Capitolo
I
1.1: L’ASSETTO
TERRITORIALE DELL’ADRIATICO PRIMA DEL 1915
L’ultimo scontro del secolo
XIX tra gli eserciti del Regno d’Italia e dell’Impero d’Austria, conosciuto in
Italia come terza guerra d’indipendenza, si esaurisce fra giugno ed agosto del
1866, condizionato da evoluzioni politiche e militari, determinate
dall’affermazione del Regno di Prussia e dal ruolo della Francia.
La pace di Vienna del 3
ottobre 1866 stabilisce come linea di demarcazione di frontiera fra il Regno
d’Italia e l’Impero Austriaco, una linea di confine che riprende il vecchio
confine fra la Repubblica di Venezia e l’Austria. Nella parte orientale e nella
pianura segna il limite amministrativo delle province austriache del litorale e del Veneto, tagliando la
valle del Natisone e seguendo i corsi d’acqua dello Judrio e dell’Ausa. Tale
confine divide in due stati distinti il Friuli, un territorio unito dall’uso
linguistico e dalla tradizione culturale, appartenente dal 1797 alla Monarchia
Asburgica.1
La delusione del 1866,
l’avvio della politica ufficiale italiana verso un'intesa con gli imperi
centrali, la sua conclusione con la Triplice Alleanza del 1882 tolsero la
speranza di una rapida risoluzione del problema giuliano.
La richiesta ufficiale di
alleanza con l’Austria Ungheria e con la Germania fu avanzata dall’Italia verso
la fine del 1881 e riuscì a portare ad un risultato concreto: la stipulazione
del trattato “segreto” del 20 maggio 1882. Per l’Austria Ungheria si formò la
convinzione di avere acquisito una neutralizzazione dell’Italia senza
concessione di contropartite: questo avrebbe fatto cadere il pericolo
d’iniziative ufficiali a sostegno dell’irredentismo. L’Austria-Ungheria sperava
inoltre che dalla stipulazione della Triplice Alleanza derivasse per lo meno
una marcata riduzione se non addirittura un esaurimento dell’irredentismo
italiano2.
Con l’introdursi del
principio di nazionalità, formatosi grazie alle idee della Rivoluzione Francese
del 1789, nel litorale Adriatico la convivenza fra le due etnie, quella slava e
quella italiana, diventa sempre più difficile. Si viene a collegare la
nazionalità all’ideologia: irredentista per gli Italiani, filo-austriaca per
gli Jugoslavi; sorge il pericolo della questione sociale; si montano i miti
delle superiorità dei padroni e degli operai italiano rispetto a quelli slavi;
si raccolgono intorno all’irredentismo liberi pensatori, atei, ebrei, in un
clima di attrito con l’Italia, ritenuta da questi servile alla volontà
austro-ungarica, e di pesante diffidenza nei confronti degli Slavi colpevoli di
essere filo austriaci3. Gli
Italiani perdono un po’ l’egemonia culturale ed economica a favore delle
popolazioni jugoslave. La vita culturale degli italiani d’Austria guardava con
vivo interesse verso l’Italia non solo per una futura unificazione al Regno, ma
anche per spirito di rinascita culturale di fronte alla politica repressiva ed
anti-italiana degli Asburgo.
La ipotetica istituzione di
scuole ed università italiane sul suolo austriaco avrebbe fatto da deterrente
al diffondersi dell’ideologia irredentista. Lo scontento degli studenti
italiani d’Austria avrebbe potuto essere mitigato in caso di tale concessione;
la miopia del Governo asburgico e soprattutto le loro evidenti tendenze
nazionaliste impedirono un riavvicinamento4.
A Trieste, come nell’Istria e nella Dalmazia, dopo il 1890 gli
Jugoslavi conquistarono parecchie leve di comando nel campo economico; proseguì
rapida anche la creazione di scuole croate-slovene e di associazioni culturali
sportivo propagandistiche.5
In questo clima politico
etnico arroventato, nel 1910 l’Austria
effettuò il censimento nella Venezia Giulia.
Si dice che il territorio della Monarchia austro ungarica sia
stato un mosaico etnico perché comprende aree omogenee abitate da una sola
nazionalità, ed aree eterogenee come il litorale austriaco (Goriziano, Trieste
ed Istria) dove abitano prevalentemente Italiani, Tedeschi, Sloveni e Croati6. L’analisi della consistenza numerica
di un’etnia veniva allora determinata usufruendo dei cosiddetti censimenti
etnici. Le rilevazioni statistiche sulla popolazione dell’Impero vennero
effettuate sulla lingua d’uso, in relazione al Congresso Internazionale di
Statistica del 1873 che raccomandò d’inserire una domanda sulla lingua parlata
in tutti i censimenti7.
Gli ufficiali comunali che
si occuparono del censimento riscontrarono a Trieste la presenza di 38.505
cittadini di lingua d’uso slava e di 171.552 di lingua italiana. In tutta la
Venezia Giulia, gli Italiani, compresi i regnicoli, erano 424.893 e 446.691 i
croati-sloveni8. L’Austria pur essendo
la materiale autrice del censimento impugnò questi risultati, ed escluse i
regnicoli dal computo. I risultati definitivi stabilirono che su una
popolazione totale della Venezia Giulia di 978385 abitanti, 421444 erano
Italiani, 152500 i Serbi ed i Croati, 237230 Sloveni, 167211 altri (fra i quali
i regnicoli). La situazione della
Dalmazia era senz’altro più complessa rispetto quella della Venezia Giulia.
Innanzitutto gli Italiani in Dalmazia, tolta la peculiarità della città di
Zara, erano in netta minoranza. Il censimento austriaco definì la percentuale
di abitanti jugoslavi in schiacciante maggioranza (97,13%, con 610669 abitanti)
e gli Italiani pari al 2,87% (18028).
La caratteristica di Zara
stava nel fatto di essere l’unica città della Dalmazia in cui l’elemento
italiano fosse prevalente rispetto ai serbi e croati. Nel 1910, gli zaratini
italiani erano 11.469, mentre gli salvi (croati e serbi) si fermavano alla
cifra di 5.7059.
A Spalato, altro principale
centro della Dalmazia, l’elemento italiano era minoritario: nel 1880 gli
italiani spalatini erano 5.280, cifra che nei censimenti dei decenni successivi
sarebbe scesa a 1969 (nel 1890) e a 1049 (nel 1900)10.
