CAPITOLO 2

NASCITA E VITA DEGLI ORGANISMI ASSOCIATIVI ITALIANI

 

2.1 - NASCITA DELL’U.I.I.F.

L’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume (U.I.I.F.), principale istituzione del Gruppo Nazionale Italiano (G.N.I.), è stata fondata durante la seconda Guerra Mondiale grazie ad un’iniziativa del Partito Comunista Jugoslavo (P.C.J.) l’11 o 12 luglio 1944 nella località di Camparovica, nei pressi di Albona, quando alcuni italiani presenti nelle formazioni partigiane slave aderirono alla soluzione annessionistica jugoslava della regione nell’ambito degli ideali di lotta sociale e nazionale.

L’Unione, sorta in clima di "liberazione", si basò inizialmente su un Comitato Provvisorio di 17 persone con il compito di convocare l’Assemblea Costituente dell’organizzazione, che in effetti si tenne il 6 marzo 1945 a Zalesina, presso Delnice, nel Gorski Kotar.

Alcuni articoli apparsi sulla stampa istriana dell’epoca, di parte filo-jugoslava, ad esempio su " Il Nostro Giornale", parlarono largamente della costituzione e delle finalità dell’U.I.I.F. sottolineandone il ruolo che essa si era prefissata di svolgere all’interno del movimento di liberazione jugoslavo.

Questi articoli sono i primi documenti nei quali gli Italiani vengono definiti minoranza in Istria, in Croazia e quindi nella fraterna "comunità dei popoli della Jugoslavia".

Scopo principale della nuova organizzazione era di inserire nel Fronte Popolare di Liberazione Jugoslavo le principali forze antifasciste italiane, dando dimostrazione della volontà dei cosiddetti "italiani onesti" di annettere l’Istria e Fiume alla Jugoslavia.

Nel complesso la storiografia non ha ancora accertato la vera volontà dei combattenti italiani "annessionisti", ed è molto probabile che la categoria degli "italiani onesti", sinonimo di coloro che si allineavano alla volontà del regime al potere, rappresentasse un semplice strumento nelle mani delle forze filo-jugoslave.

L’U.I.I.F. pertanto sarebbe stata esclusivamente cinghia di trasmissione del Fronte Popolare di Liberazione. Un ulteriore dimostrazione di questo è che nel tempo intercorso tra la riunione di Camparovica e quella di Zalesina sparirono i più importanti e dignitosi esponenti italiani sulla scena (come ad esempio Aldo Rismondo) e fu eclissata l’organizzazione distrettuale del P.C.C. di Rovigno, che fino allora aveva svolto una funzione guida nelle questioni nazionali in tutta la regione.

Le epurazioni in seno all’U.I.I.F., susseguitesi dopo Camparovica e culminate con le grandi purghe degli anni ’50, ne saranno la prova definitiva.

In occasione della riunione di Zalesina furono enunciati i compiti principali dell’Unione; possiamo ricordare ad esempio la "mobilitazione politica degli italiani, il rafforzamento dell’unità e della fratellanza con i Croati, la ricostruzione della regione devastata dalla guerra e lacerata dai nazionalismi e la creazione di una nuova cultura depurata dal veleno del fascismo" .

La funzione eminentemente culturale dell’organizzazione fu subito sottolineata dal suo primo Segretario, il Prof. Eros Sequi, il quale ricordò che compito degli italiani dell’Istria e di Fiume era far sì che i rigurgiti del fascismo e del nazionalismo lasciassero spazio alla valorizzazione sincera della cultura italiana.

Ancora prima della nascita dell’U.I.I.F fu convalidato il riconoscimento dell’autonomia della minoranza italiana; infatti al punto 4 della prima dichiarazione annessionistica dello ZAVNOH (Consiglio antifascista territoriale di liberazione nazionale della Croazia) si stabiliva testualmente: "Alle minoranze italiane che vivono in questi territori si garantisce l’autonomia"

Questo atto dichiarativo emesso da un organo che deliberava come massimo esponente del potere nel Movimento di Liberazione Nazionale della Croazia, fu prettamente simbolico, politico e senza nessun valore dal punto di vista del diritto internazionale.

Tale deliberazione non fu poi mai ripresa nelle risoluzioni che seguirono, quali la risoluzione di Pisino del 25/26 settembre 1943 e la "decisione sull’annessione del Litorale Sloveno, della Slavia Veneta, dell’Istria, di Fiume, di Zara e delle isole Adriatiche alla Jugoslavia" approvata a Jajce il 29/30 novembre 1943, alla seconda sessione dell’AVNOJ (Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale della Jugoslavia) .

A quanto risulta è stato appurato che fu Tito in persona ad avversare questa prima deliberazione dello ZAVNOH e di conseguenza anche l’uguale decisione del Fronte di Liberazione della Slovenia per il territorio di sua competenza.

Un telegramma inviato dallo stesso Josip Broz (Tito) al Comando Militare Generale della Croazia, affermava che l’unico punto della dichiarazione di annessione dei nuovi territori alla Croazia da sopprimere era quello che riguardava specificamente l’autonomia della minoranza italiana. Tito precisò che alla minoranza italiana era necessario garantire la parità dei diritti, la piena libertà e l’autonomia culturale, ma non l’autonomia politica.

Nella già ricordata riunione di Zalesina il linguaggio usato dai delegati era stato perlopiù molto involuto, ma in un messaggio inviato al leader jugoslavo Tito si era comunque parlato di volontà degli Italiani dell’Istria e di Fiume di entrare a far parte della Croazia Federale e della Jugoslavia Democratica e Federativa.

Anche dopo la fine del conflitto l’U.I.I.F si era proposta di mobilitare idealmente le masse italiane, allora presenti in maniera considerevole sul territorio della regione, verso la soluzione jugoslava; ciò fu fatto principalmente con la distribuzione di alcuni volumetti in materia di diritti nazionali, dove per nazionali si intende chiaramente "della nazionalità italiana nella neonata Jugoslavia".

Il 3 giugno 1945, in contemporanea al tentativo, poi riuscito, degli Alleati di ottenere l’evacuazione jugoslava dalla fascia occidentale della Venezia Giulia, ebbe luogo a Pola la prima Conferenza plenaria dell’U.I.I.F.

In quell’occasione sia il Segretario Eros Sequi sia, in maniera ancora più esplicita, il Presidente Dino Faragona, ricordarono il ruolo che gli italiani antifascisti avevano giocato combattendo nell’esercito popolare di liberazione jugoslavo, riconoscendo la legittimità dei Croati a riunirsi alla madrepatria e quindi in maniera abbastanza chiara, l’unione degli italiani presenti in Istria e a Fiume alla "fraterna comunità di popoli della Jugoslavia federativa".

Nelle deliberazioni conclusive di questa prima importante conferenza i delegati avevano tra l’altro dichiarato che il vero popolo italiano aveva come nemico principale il futuro capitalismo e che quindi gli italiani che avrebbero vissuto nella futura Jugoslavia, pur preoccupandosi di difendere fermamente l’appartenenza nazionale, avrebbero appoggiato la lotta dei connazionali rimasti in madrepatria contro le forze imperialistiche e reazionarie che avrebbero tentato di impedire la vera democratizzazione dell’Italia.

