Capitolo III

 

LA CONFERENZA PER LA PACE DI PARIGI

 

 

 

3.1: LA COMMISSIONE PER I CONFINI DELLA VENEZIA GIULIA.

 

Il 1946 fu contraddistinto da ulteriori inasprimenti fra l’Italia e la Jugoslavia. La visita nella Venezia Giulia della Commissione Alleata per i confini capitò in un contesto di “gelo diplomatico” fra i due Paesi.

La Commissione innervosì le Autorità Militari jugoslave che attuarono una feroce campagna propagandistica basata sulla presunta volontà degli Italiani dell’Istria ad essere annessi alla nuova Jugoslavia.

In relazione a questa visita la nostra diplomazia iniziò un lungo lavoro di persuasione verso le Grandi Potenze. Era necessario fare in modo che la Commissione potesse avere un quadro ben preciso dei soprusi  compiuti dagli Jugoslavi nella zona B e, soprattutto, era fondamentale che estendesse la sua ricerca anche alle isole, a Zara e alla città di Fiume.

In data 26 gennaio 1946[1] l’Ambasciatore Nicolò Carandini comunicò al Ministro degli Esteri e Presidente del consiglio, Alcide De Gasperi, circa un colloquio avuto con Couve de Mourville[2]. Questi riferì che la Commissione era in composizione e che avrebbe potuto essere attivata in una decina di giorni; prevedeva, comunque, per la pace con l’Italia tempi lunghi e difficili.

Si riponeva molta speranza in questa visita sul posto degli esperti nominati dalle grandi potenze; il Governo italiano iniziò, nel periodo antecedente alla visita, una vivace attività d’istruzione nelle sedi diplomatiche. Il Presidente De Gasperi riteneva che qualsiasi altra inchiesta condotta diversamente sarebbe stata monca ed incompleta[3]; sosteneva anche l’importanza che la Commissione fosse affiancata da uno o più rappresentanti italiani.

Niccolò Carandini comunicò di avere saputo da Dunn, assistente del Segretario di Stato degli Stati uniti, che la Commissione sarebbe stata composta da cinque esperti: politico, economico, navale, cartografico e militare. Il soggiorno nel territorio conteso avrebbe dovuto essere calcolato per un periodo non superiore alle due o tre settimane.[4]

In data otto marzo 1946 la Commissione esperti giunse nella Venezia Giulia[5]. A detta dell’Ambasciatore a Washington, Tarchiani, la Commissione “non visiterà né le isole, né Zara, ma si recherà quasi certamente a Fiume”. Il nostro rappresentante diplomatico riferì anche di avere avuto notizia dagli Stati Uniti che: “se Tito avesse pensato di prevalersene del nostro attaccamento ai mezzi pacifici, si sbagliava di grosso!”. “Si era consapevoli”,  riferiva ancora l’Ambasciatore, “nel non subire atti di sopraffazione e di violenza. Le decisioni dei quattro non potevano essere mutate da azioni unilaterali”.

Tutte queste preoccupazioni sorgevano da un pericolo incombente derivante dall’atteggiamento aggressivo di Tito. Iniziò, infatti, con l’arrivo della Commissione degli alleati, un’intensa attività di rafforzamento delle postazioni militari jugoslave, di cui già esisteva il concentramento nelle zone adiacenti alle città[6].

Il 7 marzo i delegati britannici, francesi ed americani arrivarono a Trieste e furono accolti entusiasticamente dalla popolazione italiana. La visita della Commissione generò nella popolazione triestina un senso di profondo ottimismo ed euforia, in quanto pareva certo il riconoscimento dell’italianità di Trieste e la ratifica della linea Wilson. Gravi problemi si ebbero quando i delegati visitarono la zona B. Constatarono la esplicita violazione delle raccomandazioni impartite dalla diplomazia italiana alle Grandi Potenze. Dalla Slovenia e dalla Croazia interna furono fatti affluire numerosi Jugoslavi che organizzarono manifestazioni pro Jugoslavia.[7]

Il Console Giusti del Giardino, in data cinque aprile 1946, relazionò al Ministro e presidente del Consiglio, De Gasperi, circa l’operato della Commissione internazionale per l’esame della frontiera italo-jugoslava. La Commissione, durante le quattro settimane di soggiorno nella Regione, si fermò a Trieste pochissimi giorni, sostò con base operativa a Pisino d’Istria, fu a Gorizia e dintorni e peregrinò nella parte nord orientale della provincia di Udine. Entrò in contatto con molta gente, anche se, con profondo rammarico da parte italiana, non ricevette la maggior parte delle persone indicate dal CLN., nonostante le ripetute insistenze. Tra i non accolti il Console segnalava: i rappresentanti di Fiume (Dalma e Ossoinak), di Zara (Tacconi, Salghetti), l’Arcivescovo di Gorizia, mons. Margotti e il vescovo di Trieste, Mons. Santin.

L’opinione generale fu che questa Commissione avesse avuto un compito formale e di semplice informazione. Pareva si fosse resa conto dell’esplicita italianità e della conseguente volontà dei Triestini  di appartenere all’Italia. Le dimostrazioni, in tale senso organizzate dal CLN locale, in data 27 marzo, si potevano paragonare a quelle che il 3 novembre 1918 accolsero le truppe dei bersaglieri dell’Audace.

Giusti del Giardino sosteneva che i cardini sui quali bisognava far leva fossero: il CLN, la Camera del lavoro e la Lega Nazionale.

Il CLN di fatto rappresentava il Governo italiano nella Venezia Giulia. La Camera del Lavoro era in grado di attirare quei larghi strati di comunisti italiani in crisi di coscienza di fronte alla politica sfacciatamente nazionalista degli Jugoslavi.

La Lega Nazionale era, viceversa, intesa come elemento di coagulo capace di attrarre a sé i ceti sociali più popolari.

Occorreva quindi che il Governo italiano, valutando il valore morale della Questione Giuliana per l’intero Paese, continuasse nella sua politica di sostegno, consapevole che il peso dell'espansionismo jugoslavo fosse causa di sofferenze per l’elemento italiano stanziato in quei territori.

Giusti del Giardino, infine, implorava De Gasperi affinchè l’Italia non firmasse il Trattato di pace se non fosse stata garantita la linea Wilson.

Da quanto appreso dall’Ambasciatore Carandini[8], la Commissione non ebbe impressioni unanimi durante la visita nella Venezia Giulia. La delegazione inglese rimase negativamente impressionata dalla violenza della propaganda jugoslava.

Altre note confidenziali pervennero al presidente De Gasperi dall’incaricato d’affari a Washington, Di Stefano[9]. Questi comunicò il convincimento degli Americani, di ritorno dalla Venezia Giulia, circa l’italianità di Trieste e di Gorizia. Nella zona B gli esperti si trovarono di fronte al censimento eseguito da Tito nell’ottobre del 1945[10]. Il Dipartimento di Stato riteneva che la prossima seduta del Consiglio di Londra dovesse essere in buona parte dedicata all’esame della relazione stilata dagli esperti di ritorno dalla Venezia Giulia, in modo che i Ministri degli Esteri, quando si fossero riuniti, potessero già trovare compiuti i lavori preliminari.

In via definitiva, prima della riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri a Parigi nella primavera del 1946, la Commissione estese un rapporto conclusivo, dal quale si poteva riconoscere il carattere prevalentemente italiano della Venezia Giulia.

Per  Tarvisio venne constata l’esistenza di una maggioranza italiana; fu rilevata l’italianità dei territori aldilà dell’Isonzo, nonché una forte maggioranza italiana a Gorizia; per Trieste si affermava una pressochè  totalità di Italiani; per l’Istria occidentale e meridionale si osservava che la popolazione italiana  costituiva la maggioranza e, in certi casi, la quasi totalità della popolazione nelle numerose città situate sulla costa o vicino alla costa, mentre nei borghi dell’interno (Pisino) , una minoranza importante. L’elemento croato e sloveno rappresentava la maggioranza nelle campagne.

Questo rapporto venne approvato all’unanimità e, per quanto non fosse semplice trovare una linea etnica continua di spartizione, sembrò ben strano che da una relazione comune uscissero ben quattro linee diverse[11].

