La prima depurazione etnica

di

Arnaldo Sain




Fra le carte ingiallite ho trovato questo che ho scritto più di 50 anni fa. Forse qualcuno non lo digerirà però è la verità di quegli anni.

LA PRIMA DEPURAZIONE ETNICA

Ad intervalli quasi regolari dei lampi turbavano il sereno del cielo, non erano portatori di pioggia o sfoghi della natura ma bensì i primi segni dei cannoni delle orde jugoslave, che premevano su un fronte sfasciato. La città di Fiume sta alla frontiera con la Jugoslavia, perciò è una fra le prime città italiane che dovrebbero cadere nelle mani dei cosiddetti liberatori. Il popolo della città, con il cuore stretto per l'angoscia avendo già appreso in certo modo i sistemi usati da questi liberatori, saliva sui monti che circondavano la città, per osservare se dal mare veniva la salvezza, in più confidava nella resistenza dei soldati italiani. Però un sparuto numero di soldati non poteva resistere alle forze preponderanti, con tutto ciò, facendo atti di coraggio, passarono venti giorni prima che le truppe nemiche occupassero la città; dopo aver perso quasi 6000 uomini sotto le falde del colle di Santa Caterina.
Il giorno dell'occupazione il 3 Maggio 1945, i titini sfilavano per le vie della città, accolti soltanto da alcuni venduti. Fu un giorno triste per il popolo fiumano, ignaro delle angherie e dei soprusi che andava in contro. Aveva sofferto tanto durante i cinque anni di guerra, per poi soffrire ancora di più, vedendo calpestate le vie della città da piedi stranieri dove in quelle vie furono stese le bandiere italiane nel lontano 1922, affinché i soldati italiani non lasciassero la città per un vile trattato, in quelle vie dove si combatté per cinque lunghi giorni per l`italianità della città, che poi fu chiamata Olocausta.
Per abbattere maggiormente l'animo dei cittadini, come se una forza superiore li mettesse a dura prova, i giornali jugoslavi diramarono la notizia, che pure le città di Trieste e Pola erano state (liberate) con ciò assieme a Fiume più di mezza Venezia Giulia era in mano dei auto-chiamati liberatori. Che ironia del destino. I giorni passavano monotoni, tutto era così monotono, la gente era abituata a sentire il rumore della guerra e non questo fittizio silenzio, che annunciava un'altra guerra, quella dei nervi. Dopo un breve periodo d'occupazione i partigiani jugoslavi dovettero abbandonare le città di Trieste e Pola ( che poi fu annessa nuovamente alla Jugoslavia) i territori rimasti in loro potere,, cioè Fiume, Zara e l'Istria, cominciarono a sentire i primi morsi delle teorie di Marx ed Engels, messe in pratica dai juogotitini. La base della teoria è libertà di parola, pensiero, stampa e uguaglianza di religione e ricchezza; è una teoria che può reggere, ma la pratica è tutta differente. I cittadini che avevano con che vivere in Italia, prendevano la fuga, ma il resto dovette assoggettarsi al sistema, cioè vivere alla meno peggio, per il bene dei loro figli. La vita era insopportabile,uguale come durante la guerra, tutto era tesserato, l `unica differenza era che: Non regnava più la distruzione, bensì la costruzione. Il governo aveva preso tutte le misure, con il lavoro volontario si doveva ricostruire la città distrutta dai bombardamenti nordamericani. Ma con quale sacrificio per i cittadini, dopo le otto ore lavorative normali dovevano presentarsi pure al lavoro di ricostruzione e questo che era volontario, se no, in tal caso, non ricevevano i buoni per il vestiario, nonché venivano espulsi dalla fabbrica dove lavoravano, come elementi reazionari.
La borsa nera non esisteva più, i viveri venivano dati con la tessera di razionamento ed erano insufficienti, la libera vendita non esisteva, così che, il bacillo di Koch mieteva più vittime che la guerra passata e per completare l'opera s `interessava l`OZNA (polizia segreta) ad aumentare il numero.