1.2: DAL PATTO DI LONDRA AL TRATTATO DI RAPALLO
La crisi austro serba, che
culminava con lo scoppio della prima guerra mondiale, mette in moto il
meccanismo delle alleanze e delle mobilitazioni. L’Italia viene a trovarsi in
una situazione piuttosto imbarazzante, in quanto, benchè alleata con Germania
ed Austria, è in ottimi rapporti con Francia
e Gran Bretagna. L’Italia si fa inizialmente promotrice, tramite il ministro degli esteri San Giuliano,
di una politica alquanto ambigua, rifacendosi all’art. 7 della Triplice11, che prevedeva l’obbligo di precisi
compensi. Persegue così quella che fu ricordata come la politica del doppio
binario: da un lato appoggia le aspirazioni delle nazionalità balcaniche,
dall’altro non escludeva la possibilità di nuovi accordi con l’Austria, con
l’obiettivo, tipicamente giolittiano, di barattare la nostra neutralità con la
volontà di ottenere quanto meno Trento.
Un accordo con le potenze
dell’Impero centrale era sempre più difficile12,
mentre stava incontrando un sempre crescendo successo la propaganda dell’Intesa
e specialmente della Francia. Per i responsabili della politica italiana
iniziava a porsi il problema di una scelta limitata alle due ipotesi: di
neutralità assoluta o di guerra all’Austria Ungheria. Le principali pretese
italiane si riferivano principalmente al possesso del porto di Valona, alla
Dalmazia, a Trieste, ed al Trentino13.
Mentre a Vienna ci si stava orientando lentamente verso l’offerta
del Trentino, il Governo italiano il 4 marzo 1915 avviò segretamente a Londra i
primi contatti che comprendevano anche le nostre rivendicazioni, in funzione di
un intervento dell’Italia a fianco delle potenze dell’Intesa. Dopo lunghe
trattative, rigettando le eccessive pretese italiane, Vienna ci propose il
Trentino fino a Salorno, una rettifica del confine dell’Isonzo e il porto di Valona. Vienna però si mosse in
ritardo, non riuscì a scongiurare l’accordo fra l’Italia e le Potenze
dell’Intesa che conclusero segretamente le trattative a Londra il 26 aprile
191514: un memorandum italiano accettato
dalle potenze dell’Intesa. In
conformità a tali trattative l’Italia avrebbe dovuto ottenere il Trentino, il
“Tirolo Meridionale”(fino al Brennero), Trieste e i suoi dintorni, la contea di
Gorizia e Gradisca, l’Istria fino al
Quarnero15, parte della
Dalmazia(Zara, Sebenico, Dernis,Tenin e gran parte delle isole). Ancora
all’Italia, in Albania, sarebbe stato riconosciuto “in pieno dominio” Valona,
l’isola di Seseno e un “territorio di estensione sufficiente da assicurarla
contro pericoli di natura militare”.16
Subito dopo la stipulazione
del Patto di Londra, però , si fecero vivi i primi risentimenti. Si dubitava
circa il futuro della città di Fiume e di quelle zone della Dalmazia non
inserite nel memorandum17.
La prima guerra mondiale
costò all’Italia molti sacrifici, in particolare sul fronte della Venezia
Giulia. Gorizia venne letteralmente rasa al suolo, lo scoppio della guerra creò
un clima di terrore. L’impero Austro Ungarico definì una serie di provvedimenti
d’urgenza restrittivi e pregiudizievoli nei confronti della popolazione civile18 italiana, la situazione, al contrario,
fu ben diversa per gli Jugoslavi. Essi godevano della stima austriaca in
quanto loro obbedienti e fedeli.
L’idea di uno stato unitario
jugoslavo trova il consenso nella diplomazia dominante francese ed inglese, la
quale vedeva di buon occhio tale iniziativa sia per frenare le mire
espansionistiche italiane, sia per sostituire nei Balcani la monarchia
asburgica. Il programma jugoslavo si manifestò in tutta la sua portata il 16
maggio del 1915, quando Trumbic, Presidente del Comitato Jugoslavo di Londra,
presentò al Governo francese il “Programme Jugoslave” contenente una cartina
geografica che raffigurava le aspirazioni slave sino al Tagliamento. Trumbic
diede il via alla questione legata alla difficile delimitazione del confine
nord-orientale della Venezia Giulia.
L’ingresso in guerra degli Usa favorì la causa jugoslava che si
avvantaggiò dei propositi e dell’appoggio del Presidente Wilson, il quale
rifiutando la politica dei patti segreti, sosteneva che le frontiere dovessero
correre lungo le linee di nazionalità chiaramente riconoscibili.
Il 10 luglio 1917, venne
firmata dal Presidente del Consiglio serbo Pasic e dal croato Trumbic la
cosiddetta “Dichiarazione di Corfù”, considerata l’atto di nascita del Regno
dei Serbi, Croati e Sloveni, sotto la dinastia dei Karageorgevic. Durante i
ventidue anni della sua esistenza, il Regno dei Karageorgevic divenne ben presto uno Stato autoritario. In
esso venivano riconosciuti i soli Serbi, l’oligarchia serba acquisiva
ufficialmente il potere. Si trattava di un gruppo di persone composto da
politici gravitanti intorno alla corte, dall’alto clero della Chiesa ortodossa
e dall’alta borghesia belgradese. Ruolo centrale, in questa vera e propria
lobbie, era giocato dagli ufficiali dell’Esercito, legati al sovrano da un
patto di vera e propria omertà.
Questa classe dirigente
costituì l’elemento dominante del nuovo Stato sorto in data 1 dicembre 1918
sotto gli auspici delle Grandi Potenze. Il SHS si basava sulla centralità della
componente serba e vedeva croati, sloveni, macedoni e albanesi in uno stato di
evidente sottomissione.
Con la fine della prima
guerra mondiale e la sconfitta delle Potenze dell’Europa centrale e delle loro
alleate, si profila il problema delle frontiere italo-slave.
I famosi quattordici punti di Wilson19 contrastavano con il patto segreto di
Londra e alla Conferenza della Pace di Parigi il presidente americano si trovò
in una posizione di forza, portando una rivoluzione nell’ambito della politica
internazionale: l’inefficacia dei patti segreti fra gli stati, e la centralità
dei principi di autodeterminazione e di etnicità20.
La situazione per la nostra diplomazia, in un tale contesto, si fece difficile
. Dal momento dell’armistizio (novembre del 1918) l’Italia ottenne a stento di
potere occupare con le proprie truppe le zone stabilite nel patto di Londra.
Rivendicammo potere su Fiume, ritenendo che il patto di Londra non prevedeva la
dissoluzione asburgica.