Concluse la prima conferenza l’elezione di 26 membri del nuovo Comitato Esecutivo dell’Unione. E’ importante sottolineare che non era inclusa negli Organi Direttivi nessuna rappresentanza degli Italiani della zona di Trieste e del cosiddetto Litorale Sloveno, del quale fanno parte Capodistria, Isola e Pirano; questa può essere la prova che la neonata Unione si trovava ad operare in un ambito ancora reso instabile dall’evolversi del conflitto, e quindi, come poi in seguito dimostreranno ampiamente le vicende dell’"esodo", essa non rappresentava assolutamente che una piccola parte dei nostri connazionali allora presenti nella penisola istriana.

E’ abbastanza curioso rileggere oggi gli interventi dei Delegati presenti alla prima conferenza plenaria di Pola. Rileggendo col senno di poi affermazioni quali "La situazione economica in Jugoslavia sarà sempre infinitamente migliore di quella in cui versa il popolo italiano" oppure "Dovremo chiudere le frontiere per evitare che i gioiosi operai di Monfalcone invadano la nostra nuova Jugoslavia", viene obiettivamente da sorridere.

 

2.2 - PRIMI ANNI DI ALLINEAMENTO POLITICO CON LA JUGOSLAVIA

Alla minoranza italiana dei "rimasti", decimata in seguito alla diaspora che dal 1945 al 1956 vide espatriare dalle 250 alle 350 mila persone, come visto in precedenza, si posero di fronte molteplici sfide.

Una di queste era sicuramente legata alla ricostruzione dell’apparato prima politico e poi economico della Jugoslavia, ricostruzione da operare secondo i dogmi del comunismo e della autogestione dei fattori produttivi; un’altra, che riguardava invece più schiettamente i problemi di quella che ormai era la "minoranza italiana" in Istria e a Fiume, era quella di riuscire a mantenere la propria appartenenza nazionale cercando di evitare l’assimilazione alla predominante, numericamente ma non culturalmente, maggioranza croata (o slovena).

L’U.I.I.F. si trasformò nell’immediato dopoguerra, soprattutto spentasi l’eco del Trattato di Pace di Parigi, e quando l’annessione politica alla Jugoslavia non era più in discussione, in un’associazione eminentemente culturale.

Nel 1947 la Seconda Conferenza Plenaria tenutasi a Parenzo, avallò fondamentalmente questa scelta, che a parere di chi scrive bisognava definire comunque "scelta obbligata", poiché lo spazio lasciato già in questi primi anni dopo il secondo conflitto mondiale agli italiani "rimasti", dal neocostituito "potere popolare" era limitato. Non dimentichiamo anche il sospetto, sicuramente retaggio di vent’anni di pessima politica snazionalizzante fascista, che dietro ogni italiano si nascondesse un irredentista, rese impossibile alla debole organizzazione di operare ad un livello superiore, men che meno politico.

Basti ricordare che il documento conclusivo di questa Conferenza dichiarò la volontà dei delegati di appoggiare la tesi annessionistica dell’intera Regione Giulia, cioè fino alle porte di Udine e con 500 mila italiani annessi, alla Jugoslavia, tesi proposta sia dal Maresciallo Tito sia dalla Russia e che, se passata, avrebbe creato la minoranza nazionale più grande d’Europa o a nostro parere, più facilmente, un esodo di proporzioni ancora più grandi.

I primi anni di vita della neo costituita organizzazione degli Italiani in Jugoslavia, politicamente parte dell’Alleanza Socialista del Popolo Lavoratore (ASPL), a sua volta inserita nella cosiddetta Lega dei Comunisti, furono volti al tentativo di frenare, senza riuscirvi, quello che poi, assumendo proporzioni bibliche, sarebbe diventato "L’Esodo", e, dismesse parzialmente le dichiarazioni pompose di fedeltà al nuovo regime, l’U.I.I.F. cercò di occuparsi dei bisogni contingenti dei relativamente pochi connazionali rimasti nella penisola istriana e nella città di Fiume.

Le cronache dell’epoca ci parlano di alcune bande musicali e complessi mandolinistici nei quali l’elemento italiano è preponderante, ma anche filodrammatiche di dilettanti presenti in molte località; l’U.I.I.F. affrontò anche il delicato problema della riorganizzazione della scuola italiana, sempre fedele all’impostazione del regime, dato che ancora oltre 20 mila ragazzi dovevano riprendere a frequentare le lezioni in edifici semidistrutti dalla guerra.

Era viva nell’elemento dirigente dell’organizzazione la consapevolezza del ruolo di "ponte" che gli italiani avrebbero potuto svolgere nella ripresa del dialogo tra il loro nuovo paese d’appartenenza e la Nazione Madre, ruolo che sarebbe stato incrementato dalla valorizzazione completa e duratura della cultura italiana, opera possibile solamente con la riorganizzazione di un apparato scolastico efficiente.

La nascita del primo Circolo italiano di Cultura a Fiume, con successo invero discutibile, fu la prova della volontà dell’U.I.I.F di impegnarsi attivamente nella promozione culturale; al Circolo di Fiume seguì la costituzione di circoli in diverse cittadine istriane, ma l’"esodo" che iniziava a falcidiare la minoranza, tolse giocoforza humus vitale alle pur volonterose iniziative dell’organizzazione.

L’attività che andò da un periodo, che potremmo arbitrariamente individuare dal 1948 al 1955 fu sempre indirizzata alla realizzazione degli obiettivi più stringenti nel campo culturale, scolastico e folkloristico; l’U.I.I.F. rinforzò la rete dei Circoli Italiani di Cultura, che però in alcuni paesi, specie quelli dell’Istria interna ed orientale, come ad esempio Pisino, Pinguente e Fianona, stentarono a decollare e poi scomparvero per l’assenza di italiani interessati, se non addirittura di italiani.

L’U.I.I.F. tentò ad esempio di promuovere le tournée della compagnia chiamata "Dramma Italiano" che, sotto la supervisione dell’organizzazione, promosse numerose rappresentazioni teatrali in lingua italiana nei cadenti teatrini istriani, tra mille difficoltà oggettive, prima tra le quali la mancanza quasi assoluta di denaro.

Oltre al denaro, alle Istituzioni della minoranza, in particolare ai Circoli Italiani di Cultura (C.I.C.), mancava quella che si può definire la materia prima per la cultura stessa in una qualsiasi forma e cioè i libri e i giornali scritti in lingua italiana; alla cronica e già ricordata mancanza di fondi bisogna aggiungere che l’importazione di libri dall’Italia non era cosa semplice perché buona parte della stampa e della letteratura italiana era considerata "demoniaca" dalla nomenklatura al potere, in quanto esprimeva i valori del liberalismo quando non addirittura dell’imperialismo, mentre l’altra parte (quella che oggi si potrebbe definire "politically correct") era vista con un certo sospetto .

L’idillio tra la nostra minoranza, o per meglio dire, la sua dirigenza, e il regime politico jugoslavo sembrò non interrompersi neanche negli anni a venire; l’U.I.I.F. infatti auspicò che la lotta per l’elevamento ideologico e un più stretto collegamento con l’ASPL avrebbero dovuto caratterizzare ulteriormente il modus vivendi dell’organizzazione: è curioso notare, rileggendo le dichiarazioni dei delegati alle varie Conferenze che si susseguirono durante i primi anni di vita dell’U.I.I.F., come molte fossero le voci che invitavano "ad educare l’uomo socialista" e a "fare opera di persuasione dei dubbiosi poiché si è venuti a conoscenza che alcune migliaia (sic…N.d.A.) di connazionali hanno optato per la cittadinanza italiana".

