VIA MEDOLINO

 

Ricordi di Roberto Stanich

 

La mia storia comincia all’inizio di Via Medolino a Pola. La Via Medolino o Medulinska Cesta, come viene chiamata ora, parte dal mercato coperto ma la vera Via Medolino, quella dei miei ricordi, ha inizio dopo la biforcazione con la Via Ariosto, alias Ulica Bruno Kos. E’ strano come dopo tanti anni riesca ad avere una visione limpida e dettagliata dei luoghi e degli abitanti e mi sia molto più difficoltoso ricordare  luoghi e  persone conosciuti di recente. E’ il luogo dove ho fatto le mie prime esperienze, dove ho aperto gli occhi sul mondo, un piccolo mondo completo di cose belle e brutte, di persone buone e  cattive, ma il mondo per antonomasia, come l’ho conosciuto nei primi diciotto anni della mia vita.

Dunque, dopo la biforcazione, la strada fa una curva e poi via diritto verso Medolino. Ai due lati, marciapiedi con alberi striminziti e casette basse ad uno o due piani, intervallate da orti e prati.

La prima costruzione alla sinistra è un piccolo stabile industriale annerito dal fumo e dal tempo. E’ La Fonderia del signor Fonda; assonanza tra nome e professione strana ma reale. L’attività principale era la fusione di campane, poi, durante la guerra, la fabbrica era stata bombardata ed il sig. Fonda si era trasferito in Italia. Lo stabile era stato riparato alla bene meglio e il lavoro era  ripresa in ambito cooperativistico ma con scarso successo: c’era poca richiesta di campane nella Jugoslavia Comunista del primo dopoguerra.

Io ricordo la fonderia per una ragione completamente diversa, per quella volta che Toni L., più comunemente conosciuto come Toni Piria, dopo aver fatto il pieno al Buffet della Zadruga,  si era dimenticato di sterzare alla curva  e, sfondato il muro di cinta, era precipitato con il trattore da un’altezza di oltre dieci metri all’interno della fonderia. Mentre il trattore, di fabbricazione russa, era finito in pezzi, Toni, grazie alla proverbiale fortuna degli ubriachi, non si era fatto niente. Essendo però finito vicino alla fornace, con le fiamme che lambivano il trattore in pezzi e, vedendosi circondato da creature somiglianti a diavoli con il viso annerito dal fumo, aveva pensato di essere già all’inferno e, allora, aveva cominciato a piangere ad alta voce e a chiedere perdono per i suoi peccati. Il perdono gli era stato concesso dagli operai della fonderia ma non dal referente politico che l’aveva fatto condannare per sabotaggio.

Un po’ più avanti ma, dalla parte opposta della strada, circondata da un muro in mattoni rossi, c’era la casa e l’orto di mio nonno Giovanni. Originariamente, la casa era un’osteria, una delle tante alla periferia di Pola ai tempi della Defonta, cioè dell’Austria, dove si trovavano gli operai del cantiere e dell’arsenale dopo il lavoro per farsi un mezzo de quel bon o, se d’estate, un paio di birre.

Mio nonno aveva trasformato il giardino in orto ma vi si respirava ancora l’atmosfera dell’osteria e, alla stagione del vino, la cantina era  molto frequentata.

Mio nonno Giovanni era un inurbato della prima generazione. All’inizio del secolo, Pola era il principale porto militare dell’impero austriaco e il lavoro al cantiere navale e all’arsenale militare attirava i giovani dalla campagna. Il nonno proveniva da una famiglia di carradori , fabbricanti di carri agricoli, e sapeva lavorare bene sia il ferro che il legno. Pensava di trovare una sistemazione al cantiere, invece  era  finito a riparare il Tramway  elettrico. Sì, perché a Pola l’Austria aveva installato il Tramway che percorreva tutta la riva e andava a finire alla Fabbrica Cementi. A proposito del Tram, il nonno raccontava  un fatto che gli era successo in gioventù: si era dimenticato di tirare il freno, lo slaif, in rimessa e una carrozza senza guidatore aveva infilato la discesa ed era finita nel botteghino di frutta e verdura di Siora Bepina. Fortunatamente la Siora, nonostante i  settanta abbondanti e la gamba slossa, aveva ritrovato l’agilità dei vent’anni ed era riuscita con un balzo acrobatico a schivare il bolide. Però i danni al negozio erano notevoli e il gendarmo Fischer, prontamente intervenuto, aveva portato il nonno dal giudice. Qui il racconto del nonno assumeva toni epici: “ Al proceso la Siora Bepina parlava par talian, el gendarmo Fischer par tedesco e el testimonio, quel mona de Pizdaric, par croato. Mi rispondevo in tute tre le lingue!”

