Era per tutti noi mularia di allora, un percorso quasi obbligato quello di
passare per il Ninfeo prima di raggiungere la Riva. Arrivati presso quel
basso e vetusto edificio che copre l'antica sorgente, un richiamo
inevitabile ci attirava verso quelle sue strane finestre a mezzaluna, basse
e quasi sempre immerse nell'ombra proiettata dai vecchi platani nodosi.
Abbarbicati, con mani e piedi serrati sui puntuti ventagli dell'inferriate
protettive che sbarravano quelle finestre, curiosavamo attenti, quasi rapiti
di poter seguire i lenti silenziosi giri di uno dei tre maestosi volani che
coronavano i possenti assi delle pompe a vapore di quell'acquedotto.
Spettacolare ed attraente era ancora il poter osservare da vicino, che la
macchina era a un passo dalla finestra, il continuo rincorrersi delle grosse
teste a croce degli stantuffi, scivolanti silenziosamente sui loro
cuscinetti argentei umidi appena di un velo d'olio, dosato dagli oliatori di
cristallo incappucciati di ottoni risplendenti come ori.
Contemplavamo assorti le brevi corse delle aste agenti sui cricchi dentati e
i tenui sbuffi di vapor acqueo sfuggente dalle trinelle flangiate dei
cilindri e dei distributori, che subito si condensavano in perle d'acqua
raccolte dalle capaci ghiotte degli zoccoli.Il cilindro enorme pesante della
vecchia macchina era rallegrato dalla guaina antitermica racchiusa in una
festosa cornice di dogherelle brune, brillanti, inanellate con cerchi di
rame luminoso.
Però i nostri sguardi curiosi e indagatori si spingevano lontano, più in là
delle raggere lampeggianti e vorticose dei regolatori, che le loro sfere
ballerine tracciavano nell'aria: cercavamo, nelle penombre di quella sala
macchine, di indovinare l'ubicazione di quel catino marmoreo donde sommerso
e misterioso proveniva il gorgoglio dell'acqua sorgiva.
Quasi sempre un po' delusi ci staccavamo dall'inferriata contenti solo di
aver potuto soddisfare la nostra curiosità, in quanto avevamo finalmente
potuto leggere quella grande targa bronzea che sporgeva bassa, a pel di
paiolo, sotto il riquadro d'acciaio della balaustrata:
AD. 1861 - HP 30 - Kgc. 3 - T. 30 - I : h 30 c.m.
Si trattava della targa di una pompa da tempo scomparsa conservata come
ricordo.
Nell'anno 1848, data del trasferimento delle forze militari austriache da
Venezia a Pola, la nostra città contava appena 1.100 abitanti: fino a questo
momento la Cisterna - costruita dal Comune nel 1792 a fianco del Duomo,
sull'area della scomparsa chiesa di S.Tomaso - e la Fontana, sorgente
naturale che sgorgava poco fuori le mura, nei pressi dell'Arena, potevano
con larghezza supplire al bisogno d'acqua della città.
Ma alla decisione di adattare il nostro porto alle occorrenze della Marina
austriaca, seguì un immediato e notevole aumento della popolazione onde si
rese subito necessaria la sistemazione idrica, sia per le esigenze della
guarnigione, sia per quelle degli abitanti civili.
Il Comune finanziariamente impossibilitato a provvedere agli accresciuti
bisogni dell'alimentazione idrica, cedeva nel 1855 la Fontana, i resti del
Ninfeo romano che la circondavano e tutto il terreno limitrofo alla Marina
austriaca, che tosto, col concorso del governo, iniziava i lavori di
assestamento e apprestamento dell'impianto di un nuovo acquedotto. Questo
fondato sulla stessa sorgente che già i romani sistemarono chiamandola
Ninphaeum, prese il nome di Fonte Carolina Augusta ( 1792 - 1873 ), moglie
dell'imperatore Francesco I.