Sorse un contrasto fra il Presidente del Consiglio Orlando e il
Presidente Americano Wilson. Orlando abbandonò la Conferenza della Pace di Parigi, in Italia si creò il mito
della “vittoria mutilata”. D’Annunzio, il 10 settembre 1919, due giorni dopo la
firma del Trattato di Pace di Saint-Germain-en-Laye con l’Austria, con un
gruppo di volontari, occupò Fiume, creando prima uno stato indipendente,
costituendovi poi la Reggenza Italiana del Carnaro che comprendeva anche
territori dalmati. Nel tentativo di dare legittimità alla richiesta di
annessione di Fiume all’Italia, il “Consiglio Nazionale” ,che gestiva il potere
a Fiume insieme a D’Annunzio, indisse le elezioni per il rinnovo del Consiglio
Comunale. Alle elezioni, il 26 ottobre 1920, su 10444 iscritti e 7154 votanti,
6688 votarono per l’Unione Nazionale che si batteva per l’annessione. Il
partito autonomista aveva invitato i suoi elettori all’astensione.21
Il problema dei confini con
lo Stato dei Serbi-Sloveni-Croati venne
risolto con la firma del trattato di Rapallo22
del 12 novembre 1920 che assegnò all’Italia tutta l’Istria, e nella Dalmazia:
Zara con le isole di Cherso, Lussino e Pelagosa ed inoltre il pieno
riconoscimento dello Stato libero di Fiume23.
Gli Jugoslavi considerarono il trattato un diktat inaccettabile ,tanto che non
venne mai ratificato dal parlamento24
Un piccolo cenno va
all’attività delle truppe dei legionari dannunziani. Il 14 novembre 1919
occuparono Zara, con il consenso dell’Autorità militare italiana. Il 13
novembre 1920 occuparono le isole di Veglia e di Arbe(già controllata da truppe
di regolari italiani).L’1 dicembre 1920 le truppe regolari attuarono un blocco
effettivo intorno al territorio dannunziano. Il 26 dicembre 1920 un intervento
risoluto dell’esercito del Regno d’Italia pose fine all’occupazione legionaria
di Zara. Il 31 dicembre , i dannunziani, cedettero anche l’isola di Veglia.
1.3: LA VENEZIA GIULIA DALL’ ASCESA DEL REGIME FASCISTA ALL’ENTRATA IN
GUERRA. (1922-1940)
Al momento della conquista
del potere Mussolini aveva ereditato la pesante questione adriatica che i
precedenti governi avevano già avviato a soluzione. Con la definizione dello
spinoso problema di Fiume, Mussolini acquisì il suo maggiore successo. Il 24
gennaio 1924, sottoscrisse con Pasic gli accordi di Roma che attribuirono Fiume
all’Italia e al Regno SHS Porto Barros, nonché l’affitto per 99 anni del bacino
Thaon de Revel, al prezzo di una lira l’anno. Fu inoltre firmato un trattato di
amicizia e di collaborazione, con il quale i due paesi s’impegnavano a non
intervenire negli affari interni albanesi.25
Gli accordi di Nettuno, del
21 luglio 1925, furono un corollario ai patti di Roma in quanto contenevano per
gli Slavi di Fiume le stesse tutele che il Trattato di Rapallo riconosceva agli
Italiani in Dalmazia. La Skupstina non volle ratificare le convenzioni di
Nettuno, essendosi Mussolini rifiutato di associarsi al trattato franco
jugoslavo della Piccola Intesa.
A fare precipitare le
relazioni fra l’Italia e la Jugoslavia, ci fu anche l’avvicinamento di Re Zogu
d’Albania, che portò il suo paese nell’orbita dello Stato Italiano; ciò
appesantì notevolmente i nostri rapporti con la Jugoslavia.
L’intelligente politica
estera del conte Sforza andò distrutta, la Jugoslavia finì per gravitare verso
la Piccola Intesa, diventando lo strumento di pressione della Francia verso
l’Italia.
Mussolini si rese conto che
una politica arrogante verso la Jugoslavia era negativa per i suoi interessi,
quindi ,il 5 giugno del 1928, in un discorso sulla nostra politica estera a
Milano, tenne un atteggiamento moderato, sollecitando i nostri confinanti
balcanici alla ratifica del trattato di Nettuno. La Skupstina approvò le
Convenzioni con una maggioranza artificiale, perché i deputati croati avevano
lasciato l’aula al momento della votazione.
La distensione dei rapporti
fra l’Italia e la Jugoslavia corrispose, nel 1930, ad un nuovo motivo
d’interesse internazionale: la tensione
fra la componente serba e croata della compagine slava.26
L’ascesa al potere di
Hitler, determinò in Mussolini la necessità d’intraprendere buone relazioni con
la Jugoslavia. La politica conciliante del duce27,
si trovò però contrastata, il 9 ottobre del 1934, dall’assassinio di re
Alessandro a Marsiglia; questo delitto venne compiuto da un Macedone collegato
con gli Ustasa Croati, ai quali l’Italia offriva i campi di addestramento.
Nel 1935 venne nominato
primo ministro della Jugoslavia e ministro degli esteri Milan Stojadinovic. Fu
questo un periodo di amicizia fra l’Italia e la Jugoslavia, durante il quale
Mussolini pensò di formare un blocco di stati destinati ad impedire
l’espansione germanica verso il Sud-Est. I negoziati si conclusero a Belgrado
il 25 marzo 1937; tutti i paesi dovevano riunirsi intorno all’asse Roma
Belgrado per dissuadere i Tedeschi da eventuali tentativi espansionistici verso
i Balcani e l’Adriatico. Da questi
accordi scaturirono anche miglioramenti sotto il profilo delle libertà di
stampa, di pensiero e di rito delle popolazioni jugoslave.
Nel periodo antecedente allo
scoppio della seconda guerra mondiale, la nostra politica estera nei confronti
della Jugoslavia fu alquanto ambigua. Eccellenti i rapporti con Belgrado, senza
però scordarsi dei separatisti Croati, che, qualora fossero divenuti
indipendenti, sarebbero entrati nell’orbita politica italiana e non in quella
germanica. Con la caduta di Stojadinovic
e la sua sostituzione da parte di Dragisa Cvetkovic, la carta jugoslava
perdeva per noi il 90% del proprio valore, risultando chiara la posizione del
principe reggente in funzione anti fascista e anti asse. Si temeva sempre la
volontà hitleriana di ricostruire l’appena sepolto Impero asburgico, l’Italia
aveva perso la preziosa collaborazione del primo ministro Stojadinovic, era
necessario quindi, per frenare la potenza tedesca, rafforzare un rapporto di
amicizia con i separatisti Croati di Ante Pavelic.
Nel 1939 ebbe luogo la
facile conquista dell’Albania da parte dell’Italia; e la Jugoslavia incassò il
colpo(violazione esplicita dei Patti di Pasqua del 16 aprile 1938, laddove l’Italia
s’impegnava a mantenere lo status quo nel mediterraneo). Per non creare
ulteriori inimicizie con la Jugoslavia, l’Italia promise però il disinteresse
assoluto nei riguardi del Kossovo, anche se in realtà gli accordi con i vertici
albanesi erano ben diversi.