I dirigenti però erano consci che ci fossero notevoli deficienze nella catechizzazione politica delle masse e che apportare qualche modifica organizzativa agli organi direttivi non era forse sufficiente allo scopo; tra le massime manifestazioni dell’epoca possiamo ricordare che nel 1952 ci fu un festoso raduno degli italiani svoltosi a Rovigno alla presenza di 18 mila connazionali con ospiti croati e sloveni.

Una prima opportunità di screzio, che approfondiremo comunque nei capitoli dedicati alla scuola, fu data dalla chiusura avvenuta dalla notte al giorno di molte scuole italiane, ad esempio quella di Albona, perché fantomatiche commissioni d’inchiesta avevano trasferito d’imperio, e contro la volontà dei genitori, tutti i ragazzi il cui cognome finiva per "ich", nelle scuole croate, pugnalando tra l’altro l’italianità di alcuni comuni. I dirigenti dell’U.I.I.F. reagirono vibratamente a quello che potremmo definire un vero e proprio sopruso, senza però mettere in discussione l’operato delle autorità. L’autocritica verrà molti anni dopo.

Questa azione si inserì in un contesto di gravissima tensione, in particolare nell’ottobre del 1953 contro il prospettato passaggio all’Italia della Zona A del mai costituito Territorio Libero di Trieste; vi furono infatti in Istria e a Fiume numerosissime manifestazioni contro l’Italia e la sua politica. Pericolosi eccessi si verificarono in moltissime località della regione e sempre a danno delle istituzioni minoritarie. In questo periodo venne quasi a cessare ogni attività artistica e anche il bilinguismo, parlato e scritto, scomparve nella maggior parte delle località istriane.

Il risultato non fu tanto una reazione dei "rimasti"; la passività con la quale già prima affrontavano la nuova situazione venne acuita da tutti questi avvenimenti (ad esempio a Fiume nel 1953, come già accennato, in una notte furono distrutte e mai più ripristinate, tutte le tabelle bilingui) e molti connazionali persero la fiducia nelle proprie istituzioni ormai declassate, mandando ad esempio i figli a studiare nelle scuole della maggioranza.

E’ necessario ricordare che l’"esodo" tarpò le ali oltre che alla consistenza numerica della minoranza, anche alla sua stratificazione interna, privandola di quello che possiamo definire un ceto dirigente intellettuale; il vuoto lasciato dalla fuga di oltre metà della popolazione istriana fu inoltre colmato dalle autorità federali favorendo l’immigrazione proveniente dalle zone interne del paese, un’immigrazione eterogenea che sconvolse, se possibile ancora di più, la mappa etnica dell’Istria.

Nello stesso periodo bisogna ricordare la costituzione della Casa Editrice EDIT di Fiume, nella quale confluì tutta l’attività editoriale in lingua italiana esistente e svolta fino ad allora da vari Enti ed Istituzioni o autonomamente dall’U.I.I.F..

Nell’EDIT non confluì tuttavia "La Voce del Popolo"; questo quotidiano, nato durante la guerra di liberazione con una linea essenzialmente filo-jugoslava, incorporò in varie fasi successive, il "Nostro Giornale" di Pola e la "Voce dei Lavoratori" che usciva nell’ex Zona B.

 

2.3 - GLI ANNI DELLA STASI

Gli anni che seguono la firma del Memorandum di Londra, avvenuta nel 1954, possono essere definiti eufemisticamente come "anni della stasi". La stessa ricorrenza del decimo anniversario della fondazione dell’Unione degli Italiani, avvenuta il 10 luglio del 1954, offrì lo spunto per citare i "successi" più appariscenti dell’esistenza dell’Unione stessa, ma sotto silenzio passarono i ben più gravi ridimensionamenti . Si può ricordare l’esistenza di undici C.I.C., vari gruppi artistico-culturali e la creazione nell’ambito della Casa Editrice EDIT del periodico quindicinale "Panorama", della rivista mensile per ragazzi "Il Pioniere" e di "Scuola Nuova", mensile specializzato in problemi scolastici.

Susseguentemente alla firma del Memorandum avvenne l’ingresso nell’U.I.I.F. delle istituzioni precedentemente esistenti nell’ex Zona B del mai creato Territorio Libero di Trieste. L’allineamento politico al regime può trasparire da una dichiarazione del Presidente dell’U.I.I.F Giusto Massarotto, il quale, all’indomani della firma del citato Memorandum, auspicava che "agli sloveni viventi nell’ex Zona A sia garantita al pari nostro una democrazia sostanziale […] come esiste nel nostro paese jugoslavo".

I raduni degli italiani svoltisi a Rovigno nel 1952 e a Pola nel 1953 furono le ultime grandi manifestazioni dell’epoca. Una testimonianza posteriore ammette che "l’U.I.I.F. in questo periodo è quasi del tutto scomparsa ed è rappresentata esclusivamente dalla sua tabella e si fa sentire solamente quando deve riceve qualche importante delegazione straniera".

I dirigenti dell’U.I.I.F. sembravano preoccupati di combattere quello che si rivelerà poi il più pericoloso nemico del Gruppo Nazionale Italiano (G.N.I.), cioè una silenziosa assimilazione. I fatti furono ulteriormente aggravati dal rinnovato esodo che riguardò la quasi totalità della popolazione dei territori dell’ex Zona B. Gli appartenenti al gruppo etnico si sarebbero trovati inoltre a vivere in due Repubbliche, Croazia e Slovenia, tre Distretti (poi due Regioni) e quindici Comuni con diversa normativa sulla posizione del gruppo etnico stesso e differente grado di sviluppo economico.

Problemi e preoccupazioni ulteriori vennero dal notevole stato di degrado in cui versavano gli edifici (scuole, C.I.C., teatri), che avrebbero dovuto ospitare le manifestazioni della minoranza italiana.

Il censimento del 1961 intanto confermò il rapido decremento numerico dei nostri connazionali in Istria e a Fiume e l’allora Presidente Gino Gobbo, in occasione della IX Assemblea dell’U.I.I.F. pose l’accento sul fatto che il compito principale dell’organizzazione fosse quello di aumentare le attività artistiche, culturali ed educative del gruppo etnico, rinnovando l’invito ai C.I.C. di intensificare l’opera già precedentemente in essere. La preoccupazione di questi anni fu essenzialmente quella di "continuare a vivere"; nonostante i continui atti di fede verso il regime federale, la libertà di movimento era abbastanza limitata.

Un’avvisaglia di ripresa si ebbe con l’avvio di un seminario nel gennaio del 1962 riguardante la lingua e la cultura italiana, che venne tenuto da dodici professori provenienti dalle maggiori Università della Nazione Madre. Alle "lezioni" furono ammessi gli insegnanti, una settantina, e gli studenti della Zona B dell’ex Territorio Libero di Trieste oltre agli annunciatori di Radio Capodistria. La dirigenza dell’U.I.I.F. fece presente la necessità di inviare gli insegnanti delle scuole italiane a particolari corsi di specializzazione in Italia, soprattutto per il perfezionamento della lingua madre e della storia nazionale.

Questo seminario, negli anni a venire, acquisterà sempre maggiore importanza, sennonché il Memorandum di Londra, che prevedeva queste iniziative, ne limitava la fruizione solamente all’ex Zona B, lasciando fuori gran parte del G.N.I. dai benefici derivanti.