Nonostante il riconoscimento della prevalente italianità della zona, come verrà poi più ampiamente approfondito, la tesi russa ufficiale poggerà sul principio dell’accorpamento delle città alle campagne. Tutto doveva passare alla Jugoslavia fino e oltre l’Isonzo.[12]

 

 

 

 

 

 

3.2: LA CONFERENZA DI PARIGI. (PRIMA SESSIONE)

 

Il Consiglio dei Ministri degli esteri si riunì a Parigi il 25 aprile 1946 e rimase in sessione, una prima volta, fino al 16 maggio. L’incaricato d’affari a Parigi, Benzoni, comunicava, lo stesso giorno indicato, al ministro e Presidente De Gasperi che “questo pomeriggio alle ore 17 ha inizio a palazzo Lussemburgo Conferenza dei Quattro Ministri”.

Per il Trattato di pace con l’Italia il problema maggiore pareva sorgere dalla Venezia Giulia. Secondo quanto riferito da Quai d’Orsay, azione conciliatrice sarebbe stata svolta dall’esperto francese Wolfrom che fu, fra l’altro, membro della Commissione esperti per la Venezia Giulia. Questi tentò una conciliazione fra i punti di vista anglosassoni e quelli sovietici. Per Trieste pareva che la soluzione più attendibile fosse l’attribuzione della città all’Italia e il retroterra agli Jugoslavi; in realtà questa notizia non trovava alcuna conferma negli ambienti diplomatici ufficiali13.

In data 30 aprile pervenne al Capo di Gabinetto, Baldoni, una telefonata dal Console italiano a Parigi, Roberto Ducci14. Questi informava che il Consiglio dei Ministri degli affari esteri  aveva deciso di invitare i Governi, italiano e jugoslavo, ad ascoltare il contenuto del rapporto della Commissione esperti per la Venezia Giulia.

Il giorno 2 maggio 1946, partiva da Centocelle alla volta di Parigi la Delegazione italiana, composta da diciannove persone. Lo stesso giorno i Ministri avevano assegnato alla Jugoslavia le isole dalmate di Lagosta, Cazza e Pelagosa. Il giorno 3 maggio, alle ore 15 e 30, i quattro Ministri degli Esteri avevano cominciato ad ascoltare Kardelj15. Questi esordì protestando contro l’invio di una Commissione d’inchiesta in una Regione che, a detta del Ministro degli Esteri jugoslavo, “fa parte integrale del territorio nazionale della Jugoslavia”. I nuclei demografici italiani costituivano isole in un mare slavo, perciò il discorso dell’equilibrio etnico non aveva alcun fondamento. Per gli Jugoslavi tutte le linee erano inamissibili, neppure quella sovietica era soddisfacente perché lasciava Tarcento e Grado all’Italia. Disse poi che si facevano concessioni all’Italia fascista e Paese aggressore a scapito dell’alleata Jugoslavia. Ciò significava riconoscere e legittimare il fascismo. Si prescindeva poi dal fatto che gli Stati interessati al porto di Trieste, Cecoslovacchia e Polonia, si erano pronunziati per la sua assegnazione alla Jugoslavia.

Benzoni comunicò a Prunas che la Delegazione britannica restò “disgusted” dal tenore delle dichiarazioni jugoslave16.

De Gasperi, al contrario del Ministro degli Esteri della Jugoslavia Kardelj, si contraddistinse per il suo discorso critico ma gentile. Pur lamentando la mancata ispezione di Fiume, Zara, Cherso e Lussino che costituivano un grosso peso nella bilancia etnica, manifestò la sua soddisfazione per il riconoscimento dell’italianità del Tarvisiano, della Slavia Veneta, Gorizia, Monfalcone, Trieste e l’Istria occidentale. Rammentava però che la linea russa, in termini concreti, trascurava il passaggio di seicentomila italiani alla Jugoslavia, mentre in Italia non sarebbe rimasto un solo Jugoslavo.

Si riteneva inaccettabile anche la linea francese in quanto privava l’Italia di città come Parenzo, Rovigno e Pola; quella inglese ci privava del bacino minerario dell’Arsa; mentre quella americana pareva la più simile alla linea Wilson.

In tale contesto, in data quattro maggio, per bocca del Segretario di stato americano, Byrnes, si concretizzò il concetto di plebiscito nella Venezia Giulia. Alla mezzanotte ne fu informata la nostra Ambasciata. Tale plebiscito si doveva svolgere sotto il controllo delle Grandi Potenze.

Bevin e Bidault si opposero a tale iniziativa, prospettando le difficoltà organizzative e logistiche. Seguì una riunione della Delegazione italiana a Parigi17. De Gasperi ravvisò il pericolo insito nella proposta plebiscitaria: poteva costituire un precedente per l’Alto Adige, con le relative conseguenze per gli italiani di quei territori18.

L’opportunità di indire un plebiscito, richiesto anche dal Vescovo di Pola e Parenzo, monsignor Radossi, al Presidente americano, Truman, verrà ribadita a novembre dal CLN e dal comitato giuliano. In tal proposito, in Italia, sorgevano difficoltà per il timore che la particolare situazione politica potesse essere sfavorevole ad un referendum; mancavano anche i fondi economici per organizzare adeguatamente un plebiscito.

Diplomaticamente l’idea venne abbandonata con l’incontro fra il Ministro degli Esteri, De Gasperi, e il collega britannico, Bevin19. Il Britannico ritenne che la proposta del plebiscito andasse considerata inattuabile.

I lavori della Conferenza dei Ministri proseguirono fino al 16 maggio e furono caratterizzati dal progressivo arretramento delle posizioni britanniche ed americane a favore della linea francese, e dalla possibilità di una internazionalizzazione del porto e di tutta la zona interna alla città.

La questione della Venezia Giulia si faceva sempre più intricata. De Gasperi sottolineava, con una nota agli Ambasciatori Carandini e Soragna a Parigi, che tutti i ripiegamenti anglo-americani  non dovevano essere intesi dalla parte avversaria come dei vantaggi ormai acquisiti20. Bisognava trovare il modo di attirare l’attenzione di Byrnes e Bevin circa la necessità di una esplicita dichiarazione in tal senso.

Secondo la versione del Dipartimento di Stato, risultante dal telegramma di Tarchiani (17 maggio 1946)21, l’arretramento alla linea francese venne compiuto da Bevin e non da Byrnes.

Bevin, già irritato dalle lunghe discussioni sulla questione africana, dichiarò di accettare la linea francese. Solo dopo questa presa di posizione ufficiale britannica, Byrnes, accennò di non essere alieno dal considerare la linea francese qualora si potesse conseguire un accordo fra i Quattro.

Le date più importanti, in questa sessione della Conferenza di Parigi, ai fini della soluzione della questione del confine orientale, furono: il 15 maggio 1946, quando i Quattro decisero la revisione dell’armistizio all’Italia (fu un notevole passo avanti, vista l’abolizione degli oneri finanziari); ed il 16 maggio 1946, quando l’Ambasciata a Parigi comunicava al Ministero che la Conferenza dei Quattro Ministri degli Esteri si era aggiornata al 15 giugno. Molotov, infatti, rifiutò la convocazione dei ventuno finchè non fossero risolte le questioni delle riparazioni, delle colonie e del confine orientale.

Questo indebolimento della diplomazia occidentale allarmò profondamente gli ambienti istituzionali italiani. Si aveva l’impressione che tutte le promesse fatteci circa l’italianità dell’Istria occidentale andassero vanificandosi. E’ quanto comunicava l’Ambasciatore Tarchiani al Ministro degli Esteri De Gasperi. Alla Casa Bianca, Tarchiani, ebbe, in data 23 maggio, un lungo colloquio con il Presidente americano Truman. Il contenuto dell’incontro riassumeva il nostro malcontento circa l’evolversi degli avvenimenti e delle decisioni in sede di Conferenza della Pace al palazzo di Lussemburgo a Parigi22. Tutto lasciava presagire il peggio, l’accettazione della linea francese in Venezia Giulia significava lasciare agli Jugoslavi almeno duecentomila italiani, alla stregua dei loro modi “poco democratici”. Non bisognava poi dimenticare che Zara, Fiume e le isole già vennero sacrificate alla volontà jugoslava, indipendentemente da qualsiasi parere italiano.