Il 26 maggio 1939 i rapporti
fra i separatisti Croati ed il nostro Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, si
facevano sempre più stretti. Da quando la lotta per l’indipendenza della
Croazia dalla Serbia venne condotta da Ante Pavelic e non più da Macek, il
diario del Ministro degli esteri risultò categorico: insurrezione, occupazione
di Zagabria, arrivo di Pavelic, invito all’Italia d’intervenire, costituzione
del Regno di Croazia, offerta della corona al re d’Italia.
Nel frattempo, in seguito ad
un ultimatum tedesco, la Jugoslavia, il 25 marzo 1941, decise di aderire al
patto tripartito. Due giorni dopo Dusan Simovic, contrario al Patto, rovesciò
il governo estromettendo il principe Paolo e ponendo al suo posto il Principe
ereditario, minorenne, Pietro II.
Il 6 aprile 1941 la
Luftwaffe bombardava Belgrado: era l’inizio della guerra italo-tedesca contro
la Jugoslavia. Dalla disgregazione della Jugoslavia nacque il Regno di Croazia,
d’ispirazione più tedesca che italiana. Era però necessario determinare con
Pavelic quali sarebbero stati i nuovi confini
fra la Croazia e l’Italia.
Furono firmati i patti di Roma con cui Lubiana ed i territori di Sebenico e di
Spalato in Dalmazia vennero annessi
all’Italia 28.Il decreto n. 452
istituì il Governatorato della Dalmazia con capitale Zara. Il governatorato
comprendeva tre province: Zara, con 3718 kmq e 179858 abitanti; Spalato
comprendente il territorio da Punta Planca a Spalato, con le isole di Solta,
Lissa, Curzola, Lagosta e Meleda, con 976 kmq e 109052 abitanti; Cattaro
abbracciante il territorio delle Bocche, con 547 kmq e 33802 abitanti.
Ante Pavelic, durante una
fastosa cerimonia al Quirinale, offre a Vittorio Emanuele III la Corona dello
Stato Indipendente Croato: Il nuovo regno croato comprende la Croazia, la
Slovenia, la Bosnia Erzegovina, parte della Dalmazia, le isole di Pago, Lesina
e Brazza. Il re designa il nipote Aimone di Savoia Aosta duca di Spoleto, ma
costui, non si fece coronare e non mise mai piede in Croazia.
1.4: LA
POLITICA DELL’ITALIA FASCISTA
Carattere distintivo del
fascismo di frontiera fu l’aggressività antislava, che si manifestò in maniera
clamorosa nel luglio del 1920 con l’incendio del narodni dom, sede delle
principali organizzazioni slovene di Trieste, accompagnato da paralleli atti di
violenza a Pola e Pisino.29 Dopo
la conquista del potere l’eversione fascista si fece violenza di stato, mirata
a distruggere l’identità nazionale
delle popolazioni slovene e croate residenti nei territori annessi dopo la
prima guerra mondiale.
Verso tale obbiettivo concorsero sia la legislazione repressiva
applicata in tutta Italia contro gli oppositori al fascismo (eliminazione della
libertà di stampa, distruzione delle associazioni politiche, persecuzione dei
militanti antifascisti, controlli di polizia,ecc.), sia una serie di misure
mirate esplicitamente alla “bonifica” etnica della regione, fra le quali si
distinsero i provvedimenti diretti ad impedire l’uso pubblico della lingua
croata e slovena. Ad essi si accompagnò la persecuzione degli elementi ritenuti
capaci di fungere da coagulo per il sentimento nazionale, in primo luogo
maestri e sacerdoti, e l’italianizzazione forzata dei cognomi. Infine la
liquidazione del tessuto cooperativistico e creditizio slavo, già fiorente in
epoca asburgica, troncò bruscamente le speranze di crescita economica e di
affermazione sociale degli sloveni e dei Croati.
Il fascismo, in questa zona,
trovò molti e consistenti aiuti: i Cosulich, le banche ,le compagnie di
assicurazione, gli industriali triestini, gli spedizionieri; i locali per la
sede del fascio triestino furono forniti dalle Assicurazioni generali. In
Istria e Dalmazia i fascisti trovarono aiuto da coloro che avevano ,in
precedenza, dato forza ai “signori locali”, i cosiddetti “austricanti”30.
Le adesioni al fascismo
erano destinate ad aumentare e, mentre si dissolveva l’atmosfera culturale e
politica della Mitteleuropa, i fascisti s’impossessarono dell’idea che alla
Regione (Venezia Giulia) toccasse una funzione importante ed egemonica. Essi si
proclamarono gli eredi delle grandezze asburgiche.31
L’oppressione politica,
sommandosi alla dissoluzione dell’amministrazione austriaca, che aveva offerto
larghi spazi agli Slavi, ed alle difficili condizioni economiche, indusse molti
Sloveni e Croati ad emigrare nell’interno della Jugoslavia e nei paesi
dell’America meridionale. La politica di snazionalizzazione si rivelava tanto
odiosa quanto inefficace: una combinazione che, lungi dal risolvere il
“problema jugoslavo”, finì solo per acuire l’ostilità anti italiana fra i nuovi
sudditi del Regno e per offrire spazio anche all’iniziativa di gruppi slavi di
matrice nazionalista e comunista, che si resero protagonisti di attentati e di
azioni intimidatorie.32 La
loro attività venne stroncata con grande decisione (il Tribunale Speciale
comminò in più riprese varie condanne a morte), ma l’avversione verso uno stato
,quello italiano, e verso un regime, quello fascista, divenuti fra loro
indistinguibili, si rafforzò fra gli Sloveni ed i Croati; gettando le basi del
futuro successo del movimento di liberazione Jugoslavo nella regione Giuliana,
con tutto quello che ne conseguirà per il malcapitato elemento italiano.
I progetti di espansione
territoriale dei nazisti, nelle regioni italiane della Venezia Giulia, erano
evidenti. Pericolosi in questo momento
, per gli Italiani della costa, divennero gli atteggiamenti dei nazionalisti Croati.
Il governo dello stato indipendente di Croazia il 9 settembre 1943, grazie al
consenso dei nazisti che intendevano ottenere in questo modo l’appoggio degli
alleati croati nelle operazioni militari, rese pubblica una “Dichiarazione
giuridico-statale” di annullamento dei Trattati di Roma. Decretò anche
l’annessione dei territori dell’Istria ,di Fiume e della Dalmazia che
appartenevano all’Italia rispettivamente in seguito al trattato di
Rapallo(1920), al Patto di Roma(1924) e agli accordi di Roma del 18 maggio
1941. Venne altresì dichiarato lo stato di guerra della Croazia all’Italia; capo di quel governo era
l’ustascia Ante Pavelic, che a suo tempo aveva ricevuto dall’Italia protezione
e denari.