 

 

 

 

2.4 - UNA TIMIDA RIPRESA

Il 21 ottobre 1963 il neoeletto comitato direttivo dell’U.I.I.F. approvò un nuovo indirizzo programmatico per questa organizzazione. A posteriori questo documento può essere definito una "rivoluzione copernicana" nei rapporti tra l’organizzazione e lo Stato Jugoslavo. In particolare nell’"indirizzo" è contenuta quella che viene definita la futura impostazione generale. L’U.I.I.F. "deve consolidare le sue posizioni autonome nella valutazione delle singole situazioni e in genere nella sua attività e sviluppare al massimo la propria iniziativa, promuovendo singole azioni e non accontentandosi di accettarle talvolta per suggerimento esterno" e " deve tendere a un risveglio in tutti i campi del G.N.I., deve allargare le prospettive di uno sviluppo culturale in senso nazionale ancora più intenso e completo, deve contribuire a spianare la via per un’affermazione sempre più piena dei nostri connazionali" .

Come si può ben vedere con questa affermazione si tentò di porre su un nuovo piano i rapporti tra l’U.I.I.F e lo Stato Jugoslavo; contemporaneamente, a capo dell’Unione fu designato il Prof. Antonio Borme, che in futuro si distinguerà come la più eminente figura della storia della nostra minoranza.

La prova che il tenore dei rapporti era parzialmente cambiato si può leggere dalle varie dichiarazioni che il Prof. Borme rilasciò negli anni successivi. In queste dichiarazioni non è difficile scorgere i primi semi del dissenso che incominciarono a crescere e in particolare si può rilevare il fatto che la dirigenza dell’U.I.I.F. rimproverasse "una certa differenza tra la lettera e l’applicazione della Costituzione Federale Jugoslava da parte delle Repubbliche socialiste (RS) di Croazia e Slovenia e la mancata estensione di tutti i diritti minoritari alla totalità del territorio istriano".

Importantissimo fu inoltre l’inizio della collaborazione tra l’U.I.I.F. e l’Università Popolare di Trieste (U.P.T.) per la realizzazione di un programma di scambi culturali, al quale dedicheremo molta attenzione più avanti.

Il modo in cui l’U.I.I.F. affrontò i problemi negli anni successivi fu sintomatico di come la "temperie" fosse cambiata. Si fecero sempre più frequenti le critiche, spesso ad opera del Presidente Borme, vero e proprio deus ex machina dell’organizzazione; fu posto come obiettivo principale l’adeguamento dell’applicazione dei testi costituzionali legislativi e statutari alla loro "lettera". L’accento cadde anche sul pericolo che il lealismo alla compagine statale fosse confuso con la rinuncia alla dignità nazionale italiana. Il continuo rarefarsi della consistenza del gruppo etnico indusse la dirigenza dell’U.I.I.F. a porre sul piatto la possibilità di un processo di assimilazione. La passività delle "masse" italiane, retaggio di un passato non ancora sepolto, non era ancora del tutto cancellata e quindi la sua partecipazione alla vita del gruppo ed il suo stesso riconoscimento come "italiano" era perciò fortemente messo in dubbio.

Nel 1968 fu fondato il Centro di Ricerche Storiche di Rovigno (C.R.S.), sola istituzione della minoranza ad essere parte integrante dell’U.I.I.F. La sua finalità è tutt’oggi la promozione di studi riguardanti la storia e la cultura del gruppo etnico. Del C.R.S. parleremo ampiamente più avanti.

Cambiamento che possiamo definire sostanziale fu anche la ristrutturazione dei C.I.C. in Comunità degli Italiani (C.D.I.); le C.D.I. sono associazioni socio-culturali e svolgono una funzione importante, quella sociale, che i precedenti C.I.C. non svolgevano. Questa svolta qualitativa si inseriva in un momento di ampio dibattito politico sugli emendamenti costituzionali.

I C.I.C. erano preposti all’organizzazione e al coordinamento dell’attività artistico-culturale degli italiani, senza nessuna competenza a livello politico, le C.D.I. si collocarono ad un livello superiore, guardando anche alla tutela degli interessi specifici delle varie comunità locali del G.N.I..

Un ulteriore giro di vite fu dato alla XIV Assemblea dell’U.I.I.F. svoltasi a Parenzo. Dopo aver espresso gravi riserve sull’impostazione seguita nelle operazioni del censimento jugoslavo del 1971, che vide tra l’altro un ulteriore netto ridimensionamento della presenza italiana nella regione, il Presidente Borme presentò un suo rapporto su una proposta, poi approvata, di nuovo indirizzo programmatico.

Questo documento si prefisse la ristrutturazione e la trasformazione dell’organizzazione in una "associazione sociale autonoma, autogestita di tutti i cittadini di nazionalità italiana" e "soggetto attivo di pari diritti nella società, non più subordinato né ridotto ad una cinghia di trasmissione di direttive altrui".

Il Borme pose come ulteriore obiettivo l’autogestione; secondo l’opinione della dirigenza U.I.I.F. l’autonomia dell’organizzazione derivava direttamente dal Proclama del 20 settembre 1943 dello ZAVNOH e quest’autonomia non poteva essere solamente di facciata.

Questa richiesta venne male interpretata dagli organi del potere della maggioranza che non persero occasione di bollare come "irredentistiche" le pretese dell’U.I.I.F.. Secondo il Prof. Borme questa autonomia doveva essere intesa senza nessuna velleità separatista o deviazionista.

Il suo presupposto sarebbe stato sicuramente il programma dell’ASPL e della Lega dei Comunisti della Jugoslavia (partito unico), ma non doveva neanche essere una semplice enunciazione formale.

L’indirizzo programmatico pose come principio fondamentale quello della ristrutturazione dell’U.I.I.F., che doveva, nelle intenzioni dei dirigenti, divenire, come detto, l’associazione sociale autonoma e autogestita di tutti i cittadini jugoslavi di nazionalità italiana. Si imponeva pertanto la trasformazione dell’organizzazione da organismo di natura prettamente culturale a organismo sociale nel vero senso della parola, chiamato a svolgere compiti di interesse diretto per i connazionali. Si chiese che l’U.I.I.F. venisse equiparata alle altre organizzazioni socio-politiche interregionali .

Lo scopo principale di queste richieste era il diritto della minoranza di influire in modo determinante sugli aspetti specifici della vita sociale e d’importanza vitale per la sua esistenza e la sua prosperità, a cominciare dalla rappresentanza qualificata di tutti i corpi elettivi.

Come già accennato le accuse di irredentismo si sprecarono, ma ciò non costituì una novità: questa accusa veniva mossa ai dirigenti dell’U.I.I.F. ogniqualvolta essi ponevano sul tavolo con decisione la questione dell’attuazione dei principi costituzionali o in cui si opponevano apertamente ai tentativi di assimilazione e alla soppressione delle istituzioni minoritarie.

 

2.5 - LA DEFENESTRAZIONE DI BORME

Il quadro della situazione, come già visto, non era consolante; le enormi differenze nell’attuazione dei diritti spettanti a termine legislativo nei vari Comuni e, negli stessi Comuni a seconda delle località, fecero auspicare alla Presidenza dell’U.I.I.F. la stesura di una legge quadro "per la regolamentazione completa dei diritti degli appartenenti al gruppo nazionale italiano".