Truman rimase molto colpito da queste argomentazioni e rassicurò che avrebbe esaminato a fondo il problema con il segretario di Stato, allo scopo di evitare ingiustizie.

Si creavano i presupposti per la costituzione del Territorio Libero di Trieste. Le prime avvisaglie di un tale disegno possono essere fatte risalire  ad un telegramma inviato da Quaroni, datato 23 maggio 194623. L’Ambasciatore al Cremlino propose l’idea di internazionalizzare la zona di Trieste all’Ambasciatore americano a Mosca, Smith. Si sarebbe, temporaneamente, potuti uscire dall’impasse creatosi causa la testardaggine sovietica in relazione alla loro politica filo-jugoslava.

Pareva ormai sempre più probabile la perdita dell’Istria; si profilava l’internazionalizzazione di Trieste e si capiva che restava da discutere solo l’estensione del futuro Stato libero che avrebbe potuto essere limitato alle sole città, scendere fino alla linea francese o terminare alla linea Morgan. 

De Gasperi era fortemente contrariato della soluzione che prevedeva l’internazionalizzazione di Trieste e della creazione di uno stato libero tipo Danzica. La soluzione, per il Ministro degli Esteri, sarebbe stata effimera nonché foriera a breve termine di un assorbimento violento ed progressivo da parte jugoslava24.

La situazione era sempre più complessa per la diplomazia italiana: un continuo cedere, una politica arrendevole e pregiudizievole che da un giorno all’altro passava dalla linea Wilson a quella Morgan, fino all’internazionalizzazione e alla creazione dello Stato libero di Trieste. Tutto questo significava, secondo quanto istruì De Gasperi alle nostre  Ambasciate, consentire agli Jugoslavi di continuare nella loro politica di snazionalizzazione ed espropriazione, ridurre gli Italiani all’impotenza ed obbligarli all’esodo.

Durante la seconda fase della Conferenza del Consiglio dei Ministri degli Esteri, iniziata in data 15 giugno e conclusasi in data 12 luglio, venne decisa in maniera ufficiosa l’internazionalizzazione della zona intorno a Trieste. Molotov25, in data 17 giugno, propose di adottare la linea sovietica e che la Regione circostante Trieste fosse dichiarata “Territorio autonomo” sotto sovranità jugoslava, con uno statuto formulato dai Quattro Grandi. De Gasperi si preoccupò seriamente delle dichiarazioni rilasciate da Molotov; in data 28 giugno comunicò alle Ambasciate di Washington, Londra e Parigi  che le proposte fatte dai Sovietici contrastavano profondamente con le deliberazioni del Consiglio dei Ministri degli esteri a Londra, in data 19 maggio 1945. Queste si basavano sul criterio di lasciare il minimo delle due nazionalità sotto dominazione straniera. Disse che, in una tale  situazione, fosse necessario rinviare tutta la questione a tempi migliori. Pose l’accento sul fatto che gli Jugoslavi non considerassero sin da ora acquisita la loro sovranità territoriale sulla zona B e fossero escogitati metodi per fare cessare le discriminazioni e le violenze a danno degli Italiani residenti nelle zone amministrate dagli Jugoslavi26.

L’internazionalizzazione della zona pareva ormai cosa fatta. Il 29 giugno, l’incaricato d’affari a Parigi, Benzoni, comunicò il proprio piano di compromesso per Trieste27, redatto in sette punti28. Difficile fu l’interpretazione del punto in cui si menzionava: “Trieste et territoire avoisant”. Questa definizione fu volutamente imprecisa per consentire un’ampia discussione sull’estensione del territorio dello Stato Libero.

Il 30 giugno, De Gasperi inoltrò l’ennesima richiesta all’incaricato d’affari a Parigi, Benzoni. Il Ministro degli esteri, con toni drammatici ma dignitosi29, chiedeva d’inoltrare le nostre rimostranze ai quattro Ministri degli esteri riuniti a Parigi30. Oggetto della contestazione fu la violazione degli accordi di Londra del 1945; l’Italia richiedeva un accordo diretto con la Jugoslavia, giurava fedeltà alle potenze occidentali ma, nello stesso tempo, ribadiva che non avrebbe mai firmato Trattati di pace ingiusti. 

Il primo luglio del 1946 si riunì nuovamente il Consiglio dei Quattro Ministri degli Esteri. Molotov accettò il piano francese come linea di discussione, ma persisteva la sua contrarietà circa l’internazionalizzazione del Territorio circostante la città di Trieste, in quanto lo riteneva territorio indiscutibilmente Jugoslavo31.

Byrnes non era disposto ad accettare qualsiasi soluzione che concedesse alla Jugoslavia il territorio della Venezia Giulia ad oriente della linea francese. Bidault propose la concessione alla Jugoslavia del territorio della Venezia Giulia ad oriente della linea francese e, all’interno di quest’ultima, l’estensione di una zona internazionale che va da Duino a Cittanova d’Istria.

Dopo estenuanti discussioni Meli Lupi di Soragna comunicò che per la Venezia Giulia era stata raggiunta una semi decisione definitiva che prevedeva l’attribuzione alla Jugoslavia di tutto il territorio ad est della linea francese. Questa decisione rappresentava il risultato di un lungo e faticoso avvicinamento di due punti di vista difficili da conciliare: quello delle potenze occidentali e quello dei Sovietici. 

Il 2 luglio, De Gasperi, diede istruzioni telefoniche all’Ambasciatore di Soragna circa l’opportunità di comunicare ai Quattro Min. degli Esteri l’inaccettabilità della progettata soluzione internazionale della Venezia Giulia. Tale risoluzione “assegnerebbe  alla Jugoslavia la zona italiana dell’Istria occidentale fino a Pola, aprendo una ferita insormontabile alla coscienza nazionale italiana”32.

La prevista internazionalizzazione non era gradita nemmeno alla Jugoslavia. Tito, in una nota dichiarazione rilasciata alla Tanjug33, si disse profondamente indignato. Riteneva inaccettabile la mancata partecipazione della Jugoslavia all’amministrazione di Trieste.

 

 

3.3: LA NASCITA DEL TLT

 

La seduta del 3 luglio 1946 si contraddistinse per la nascita ufficiale del TLT. La Presidenza ufficiale spettò a Byrnes. Il Consiglio dei ministri degli esteri conveniva sui seguenti punti34:

1)     tutto il territorio posto ad est della linea francese fosse ceduto alla Jugoslavia. Il TLT sarà costituito dal territorio posto ad ovest della linea francese, delimitato a nord da una linea che partiva da Duino e si ricongiungeva alla linea francese;

2)     l’integrità e l’indipendenza di tale Territorio Libero verranno assicurate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;

3)     verrà istituita una Commissione speciale in rappresentanza delle quattro potenze. Essa sarà costituita per con i rappresentanti dell’Italia e della Jugoslavia allo scopo di studiare la questione e presentare suggerimenti preliminari alla conferenza della pace;

4)     lo Statuto permanente del TLT sarà sottoposto all’approvazione del Consiglio di sicurezza che riferirà all’Assemblea generale delle Nazioni Unite in virtù dell’art. 5 della Carta delle Nazioni Unite;

5)     la Conferenza dei ventuno farà delle raccomandazioni in riguardo alla costituzione di un governo provvisorio e alla formazione di uno statuto permanente;

6)     il governo provvisorio e lo statuto saranno redatti in modo di salvaguardare le principali libertà fondamentali dell’uomo.

L’insoddisfazione per la creazione del TLT era un denominatore comune sia negli ambienti politici italiani che in quelli jugoslavi. Gli Jugoslavi ribadirono, con Kardelj, in una dichiarazione rilasciata all’Assemblea nazionale il 7 luglio, la loro avversione per questa violenza compiuta ai danni della Jugoslavia.

De Gasperi, in data 4 luglio, inviò un telegramma a di Soragna35. Il sentimento d’indignazione mostrato dal Presidente del Consiglio nei confronti delle diplomazie delle Potenze a noi amiche era notevole. In questo documento De Gasperi si rammaricava profondamente con Byrnes, colpevole di essersi lasciato influenzare da Bidault, di avere consentito il passaggio dal criterio etnico alla linea francese.