Le volontà annessionistiche
dei territori dati all’Italia, dopo i trattati bilateralmente sottoscritti e
ratificati, da parte jugoslava (a prescindere dall’ideologia di appartenenza)
era chiara. Il governo in esilio a Londra del Generale Dusan Simovic, poi
sostituito da Slobodan Jovanovic, fu pesantemente criticato per non avere posto
all’attenzione dei governi alleati la questione delle rivendicazioni jugoslave
sui territori assegnati, al termine del primo conflitto mondiale, all’Italia e
agli altri stati confinanti con il Regno di Jugoslavia, e per non avere elaborato
alcun progetto riguardante la patria slava, una volta che la guerra si fosse
conclusa con la vittoria degli eserciti delle potenze alleate.
Il 26 giugno del 1943 il gabinetto Jovanovic fu rovesciato. Venne
formato un nuovo governo presieduto dal serbo Milos Trifunovic, acceso
antagonista dello stesso Jovanovic. Questi consegnò a Sir Anthony Eden, allora
capo del Foreign Office, una nota con cui per la prima volta dall’inizio del
conflitto il governo jugoslavo reale in esilio presentava le sue rivendicazioni
territoriali sulle isole adriatiche, sulla Dalmazia, sull’Istria e su Fiume.
Nello stesso giorno analoghe note diplomatiche vennero recapitate anche al
governo USA e a quello URSS.35 I
partigiani titini, fin dall’inizio delle ostilità, avevano dato vita al
Consiglio Antifascista per la liberazione nazionale della Jugoslavia
(A.V.N.O.J) ed avevano deliberato la trasformazione dei reparti partigiani in
unità regolari , con la fondazione dell’Esercito di Liberazione della
Jugoslavia (N.O.V.J.)36. Il
governo in esilio a Londra e i partigiani titini erano accomunati non solo
dalla lotta contro i Tedeschi, ma anche dalla lotta contro l’Italia ed entrambe
le formazioni avevano chiaramente avanzato rivendicazioni nella Venezia Giulia
e nella Dalmazia. Il 29 ed il 30 novembre del 1943, a Jaice, il secondo
congresso AVNOJ aveva proclamato l’annessione alla Jugoslavia delle Valli del
Natisone, dell’Istria e del litorale Sloveno. Saranno le pressioni di Churchill, durante la conferenza di Teheran nel
novembre del 1943, a convincere gli alleati a sacrificare Mihailovic, e a
rifornire di armi e di munizioni i titini, e, il 12 settembre del 1944, a
costringere Pietro II a rivolgersi via radio ai Serbi, Croati e Sloveni
affinchè si unissero all’Armata di liberazione titina.
Il 24 dicembre 1944, con la firma a Mosca dell’accordo fra il
primo ministro jugoslavo Subasic e Tito, il contrasto fra i partigiani
comunisti jugoslavi ed i governativi di re Pietro II può dirsi concluso.37
La situazione militare nella
Venezia Giulia si presentava assai complessa. Un ruolo di rilievo venne giocato
dalla X flottiglia MAS di Valerio Borghese, formazione appartenente alla Marina
militare ed alleata della Germania;38
ma, tolto questo sporadico caso, le autorità militari di Salò si trovavano in
uno stato di sudditanza rispetto a quelle tedesche.
La situazione si fece sempre più difficile per gli abitanti della
regione dell’Adriatico orientale, le forze partigiane titine rivendicavano le
loro mire espansionistiche nei confronti di un’Italia militarmente stremata e
disorientata.
La prima sconfitta italiana fu la perdita di Zara39, occupata il 31 ottobre del 1944 dai
primi nuclei di partigiani jugoslavi. Quella stessa sera giunsero a Zara organi
dei vari comandi partigiani; il problema dei profughi dalmati iniziò quindi
alla fine del 1944 e continuò durante tutto il 1945.
Infatti non si può
dimenticare che, nel 1943, ebbe inizio la persecuzione dell’elemento italiano.
Le foibe40, in un primo momento
viste come mere rappresaglie della gente jugoslava sull’oppressore fascista,
evidenziarono tutta la loro verità. Ufficialmente aveva preso il via
l’operazione di pulizia etnica, che determinerà l’esodo dei 350000 giuliano
dalmati e la pressochè scomparsa
dell’italianità dalla costa adriatica.41
Le volontà annessionistiche
dell’esercito di liberazione iugoslavo erano ben note al partito comunista
italiano.42 La politica filo slava
del partito entrò in declino quando, nel 1948, Mosca ruppe con Tito; solo dopo
questi fatti i comunisti italiani cominformisti affermarono che Tito era il
dittatore delle terre dell’Istria. Precedentemente, invece, la posizione filo
titina dei comunisti italiani, in dissenso con le altre forze di liberazione
anti comuniste ed antifasciste del C.L.N, era lampante. Il segretario della
divisione italiana “Garibaldi Natisone”, Giovanni Padoan, dichiarò che secondo
il PCI erano da considerare nemici del popolo italiano coloro che non
appoggiavano la Jugoslavia. La stessa Garibaldi Natisone passerà alle
dipendenze operative della IX Korpusa slovena, con l’intenzione di eseguire un
disegno politico rivolto all’instaurazione dell’egemonia comunista lungo
un’ampia fascia a ridosso del confine. Il PCI di Trieste invitò a veder nei
soldati titini “non solo i liberatori, ma anche i fratelli maggiori che ci
hanno indicato al via della rivolta e della vittoria”. Il 19 ottobre del 1944
il segretario Togliatti scrisse a Kardely affinché la Venezia Giulia fosse
occupata dai partigiani titini, piuttosto che dagli alleati e che le forze garibaldine
passassero alle dipendenze di Tito. Questa posizione obbligò i comunisti ad
uscire dal CLN di Trieste43.
In Istria l’occupazione
slava iniziò nel maggio del 1945, il primo maggio Trieste venne occupata dalle
forze titine.
L’angoscia di Tito di “liberare”
parte dell’Italia, mentre vaste zone della stessa Jugoslavia erano ancora
occupate dai Tedeschi, può essere spiegata con il fatto che il suo interesse
principale riguardasse più l’ingrandimento territoriale che la sconfitta del
nemico comune.
1.6: LA CORSA PER TRIESTE
L’Italia era divenuta un
fronte secondario nella strategia alleata, su impulso americano, il teatro
principale delle operazioni alleate in Europa era diventato quell’occidentale;
in Jugoslavia i successi ottenuti contro gli occupanti avevano consentito
all’esercito di liberazione di porsi come punto di riferimento politico
privilegiato per gli alleati, in specie della Gran Bretagna, certamente
intenzionata a mantenere un certo grado d’influenza sulla politica jugoslava.
