Ricordi di Etta Nardini

esule istriana




Fener, 15 aprile 2002

A Davide

perché possa conoscere e comprendere l'esperienza di sua nonna Dori e dei 350.000 esuli istriani. Con l'augurio che questo racconto di vita faccia nascere in lui, in futuro, l'interesse per approfondire un argomento che ancora oggi non trova spazio nei libri di scuola.

Sono nata a Lussingrande nel 1920, periodo in cui il mio paese apparteneva al Regno d'Italia: infatti io ho sempre parlato l'italiano e ho frequentato scuole italiane.
I miei genitori, anche se sotto l'Impero Austroungarico, hanno frequentato la scuola italiana e parlavano in lingua italiana perché ad ogni popolo sottomesso all'impero erano concesse queste libertà, come quella religiosa.
Lussingrande è un piccolo paese che si trova nell'isola di Lussino(oggi denominata Losinij ). Ricordo che la gente viveva di pesca e di turismo; infatti c'erano diverse ville-pensioni per gli ospiti che venivano a respirare l'aria salubre e a godere del clima mite.
In paese c'era la residenza estiva (una grande villa con un bellissimo parco) del Principe Carlo Stefano d'Asburgo che si rivolgeva alla gente del luogo parlando il nostro dialetto istriano che assomiglia a quello triestino.
Le immagini che porto sempre nel cuore sono il piccolo porto con i "bragozzi" del pesce e della frutta e verdura che venivano da Chioggia; il Duomo con le opere d'arte del Vivarini e della scuola del Tiziano e il suono delle campane spiegate a festa.
Ho ancora vive nella memoria le immagini del mio mare limpido e blu, con gli scogli che noi chiamiamo "grotte", dei bagni, del sole caldo, delle pinete con il frinire delle cicale… ricordo il suolo dell'isola sassoso, con tanti ulivi e la terra rossa.
La vita scorreva tranquilla e vedo ancora davanti a me i capitani di lungo corso, in pensione, seduti in riva che raccontavano a noi bambini dei loro viaggi nel mondo e noi ascoltavamo come se fossero state fiabe… Per noi piccoli, quei vecchi erano come dei veri patriarchi.

Nel 1941 , per motivi di famiglia, ero a Parenzo con mio padre e mio fratello sacerdote. Con l'Armistizio, l'8 settembre 1943, l'Istria veniva occupata dalle truppe di Tito e per gli istriani è iniziato il calvario: incominciava la pulizia etnica nei confronti degli italiani da parte delle truppe slave. Noi istriani eravamo spaventati e ci sentivamo abbandonati perchè da quella data non esisteva più nessuna autorità italiana civile e militare a cui far riferimento.

Di notte le truppe di Tito entravano di prepotenza nelle nostre case e prelevavano i capifamiglia ed anche famiglie intere per poi gettarli nelle foibe, che sono delle voragini naturali profonde anche 200 metri, che si trovano nella terra carsica.
Per queste ragioni molti istriani hanno abbandonato la loro terra senza permessi, con la motivazione di andare a Trieste, un viaggio che era consentito.
Avevamo capito che niente sarebbe più stato come prima della guerra e che per non rinunciare alla nazionalità italiana, l'unica possibilità era quella di lasciare la nostra terra, le nostre case, gli amici, i parenti e venire esuli, poveri e spesso con i soli indumenti del viaggio addosso, in Italia.
Nel 1946 ho lasciato Parenzo imbarcandomi su una piccola nave (che noi chiamavamo piroscafo) per accompagnare fuori dall'Istria due piccoli nipoti maschi, gli altri due (Dori - nonna di Davide - e Claudia ) avevano intrapreso il viaggio di abbandono del loro Paese qualche ora prima, con la madre e il nonno (mio padre ), seguendo il percorso "per via terra", per non far nascere il sospetto che una famiglia intera se ne andava. Ricorderò sempre il viaggio per mare da Parenzo a Trieste con i nipotini che indossavano tutti gli indumenti che era possibile far loro indossare(doppia biancheria…) perché sarebbero stati gli unici capi di vestiario che avrebbero potuto avere per chissà quanto tempo…
Siccome era una calda giornata di maggio, i bambini sudavano e volevano spogliarsi, ed io dovevo convincerli a non lamentarsi ad alta voce, a resistere, finchè non avessero visto la bandiera italiana nel porto di Trieste.
Dopo quattro ore di viaggio siamo arrivati a Trieste dove ci siamo ricongiunti con mio padre, con mia sorella e con gli altri due nipoti.
Da lì siamo andati a Torino ad accompagnare mia sorella Maria con i figli nel Centro Profughi, chiamato "Casermette": lì l'aspettava il marito che l'aveva preceduta nella fuga.
Questo luogo era una ex caserma dove venivano accolti i profughi in grandi stanze, con le pareti divisorie formate da coperte militari; dove non c'era l'acqua corrente; dove i servizi erano all'esterno, in comune, per tutti; dove c'era una cucina da campo che preparava i pasti e dove venivano distribuiti indumenti usati che arrivavano dall'America…
Tutti soffrivano per la mancanza di spazi personali e per la mancanza di tutto quello che è necessario ad una vita dignitosa.
I capifamiglia si sono dati subito da fare per trovare un'occupazione per mantenere la propria famiglia e per farla vivere in una vera casa. Mia sorella è riuscita ad avere il permesso dal Comune di Torino per aprire un piccolo negozio di generi alimentari.
Così dopo qualche tempo è andata finalmente a vivere in un appartamento con tutta la sua famiglia.

Mentre mia sorella si trovava alle "Casermette" , io e mio padre siamo tornati a Parenzo per stare vicini a mio fratello sacerdote perché la situazione in Istria diventava sempre più pericolosa, soprattutto per i religiosi.
Ho abbandonato definitivamente l'Istria nel 1947.
Ho fatto il viaggio da Parenzo a Trieste con mio padre, in corriera, in treno e in un carro bestiame, di nascosto, perché vigeva l'ordinanza che considerava "nemico", chi si rifiutava di prendere la nazionalità slava e chi era contrario al passaggio dell'Istria all'Italia.

Quel viaggio è stato molto doloroso: ero consapevole che stavo abbandonando per sempre la mia terra e il mio mare; avevo il cuore carico di angoscia per il pericolo che correvo e sapevo che andavo incontro ad un futuro senza certezze, mentre lasciavo il mondo in cui ero vissuta con serenità tra gli amici e i parenti, in una casa confortevole che guardava la piazza, con l'orto, tra gente allegra e benevola…

Mio fratello ha abbandonato l'Istria da solo , viaggiando per mare. Ci siamo ritrovati a Trieste e abbiamo incominciato insieme il nostro ESILIO…

Con il Trattato di pace, nel 1947, le grandi potenze avevano deciso la cessione dell'Istria da parte dell'Italia, nazione sconfitta, alla Jugoslavia.
A molti istriani veniva dato il permesso di partire, portando con sé solo pochi indumenti e poche lire. A molti altri il permesso veniva negato per ragioni politiche. Ma l'esodo è continuato ancora per alcuni anni, con fughe drammatiche nelle quali si rischiava continuamente la vita.

Soltanto gli abitanti di Pola, che era sotto la protezione inglese, hanno potuto imbarcarsi nelle navi dirette in Italia.

L'esodo per noi tutti è stato una decisione sofferta, meditata e obbligata per sopravvivere e per poter rimanere italiani.