Il progetto dell'impianto idrico comprendeva: la sistemazione della vasca
alla polla sorgiva, costruendo sui resti - allora ancora visibili - del
ninfeo romano un'opera muraria semicircolare, perfettamente stagna di m. 8
di diametro al fine di impedire la trapelazione dell'acqua marina,
nonostante la polla si trovasse già discosta dal mare per l'avvenuto
interramento dell'insenatura antistante e trasformata poi in piazzale.
La nuova vasca doveva venir protetta con un edificio sovrastante, di forma
rettangolare, destinato alle pompe e alle caldaie a vapore e per questo
munito di camini in muratura. Il progetto comprendeva ancora l'installazione
di due pompe sulla vasca per la mandata dell'acqua al serbatoio da erigere
al Castello a quota 43 metri sul livello del mare; infine la collocazione
della rete di distribuzione per il convogliamento dell'acqua dal serbatoio
verso i diversi settori entro e fuori le mura cittadine.
Appena iniziati questi lavori, per esigenze militari, furono montate sulla
vasca della Fonte delle piccole pompe a vapore trasportabili che fornivano
l'acqua allo Scoglio OLivi.
Una condotta d'acqua era stata distesa anche lungo le mura per alimentare le
prime officine dell'Arsenale sorgenti in Val del Buso.
Nel 1861 il progetto era compiuto e finalmente i vecchi cittadini poterono
usufruire dell'acqua della Carolina spillandola dai rubinetti delle prime
fontanelle pubbliche, al Cristo, in Piazzetta, al Mercà e in Pian de la
Madona.
Fu allora che, per accordi precedentemente stipulati, il Comune cominciò ad
incassare sette carantani e mezzo ( 25 cent. ) per ogni metro cubo d'acqua
erogato dal serbatoio.
Ma negli anni che seguirono il primo impianto idrico si rese insufficiente,
il consumo d'acqua salì oltre i 1200 m.c. giornalieri e le autorità della
Marina provvidero all'installazione di una terza pompa di una capacità
d'erogazione doppia rispetto alle prime.
Nel 1876 la popolazione si era quadruplicata e si dovette aggiungere un
quarto gruppo di nuove pompe e di caldaie per una capacità oraria di
erogazione di 135 m.c. e per una potenza effettiva di 104 cav.vap.
Tutto procedette bene fino al settembre del 1886 allorchè ebbero a
manifestarsi alcuni casi di colera; sorsero allora dei dubbi sulla
potabilità e purezza di quell'acqua che da tempo immemorabile sgorgava
limpida e fresca dalla fessura naturale del masso calcare posto a metri 2,25
sotto il livello del mare.
Anche le fontanelle pubbliche vennero chiuse e munite di grandi cartelli
ammonitori: Acqua Non Potabile!
Malgrado i lutti e la mestizia di quei tristi giorni, l'innata allegria del
popolo polesano trionfò e nacque quella canzone che noi ricordiamo ancora:
L'acqua no xe potabile - bevemo sempre vin.
Fu nell'anno 1890 che le autorità comunali e militari, preoccupate da una
forte epidemia di tifo che si estese e mietè centinaia di vittime iniziarono
la ricerca di altre sorgenti più copiose e di acqua più pura, dichiarando
inquinata e non più potabile l'acqua della Fonte Carolina.
A favorire l'inquinamento fu il sorgere dei nuovi borghi dell'Arena e San
Martino; sotto queste due colline di calcare fessurato, che favorì
l'infiltrazione dei rifiuti lordi, scorre la vena d'acqua che alimentava
l'acqudotto Carolina.
Questa è in breve la storia di quel nostro vecchio acquedotto; polla sorgiva
zampillante attorno alla quale i primi abitanti delle colline, sulle quali
nacque la nostra città fissarono la loro dimora; qualcuno sostiene che le
abbia dato il nome: Pola
Certo è che ricordarlo adesso, dopo tanti anni farà piacere a più di qualche
vecio polesan.