A di Soragna intimava di rientrare in Italia per riferire il contenuto dell’accordo e, nel frattempo, per definire le modalità del ricevimento dai Quattro Ministri degli Esteri e  per manifestare la nostra contrarietà alla creazione del TLT.

 Meli Lupi di Soragna, il giorno 4 luglio, rispondeva che avrebbe eseguito gli ordini impartitigli36. Byrnes lo incontrò in un brevissimo ricevimento più formale che altro. L’incontro che pregiudicò  fortemente le nostre aspettative si ebbe fra l’Ambasciatore di Soragna  e l’assistente del Segretario di Stato degli Stati Uniti, James Clement Dunn. Questi, purtroppo, ci informò circa la definitività della linea di confine. Anzi, fummo informati che se i Ventuno avessero avanzato raccomandazioni in favore di un avanzamento del TLT alle città della costa istriana ci sarebbe stata l’immediata opposizione da parte degli Stati Uniti.

Tutte queste impressioni sfavorevoli vennero confermate da un’altra comunicazione dell’Ambasciatore di Soragna a De Gasperi, datata 6 luglio 194637. Infatti il colloquio avuto con Byrnes si contraddistinse per i suoi toni accesi al limite dell’incidente diplomatico. Il nostro Ambasciatore  informò gli Americani del malumore esistente in Italia in seguito alla decisione dei Quattro in sede di Conferenza della pace. Tutta l’Italia (la pubblica opinione, i partiti, la stampa)si ribellava alla perdita dell’italianità di Trieste e delle cittadine istriane.

Byrnes rispose passando all’offensiva. Si lamentò delle critiche mossegli dagli Italiani, frutto dell’ingratitudine e del malvolere. L’America aveva fatto di tutto per favorire l’Italia, noi dovevamo consapevolizzarci di essere in una situazione alquanto delicata. Difficile era trovare una soluzione che potesse accontentare tutti; con il TLT si raggiungeva il massimo delle concessioni in nostro favore, una linea diversa, a noi più favorevole,  avrebbe fatto fallire  la Conferenza della pace.

Le stesse questioni furono poste all’attenzione del Ministro degli Esteri inglese, Bevin. Purtroppo anche il Britannico mortificò le nostre aspettative, informandoci della definitività della linea francese. Meli Lupi di Soragna commentò, rivolto a Bevin, che era impossibile pensare ad una convivenza fra il Giuliano della costa ed il comunista jugoslavo,  differenze di mentalità, lingua d’uso e abitudini non avrebbero mai consentito una pacifica convivenza.

Le decisioni della Conferenza di Parigi scatenarono a Trieste, e nell’Istria occupata dagli Alleati, numerose manifestazioni di protesta in favore ed a sostegno dei loro concittadini istriani.

La Conferenza dei Ministri chiuse i lavori aggiornandosi al 29 luglio, quando si sarebbe aperta la Conferenza dei Ventuno che avevano combattuto contro l’Asse.

Prima di questa data tentammo nel progetto di dare attuazione al maggiore numero di relazioni diplomatiche possibili per avere in sede di Conferenza dei Ventuno posizioni a noi favorevoli.

Le direttive su cui facevamo fondamento furono:

a)     il ripristino della Commissione internazionale dei confini,

b)    la riaffermazione della volontà di collaborare con la Jugoslavia,

c)     stabilire le premesse affinchè ci fossero assegnate Trieste e le città della costa dell’Istria Occidentale,

d)     l’estensione dello Stato libero fino a Pola.

Il 3 luglio 1946, De Gasperi inviò a tutte le nostre rappresentanze diplomatiche i lineamenti generali in base ai quali le Ambasciate dovevano attenersi38, raccomandava l’esatta osservanza delle direttive vista la delicatezza della situazione politica. Informò le nostre Ambasciate di tenersi in stretto rapporto con il Governo per eventuali chiarimenti o istruzioni.

 

 

3.4: LA CONFERENZA DEI VENTUNO.  (29 LUGLIO – 15 OTTOBRE 1946)

 

La Conferenza dei ventuno paesi39 che avevano combattuto contro l’Asse non aveva alcun potere decisionale ma solo di raccomandazione a favore del Consiglio dei  Ministri degli Esteri. Ai paesi vinti era riconosciuto di potere esporre solo le proprie osservazioni. Il Governo italiano provò comunque a sensibilizzare i Paesi membri della Conferenza; in tale prospettiva De Gasperi inviò in più riprese istruzioni persuasive alle nostra Ambasciate sparse nel mondo.

Prima di analizzare la Conferenza dei Ventuno è fondamentale soffermarsi sulla precisa posizione assunta dal Governo italiano circa la contrarietà alla costituzione del TLT e l’internazionalizzazione della città di S. Giusto40.

A Parigi, in data 12 luglio, i Quattro avevano discusso delle garanzie da attribuire agli Italiani rimasti in Jugoslavia41. Si ebbe una vivace discussione fra Byrnes e Molotov. L’Americano richiedeva garanzie specifiche per le nostre minoranze, Molotov replicava che non c’era bisogno di intervenire specificamente circa il riconoscimento dei diritti civili delle minoranze; questi, in un paese socialista, erano sempre garantiti.

Il Ministro degli Esteri in pectore, Pietro Nenni42, compì personalmente, prima dell’inizio della Conferenza, un viaggio “di convincimento” nei Paesi vincitori a noi più amici. Si recò ad Oslo, laddove incontrò il Ministro degli Esteri Lange, che gli promise l’estensione del TLT fino a Pola. Altre promesse in nostro favore provennero dal Ministro degli Esteri brasiliano, Neves de Fontana; purtroppo non furono mai mantenute. A Bruxelles, Spaak rassicurò di favorire l’estensione dello Stato Libero fino a Pola43.

Per capire gli intrighi diplomatici insiti nella soluzione della questione del confine orientale è interessante soffermarsi sui presunti contrasti che stavano sorgendo fra  i Russi e gli Jugoslavi. A detta di Berio44, in una dichiarazione di Molotov al Consiglio dei Quattro Ministri, Tito non era più considerato un “fedele discepolo dell’Unione Sovietica”; i Russi non si sarebbero obbligati a difenderlo ad ogni costo nel caso si fosse lasciato andare ad atti di forza su Trieste.

Il 18 luglio ricevemmo l’abbozzo del Trattato di pace; per il confine italo-jugoslavo esso ratificava all’articolo 4 la linea francese. L’Italia cedeva alla Jugoslavia ad est della linea francese: il Comune di Zara, le isole e gli isolotti della costa dalmata, Pelagosa egli isolotti circostanti. L’articolo 13 prevedeva il diritto d’opzione alla cittadinanza italiana per le persone di lingua italiana aventi più di diciotto anni, entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato.

Alla vigilia della Conferenza dei Ventuno la Delegazione italiana esprimeva contrarietà ad una soluzione del problema giuliano che abbandonava i principi etnici stabiliti nella Conferenza di Londra del 1945 e che legittimava, in tutto il territorio amministrato dagli Jugoslavi, un clima d’impoverimento e di terrore.

A tal proposito, il Sottosegretario agli esteri, Antonio Giolitti, telegrafò a Washington, Parigi e Londra l’avvenuto sequestro e la nazionalizzazione della maggior parte delle industrie italiane site sul territorio della Venezia Giulia45.

L’Italia si trovò innanzi ad un vero e proprio diktat, con la consapevolezza che una eventuale ipotesi di non firmare il trattato avrebbe determinato irritazione ed astio nei nostri confronti da parte delle forze Alleate46. Bisogna, infatti, contestualizzare le vicende con i fatti dell’epoca (1946). L’Italia allora non rappresentava una potenza inserita nel blocco occidentale.  Nonostante le promesse fatteci eravamo considerati, al tavolo dei negoziati, alla stregua di un Paese ex nemico, colpevoli di una politica  di aggressione: assieme alla Germania avevamo smembrato la Jugoslavia.