In quello stesso periodo ci fu la formulazione di una nuova costituzione per la Slovenia nella quale erano contenuti due articoli in cui veniva data facoltà alle proprie minoranze di costituire comunità di interesse per l’istruzione e la cultura. Questa proposta incoraggiò tutto il G.N.I. e di conseguenza anche la direzione dell’U.I.I.F.; purtroppo per essa le distanze tra la Croazia e la Slovenia sulla posizione della nazionalità italiana andavano aumentando, creando maggiore difficoltà nel portare aventi un discorso unitario.

Il 6 ottobre del 1973 si ebbe notizia della pubblicazione di un "foglio di informazione dell’U.I.I.F." il quale avrebbe voluto sensibilizzare le organizzazioni socio-politiche e i mezzi di informazione dell’Istria e di Fiume in merito ai punti di vista del gruppo italiano e delle sue organizzazioni. Pochi mesi dopo arrivò la reazione delle autorità Croate; ci fu una decisa presa di posizione della Lega dei Comunisti di Fiume che accusò l’U.I.I.F. di occuparsi di funzioni non di sua competenza, auspicando "passi e misure contro istituzioni o singoli".

Questa polemica si inserì nella ben più grande tensione in atto tra il Governo di Belgrado e quello di Roma in merito alla definitività della linea di divisione confinaria del mai costituito Territorio Libero di Trieste. Ricordiamo che all’epoca si stavano svolgendo le trattative di quello che poi sarebbe diventato il Trattato di Osimo e in Jugoslavia si svolsero numerose manifestazioni contro l’Italia.

Il clima arroventato poteva ricordare quello del 1953.

I membri di partito della Lega dei Comunisti all’interno dell’U.I.I.F. ricevettero l’ordine di esautorare Borme e sembra che gli stessi furono sottoposti a pressioni che sconfinarono anche in velate minacce.

Una settimana più tardi il Comitato Direttivo dell’U.I.I.F., dopo aver esaminato la richiesta delle organizzazioni socio politiche regionali e delle RS di Croazia e Slovenia, approvò all’unanimità l’opera del professor Antonio Borme nell’ultimo triennio e, dichiarandosi corresponsabile, provvide a sostituire il Presidente con il Prof. Luigi Ferri.

La decisione veniva suffragata con un comunicato con il quale l’organismo esprimeva solidarietà nei confronti di Borme e della sua linea politica che era sempre stata "largamente condivisa da tutti i componenti del comitato".

L’ipotesi di rassegnare "dimissioni collettive" fu presa in considerazione, ma alla fine si decise di optare per un atteggiamento più realista al fine di evitare ritorsioni e ripercussioni più gravi per tutto il gruppo nazionale.

Bisogna ricordare che in base allo statuto dell’U.I.I.F. allora in vigore, il presidente avrebbe potuto essere destituito solamente dalla massima autorità politica dell’organizzazione, cioè l’Assemblea, che però sull’argomento non fu mai interpellata né ebbe mai modo di deliberare.

Alcuni anni dopo la "Commissione di controllo" dell’Assemblea rilevò la grave infrazione allo Statuto e denunciò l’irregolarità dell’atto con cui era stato destituito il presidente.

Gli esponenti regionali dell’ASPL giustificarono l’esautorazione del Prof. Borme come atto dovuto. Era necessario secondo loro riorganizzare la Direzione dell’U.I.I.F. per avvicinarla maggiormente a quelle che erano le esigenze della nuova Costituzione Federale adottata nel 1974.

Questi politici, tra i quali ricordiamo Ante Ferlin, accusarono il "dimissionario" professore di sciovinismo e nazionalismo, nonché la nuova politica dell’U.I.I.F., scaturita dopo l’indirizzo programmatico dato dal Congresso di Parenzo, come non conforme a quelle che erano le regole del "potere autogestito".

Dopo Borme, sotto gli strali della lega dei Comunisti, cadde proprio "l’indirizzo programmatico di Parenzo"; l’ASPL sottopose infatti al Comitato Direttivo dell’U.I.I.F. una "piattaforma ideologica per la preparazione di un nuovo statuto" concordata a livello socio-politico interrepubblicano (Slovenia e Croazia) .

L’U.I.I.F. fu costretta ad abbassare la testa; durante i lavori della XV Assemblea, tenutasi a Pola, la dirigenza approvò la costituzione di una conferenza su principio delegatario destinata ad eleggere i nuovi organi direttivi e ad approvare il nuovo statuto, cosa che avvenne a Capodistria un mese dopo.

Non è pleonastico riferire che il nuovo statuto ricalcava in pieno quelle che erano le richieste dell’ASPL. Contemporaneamente fu rimossa la vecchia dirigenza dell’U.I.I.F., cioè tutta quella che aveva avallato la svolta di Parenzo. Dallo statuto furono esclusi importantissimi principi quali l’autogoverno, l’autonomia, la rappresentanza qualificata, mentre venne rispolverato il concetto riduttivo della funzione preminentemente culturale dell’U.I.I.F. .

Cronache successive ci parlano di fenomeni incresciosi, come la riconversione e l’accantonamento di tutti i documenti concernenti i diritti nazionali concordati e approvati fino ad allora dalle maggiori istanze socio-politiche comunali e regionali.

Non è superfluo commentare che questo costituì un gravissimo arretramento rispetto alle già relativamente scarne conquiste dell’organizzazione, e soprattutto privò la stessa di un ceto dirigente, se vogliamo non sempre condivisibile in tutte le sue azioni, ma sicuramente dotato di un carisma e di una personalità mai riscontrati in passato e per molti anni nemmeno in futuro.

 

2.6 - ANNI DI TRANSIZIONE

Gli anni successivi alla "controsvolta di Capodistria" si possono tranquillamente definire come anni bui. L’italiano, come emerge da molte cronache dell’epoca, si "chiuse in casa", la fiducia nelle sue istituzioni andò via via scemando e il pericolo di un’assimilazione silenziosa che le autorità della maggioranza fecero poco per contrastare diventò fantasma sempre più minaccioso .

Le iscrizioni alle Comunità degli Italiani, solitamente cartina al tornasole dell’interesse dei connazionali, toccarono il minimo storico, nonostante gli intellettuali del G.N.I. cercassero in molti modi di aumentare le attività culturali e ricreative del gruppo. In questi anni è da segnalare il fiorire di contatti con il P.C.I., e specialmente con le sue sezioni triestine; l’intuito dei dirigenti dell’U.I.I.F. li aveva portati a comprendere che non si poteva prescindere, soprattutto nel caso di una Comunità autoctona così numericamente ridotta, dall’aiuto della Nazione Madre. Problema fu che questo aiuto era spesso visto con sospetto dalle autorità socio-politiche croate e slovene.

Basti ricordare che il bilinguismo ufficiale in questi anni era quasi assolutamente scomparso; era più facile essere serviti in lingua slava in esercizi commerciali triestini che in italiano nelle contrade istriane.

Ad aggravare questa situazione arrivarono i dati dell’ultimo censimento decennale, quello del 1981; i nostri connazionali erano solamente 15.132. Queste cifre paiono veramente risibili se pensiamo al fatto che quarant’anni prima gli italiani erano la maggioranza; nei circoli intellettuali iniziò a girare una amara battuta: "Quod non fecerunt latini…." per significare che il regime jugoslavo era riuscito in un’impresa che nessuno in duemila anni di più o meno pacifica convivenza aveva portato a termine, cioè la quasi completa cancellazione di una popolazione autoctona dalla faccia della regione istriana.

