di
Ondina Lusa
Frammento della vita di mio padre del 1939 - Ritorno dalla miniera
Facevo ogni mattina la strada che mi portava a Monte Verde, a casa
mia; ogni
mattina respiravo a pieni polmoni l'aria fresca, dopo aver passato
tante ore
nella miniera buia, asfissiante. Mi sembrava di ossigenarmi, quando,
con il
fiato mozzo, percorrevo quella ripida salita; la brezza mattutina mi
rinfrescava il viso, mi sentivo libero, felice e pieno di brio
nonostante la
salita si facesse sempre più ripida. Finalmente raggiungevo la cima e
un
sospiro di sollievo mi usciva dal petto ansante. La strada era invasa
d'erba; mi piaceva il profumo che ne usciva quando la calpestavo con
le mie
grosse scarpe. Alle volte mi munivo di un ramo secco di albero, che
mi
faceva da sostegno in quella lunga salita. Voltandomi indietro
l'occhio
spaziava nelle ampie saline o nel cielo terso ed azzurro e potevo
vedere
Salvore aspro e lontano.
Camminando ancora un po', sempre per viottoli insicuri o pieni di
sassi rotolanti, ce alle volte mi facevano quasi cadere, intravedevo
la mia
casa tra gli alberi che la difendevano dal vento e dalle raffiche di
bora
che solevano sollevarsi alle volte all'improvviso. Il capitello mi
aspettava
all'inizio del viottolo che percorrevo, ora, con passo sicuro, perché
la
porta di casa era vicina.
Mia moglie non era ancora alzata, ma sul tavolo, in bella mostra,
c'era il pane che mi aveva fatto la sera prima, fresco; la cucina
odorava
di una buona minestra. Mi levavo in fretta gli scarponi pesanti e
provavo un
gran sollievo a camminare sulle pietre dell'entrata a piedi scalzi.
Mi
lavavo nel catino e gocciolavo per terra l'acqua dai gomiti, una
bella
rinfrescata al viso sudato dalla lunga camminata e, oplà, a magiare a
grandi
cucchiaiate con grandi morsi di pane. Facevo piano le scale per non
svegliare la mia donna e la bambina, che la porta cigolante della
camera
faceva voltare nella cuna in cerca di altro riposo.
Sì, mia moglie era lì che mi aspettava e, come sempre, era sveglia e
mi salutava calda nel grande letto con materassi di lana soffice ma
fresca
per aver riposato tutta la notte. Entrare nel letto e farla mia era
un
attimo. Ero stanco, ma desideravo quell'amplesso che mi svuotava di
tutte le
mie energie e mi addormentavo come un bambino che ha poppato tutto il
suo
caldo latte.
Frammento della vita di mio padre del 1940 - Un sogno irrealizzato
Le donne curve nel campo di fragole, sudate, ridevano e si
raccontavano gli ultimi pettegolezzi. Incitai mia moglie a sbrigarsi,
altrimenti non sarei riuscito a portare a vendere le fragole quel
giorno.
Allegramente mi riempì due cesti, che avvolse con due tovaglioli
acciocché
le fragole non cadessero. La salutai con la mano e mi avviai con
passo
leggero fischiettando verso la discesa.
Non avevo fatto quattro passi che mi imbattei in Toto, mio compare,
che
teneva a mano una bicicletta nuova fiammante. Ricordai per un attimo
quante
volte gli avevo prestato la mia, ora vecchia e fuori uso, e ci feci
un
pensierino. Colse al volo il mio sguardo e mi esortò a prenderla,
mentre,
dalla casa vicina intravedevo la moglie che gli faceva dei segni.
Non mi sembrava vero pedalare energicamente, era la mia passione.
Superai le curve in un baleno. La strada si srotolava davanti a me e,
come
nei sogni, fui a Santa Lucia prima di avvedermene. Appoggiai la
bicicletta
presso un muretto. Con sveltezza sollevai i cesti. Avevo intascato 4
soldi.
Soddisfatto cercai con gli occhi la bicicletta. Il muretto era vuoto.
Forse
l'avevo lasciata dall'altra parte, sull'altro muretto; disperato
volsi la
testa, un presentimento si faceva strada e una rabbia mi salì alla
testa.
Ero stato un ingenuo, stupido, contadino ignorante, credevo di aver
raggiunto con un dito il cielo ed ora mi trovavo pere terra nella
melma.. si
perché quella bicicletta era un mese di guadagno.
Camminavo con rabbia verso Pirano. Sapevo quello che volevo. Mi
pareva ancora di vedere i cenni di diniego della moglie e vedevo ora
il suo
disprezzo, sentivo le chiacchiere maligne.
Le zie furono comprensive e mi prestarono il denaro. Malinconico
ripercorsi la strada del ritorno con la speranza che qualcuno mi
fermasse
per una buona notizia. Le ventotto lire consegnate all'amico fecero
svanire
il sogno di una bicicletta nuova sognata da sempre. Lucia, mia
moglie,
sapeva già tutto. Il suo sguardo cercava nel mio il perché.