Kardelj, il primo agosto del 1946, tenne a Parigi un discorso che riproponeva i temi portanti che avevano contraddistinto la precedente Conferenza di Londra. Ripeteva le solite violente accuse: contrarietà degli Jugoslavi alla linea francese perché impediva ai Croati e agli Sloveni di essere ricongiunti alla loro madre patria; l’annessione di Trieste al suo retroterra; il fatto che la linea francese legittimasse l’imperialismo italiano e disconoscesse la morte di 1700000 Jugoslavi, di cui 400000 contro l’Italia.

Il 10 agosto era la volta di De Gasperi. La Delegazione italiana si riunì due giorni prima presso la nostra Ambasciata a Parigi47.

Il concetto che s’intendeva ribadire fu che non avevamo alcuna intenzione di subire ed accettare un Trattato che aveva l’aspetto di una vera e propria “pace punitiva”. Si era consapevoli, comunque, che quanto fatto dagli Alleati in realtà fosse un accomodamento e non una pace costruttiva; le nostre Autorità diplomatiche ritenevano tale accordo un espediente per evitare il male maggiore.

Alcide De Gasperi pronunciò il suo discorso il 10 agosto, questa data negli ambienti diplomatici verrà ricordata come una delle pagine più umilianti per il prestigio e l’autorevolezza del nostro Paese48. Dopo il discorso, unico fra tutti, solo Byrnes strinse la mano e si complimentò con il nostro Presidente del Consiglio. Da ciò si poteva intendere quanta ostilità esistesse nei nostri confronti in sede di Conferenza di pace.

Il Presidente De Gasperi iniziò con una ammissione di colpevolezza riguardo i crimini e le malefatte del fascismo49, per poi proseguire centrando l’attenzione sull’importanza dei partigiani nella liberazione del comune invasore; per quel che riguardava il confine orientale, De Gasperi disse che lo Stato Libero non sarebbe mai stato indipendente ma sempre tributario all’Italia e alla Jugoslavia.

Inoltre si rammaricava del fatto che rimanevano in Jugoslavia ben 180000 italiani contro i 10000 jugoslavi (sloveni) che restavano in Italia.

Il Ministro lanciò infine un appello diretto alla Jugoslavia: “mettiamoci a tavolino e cerchiamo una collaborazione, perché senza questo spirito le formule del Trattato rimarranno vuote”.

Il discorso di De Gasperi  irritò profondamente Molotov. Questi riteneva che nella Venezia Giulia l’Italia volesse ottenere terre altrui; a detta del Ministro degli Esteri sovietico, De Gasperi proponeva il rinvio della questione per potere poi meglio speculare sulle divergenze fra le grandi potenze, e pretendeva una pace provvisoria  solo per fare in modo che il territorio contestato restasse sotto l’egida della truppe alleate.

Vari esperti della Delegazione italiana si riunirono presso la nostra Ambasciata a Parigi50. Decisero51 di richiedere al Brasile la collaborazione nel presentare alcune rettifiche a noi favorevoli: un maggiore respiro per Gorizia, l’inclusione nel TLT della città di Pola e che il Trattato dovesse essere approvato dall’assemblea Costituente.

L’attività diplomatica italiana era compatta nel raggiungimento dei suoi scopi circa la Venezia Giulia, fondamentale fu instaurare un’operazione di persuasione verso i Paesi minori vincitori meno ostili all’Italia (Canada52 e Brasile ). Chiedevamo loro la più ampia collaborazione, che si attivassero affinchè il Trattato di pace e la soluzione del confine orientale fosse per noi più favorevole.

Per comprendere come la questione non fosse esclusivo interesse delle cancellerie delle sedi diplomatiche, ma, viceversa, motivo di coinvolgimento e di forti passioni in tutto il Paese è interessante leggere l’appunto inviato dal rappresentante dell’ANPI, dott. Rocco Curcio, alla Delegazione italiana a Parigi53. Anche l’Associazione dei partigiani italiani riteneva indispensabile allargare  il confine del TLT sino a ricomprendere la città di Pola che, dopo opportune misure di sicurezza, avrebbe dovuto trarre impulso di vita e di sviluppo da un accordo fra l’Italia e la Jugoslavia. I partigiani italiani rammentavano la loro importanza  nel trionfo dell’ideale di giustizia e di libertà. Se non si fossero ottenute le condizioni prima citate, molto probabilmente, la Costituente avrebbe respinto la firma del Trattato, con disastrose conseguenze all’interno del Paese.

Il 28 agosto 1946 le ventuno delegazioni presentarono i loro emendamenti (circa duecentocinquanta). Gli emendamenti riguardanti il TLT durante la Conferenza della pace furono quattordici: quattro jugoslavi, uno australiano, due bielorussi, uno brasiliano, uno sudafricano, uno greco, uno americano, uno francese, uno sovietico ed infine una risoluzione polacca54.

Come aveva osservato Quaroni ad una Riunione della Delegazione italiana a Parigi55, le discussioni dei ventuno avevano dimostrato l’impossibilità di ottenere qualsiasi risultato dalla Conferenza. Ci si convinse definitivamente dello scarsissimo peso che avevano le risoluzioni portate dai Paesi minori in sede di Conferenza della pace; gli equilibri per la determinazione degli assetti territoriali  erano esclusiva volontà delle Grandi Potenze.

Il 2 settembre, Bonomi, primo delegato italiano, chiese di potere intervenire per rendere pubblica l’impressione italiana alla Commissione politico territoriale per l’Italia56. L’ex Presidente del Consiglio ribadì l’italianità della Regione giuliana. Addossò al fascismo tutte le colpe dell’oppressione lamentata dagli Jugoslavi. Richiamò i membri della Commissione alle responsabilità che si assumevano consentendo la creazione del TLT in una delle zone più delicate d’Europa. Il nuovo confine era un sopruso alla situazione etnica, geografica, morale del territorio e si poneva in contraddizione con quanto stabilito alla Conferenza di Londra nel settembre 1945. Quindi, Bonomi accennò alla possibilità che l’Assemblea costituente non approvasse il Trattato di pace. Ultimo punto enunciato fu la necessaria estensione del TLT a Pola, Lussino e alle isole di Brioni57.

Al discorso di Bonomi replicò Bebler in data 3 settembre. Il vice ministro degli esteri jugoslavo si pronunciò affermando il diritto della Jugoslavia alleata a richiedere per i popoli jugoslavi la frontiera etnica del loro Paese. L’Italia era accusata di mantenere un atteggiamento violento nei confronti della democratica Jugoslavia e di mentire pur di riuscire a raggiungere i suoi bizantini scopi.

Bebler, come tutti i rappresentanti del Governo jugoslavo, si dimostrava nei nostri confronti maldisposto e per nulla intenzionato al dialogo58. Prospettava il pericolo che per i due Paesi il TLT divenisse una sorta di Gibilterra angloamericana e rifiutava aprioristicamente l’estensione del TLT fino a Pola, una tale delimitazione renderebbe impossibile estendere le divisioni militari jugoslave lungo tutta la costa mediterranea.

La scorrettezza del delegato diplomatico jugoslavo si evidenziò allorquando tentò di denigrare la figura di Ivanoe Bonomi; dicendo che fu espulso dal partito socialista per avere sostenuto la campagna di Libia; che nel 1920 fu uno degli artefici del Trattato di Rapallo, vergognosa congiura antislava a detta di Bebler, e di non avere fatto nulla per evitare l’affermazione del fascismo.

Il 5 settembre un’altra carrellata di pesanti insulti, dopo la “non piacevole” accoglienza riservata a De Gasperi il 10 agosto e le continue offese da parte degli esponenti del Governo jugoslavo al nostro Paese, vennero pronunciate dal delegato russo Andrej Vysinskij59.