Al di là delle Alpi, si faceva sempre più chiara la possibilità che il
tradizionale hinterland della Venezia Giulia, finisse per ricadere militarmente
e politicamente sotto l’egemonia dell’URSS.
Gli esperti del Foreign
Office proponevano di spostare la frontiera italo slava d’anteguerra in modo da
farla coincidere il più possibile con la divisione etnica, con l’intenzione
d’istituire in tutta la Venezia Giulia, un’amministrazione militare alleata,
che consentisse alle diplomazie vincitrici la più ampia libertà di manovra; gli
Americani su questo tema si posero al rimorchio dell’iniziativa inglese.44 La speranza britannica di ottenere la
pace nella Venezia Giulia, venne immediatamente smentita da Tito, che dai
colloqui di Caserta, manifestò la sua intenzione d’instaurare
un’amministrazione jugoslava su tutta la Regione. Questi elementi di ostilità,
(non dimentichiamo l’esplicita adesione del PCI al progetto di liberazione
titino), spinsero il governo di Londra a ridefinire la propria politica per la
Venezia Giulia; la priorità era ora il non coinvolgimento in battaglie interne
ai diversi schieramenti politici, intenzione del Foreign Office era l’amicizia
con Tito per potere avere poi voce in capitolo nella determinazione
dell’assetto della nuova Jugoslavia.
Durante i primi mesi del ‘45
gli Inglesi tentarono di arrivare ad un’intesa sulla linea di demarcazione:
tentarono in sede diplomatica , ed in tal senso Eden si mosse a Yalta, e
provarono tramite gli accordi di Belgrado fra Tito ed Alexander, ma non
riuscirono a raggiungere alcun risultato apprezzabile.
Nell’aprile del 1945 le
divergenze fra i Britannici e gli Americani, in merito alla politica da seguire
con Tito, si acutizzarono tanto da ripercuotersi nelle non chiare istruzioni
ripartite al comandante delle truppe alleate Alexander. Dei dissidi e delle
negligenze anglo-americane (prevalentemente legati alla paura di scatenare un
conflitto con la Jugoslavia), beneficiarono gli Jugoslavi: fu proprio Tito a
mettere tutti di fronte al fatto compiuto liberando Trieste il primo maggio del
1945, ancora prima dell’arrivo delle truppe neozelandesi che ,agli ordini del
generale Freyberg, entrarono a Trieste il due maggio. La cosa più sconcertante fu che prima venne liberata Trieste, successivamente
Zagabria (l’otto maggio)! Le truppe titine entrarono a Fiume il 3 maggio ed a
Pola il 4 maggio.
Il 9 maggio la delegazione
alleata guidata dal generale Morgan, giunse in volo a Belgrado e sottopose agli
Jugoslavi un progetto che prevedeva la spartizione della zona in due aree di
occupazione, la “A” e la “B” . Una linea di demarcazione che avrebbe diviso la
zona sotto il controllo alleato ad occidente della linea stessa. Il maresciallo
respinse aspramente il progetto, facendo capire che non intendeva rinunciare
alla giurisdizione sul territorio occupato dalle sue truppe. Di fronte a questo
sembrava che l’unica soluzione fosse per gli alleati quella delle armi.
1 P. ALBIN, Les grandes traitès politiques, Recuil principaux textes diplomatiques de 1815 a 1914, ALCAN, PARIS, 1932. Tratto da AA.VV, Il confine mobile-Atlante Storico dell’Alto Adriatico 1866-1992, Edizione della laguna, Gorizia, 1996
2ELIO APIH, L’area Giuliana dalla dissoluzione dell’Austria Ungheria allo scoppio della seconda guerra mondiale, in “SOCIETA’ E STORIA”X, 37, 1987, pp. 637-647.
3 DIEGO DE CASTRO, La questione di Trieste- l’azione politica e diplomatica italiana dal 43 al 54, Vol. I, LINT, Trieste, 1981, pg. 38
4 ROBERT A. KANN, Storia dell’Impero asburgico 1526-1918, Salerno Editrice, Roma, 1998.
ALESSANDRO DUDAN, La Monarchia degli Asburgo, Vol. I, Bontempelli Editore, Roma, 1914. Pag. 302 – 303.
5 Parte della Storiografia (Giulio Cervani, Giulio Sapelli e Giorgio Negrelli) riteneva Attilio Tamaro la tipica espressione del nazionalismo liberale triestino, ovvero quell’irredentismo giuliano che aveva assunto posizioni discriminatorie nei confronti dei diritti nazionali altrui. Costoro definirono Tamaro come la raffigurazione di uno pseudo cripto-fascismo.
Tale conclusione è stata contestata recentemente da Luciano Monzali (LUCIANO MONZALI, Tra irredentismo e fascismo, Attilio Tamaro storico e politico, Clio, Rivista trimestrale di studi storici, 1997, n. 2, Edizioni scientifiche italiane); il partito liberale triestino, a detta di Monzali, non può essere ricondotto alla stregua di un covo di xenofobi. Raccoglieva al suo interno uomini dalle più disparate fedi religiose ed origini etniche.
L’interlocutore previlegiato in Italia dell’irredentismo giuliano, almeno fino al 1921, fu sempre il mondo liberale: i Sonnino, i Salandra ed i Giolitti.
Tale tesi è riconducibile anche al pensiero di Elio Apih ( ELIO APIH, Italia fascismo ed antifascismo nella Venezia Giulia 1918-1943, Laterza, Bari, 1966). I liberali, a detta dello storico triestino, finivano con l’appoggiare la politica di Nitti e Giolitti, moderata e concialiatrice.
6 Un’ulteriore ripartizione può essere fatta fra “i popoli storici e dominanti”: i Tedeschi, Magiari, e Italo-Veneti; e i “popoli senza storia”: i Croati, Ruteni, i Sloveni, Serbi, Friulani e Romeni (con le varianti dei Valacchi, Cici e Morlacchi). Vedere l’allegato a pag. 107.
7 Vedi AA.VV, Il confine mobile, op. citata, pag. 67
8 Vedere gli allegati, riportati alla conclusione della ricerca, dai quali si può facilmente dedurre la composizione etnica della Venezia Giulia.
9 DIEGO DE CASTRO, Cenni storico sul rapporto etnico tra italiani e slavi nella Dalmazia, in Studi in memoria della Prof. Paola Maria Arcari, Milano, Giuffrè, 1978, pag. 261 e ss.
10 Per l’approfondimento l’irredentismo e la storia politica autonomista in Dalmazia è importante soffermarsi sulle ricerche compiute da Luciano Monzali sulle personalità di Oscar Randi e Roberto Ghiglianovic.
Su Ghiglianovich: LUCIANO MONZALI, Un contributo alla storia degli italiani di Dalmazia. Le carte Ghiglianovic, La Rivista dalmatica, 1997, n. 3, pag. 192 e ss.