Diciamo però che questi dati erano quantomeno dubbi; la paura di dichiararsi italiani, che comunque non era certo un motivo di vanto nei confronti del regime, faceva scegliere ai nostri connazionali dichiarazioni di appartenenza più sfumate, come quella di "istriano" o "jugoslavo", portando perciò a sottostimare la reale presenza dell’elemento. Questa tesi verrà confermata nel futuro censimento del 1991.

E’ di questi anni l’idea, della dirigenza dell’U.I.I.F., di un salto di qualità nelle sue competenze; nella II Conferenza dell’organizzazione, tenutasi a Fiume nel 1982 venne deciso di passare, "dalla tutela alla socializzazione della nazionalità italiana", incentivando ad esempio la specificità nazionale nella minoranza, aumentando la vitalità e l’unitarietà degli appartenenti al gruppo e cercando di incrementare i rapporti con le istituzioni della maggioranza, nonché realizzando un piano permanente di collaborazione tra l’U.I.I.F. e l’U.P.T.

Famose furono in questo senso le cosiddette "Dieci tesi di Pirano" ideate in occasione della III Sessione della II Conferenza dell’Unione. Queste linee programmatiche incentivavano in particolare a compiere una vasta azione sociale per l’affermazione della nazionalità italiana in tutta la regione, ad estendere il concetto di territorio integralmente bilingue a tutte le località dove era presente il G.N.I. e introdurre il bilinguismo integrale in tutti i grandi centri, come ad esempio Fiume, Pola e Rovigno.

Inoltre il processo di socializzazione doveva essere accolto nella regolamentazione statutaria, bisognava incentivare una politica di programmazione di quadri e funzionari bilingui per organi pubblici, diffondere l’insegnamento dell’italiano nelle scuole della maggioranza e cosa più importante, acquistare il ruolo di soggetto economico in grado di autogestirsi.

L’importanza dell’indipendenza economica è un tema che anche oggi, in una temperie completamente diversa, ritorna spesso nelle esigenze fondamentali del G.N.I.; è chiaro che un gruppo etnico che non è costretto a mendicare per compiere ogni passo possiede un ben diverso "potere contrattuale" nei confronti degli interlocutori. In questo senso solo oggi si stanno muovendo i primi passi.

L’obiettivo fu quindi la socializzazione della nazionalità e la realizzazione di un progetto storico e di sviluppo in una dimensione umana più ampia. Queste teorizzazioni furono sicuramente oltremodo importanti, ma, col senno di poi non possiamo certo affermare che a loro sia seguita una compiuta attuazione.

 

2.7 - GLI ANNI DELLA SVOLTA

Nella seconda decade di dicembre del 1987 ci fu nel capodistriano una raccolta di firme volta al sostegno di "un appello alla società civile". Questa, che potremmo definire una petizione, sviluppava alcune tesi, in particolare contro una proposta di legge federale jugoslava limitativa del bilinguismo, e lamentava il passaggio ad uno stato di agonia dell’attività dell’U.I.I.F. per la mancanza di mezzi finanziari; inoltre invitava la società civile a riflettere sulla reale situazione del gruppo nazionale italiano e degli altri gruppi etnici in Jugoslavia.

La petizione si presentava come risultato di prese di posizioni individuali e pertanto i firmatari dell’appello non intendevano rappresentare alcuna organizzazione. Uno dei firmatari di questo appello, Franco Juri, noto intellettuale sloveno esponente della minoranza, definì "etnocidio", cioè scomparsa di un’etnia, ciò che stava succedendo al gruppo nazionale italiano. Questo etnocidio non era secondo lui dovuto ad un’assimilazione naturale, ma a precise responsabilità politiche, non solo da parte delle istituzioni maggioritarie, ma anche della stessa U.I.I.F..

Nel marzo del 1988 nacque un movimento d’opinione, poi autodefinitosi "Gruppo 88", il quale tentò di affrontare le tematiche attinenti al G.N.I. con idee, impostazioni e metodi inediti rispetto a quelli della vecchia dirigenza dell’U.I.I.F. come tavole rotonde, serate letterarie, dibattiti, inserendosi nel processo di lenta democratizzazione che investiva la Slovenia e la Croazia.

Gruppo 88, alla cui guida si pose tra gli altri Franco Juri, aveva l’obiettivo di operare come organo di dibattito culturale e politico per sollecitare l’azione dell’U.I.I.F, nel rispetto del pluralismo e di una identità non necessariamente monolitica.

L’U.I.I.F accettò la richiesta di collaborazione offertagli dalla nuova corrente di pensiero, nonostante il feeling tra i leaders peggiorasse

rapidamente; la presenza di un movimento di opposizione operò senz’altro come stimolo per l’U.I.I.F e tra l’altro, nella conferenza tenutasi a Buie il 9 maggio 1988 fu votata "la riabilitazione di Borme e di tutti i connazionali vittime di ingiustizie analoghe".

Principale punto all’ordine del giorno di quella conferenza fu il documento intitolato "Piattaforma programmatica 1988/1990 per una crescita di qualità", il quale era articolato in quattro diversi piani di intervento: legislativo, socio-politico, culturale, economico (anche nei rapporti con l’Italia).

Tratti salienti di questa piattaforma, approvata all’unanimità ma non senza critiche e prese di posizioni sotterranee, furono i tentativi di porre ad un piano superiore le funzioni dell’U.I.I.F., ad esempio tentando di gestire direttamente questioni che riguardassero gli italiani ed intervenire quando in altre istanze queste questioni venissero sollevate, nonché riproponendo per l’ennesima volta l’esigenza che le norme legislative, come ad esempio quella sul bilinguismo, venissero applicate conformemente al loro dettato. Nella conferenza si accettò di prendere in considerazione la proposta di inserire "Gruppo 88" nell’U.I.I.F. e di costituire una Commissione mista di coordinamento per evitare litigi e malintesi.

Vale la pena ricordare anche il "Progetto 11" volto a sensibilizzare l’opinione pubblica circa le problematiche del gruppo etnico anche su temi scottanti.

L’idillio fra la vecchia dirigenza e "Gruppo 88" durò poco; costoro decisero quindi di costituirsi come movimento d’opinione in seno all’ASPL la quale accettò questa richiesta qualche mese dopo. La Presidenza dell’U.I.I.F. espresse perciò parere sfavorevole all’inserimento nelle sue file del nuovo movimento di opinione, ponendo l’accento sulla diversità di vedute al riguardo del "concetto di transnazionalità" concepito in maniera più aperta da questi ultimi. In questa polemica si inserì il Prof. Antonio Borme il quale, portando sul piano pratico il discorso, sostenne che senza nessuna base economica, il futuro sviluppo dell’U.I.I.F. e dell’intera minoranza italiana sarebbe stato quantomeno aleatorio.