Il 7 settembre parlò nuovamente Kardelj che respinse tutti gli emendamenti proposti al Trattato di pace dalle potenze minori in favore dell’Italia60 e presentò un diktat alla Conferenza della pace in base al quale non avrebbe accettato né la frontiera italo-jugoslava  né l’internazionalizzazione di Trieste se la città non fosse rimasta legata economicamente alla Jugoslavia. Bebler, in un successivo colloquio con Quaroni, lamentava anche l’assegnazione della città di Gorizia all’Italia. Lungimirante l’interpretazione di Quaroni: egli ravvisò che per Gorizia fosse necessario trasformare la frontiera italo-jugoslava approssimativamente come quella italo-elvetica, in modo da rendere nulle le formalità di frontiera. Né Italiani né Jugoslavi dovevano rinunciare alle proprie abitudini. Ma ciò, a detta dell’Ambasciatore italiano a Mosca, era impossibile in quanto negli ambienti jugoslavi raffioravano sempre sentimenti di diffidenza e paura di spionaggio nei confronti dell’Italia.

Nel mese di settembre la situazione a Parigi era giunta ad un punto morto poiché le Grandi potenze rimanevano ancorate alle proprie posizioni, e sia l’Italia che la Jugoslavia tentavano di ottenere degli spostamenti della frontiera a proprio vantaggio. Si provò ad intrattenere relazioni dirette fra i due Paesi, in modo che la questione circa la discussione dello Statuto di Trieste prima di essere devoluto alla Commissione internazionale restasse nell’ambito di una discussione fra noi e gli Jugoslavi61. Il consigliere della Jugoslavia alla Conferenza dei Ventuno, Urban, proponeva che il territorio fosse neutralizzato e demilitarizzato; tutte le forze straniere dovevano partire entro trenta giorni dalla data della firma dell’accordo.  La sovranità sul TLT doveva essere doppia: italiana e jugoslava, con eguali diritti.

Urban riteneva che avrebbero avuto la cittadinanza nel TLT tutti gli abitanti della stessa zona residenti sul citato territorio dal 10 giugno 1940 e ancora oggi residenti, eccezione per i fascisti riconosciuti e per gli impiegati giunti sul territorio istriano dopo il 1922 come strumenti operativi del regime fascista.

Anche l’Ambasciatore Quaroni cercò invano, in una conversazione con il delegato jugoslavo Simic, di aprire trattative dirette con la Jugoslavia, sottolineando che il mancato accordo  tra i due interessati avrebbe provocato per entrambi la perdita di Trieste. Le impressioni del Diplomatico verranno comunicate il 16 settembre al presidente De Gasperi62. Egli si mostrava molto scettico, intravedeva l’impossibilità di raggiungere un qualsiasi accordo diretto con la Jugoslavia. Diceva Quaroni: “non c’è Dio al mondo che riesca a convincere i Russi che noi abbiamo qualche diritto su Pola”.

Impossibile pensare ad alcun accordo che portasse ad una specie di Locarno, per cui l’Italia e la Jugoslavia si garantivano la reciprocità dell’integrità della loro frontiera, impegnandosi ad astenersi da qualsiasi azione diretta o indiretta. Quaroni metteva in guardia anche sulla creazione dello Statuto del TLT. Il Diplomatico riteneva che la centralità dei poteri dovesse essere garantita all’Assemblea e non al Governatore, essendo la maggioranza del TLT per la sua maggioranza di etnia italiana. Assegnare tutti poteri al Governatore significava, con buona pace per tutti, fare di Trieste la Gibilterra dell’Adriatico e porre l’Italia al giogo  degli Anglosassoni.

Il 20 settembre 1946 la nostra delegazione si riunì presso l’Ambasciata italiana a Parigi per cercare di concordare una linea di discussione con gli Jugoslavi63, ciò si preannunciava molto difficile: il punto di partenza era la linea francese, e sia noi che gli Jugoslavi volevamo migliorarla a nostro piacimento64.

Il giorno 24 settembre, per quel che concerne la Venezia Giulia, la Commissione si era occupata dei confini marittimi della Jugoslavia e la sottocommissione per lo Statuto di Trieste aveva comunicato di non essere giunta ad alcuna conclusione, così come venne comunicato con un telespresso dall’onorevole Bonomi al Presidente del Consiglio De Gasperi65.

Il 28 settembre, alla Commissione politica e territoriale, Kardelj proponeva che si ritornasse al principio etnico, ma ribadiva la richiesta di altri territori italiani da parte del suo Paese. Egli sosteneva l’impossibilità per la Jugoslavia di firmare il Trattato se fosse stata adottata la linea francese e minacciava il sorgere di complicazioni diplomatiche internazionali. Fu questa la seduta66 nella quale la Commissione politica e territoriale per l’Italia aveva approvato la linea francese con dodici voti favorevoli: i Quattro, cinque Dominions, la Cina, la Grecia e l’Olanda; cinque contrari: il gruppo slavo e la Russia e tre astensioni: Belgio, Brasile ed Etiopia.

La Conferenza continuò l’esame dei Trattati fino alla metà di ottobre. Nella notte fra il 3 ed il 4 di ottobre furono respinti gli emendamenti russi e francesi ed accolta la proposta francese circa lo Statuto di Trieste.

Il testo del Trattato vero e proprio venne affidato ad una Conferenza dei Ministri che si sarebbe poi riunita a New York il 4 novembre, così come venne comunicato dal consigliere Relli  dopo un colloquio avuto con l’Assistente di Stato degli Stati Uniti, Bohlen67.

Alla fine della Conferenza, il 15 ottobre, la Jugoslavia non partecipò all’ultima seduta ed inviò al presidente una lettera nella quale lo pregava di volere comunicare le dichiarazioni del Governo di Belgrado. La Delegazione jugoslava ribadiva che Belgrado non avrebbe mai potuto firmare il Trattato “finchè le disposizioni principali del Trattato che ledevano gli interessi della Jugoslavia non fossero stati cambiati”68.

Le conclusioni di Parigi furono accolte a Trieste e in tutta la Venezia Giulia con profondo scontento, anche perché ben poca speranza si nutriva nella riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri a New York.

Saragat comunicava al Presidente del Consiglio De Gasperi 69che nella Venezia Giulia esisteva un compatto fronte slavo-comunista, fermamente inquadrato nell’UAIS, dotato di uno stato maggiore composto da gerarchi animati nell’ardore del comunismo. Riteneva necessario riavvicinare le masse popolari attraverso una decisa politica sindacale e sociale atta ad offrire, ad esempio, la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle grandi imprese triestine o alla bonifica dell’agro monfalconese.

Malumore evidente lo si poteva dedurre anche dal conte Sforza, di ritorno dall’America Latina, laddove aveva persuaso gli ambienti diplomatici di quei Paesi (Argentina, Messico, Perù) affinchè si creasse uno “spirito di latina solidarietà intorno all’Italia”70. Egli definì il Trattato “un capolavoro della stupidità umana”.

Anche la stampa internazionale non fu benevola nei confronti della risoluzione della questione di Trieste. Il “Manchester Guardian” pubblicò una lettera a firma di F. Kind, grande industriale del petrolio, piena di riflessioni negative sul futuro del Porto di Trieste. Un editoriale del New York Times, del 3 ottobre 1946, rivelava che tutti i lavori, dal Congresso di Mosca del 1943 alla Conferenza di Parigi, costituivano solo una serie di compromessi insoddisfacenti oltre che contrari ai principi della Carta Atlantica, incuranti del diritto per la popolazione giuliana ad essere consultati mediante il plebiscito71.    



[1] DOCUMENTI DIPLOMATICI ITALIANI, serie X, Vol. III, Doc. n. 121, pag.168. Carandini a De Gasperi, Londra, 26 gennaio 1946.

[2] Couve de Murville era il Direttore generale degli Affari Politici del Ministero degli Esteri francese, vice capo della Delegazione francese alla Conferenza della Pace.

[3] D.D.I., serie X, vol. III, Doc. n. 123, pag. 169. De Gasperi agli Ambasciatori Tarchiani, Carandini, Saragat; Roma, 26 gennaio 1946

[4] D.D.I., serie X, vol. III, Doc. n. 158, pag. 211. Carandini al Ministro De Gasperi; Londra, 4 febbraio 1946.

[5] D.D.I., serie X, vol. III, Doc. n. 243, pag. 306. Tarchiani a De Gasperi; Washington, 8 marzo 1946.

[6]AA.VV., Storia di un esodo, op. citata .

[7] D.D.I., Serie X, vol. III, Doc. 326, pag. 385. Il Console Giusti del Giardino al Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, Alcide De Gasperi; Venezia, 5 aprile 1946. 