LUCIANO MONZALI, La Dalmazia e la questione jugoslava negli scritti di Roberto Ghiglianovic durante la prima guerra mondiale, Clio, 1998, n.3, pag. 429 e ss.
Da tali analisi si può dedurre che i partiti nazionalisti croati legittimavano la loro ostilità contro l’uso della lingua italiana. Essi negavano la presenza di una minoranza autoctona italiana, poiché, a loro avviso, esisteva in questa Regione una sola nazione: quella serbo-croata.
L’immagine di un’Italia forte e dinamica colpì profondamente la coscienza di molti italiani d’Austria, favorendo l’instaurazione in Dalmazia di una politica irredentistica, fino a quel momento ritenuta pericolosa e controproducente.
Fra i principali propagandisti dell’italianità della Dalmazia vi fu Roberto Ghiglianovic. Questi iniziò la sua attività filo-irredentista a capo della società culturale Dante Alighieri, finalizzata all’affermazione della necessità dell’annessione italiana della costa dalmata.
Secondo le ricerche esperite in tal senso da Luciano Monzali, Ghiglianovich rifletteva nel suo agire la tradizione politica dell’autonomismo dalmata, che tendeva a vedere la Dalmazia come Paese non balcanico, distante e separato dal proprio retroterra bosniaco, croato e serbo.
L’irredentismo di Ghiglianovich non era ostile ed avverso agli jugoslavi dalmati, così come invece sarà nella propaganda fascista in Dalmazia. L’esponente dell’irredentismo dalmata rivolgeva principalmente i suoi strali all’Austria, accusata di strumentalizzazioni per indebolire l’influenza italiana in quelle regioni.
11 L’art 7 prevedeva che se in forza degli avvenimenti, il mantenimento dello status quo nei Balcani divenisse impossibile, fra le potenze della Triplice era necessario un preventivo accordo basato sul principio del compenso per qualunque vantaggio , territoriale o d'’altra natura, che ciascuna di esse ottenesse in più dallo status quo attuale
12 GAETANO SALVEMINI, La politica estera italiana dal 1871 al 1914, Feltrinelli, Firenze, 1944- pg. 215.
13 LEO VALIANI, La dissoluzione dell’Austria, Il Saggiatore, Milano, 1985, pg. 112-113.
14 LUCIANO MONZALI, Sidney Sonnino e la politica estera italiana dal 1878 al 1914, Clio, 1999, n.3, pag. 446 e ss.
Divenuto Ministro degli Esteri nel novembre del 1914, Sonnino riprese l’idea della soluzione diplomatica della questione nazionale italiana attraverso l’applicazione dell’art. VII del Patto della Triplice Alleanza. Si scontrò con l’ostilità asburgica. Tale rifiuto di negazione direttamente con l’Italia spinse il Ministro Sonnino ad un’alleanza con la Triplice intesa.
Era forte in Sonnino la concezione dell’Italia come Stato nazionale; erede della tradizione risorgimentale fondata sul diritto di una nazione ad emanciparsi dal dominio politico straniero. Sonnino riteneva perfettamente compatibile l’affermarsi di una futura egemone politica italiana in Adriatico e la tutela dei diritti nelle nazionalità balcaniche. E’ chiaro che egli ritenesse la Venezia Giulia e la Dalmazia per ragioni storiche, etniche e geografiche, vicine all’Italia e che in caso di disgregazione dell’impero asburgico dovessero fare parte del regno sabaudo.
15 Per le isole da assegnare all’Italia: Premuda, Selve, Ulbo, Maon,Pago e Puntadura a nord, Meleda a sud, con l’aggiunta delle isole di S. Andrea, Busi, Lissa, Lesina, Cuzzola, Cazza e Lagosta.
16 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati fra il Regno d’ Italia e gli altri stati, Tipografia del Min. degli A. Esteri, ROMA, Voll. 23, pg 284. Tratto da: AA.VV, “Il confine mobile”, op. citata, pag. 30.
17 O. RANDI, Il senatore Roberto Ghiglianovich, mezzo secolo di storia dalmata ,in “Rivista dalmatica”, a.XXXVI, fasc. III, luglio-settembre 1965,pp. 32.
18 I volontari irredenti se catturati dall’Austria non avevano scampo. Vedi FEDERICO PAGNACCO, Volontari delle Giulie e di Dalmazia, Ed. Libraria, Trieste, 1928
Circa la storia del nuovo Regno dei Serbi Croati e Sloveni: JOZE PIRJEVIC, Sebi, Croati, sloveni, ed. Il Mulino, Bologna, 1996.
19 CORRADO BELCI, Quel confine mancato,la linea Wilson, La Morcelliana Editrice, Brescia, 1996.
20 MARIO DASSOVICH, i molti problemi dell’Italia al confine orientale, Vol. I, dal 1866 al 1925, Del Bianco Editore., Udine. Alla pg. 190 vi è l’indicazione dei 14 punti portanti di Wilson:
1) convenzioni di pace palesi senza alcuni accordi segreti
2) liberta’ assoluta di navigazione sui mari all’infuori delle acque territoriali
3) soppressione di tutte le barriere economiche e creazione di condizioni commerciali d’integrazione
4) garanzie per una riduzione degli armamenti
5) debito conto degli interessi delle popolazioni delle colonie
6) sgombero dei territori occupati durante la guerra
7) liberazione dei territori francesi occupati
8) cessazione dell’occupazione del Belgio
9) sistemazione delle frontiere dell’Italia “secondo le linee di nazionalità facilmente riconoscibili”
10) maggiori occasioni per uno sviluppo economico dei popoli dell’Austria-Ungheria
11) liberazione dei territori occupati della Romania
12) garanzie di sicura sovranità per le parti turche dell’impero Ottomano
costituzione di uno stato polacco indipendente
21 SILVINO GIGANTE, Storia del Comune di Fiume, ,Bemporad Editore., Firenze, 1928, p. 214.
22 AMEDEO GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, Istituto Per l’Europa Orientale, Roma, 1934, p. 36.
Si vedano anche gli allegati a pag. 108 ed a pag. 109.
23 Il giorno di Natale il Generale
Caviglia sconfisse le truppe di d’Annunzio, che aveva dichiarato guerra
all’Italia.
24 JEAN BAPTISTE DUROSELLE, Storia Diplomatica dal 1919 al 1970, Edizioni Dell’Ateneo, Roma, 1972.
25 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati fra il Regno d’Italia e gli altri Stati, Tipografia del Min. Aff. Esteri –Roma Vol 31 pag .52. Tratto da: AA.VV., “Il confine mobile”, op. citata, pag.32.
Si veda l’allegato di pag. 110.
26 RENZO DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, 1929-1936. Einaudi, Torino, 1974. Pag. 519-527.
RENZO DE FELICE, Mussolini il fascista. L’organizzazione dell’Italia fascista, 1925-1929. Einaudi, Torino.