Comprensiva e
silenziosa si avviò verso la nostra linda casa.
Frammento della vita di mio padre del 1940 - La partita di bocce
Andremo alla fiera di San Bortolo. Negli occhi di Lucia scorgo tutto
l'amore che nutre per me. Si prepara, raccoglie in crocchia i suoi lunghi
capelli neri con forcine, li annoda sulla nuca. Ha gli occhi ridenti. Con
passo svelto raccoglie le stoviglie, sbircia, attraverso le tendine
ricamate, il lento calare del sole. Vedo un'ombra passare sul suo volto: -
Muoviamoci, faremo tardi! - Mette ancora ordine, la sedia, le mollette
accanto al camino; il gatto è rimasto in casa: bisogna cercarlo. Chiude le
imposte, può far maltempo. La porta è chiusa. le chiavi nella cuccia del
cane stanno al sicuro. A frotte la gente cammina velocemente. Sorrisi e
approcci. Gli amici, tanti, troppi, tutti si fermano alla stazione delle
bocce. E' ancora buon'ora. Il ballo a San Bortolo inizia più tardi. E'
peccato non lasciare agli uomini un momentino la soddisfazione di fare una
partita. Lucia si siede sulla panchina.
Sono seccato, non voglio deludere Lucia, ma nemmeno essere deriso dagli
amici. Le partite si accavallano, siamo due squadre dei più forti, contro i
cortesani, invidiosi da sempre, ci battiamo all'ultimo sangue. I miei tiri
sono i più indovinati, la boccia rallenta al punto giusto oppure scaccia il
pallino che va a mettersi assieme alla boccia nel punto più impensato.
Raddoppiamo i punti e le puntate. Una cassetta di birra per la prima
partita; due per la seconda;Mi volto, Lucia non è più seduta sulla panchina,
la scorgo che mesta, mesta si avvia verso il viottolo che conduce alla
nostra casa. La chiamo. Non mi risponde. Ha le spalle curve, la testa china,
vorrei fermarla, l'impeto del gioco mi trascina. - Dino, dai che gliela
facciamo vedere a questi marmocchi!!- Mi gira la testa, la scontentezza di
dentro mi travolge, la boccia non centra più il pallino, fa cilecca. Siamo
sopraffatti dagli avversari; Dividiamo le spese; Sono rimasto solo. Sono una
testa calda!
La strada del ritorno è buia e deserta. La casa è silenziosa e cupa. Mi
sembra vuota. Nessun buon odore la invade. Salgo le scale a tentoni. Mi
intoppo su uno scalino, perdo l'equilibrio e cado in ginocchio. Un nodo mi
serra la gola. Sono un uomo, non voglio piangere. Mi sento vile, ridicolo,
non ho neanche il coraggio di accendere il lume; e soprattutto non ho il
coraggio di specchiarmi negli occhi limpidi di mia moglie. Mi butto sul
letto; mi rivolto, mi volto. La sagoma di mia moglie al bordo del letto è
come un mesto rimprovero, piè duro di qualsiasi parola è il suo silenzio.
Frammento di vita di mio padre del 1940 - Disperazione
La carretta dondolava e cigolava, quel cigolio mi ricordava il
lamento di Lucia, il suo bel viso addolorato egli occhi che mi cercavano per
un conforto che non le potevo dare. Silva, la nostra bambina, se n'era
andata, ce l'avevano portata via, rubata;persa per sempre.
- Il convulso - aveva detto il dottore. Freneticamente l'aveva immersa prima
nell'acqua
calda e poi nella fredda; - se piange è salva.
Aveva declinato il capo, esalato l'ultimo sospiro. Non volevo, non
potevo credere. Ero arrivato sulla porta un attimo dopo. Avevo alla gola un
nodo, non ero capace di piangere; piangere per quella creatura che ci aveva
lasciati.
Al ritorno dalle esequie mi ero abbandonato sulla sedia ad una nera
disperazione. Lucia mi conforta, sa quanto ci tenevo ad avere una bambina, e
quella era venuta, rosea, paffuta, con i capelli neri e gli occhi azzurri,
che mi tendeva le manine;sei mesi di dolcezze, di sorrisi gorgoglianti, di
preoccupazioni, di notti insonni;di morte!
La camera è fredda, cerco il calore di Lucia, ho paura di offenderla,
di oltraggiare la piccola appena scomparsa. Si rifugia nelle mie braccia,
cerca quel calore che solo nell'unione sappiamo trovare entrambi; la sua
voce è flebile ma sicura, vuole un altro figlio, che ci faccia dimenticare
questa disperazione che ci opprime. Sono meravigliato: altri dolori…no latro
amore, da dare e da ricevere.