Anche all’interno di "Gruppo 88" però avvenne una spaccatura; in seguito ad una riunione svoltasi a Gallesano si crearono all’interno del Gruppo due correnti che divergevano sull’ipotesi di costituire insieme alla Dieta Democratica Istriana (D.D.I.) un movimento politico panistriano. Si formarono inoltre due iniziative complementari, ma indipendenti al Gruppo quali la "Lista Laica della Comunità italiana di Pirano" e il "Movimento per la Costituente", proposto da alcuni italiani di Fiume che aveva come scopo quello di tracciare i lineamenti di una nuova organizzazione degli italiani eletta in modo democratico dalla popolazione; in modo particolare questo secondo gruppo d’opinione aveva come capisaldi della propria esistenza e finalità, l’autonomia politica e la totale indipendenza dell’organizzazione della minoranza dalle strutture ufficiali del potere, la piena libertà di associazione e il pluralismo politico, la libertà d’informazione dei mass media in lingua italiana ed infine la libertà di intrapresa e di organizzazione delle risorse sociali ed economiche del gruppo etnico italiano.

Non è superfluo ricordare che tutti questi movimenti si inserirono nel più grande processo che stava portando alla disgregazione della Jugoslavia, processo che è impossibile analizzare in questa sede; probabilmente la democratizzazione dell’intero paese rese consapevole il gruppo di poter rivendicare forme più ampie di autonomia e pluralismo.

La dirigenza dell’U.I.I.F., arroccata su posizioni central-unitaristiche e tutto sommato contraria all’introduzione del pluralismo nella vita comunitaria, iniziò a vacillare; in una sua dichiarazione, datata 27 gennaio 1990 c’è il richiamo "ad una trasformazione in un organismo autonomo della comunità e della nazionalità italiana in Jugoslavia […..] come fronte comune di tutti i connazionali come pure di tutti i corregionali di nazionalità duale o altra ugualmente inclusi nelle strutture connesse con la nazionalità italiana".

I movimenti alternativi "rimproveravano all’U.I.I.F. di essere stata e di aver agito sempre come organizzazione di regime, con atteggiamenti servili ed accettazione acritica delle decisioni delle autorità e tuttora arroccata su posizioni conservatrici, residuo zoccolo duro del vecchio sistema".

A maggio del 1990 in una storica riunione svoltasi a Verteneglio, che vide come protagonisti l’U.I.I.F., le C.D.I., il Movimento per la Costituente e Gruppo 88, si decise la formazione di un comitato di sei persone con il compito di elaborare una nuova legge elettorale e una proposta di assetto del futuro "governo", a sua volta incaricato di redigere il nuovo statuto e i nuovi "piani di sviluppo".

Il rifiuto del vecchio modello elettorale U.I.I.F., che si basava sul sistema delegatario a lista unica e il superamento di questo con un sistema alternativo basato su elezioni pluralistiche con più liste diverse da loro e programmi complementari, furono l’incipit a tutte le discussioni all’interno del Comitato Misto precedentemente menzionato, e il risultato fu che la Presidenza dell’U.I.I.F. acconsentì ad indire libere elezioni interne.

Tali elezioni avrebbero dovuto portare all’insediamento di un’"assemblea costituente" di tutti gli italiani in Jugoslavia, la quale a sua volta avrebbe dovuto delineare la fisionomia, i programmi, lo statuto e le strategie della nuova organizzazione del gruppo etnico italiano.

A novembre dello stesso anno fu approvato ad Albona il regolamento per le elezioni dei rappresentanti all’Assemblea Costituente. Tale regolamento specificò le scadenze del processo elettorale che avrebbe portato alla formazione della nuova organizzazione del gruppo nazionale italiano.

Le elezioni interne all’U.I.I.F. si svolsero nel mese di gennaio del 1991 e quasi il cinquanta per cento dei rappresentanti all’Assemblea Costituente risultarono simpatizzanti del "Movimento per la costituente", mentre il venti per cento appoggiava la vecchia dirigenza. L’Assemblea Costituente, nelle sue sessioni, decise fra l’altro di denominare la nuova organizzazione nascente Unione Italiana (U.I.) e adottare quale proprio vessillo il tricolore della Nazione Madre senza nessun ritocco (stella rossa N.d.A.) e di consentire il diritto di associazione all’organizzazione a tutti i cittadini jugoslavi, croati e sloveni di cultura e madrelingua italiana.

 

2.8 - STATUTO DELL’UNIONE ITALIANA

L’Assemblea Costituente, riunita il 16 luglio 1991 a Fiume, approvò ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione della Repubblica di Croazia, dell’articolo 4 comma 2 della "Legge costituzionale sui diritti e sulle libertà dell’uomo e sui diritti delle Comunità Etniche e Nazionali o Minoranze nella repubblica di Croazia" e dell’articolo 64 della Costituzione della Repubblica di Slovenia, il nuovo statuto dell’Unione Italiana, che verrà modificato in seguito a successivi accordi tra la Nazione Madre e le due Repubbliche di residenza come ad esempio il Trattato tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica Italiana sui diritti delle minoranze.

Secondo questo statuto l’U.I., con sede a Fiume, è "organizzazione unitaria, autonoma, democratica e pluralistica degli italiani delle Repubbliche di Croazia e di Slovenia di cui esprime l’articolazione complessiva dei bisogni politici, economici, culturali e sociali".

Tra i suoi compiti spiccano sicuramente "il mantenimento dell’integrità e dell’indivisibilità della minoranza italiana in virtù della sua autoctonia", compito che il nuovo confine nazionale posto lungo il fiume Dragogna renderà alquanto difficile, nonché il "conseguimento dell’uniformità di trattamento giuridico e costituzionale dei cittadini di nazionalità, cultura e madrelingua italiana al più alto livello".

L’U.I. svolge gran parte delle sue funzioni organizzando attività culturali come congressi, seminari, corsi di lingue, mostre, ma anche seguendo e promuovendo l’applicazione delle disposizioni costituzionali, legislative, statutarie e normative relative alla tutela degli appartenenti alla minoranza, agendo, se ne è il caso, nelle sedi competenti per assicurarne il regolare esercizio, e formulando propri pareri, suggerimenti e proposte.

I membri dell’Unione sono "tutti cittadini di nazionalità oppure cultura e madrelingue italiane regolarmente iscritti alle C.D.I., che accettano di rispettare lo Statuto ed i principi programmatici dell’U.I." e inoltre "l’iscrizione all’Unione avviene unitamente all’iscrizione alle C.D.I.".

L’Unione si articola nelle C.D.I., che sono "persone giuridiche che si associano liberamente all’U.I. ai sensi del proprio Statuto", operanti come organi politici, sociali, culturali ed economici della minoranza nelle singole località.

L’iscrizione all’U.I. dà anche il diritto di partecipare alle elezioni, che avvengono "mediante suffragio libero diretto e segreto in conformità al regolamento elettorale approvato dall’Assemblea".

L’U.I. può essere fondatrice o coofondatrice di "Enti ed Istituzioni operanti in funzione degli interessi della Comunità Nazionale Italiana (C.N.I.) e ha la facoltà di acquistare la proprietà totale o parziale […], il controllo economico di tali istituzioni".

Gli organi dell’U.I. sono: l’Assemblea, il Presidente dell’U.I., che svolge pure le funzioni di Presidente dell’Assemblea, la Giunta Esecutiva, il Presidente della Giunta Esecutiva e il Comitato dei Garanti d’Appello e di Controllo.

L’Assemblea è costituita da 85 rappresentanti "eletti a suffragio diretto eguale libero e segreto in conformità ai termini stabiliti dal regolamento elettorale" e il suo mandato dura quattro anni.