Se uno si lasciava sfuggire una parola non conforme al governo, sempre cera qualcuno che andava a riferire, e quel poveraccio il secondo giorno spariva. Io personalmente ho assistito a un fatto molto buffo, un certo Pavanello passava per la via XXX Ottobre ed essendo la città infestata di scarafaggi (bacoli), vide uno che camminava per un muro e senza alcuna malizia lo calpestò con un piede e disse : Questi maledetti scarafaggi, però non s'avvide che aveva calpestato su una scritta inneggiante a Stalin e a Tito; prese sei mesi di lavori forzati Iniziaron pure a scarseggiare quelle piccole cose indispensabili come: Pettini,aghi, carta ecc.. e per sopperire alla mancanza gli abitanti si misero a usare i sistemi d'anni addietro. I pettini venivano fatti di legno o d'alluminio, l'inchiostro era estratto da speciali piante; era una vita insopportabile, doveva succedere qualcosa per alleviare le sofferenze di questi poveri esseri, che nulla avevano fatto all'umanità, eppure venivano ignorati da questa. Finalmente una commissione interalleata, prese l'incarico di verificare quali erano le origini della popolazione dell'Istria, Fiume, Zara e Pola (ceduta nuovamente ai jugoslavi) Man mano che passava per i luoghi descritti, non sapeva o faceva finta d'ignorare la perfetta preparazione jugoslava, affinché il scrutinio risultasse tutto il contrario di quello che doveva risultare, infatti questi territori passarono sotto la giurisdizione titina, la commissione non prese in considerazione alcun particolare che si riferisce all'italianità di questo lembo di terra come: Lingua, usi, costumi, soltanto s'accontentarono delle dimostrazioni organizzate dai jugoslavi. All'atto della compilazione del documento, con il quale, l'Istria, Fiume, Pola e Zara, venivano annesse alla Repubblica Federativa Jugoslava, fu inclusa pure una clausola, la quale concedeva la opzione per l`italianità, a quei cittadini che al 10 Giugno del 1944 avessero da residenza in uno dei territori menzionati, nonché la lingua d'uso, sia a casa che fuori casa fosse italiana.
Uno che aveva sbrigato le pratiche relative all'opzione per la cittadinanza italiana, doveva rimanere in attesa della conferma, che veniva rilasciata dal ministero degli esteri jugoslavo, e qui i soprusi aumentarono: il marito riceveva il decreto d'opzione e alla moglie veniva respinto, oppure i figli ne venivano in possesso e ai genitori veniva negato, o a uno dei figli li concedevano e ai altri no, il rifiuto veniva motivato, dal fatto che, la madre lingua non era italiana.
Dopo tre anni di patimenti finalmente per questo popolo infelice, si squarciarono le nubi; il governo titino permise il passaggio all'Italia per gli aventi diritto. Dall'euforia della concessione si passò alla tristezza della partenza.
Verso l'una di notte le strade erano affollate come in pieno giorno, la moltitudine aveva una sola meta: La stazione. Si andava accompagnare i propri parenti o amici, o solo per condividere l'allegria dei partenti o per cantare assieme a loro le canzoni della propria terra, però tanta allegria era velata da un senso di tristezza, infatti negli occhi si notava questa differenza, che funzionavano come una macchina da presa, imprimevano le cose care, che così forzatamente dovevano abbandonare, solo per salvare se stessi e i propri figli. Quando il treno iniziava a muoversi, le scene di dolore si susseguivano, la madre aveva lasciato partire il figlio, il marito alla moglie, senza sapere se già mai li rivedranno, però quelli che partivano se ne andavano con la speranza nel cuore di ritornare, anche fosse solo con il pensiero, però l'anima di loro rimaneva, perché il corpo si può estinguere, però l'anima, per volontà divina segue a esistere. I responsabili dovranno avere paura di queste anime vaganti che troveranno la pace solo quando sarà resa giustizia. ALZANDO LE VELE..