27 ERNESTO SESTAN, Venezia Giulia. Lineamenti di storia etnica e culturale, Edizioni italiane, Roma, 1947, p.105.
MARIO DASSOVICH, I molti
problemi.., op. citata, pag. 250 e ss.
28 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI. Trattati fra il Regno d’Italia e gli altri Stati, Tipografia min. A. Esteri, Roma . Vol. 57, tratto AA.VV., “Il confine mobile”, op. citata, pag. 41.
RENZO DE FELICE, Mussolini
l’alleato, l’Italia in guerra. Dalla guerra breve alla guerra lunga, Einaudi,
Torino, 1990, pag. 382-385. Sin dall’inizio la rivalità per l’influenza
nei Balcani fra noi ed i tedeschi fu
molto aspra. I Tedeschi iniziarono immediatamente un’azione capillare volta a
diffondere l’ostilità croata nei confronti dell’Italia.
29 ELIO APIH, Dal Regno alla Resistenza nella V. Giulia 1922-1943. Editore Del Bianco. Udine 1960. Pag. 120
30 Definizione usata da ANDREA BENUSSI, Ricordi di un combattente istriano,Unione degli Italiani di Istria e Fiume, Rovigno, 1975. Pag.36
31 ANGELO TASCA, Nascita e avvento del fascismo, Editore Gallimard, Parigi, 1958, pag. 184
GAETANO SALVEMINI, Scritti sul fascismo, Feltrinelli, Milano, 1961, Vol. I pp. 17,109,159,462,471
32 Ampio materiale bibliografico sulla repressione fascista nella V. Giulia è raccolto presso il Centro Storico di Ricerche scientifiche di Rovigno; qui sono stati pubblicati libri inerenti le prime cellule eversive anti fasciste.si veda: RICCARDO GIACUZZO-MARIO ABRAM, Itinerario di lotta,UIIF,1987,Rovigno d’istria. GIACOMO SCOTTI e LUCIANO GIURICIN, Rossa una stella, Centro di Ricerche storiche di Rovigno, Rovigno, 1975.
JOZE PIRJEVEC, Serbi-croati, op. citata.
AA.VV.,Storia di un esodo. Istria 1945-1956. Istituto Regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Trieste, 1980.
33 ATTILIO TAMARO, Due anni di storia 1943-45, Edizione Tosi, Roma 1948. Vol. I pag. 562
34 FRIEDERICK WILLIAM DEAKIN, Storia della Repubblica di Salò, Einaudi, Torino, 1963, Vol. II, pag.602.
35 GAETANO LA PERNA, Pola Istria e Fiume, 1943-45,Mursia Editore, Torino, pag.. 80
ANTONIO GIULIO de ROBERTIS, Le grandi potenze e il confine giuliano 1941 1847, Laterza, Bari, 1983. Pag. 31
36 GALLIANO FOGAR , Sotto l’occupazione nazista nelle province orientali, Del Bianco Editore, Udine 1968 pag. 47
GALLIANO FOGAR, Trieste in guerra 1943-45. –Società e resistenza, Istituto Regionale per la Storia del Movimento Liberazione Nel Friuli Venezia Giulia, Trieste, 1998.
Fogar, fra i cosiddetti esperti del confine orientale, è considerato dai più un filoslavo
37 DIEGO DE CASTRO, La questione, op. cit, .pg 161
38 JUNIO VALERIO BORGHESE, Junio Valerio Borghese e la X flottiglia mas, Editore Mursia, Milano, 1995, p. 43-44.
39 La storia di Zara è in parte diversa rispetto a quella delle altre città istriane. Zara fu occupata dai tedeschi , l’8 settembre 1943. Tito riuscì a convincere gli alleati che questa città fosse il centro logistico dal quale partivano tutti i rifornimenti per le 22 divisioni tedesche nei Balcani e che pertanto fosse necessaria la sua completa e definitiva distruzione.
Gaetano Gaeta, membro del C.L.N., in una lettera inviata a Leo Valiani, parla di una lista disposta dagli jugoslavi di 16000 nominativi di persone da arrestare in quanto ritenuti collaborazionisti con il fascismo. Evidente la matrice annessionistica in funzione di un futuro riassetto dei confini in sede di Trattato di Pace.
ODDONE TALPO, Dalmazia una cronaca per la storia ,3’ volume,1943-45, Stato Maggiore Dell’’Esercito, Ufficio Storico, Roma, 1985-1994
40 Sul problema delle foibe esistono diverse pubblicazioni:
AAVV, foibe politica e storia, quaderni del centro studi politici ed economici Ezio Vanoni, 1990, nn. 20-21
ROBERO SPAZZALIi, Foibe: un dibattito ancora aperto, Edizione Lega Nazionale di Trieste, Trieste, 1991
MARIO DASSOVICH ,Sopravvissuti alle deportazioni in Jugoslavia, Ediz. IRCI-UnioneDegli Istriani, Fachin Editore, Trieste _1997
Padre FLAMINIO ROCCHI, l’esodo dei 350000 giuliano dalmati e fiumani, Edizione Difesa Adriatica ,Roma, IV edizione, 1998
Gli infoibatori titini erano galvanizzati da un forte sentimento antitaliano e da una insperata vittoria militare e politica..
41 Questo primo capitolo vuole essere prettamente storico introduttivo. L’analisi specifica dell’esodo e delle foibe verrà’ affrontato nei capitoli successivi.
42 Sull’atteggiamento del PCI sulla
questione giuliana vedi: MARCO GALEAZZI, Togliatti
e la questione giuliana 1941 –1947), Trieste 1991
RENATO GUALTIERI, Togliatti e la politica estera italiana, Editori Riuniti, Roma, 1995
ELENA AGA ROSSI, VICTOR ZASLAVSKY:” Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera iataliana negli archivi di Mosca”. Edit IL Mulino, Bologna, 1997.
43 DIEGO DE CASTRO, in La questione, op. cit.vol 1 pp. 185
Sulle varie posizioni delle forze della resistenza nella Venezia Giulia non si può dimenticare l’eccidio di Malga Porzus. Dove vennero trucidati 20 partigiani, d’ispirazione anticomunista ,per lo più cattolici ,liberali ed azionisti. La motivazione va 37 ravvisata nella loro volontà di non soggiogarsi alle mire espansionistiche delle truppe titine .Evidenti le complicità del locale partito comunista, così come risulta dagli atti del processo celebrato a Lucca nel febbraio del 1951.
Si veda: SERGIO GERVASUTTI, Il giorno nero di Porzus , Marsilio Editore, Venezia, 1998
44 DIEGO DE CASTRO, La questione di Trieste , op. citata, vol. I, p.200