[8] D.D.I., Serie X, Vol. III, Doc. n. 343, pag. 403. Carandini a De Gasperi. Londra, 10 aprile 1946.

[9] D.D.I., Serie X, Vol. III, Doc. n. 350, pag. 409. L’incaricato d’affari a Washington, Di Stefano, al Presidente De Gasperi. Washington, 13 aprile 1945.

[10]  Il censimento venne redatto nel 1945 dall’Istituto Adriatico di Sussak. I dati presentati dal Professor Roglich per i distretti di Capodistria, Parenzo, Pisino e Pola, davano una popolazione di 184465 Jugoslavi e 84480 Italiani. Il censimento, contrariamente a quelli del 1910 e 1921, non si basava sulla lingua d’uso, ma sulla nazionalità dichiarata dai censiti.

Questo referendum venne sconfessato a priori dai Francesi , essi lamentavano il fatto che un’operazione così delicata fosse realizzata da un’organizzazione privata. Intuirono che, nel 1945, dichiararsi slavi significava porsi dalla parte dei vincitori. I Britannici, circa l’attendibilità del referendum , furono ancora più drastici. Lo respinsero organizzato avvalendosi di forti tensioni politiche; tale conclusione venne condivisa anche dagli Americani. Gli unici che attribuirono attendibilità ed efficacia al referendum furono i Russi.   

[11] Circa le linee tracciate dalla Commissione dei confini si veda l’allegato a pag. 112.

[12]

LINEA

ITALIANI IN JUGOSLAVIA

JUGOSLAVI IN ITALIA

Americana

50.156

187.235

Inglese

58.265

163.935

Francese

124.884

115.262

 

 

 

 

 

 

13  D.D.I., Serie X, Vol. III, Doc. n. 375, pag. 453. Benzoni a De Gasperi. Parigi, 25 aprile 1946.

14  D.D.I., Serie X, Vol. III, Doc, n. 392, pag. 466. Baldoni  a De Gasperi. Roma, 30 aprile 1946

15 D.D.I., Serie X, Vol. .III, Doc. n. 406, pag. 478. L’incaricato d’affari a Parigi, Benzoni, al Segretario degli esteri, Prunas. Parigi, 4 maggio 1946.

La proposta degli Jugoslavi alla Conferenza della pace la si può vedere nella cartina inserita nell’allegato a pag. 113.

16 D.D.I., Serie X, Vol. III. Doc. n. 408, pag. 480. Benzoni a Prunas. Parigi, 4 maggio 1946.

17  D.D.I., Serie X, Vol. III. Doc. n. 412, pag. 484. Riunione della Delegazione italiana a Parigi. Parigi, 5 maggio 1946.

18  Anche all’interno della nostra Delegazione i pareri erano discordanti, il Capitano Cosulich dichiarò di essere favorevole al plebiscito, gli Jugoslavi avrebbero votato in nostro favore in reazione al clima di terrore instaurato dal nuova regime titino.

19 D.D.I., Serie X, Vol. III. Doc. n. 419, pag. 490. Benzoni a Prunas. Parigi, 6 maggio 1946.

20 D.D.I., Serie X, Vol. III. Doc. n. 447, pag. 519. De Gasperi agli Ambasciatori Carandini e Soragna, Parigi, 8 maggio 1946.

21 D.D.I., Serie X, vol. III. Doc. n. 455, pag. 529. Tarchiani a De Gasperi. Washington, 17 maggio 1946.

22 D.D.I., Serie X, Vol. III, Doc. n. 473, pag. 550. Tarchiani a De Gasperi. Washington, 23 maggio 1946.

23 D.D.I., Serie X, Vol. III, Doc. n. 472, pag. 548. Quaroni a De Gasperi. Mosca, 23 maggio 1946.

    D. D.I., Serie X, Vol. III, Doc. n. 474, pag. 551. Quaroni a De Gasperi. Mosca, 23 maggio 1946

24 D.D.I., Serie X, Vol. III, Doc. n. 509, pag. 611. De Gasperi agli Ambasciatori Quaroni, Tarchiani, Carandini e Benzoni. Roma, 3 giugno 1946.

25 D.D.I., Serie X, Vol. III. Doc. n. 569, pag. 581. De Gasperi a Quaroni. Roma, 20 giugno 1946

26 D.D.I,  Serie X,  Vol. III. Doc. n. 617, pag 720. De Gasperi a Tarchiani, Carandini e Benzoni. Roma, 28 giugno 1946.

27 D.D.I., Serie X, Vol. III. Doc. n. 627, pag. 730. Benzoni a De Gasperi. Roma, 29 giugno 1946

28 I sette punti del piano Bidault:

1)       Trieste e i territori costituiranno per 10 anni un Territorio autonomo;

2)       Il Governatore sarà nominato previo accordo diretto fra Italia e Jugoslavia;

3)       Un’assemblea eletta con voto universale avrà potere legislativo;

4)       Il potere legislativo e giudiziario assicurerà il rispetto dei diritti degli abitanti nel riguardo l’uso della lingua, scuola e pubblica amministrazione;

5)       I rappresentanti delle quattro potenze del Consiglio di sicurezza formeranno autorità di sovraintendenza a cui il Consiglio di sicurezza dovrà riferire ogni anno;

6)       Prima della fine dei dieci anni verrà redatto un nuovo Statuto. 

29  DIEGO DE CASTRO, La questione, op. cit., pag. 396

30 D.D.I., Serie X, Vol. III. Doc. n. 636, pag. 739. De Gasperi a Benzoni. Roma, 30 giugno 1946.

31 D.D.I., Serie X, Vol. III; Doc. n. 638, pag.740. L’Ambasciatore e Segretario Generale alla Conferenza della pace, Meli Lupi di Soragna, al Ministro degli Esteri, De Gasperi. Parigi, 1 luglio 1946.

32 D.D.I., Serie X, Vol. III; Doc. n. 641, pag. 744. De Gasperi a Soragna. Roma, 2 luglio 1946

33 DIEGO DE CASTRO,  La questione, op. citata, pag. 461

34 DIEGO DE CASTRO, La questione, op. citata, pag. 464.

Si veda l’allegato numero 8  a pagina 114.

 

35 D.D.I., Serie X, Vol. III; Doc. n. 651, pag. 757. De Gasperi a Soragna. Roma, 4 luglio 1946.

36 D.D.I., Serie X, Vol. III; Doc. n. 669, pag. 774. Benzoni a De Gasperi. Parigi, 6 luglio 1946.

37 D.D.I., Serie X, Vol. III; Doc. n. 671, pag. 774. Meli Lupi di Soragna a De Gasperi.  Parigi, 6 luglio 1946.

38 D.D.I., Serie X, Vol. III; Doc. n. 683, pag. 795. De Gasperi a tutte le nostre rappresentanze diplomatiche all’estero. Roma, 3 luglio 1946.

39 I Paesi che parteciparono alle discussioni per il Trattato di pace con l’Italia in realtà furono solo 20, la Finlandia non vi partecipò. (Paesi partecipanti: Australia, Belgio, Bielorussia, Brasile, Canada, Cecoslovacchia, Cina, Etiopia, Francia, Gran Bretagna, Grecia, India, Jugoslavia, Norvegia, Nuova Zelanda, Polonia, Ucraina, Stati Uniti, Unione Sovietica e Sudafrica.

40 D.D.I., Serie X, vol. IV. Doc. n. 13, pag. 13. De Gasperi alle Nostre Rappresentanze diplomatiche a Londra, Mosca, Parigi e Washington. Roma, 16 luglio 1946.

41 D.D.I., Serie X, vol. IV. Doc. n. 1, pag. 3. Benzoni a De Gasperi. Parigi, 13 luglio 1946.

42  Pietro Nenni  assumerà la carica di Ministro degli Esteri in data 19 ottobre 1946.

43 D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 31, pag. 32. De Gasperi alle Rappresentanze a Bruxelles, L’Aja, Oslo, Praga, Pretoria, Varsavia. Roma, 19 luglio 1946.