Frammento di mio padre del 1941 - Una nuova vita
O n d i n a; le zie scandirono quel nome con fare meravigliato, cosa
poteva significare per loro, nessun santo lo portava. Lucia stava con il
fiato sospeso, non voleva cambiarlo, però, non voleva neppure offendere le
religiose zie. Risero benevolmente facendomi l'occhiolino, trovando che la
nuova nata poteva diventare una Santa lei;
Ondina cresceva vispa e adorabile. Non vedevo l'ora di tornare a casa e
ora la salita del ritorno mi lasciava indifferente, non mi voltavo ad
assaporare l'aria o il panorama, volavo a prendere in braccio quel
"topolino" che mi saliva sulla schiena e la facevo passeggiare come in
groppa al cavallino, non appena mettevo un piede in casa. Era un giocattolo
allegro che mi faceva, all'istante passare la stanchezza.
Lucia ci guardava e, quando la incitavo a mettersi anche lei in
quella posizione, ci voltava le spalle e trovava mille impegni. Seduta sulla
sedia, ricamava o cuciva e ci seguiva nelle nostre piroette, disapprovando
con la voce, ma ammiccando con gli occhi. Era tanto diversa da me: seria,
compunta, mai mi avrebbe assecondato in quei giochi pazzi;forse per questo
mi piaceva tanto.
Poi l'incidente ruppe l'incanto di quei giorni spensierati;
Mi ritrovai a casa con il pollice della mano destra amputato. Non ero
più io, muto, scorbutico, ribelle, intransigente, avevo nella mente solo il
tragico ricordo dell'attimo del crollo nella miniera. Lucia mi rimproverava
tacitamente e prendendo in braccio la bambina si allontanava, quando si
accorgeva che la loro presenza mi innervosiva. Mi assopii quel giorno e nel
dormiveglia le sentii rientrare e la voce addolorata di Lucia sgridare
Ondina che silenziosamente singhiozzava. Come un fulmine a ciel sereno capii
che la perdita di un dito non doveva significare la perdita della nostra
pace in famiglia. Il malessere che mi attanagliava il cuore si sciolse con i
singhiozzi della mia bambina;
Frammento della vita di mio padre del 1943 -La guerra;la miseria;la paura
La guerra ci aveva attanagliato con i suoi viscidi tentacoli: fame,
miseria, paura, dolore, sacrificio e morte. I più giovani furono richiamati,
altri riformati come il mio caso. Avevo ricevuto un lasciapassare per andare
alla miniera ala lavoro. L'alt dei tedeschi, che sbucavano all'improvviso
dai viottoli, mi faceva cercare con mano tremante il permesso. Le
rappresaglie dei tedeschi erano più ampie da quando i partigiani avevano
cominciato ad intralciare i loro piani. Si vivevano momenti di stremata
paura. Lucia e Ondina erano in casa sole proprio quando scoppiò una bomba
dietro alla nostra casa. Tremanti dalla paura le trovai alla sera al mio
ritorno. - Era stato un segnale e un'intimidazione - ci disse il nostro
vicino e ci fece capire che con lui non si doveva scherzare. Cercai di
rincuorare mia moglie perché noi non avevamo nulla da temere, però da quel
giorno non ebbi più lamia pace soprattutto per aver perso la speranza negli
uomini.
Frammento della vita di mio padre del 1943; Verso il vento
Il tedesco mi aveva stretto il braccio in una morsa di ferro. Teneva il
fucile puntato contro Lucia che teneva in braccio la bambina che mi tendeva
le braccia e la minacciava che avrebbe sparato, se non rientrava in casa.
Dietro la casa la colonna dei tedeschi era allineata, mentre gli ostaggi
venivano strappati dalle case. Non riuscivo a connettere. Mi ritrovai sulla
strada sospinto e urtato nella lunga fila di uomini impauriti. Alte grida si
levavano dalle case frugate alla ricerca di altri uomini scappati come topi
nei nascondigli. Tedeschi armati fino ai denti spuntavano da tutte le parti.
Sparavano ai cespugli; inferociti infilavano la lama della baionetta nei
covoni. La lunga marcia di uomini stremati dalla lugubre visione si snodava
perla ripida discesa sconnessa, la paura mi strinse la gola, le gambe
cominciarono a tremarmi, il respiro misi fece affannoso, la testa mi girava.
Ci sospinsero verso la strada del mulino al Gorgo. Ammucchiati uno vicino
all'altro, con i respiri affannosi, le braccia ciondoloni sui fianchi ci
imposero l'alt. Prendevano gli ordini; perla nostra fucilazione?
- Dino, scappiamo, dai, oltre i campi, siamo nell'ultima fila; da
qui non ci possono vedere;
Salto nel fosso, inciampo nel filo spinato che protegge i confini,
cado; il tedesco mi spara alla gamba, voglio rialzarmi; arrendermi;è troppo
tardi;mi spara alla testa; la mia anima si libra verso il vento;
Vago per la campagna in cerca della mia bambina. E' lì sul prato. Si
spaventa di quest'ombra. Chiama la mamma che la rincuora.
E' l'alba, la finestra è aperta. Ondina dorme beatamente. La chiamo -
Bambina mia non ti disturberò più, mandami un bacio. Me lo manda con la sua
manina. Sono finalmente libero e volo verso l'eternità.
ONDINA LUSA