Analogamente al Parlamento italiano questa Assemblea deve delineare l’indirizzo politico fondamentale dell’Unione. Essa ha perciò grossomodo quei poteri che sono propri di un qualsiasi organo elettivo di una "democrazia occidentale"; il suo Presidente, che ne convoca e ne presiede l’assemblea e promulga e firma gli atti, le decisioni e le delibere è anche, come visto in precedenza, il Presidente dell’intera U.I..

La Giunta Esecutiva è l’organo esecutivo dell’U.I. ed è eletto dall’Assemblea a maggioranza assoluta. Alla stessa Assemblea deve rendere conto del proprio operato; essa è formata da tredici membri compreso il Presidente e un Vicepresidente. I componenti della giunta si ripartiscono su proposta del Presidente i seguenti settori di attività od incarichi: Educazione ed istruzione, Informazione ed editoria, Teatro, Arte e spettacolo, Cultura, Università e ricerca scientifica, Economia, Affari giuridico amministrativi, Rapporti con le C.A.N. e i rappresentanti politici della C.N.I., Organizzazione, sviluppo e quadri, Finanze e bilancio, Attività sociali, religiose e sanitarie, Attività sportive, Coordinamento e rapporti con le C.D.I.. L’attività della Giunta è collegiale.

Il fatto che la Giunta sia l’organo di governo si evince dai successivi articoli secondo i quali essa dà esecuzione alle decisioni e agli indirizzi programmatici posti dall’Assemblea; sempre per cercare una falsariga con il nostro ordinamento costituzionale possiamo affermare che il Presidente della Giunta può essere paragonato al Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche il mandato della Giunta è quadriennale, e lo stesso può essere revocato mediante mozione di sfiducia.

Il Comitato dei Garanti d’appello e di controllo è composto da cinque membri compreso il Presidente. Funge da Giurì d’onore per tutte le controversie che possono sorgere all’interno dell’Unione o tra l’Unione e le C.D.I.; decide anche nel caso di conflitti di competenza, funge da Corte dei Conti per il controllo delle spese e della gestione finanziaria dell’Unione.

In questa nostra breve disamina dello Statuto U.I. merita di essere ricordato in conclusione l’articolo 66, secondo il quale essa può svolgere "attività economiche ed imprenditoriali direttamente o in collaborazione con aziende, imprese e società economiche al fine di assicurare delle adeguate forme di autofinanziamento, di promozione e di sviluppo complessivo delle strutture e dei bisogni della C.N.I.. [….] Gli utili e i profitti dell’Unione vengono utilizzati esclusivamente per la realizzazione delle proprie attività e delle proprie finalità istituzionali ai sensi del presente Statuto"; questo per ricordare che, se le enunciazioni di principio sono sì importanti, altrettanto lo è la possibilità di reperire fondi mediante attività economiche all’interno del gruppo.

La democratizzazione dell’U.I. può trasparire anche dal fatto che con il nuovo Statuto è stato reso possibile indire dei referendum estesi a tutti gli iscritti alle Comunità e all’Unione mediante la raccolta di cento firme.

 

2.9 - CONCLUSIONI

L’U.I., all’atto della sua nascita, assunse competenze socio politiche, culturali ed economiche. Pochi mesi dopo l’insediamento della nuova organizzazione i dati del consueto censimento decennale videro per la prima volta un notevole incremento nel numero degli italiani (circa 25.000 contro i 15.132 del 1981). Questo dato probabilmente fu il sintomo di un nuovo e più aperto clima politico e sociale scaturito dal processo di democratizzazione in atto in Croazia e Slovenia; molte persone, che prima avevano remore a dichiararsi italiani, le persero.

Il censimento vide anche un grandissimo successo delle dichiarazioni di appartenenza regionale ("sono istriano" oppure "sono jugoslavo") che raggiunsero quasi il trentacinque per cento . Non è difficile intuire che quindi il numero degli italiani fosse ancora sottostimato. Questa rinascita numerica fu confermata dalla nascita di nuove C.D.I., che passarono in breve tempo da ventuno a quarantatré e dallo sviluppo di un’intensa attività politica, associativa e culturale. Questo fenomeno coinvolse anche zone in cui si credeva che la presenza italiana fosse del tutto scomparsa (ad esempio Pisino e Pinguente) e si estese anche al di fuori dell’Istria: dopo decenni in Dalmazia, a Zara e a Spalato, si costituirono due C.D.I..

In Istria e a Fiume si verificò anche, dopo anni di calo costante, un sensibile incremento degli alunni frequentanti le scuole italiane; da qui l’esigenza di aprire nuovi asili e nuovi Istituti scolastici.

In questo senso il processo di trasformazione dell’U.I.I.F. in U.I. rappresentò una delle risultanti del più complesso ristrutturarsi dell’intera società dell’ex Jugoslavia socialista.

La costituzione dei due nuovi stati sovrani di Croazia e Slovenia, l’avvento del pluripartitismo e della libera iniziativa privata segnarono la nascita della nuova U.I. definita organizzazione apartitica ma non apolitica; con le innovazioni costituzionali dei nuovi stati di Croazia e Slovenia alle minoranze nazionali viene data la possibilità di gestire l’istituto del "seggio specifico della minoranza" eleggendo a suffragio universale tra le loro fila i propri rappresentanti ai singoli Parlamenti repubblicani.

Il quadro, che può sembrare indubbiamente positivo rispetto ai primi anni ’80 dove pareva ormai certa la rapida assimilazione del G.N.I., denota anche dei lati negativi: il più grave è sicuramente quello del nuovo confine nazionale situato all’altezza del fiume Dragogna, che divide una minoranza già numericamente debole in due tronconi sottoposti a leggi diverse, e in cui, come vedremo, il ruolo della stessa U.I. non è ugualmente riconosciuto. Altri lati negativi sono, come vedremo meglio nei capitoli successivi, la mancata gestione diretta delle varie istituzioni minoritarie (solamente il C.R.S. di Rovigno e il CIPO sono parte integrante dell’Unione stessa), e il clima non certo di democrazia che si respira oggi soprattutto in Croazia. A questo proposito c’è però da rilevare che la D.D.I. rappresenta con la sua base multietnica e panistriana un valido puntello per alcune delle rivendicazioni dei nostri connazionali. Altro problema è costituito dalla situazione economica molto grave in cui versa la parte croata dell’Istria, che più o meno direttamente è stata coinvolta nel conflitto che ha insanguinato la ormai ex Jugoslavia, causando una notevole migrazione dei giovani più validi nella Venezia Giulia italiana.

Importante è anche sottolineare come diverso dovrà essere anche il rapporto con la Nazione Madre che già si sta delineando tramite gli ultimi interventi legislativi italiani che prevedono mediante la "cinghia di trasmissione" rappresentata dall’U.P.T. l’aumento consistente dei fondi destinati alla minoranza stessa.

Il futuro quindi riserva alla C.N.I. e per lei alla sua organizzazione principale, l’U.I., molteplici sfide, sicuramente difficili, ma non si può fare a meno di pensare che se la maggiore autonomia politica, culturale e parzialmente economica paventata negli ultimi tempi continuerà a sussistere o ad aumentare, e soprattutto, come ormai sembra alle porte, avverrà l’ingresso nell’Unione Europea di Slovenia e Croazia con tutto quel che ne conseguirà, queste sfide potranno essere vinte o almeno non perse.