Le risposte vengono inserite nei documenti diplomatici italiani Serie X, Vol. IV; nn: 33, 34, 46 e 63 alle pag., rispettivamente, 33, 34, 51 e 66.

Doc. n. 34, pag. 34. L’ambasciatore a Bruxelles, Fransoni, al Presidente del Consiglio, De Gasperi. Bruxelles, 19 luglio 1946.

Doc. n. 46, pag. 51. L’Ambasciatore a Nanchino, Sergio Fenoaltea, a De Gasperi. Nenchino, 21 luglio 1946.

Doc. n. 63, pag. 66. Il Ministro plenipotenziario ad Oslo, Guglielmo Rulli, al Presidente De Gasperi. Oslo, 25 luglio 1946.  

44 Alberto Berio fu Ministro Plenipotenziario a Berna fino al 5 gennaio 1947.

D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 36, pag. 36. Berio a De Gasperi; Berna, 19 luglio 1946.

45 D.D.I, Serie X, vol. IV. Doc. n. 70, pag. 74. Giolitti alle Rappresentanze a Londra, Mosca e Parigi. Roma, 26 luglio 1946.

46 Gli Inglesi si erano già lamentati circa la condotta passiva della Delegazione italiana  nella Commissione per la Venezia Giulia.

D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 74, pag. 78. Carandini a De Gasperi. Londra, 26 luglio 1946.

47 D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 119, pag. 129. Riunione della Delegazione Italiana presso la nostra Ambasciata di Parigi. Parigi, 7 agosto 1946

48 D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 135, pag. 148. De Gasperi alla Conferenza dei Ventuno. Parigi, 10 agosto 1946.

49 D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 135, pag. 148, documento precedentemente citato, alla nota n.48.

De Gasperi disse nel suo intervento alla Conferenza dei Ventuno: “prendendo la parola in questo consesso sento che tutto, tranne la vostra cortesia, è contro di me. Non corro io il rischio di apparire come uno spirito ingiusto e perturbatore, che si fa portatore di egoismi nazionali?”   

50 D.D.I, Serie X, Vol. IV; Doc. n. 163, pag. 184. Riunione della Delegazione italiana a Parigi. Parigi, 15 agosto 1946.

51 D.D.I, Serie X, Vol. IV; Doc. n. 148, pag. 166. Colloquio fra il nostro presidente del Consiglio, De Gasperi, e il Ministro degli Esteri brasiliano, Neves da Fontana. Parigi, 13 agosto 1946.

52 D.D.I. Serie X, Vol. IV; Doc. n. 184, pag. 206. L’Ambasciatore Quaroni all’Ambasciatore del Canada a Mosca, Wilgress. Parigi, 19 agosto 1946.

Quaroni riferiva delle simpatie che avevamo suscitato alla  Delegazione canadese. Questi condividevano tutte le nostre lamentele circa il confine orientale.  Quaroni persuase e informò il diplomatico canadese sui temi più scottanti: l’inaudita situazione creatasi nel centro abitato di Gorizia, l’opportunità che il TLT ricomprendesse oltre che l’Istria occidentale anche Pola e Lussino, città indiscutibilmente italiane.  

53 D.D.I, Serie X, Vol. IV; Doc. n. 204, pag. 229. Il rappresentante dell’ANPI, Curcio, alla Delegazione italiana a Parigi. Parigi, 23 agosto 1946.

54 DIEGO DE CASTRO,   La questione, op. citata. I principali emendamenti si riferivano al tracciato complessivo delle frontiere: A) l’emendamento brasiliano proponeva la proroga per la determinazione dei confini e mirava a salvare l’Istria occidentale creando un territorio autonomo fra l’Italia e la Jugoslavia. I Brasiliani proposero, sotto la precisa indicazione della nostra diplomazia, il rinvio di un anno. “La frontiera tra l’Italia e la Jugoslavia sarà determinata dai Governi di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna ed Unione Sovietica entro un anno a partire dall’entrata in vigore di questo nuovo Trattato. Finchè la decisione non sarà presa dai Quattro governi, l’attuale occupazione militare sarà mantenuta alla linea Morgan”.

B) l’emendamento sudafricano mirava a ricomprendere tutta l’Istria occidentale nel TLT.

C) gli Jugoslavi proponevano l’assegnazione alla Jugoslavia di una grande parte della Slavia Veneta (italiana sin dal 1866), di Gorizia e del territorio ad est dell’Isonzo e a sud di Gorizia (Monfalcone).

Il TLT veniva ridotto, secondo gli Jugoslavi, alla sola città di Trieste. Tali tesi vennero accolte in toto anche dalla delegazione bielorussa.

 

55 D.D.I, Serie X, Vol. IV; Doc. n. 237, pag. 273. Riunione della Delegazione italiana a Parigi. Parigi, 31 agosto 1946.

56 D.D.I., Serie X, Vol. IV; Doc. n. 240, pag. 276. L’onorevole Bonomi alla Commissione politica e territoriale per l’Italia. Parigi, 2 settembre 1946.

57 GIUSEPPE VEDOVATO, “Il Trattato di pace con l’Italia”. Edizione Leonardo, Firenze, 1947. Pag. 507 – 512.

58 D.D.I., Serie X, Vol. IV; Doc. n. 259, pag. 308. Gli Ambasciatori Reale e Quaroni con il Ministro degli Esteri di Jugoslavia, Bebler. Parigi, 5 settembre 1946.

59 Vysinskij sosteneva che il Trattato di Rapallo non fosse altro che un furto perpetrato ai danni della Jugoslavia. L’Italia aveva giocato su due fronti nella prima guerra mondiale, attuando una politica sleale, ipocrita, falsa e da sciacalli. Insultò liberamente il nostro Paese dicendo che “le armate italiane sono più agili nella corsa a piedi che nella battaglia”; “la cricca militare italiana (De Bono, Graziani, Messe) è paragonabile agli eroi romani come gli asini ai leoni”.

60 D.D.I., Serie X, Vol. IV; Doc. n. 280, pag. 334. Colloquio dell’Ambasciatore Quaroni e dell’Onorevole Arpesani con il vice ministro degli Esteri jugoslavo, Bebler.  Parigi, 9 settembre 1946.\

61 D.D.I., Serie X, Vol. IV; Doc. n. 305, pag. 378. Colloquio fra l’on.le Arpesani e il delegato jugoslavo alla Conferenza dei ventuno, Urban. Parigi, 13 settembre 1946.

62 D.D.I., SerieX, Vol. IV. Doc. n. 314, pag. 398. Quaroni a De Gasperi. Parigi, 16 settembre 1946.

63 D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 329, pag. 420. Riunione della Delegazione italiana a Parigi. Parigi, 20 settembre 1946.

64 D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 347, pag. 448. Gli ambasciatori Reale e Quaroni al Presidente De Gasperi. Parigi, 25 settembre 1946.

L’impressione di Quaroni e Reale (Ambasciatore italiano a Varsavia) era la totale impossibilità a raggiungere un accordo diretto fra i due Paesi. A detta di Quaroni: “La realtà è che la situazione dipende esclusivamente dalla volontà delle Grandi Potenze, di loro spontanea volontà, Jugoslavia e Italia, non sono in grado di cedere nemmeno un villaggio”.

65 D.D.I., Serie X, Vol. IV; Doc. n. 346, pag. 446. Bonomi a De Gasperi. Parigi, 25 settembre 1946.

66 D.D.I., Serie X, Vol. IV; Doc. n. 369, pag. 480. Il Segretario della Commissione confini, Casardi, all’addetto della Segreteria generale, Renzo Carrobio. Parigi, 3 ottobre 1946.

67 D.D.I, Serie X, Vol. IV; Doc. n. 413, pag. 528. Relli all’Assistente del Segretario di Stato, Bohlen. Parigi,17 ottobre 1946.

68 DIEGO DE CASTRO, la questione, opera cit. pag. 293-295

69 D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 390, pag. 506. Saragat a De Gasperi. Parigi, 8 ottobre 1946

70 D.D.I., Serie X, Vol. IV. Doc. n. 393, pag. 509. Sforza a De Gasperi.  Roma, 9 ottobre 1946.

71 DIEGO DE CASTRO, La questione, opera cit. pag.506