva capire che in tutte le epoche l'aspirazione del popolo era vivere secondo l'ideologia comunista e la causa di tutti i mali della società umana, era lo sfruttamento che i padroni esercitavano sui lavoratori. Così si cercarono messaggi rivoluzionari nel "Burbero Benefico", nelle "Baruffe Chiozzotte" e nei "Rusteghi" di Goldoni, nel "Ruj Blas" di Victor Hugo, nella"Giara" e nel "Berretto a Sonagli" di Pirandello, nel "Lungo Viaggio di Ritorno" di O' Neill, ne "La Via Maestra " di Cehov e persino in "Virginia" dell'Alfieri, ambientato nell'Antica Roma, al tempo delle contese tra i Patrizi e i Plebei. Se certi annunci graditi al nostro Commissario Politico non si riuscivano a proprio a trovare nel copione, beh, qualche battuta di comodo si poteva anche aggiungere, con buona pace dell'Autore. La vita del "Dramma Italiano continuò ad essere tribolata; infatti nell'estate del 1947 scomparve di punto in bianco pure il suo secondo Direttore: il mio coetaneo Tullio Fonda. Da bravo attore egli aveva dissimulato la sua delusione e senza far parola raggiunse mamma e papà a Trieste; in seguito emigrerà in Canada per dedicarsi all'insegnamento della lingua italiana. Venne allora a dirigere il "Dramma Italiano" un intellettuale di Laurana: Piero Rismondo che ci impose un suo lavoro teatrale a sfondo politico; anche lui poveraccio doveva pur farsi strada in qualche modo per mantenere la famiglia ed era ancora convinto, al pari di Osvaldo Ramous e diversi altri, che gli italiani prima o poi avrebbero giocato un ruolo importante a Fiume ed in Istria. Io a Fiume non vedevo più un futuro decente per me, in parecchi pensavamo che bisognava andarsene, ma non sapevamo dove. Il dramma di Rismondo, intitolato :"Dietro la Maschera", era ambientato a Laurana. Esso racconta una vicenda di intrighi e ipocrisie in un'epoca torbida e sanguinosa della guerra che precedette di poco la catastrofe dell'Armistizio dell'otto Settembre e la vergogna italiana dello sfacelo già in atto. A me non piaceva, gli italiani ci facevano una brutta figura ed escogitai il modo per non essere tra gli interpreti: "mi feci venire una sciatica" male difficilmente diagnosticabile e camminai zoppo e curvo per un mese. Mi feci fare pure le iniezioni, ma non recitai quello che mi pareva un polpettone troppo politicizzato. Piero Rismondo non digerì troppo la mia indisposizione, gli divenni antipatico ma davanti al mio certificato medico ed alla mia zoppia, tutti quelli che nutrivano sospetti sul mio conto tacquero, anche se mi considerarono un impostore. Non me ne importava proprio nulla; prima o poi pensavo che me ne sarei andato da Fiume anch'io. Ne fece le spese il nostro suggeritore, il mio povero amico Romeo che con la faccia del condannato fu obbligato a recitare al mio posto. Alle rampogne per il suo scarso rendimento regolarmente rispondeva: "Ma cossa pretendè de mi, mi non son miga el Bruno !" In privata sede mi redarguiva: "Mi so che a ti non te va de lavorar in quela "monada", che ti fa el finto zoto, e tuti lo ga nasà, ma intanto pago mi !" Io facevo spallucce e tacevo. In quell'occasione mi costrinsero a fare io il suggeritore, ma ero dentro "la buca" e nessuno degli spettatori mi vedeva. Dopo un po' anche Piero Rismondo se ne andò. Mi ha raccontato un istriano che, deluso del Paradiso Socialista, "el sior Piero", come molti di noi per riguardo lo chiamavamo, nonostante dovessimo essere tutti "compagni", nel 1952 si stabilì in Austria dove aveva abitato da ragazzo poiché sua madre era di quei luoghi e visse facendo il giornalista e il critico teatrale. Gli subentrò il colto e pacato Osvaldo Ramous, che prese le redini della Compagnia e ne divenne il "salvatore".

Il Signor Ramous era un galantuomo, un "vero signore", di vecchio stampo, innamorato della sua Fiume, non seppe staccarsene e si adoperò alacremente, affiancato con passione dagli attori Nereo Scaglia, Gianna Depoli, Raniero Brumini, Ada Mascheroni e qualche altro loro collega, per evitare al Dramma Italiano la sua estinzione che qualcuno auspicava. Questa è però storia che gli amici fiumani "rimasti" conoscono meglio di me.

Era il 1948, gli altri componenti del neonato "Dramma Italiano": Nino Bortolotti, Romeo Fiorespino, Gianna Intravaia, Liliana Pontoni, Umberto Salvioli, Ada Grattoni, optarono assieme a me, fummo licenziati, essi scelsero così la via dell'esilio. Io rimasi a Fiume ancora per un anno, mi ero sposato con una ragazza di Susak, la Dani che condivide ancora con me la sorte. A mia moglie non davano il passaporto per seguirmi e senza di lei non me ne volevo andare, avevo paura di perderla, eravamo senza carte annonarie, mi arrangiavo, cercando di passare inosservato e tenendo la bocca ben chiusa; se non ci avessero aiutato i genitori di mia moglie, ce la saremmo passati assai male; per essi ho una riconoscenza immensa.. Ci allungava dei dinari pure Barba Mate, un vecchio suo zio prete, professore di teologia, appena uscito di prigione, perseguitato anche lui; reggeva la chiesa di San Girolamo, chissà dove trovava quei soldini. Erano gli ultimi tempi in cui a Fiume si celebrava ancora la Messa in Latino; la Domenica io andavo a fargli il "lonzoletto" ed era tutto felice. La Provvidenza non si stancò mai di noi ed io ora son ancora qui a raccontarvi questa storia……….

Fine

Bruno Tardivelli ( 30.04.2007)

testi citati :

Mario Dassovich: "1945 - 1947 Anni difficili e spesso drammatici per la definizione di un nuovo confine orientale italiano" ed Del Bianco - Udine
Nensi Giachin Marsetic: "Il Dramma Italiano" Centro di Ricerche Storiche Rovigno, collana Etnia
Arrigo Petacco : "L'Esodo "ed Oscar Mondadori
Comunità degli Italiani di Fiume "Italiani a Fiume" ed 1996