Il giudice stupito ad un certo punto chiedeva al nonno: “Foi come parlatte tante lingve, che sqvole afete fato ?” E il nonno: “Le scuole popolari sior giudice”. “ Bravo! Assolto!” sentenziava il giudice.

Non so quanto questa storia fosse vera ma mi piace pensare che lo fosse. Erano bei tempi  e Pola una città tollerante e cosmopolita.

Proseguendo, sul lato sinistro della strada, dopo la campagneta, c’era il negozio di Bepi Barbier.

Bepi era un personaggio molto popolare tra noi ragazzi e la sua bottega era il nostro posto di ritrovo. Portava un paio di baffetti ben curati e si pettinava con la riga in mezzo alla Gabetto, il giocatore del grande Torino. All’epoca aveva un quarantina d’anni e non si era mai sposato. Era continuamente in lotta con la padrona di casa “Siora Marieta Rossa”che così appostrofava:

 

La cercan di qua,

       La cercan di là,

       Che trovar non si possa,

       Questa dannata Marietta Rossa.

 

Alla fine del mese dovevo cercarla io, dato che Bepi mi delegava l’incarico di portarle i soldi della pigione e di ritirare la ricevuta.

Bepi aveva la passione della motocicletta e se ne era costruita una in casa. Il telaio era quello di  una vecchia bicicletta militare sul quale aveva montato un motore Puch. Si lanciava dalla discesa e pedalava disperatamente per metterla in moto, poi proseguiva beato fino alla prossima salita dove doveva riprendere a pedalare per aiutare il motore.

Era un grande pescatore ma pescava solo da terra. Infatti, non sapeva nuotare e aveva un sacro terrore dell’acqua. Ciò nonostante, con la sua togna e il vermo de Rimini come esca, portava a casa ricche prede ed era oggetto di invidia da parte dei miglior pescatori della città.

Povero Bepi, è morto relativamente giovane e, dopo la sua scomparsa, Via Medolino per me non è stata più la stessa.

Più avanti abitava il  signor Francesco. pure lui barbiere ma oramai in pensione . Nelle calde serate d’estate ci si sedeva all’esterno davanti alla propria abitazione a prendere il fresco ed il signor Francesco, accompagnandosi con la  chitarra, intonava con voce tremula “Io fò la serenata a chi mi pare.. e chi mi pare la dovrà sentire”. Si mormorava che sua figlia, una signorina in età ormai avanzata ma ancora vistosa ed elegante, era stata l’amante di un grande nobile austriaco. Purtroppo la storia era finita male e la signorina, dalla bellezza ormai sfiorita , trascorreva le giornate al balcone aspettando un’improbabile principe azzurro.

 

 In Via Medolino  abitavano due taxisti o, come si diceva allora, autisti di piazza:

 

Sior Nini, conosciuto da tutti per la sua personalità poliedrica e le molteplici attività. Oltre ad essere un bravo autista, faceva bene il veterinario, il norcino e il rabdomante. La gente del contado lo venerava.

Il signor Bilucaglia con i baffi a manubrio e la vecchia Ansaldo. Nelle notti invernali le scintille generate dal tubo di scarico dell’Ansaldo vagavano ancora per l’aria trascinate dalla bora quando l’auto era già in rimessa ed il signor Bilucaglia si apprestava a coricarsi.

 

C’era poi la “Corte Bernetich” con le case di ringhiera e le scuderie dei cavalli da tiro. Vi abitavano le famiglie più povere o di più recente inurbamento. Inizialmente ci avevano abitato pure mio nonno e mio padre.

 

Più oltre, la strada proseguiva tra orti e campagne e per me era territorio sconosciuto e proibito “Hic sunt leones” avrebbe sentenziato il nostro erudito Bepi Barbier.