CAPITOLO 4

 

LA TUTELA GIURIDICA DELLA MINORANZA ITALIANA

 

4.1 - LA TUTELA GIURIDICA NEGLI ACCORDI INTERNAZIONALI

  1. Il Trattato di Parigi
  2. Il primo documento riguardante le tutela giuridica della minoranza italiana in Istria è il Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 che, come già visto in precedenza, all’articolo 19 paragrafo quattro regolava la questione delle "opzioni".

    Oltre a ciò lo stesso articolo impegnava la Jugoslavia ad "assicurare conformemente alle sue leggi fondamentali, a tutte le persone che si trovano nel territorio stesso senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, il godimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ivi comprese la libertà di espressione, di stampa, di diffusione, di culto, di opinione politica e di pubblica riunione".

  3. Il Memorandum di intesa di Londra
  4. Per trovare una tutela più articolata dobbiamo aspettare il 1954 quando a Londra fu firmato il giorno 5 di ottobre il cosiddetto "Memorandum di intesa" il quale conteneva un allegato dedicato proprio a questo tema.

    Questo allegato era formato da otto articoli, e per moltissimi anni è stato la vera e propria "carta dei diritti" della nostra minoranza, nonché della minoranza slovena abitante nella zona A.

    All’articolo 1 di questo documento era previsto che le autorità italiane e jugoslave, nell’amministrare le rispettive zone, avrebbero dovuto conformarsi ai principi della "Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo", adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

    Tali diritti venivano precisati all’articolo 2 che prevedeva tra l’altro la parità tra italiani e slavi nella sfera dei diritti politici e civili nonché nell’esercizio dei pubblici servizi e delle pubbliche funzioni, nell’uguaglianza di accesso ai pubblici uffici, nell’uguaglianza di trattamento nell’esercizio dei loro mestieri e delle loro professioni e nell’uguaglianza di trattamento nel settore dell’assistenza sociale.

    L’articolo 4 prevedeva la salvaguardia del carattere etnico e del libero sviluppo culturale dei due gruppi, concedendo ad essi il diritto a stampare libri e giornali nella propria lingua madre; lo stesso articolo, al paragrafo B, si occupava di regolamentare le organizzazioni educative, culturali, sociali e sportive di entrambi i gruppi etnici parificandole nel trattamento alle corrispettive organizzazioni fondate dal "gruppo di maggioranza".

    Di grande importanza era il paragrafo D che permetteva la creazione di asili, scuole elementari, secondarie e professionali con insegnamento nella lingua madre; queste scuole avrebbero conservato, se già esistenti, o ottenuto, se di futura creazione, un’uniformità di trattamento con le altre scuole dello stesso tipo.

    Nelle stesse scuole, inoltre, avrebbero dovuto insegnare, ove possibile, docenti con la stessa lingua madre degli alunni.

    L’articolo 5 prevedeva la libertà d’uso della madrelingua dato ai due gruppi etnici nei rapporti tanto personali quanto ufficiali nei riguardi delle autorità amministrative e giudiziarie delle due zone. Gli atti pubblici concernenti gli appartenenti ai due gruppi etnici, comprese le sentenze dei Tribunali, avrebbero dovuto essere accompagnati da una traduzione nella rispettiva lingua.

    Nei Comuni delle zone nei quali gli appartenenti al gruppo etnico "straniero" costituivano un elemento rilevante (almeno un quarto) della popolazione, le iscrizioni sugli Enti Pubblici e i nomi delle località e delle strade avrebbero dovuto essere bilingui.

    Dall’allegato era prevista anche, e segnatamente all’articolo 6, un equa ripartizione dei mezzi finanziari disponibili per facilitare lo sviluppo economico delle popolazioni rimaste oltre confine.

    Agli Stati era fatto obbligo di non mutare le circoscrizioni delle unità amministrative fondamentali.

    Infine l’articolo 8 prevedeva l’istituzione di una speciale, ma poi rivelatasi alquanto fantomatica, "Commissione mista italo-jugoslava" con compiti di assistenza e consultazione sui problemi relativi alla protezione dei due gruppi etnici; la Commissione avrebbe dovuto altresì esaminare reclami e questioni sollevate dagli appartenenti alle minoranze in merito all’esecuzione dell’intero allegato.

    I due Governi si sarebbero dovuti impegnare a negoziare immediatamente un particolareggiato regolamento relativo al suo funzionamento e avrebbero dovuto facilitare le sue visite nelle due zone.

    L’allegato al Memorandum di intesa, pur essendo giuridicamente inappuntabile e prescindendo dall’effettiva applicazione (pessima) che di esso fu data dalle autorità jugoslave, conteneva un problema di fondo che avrebbe segnato l’esistenza della nostra minoranza in Istria: le sue disposizioni infatti si applicavano solamente alla parte di essa che viveva nella zona B (Capodistria, Umago, Buie), lasciando senza nessun tipo di tutela internazionale coloro che vivevano al di fuori di questa ristretta zona, cioè la gran parte dei componenti della minoranza.

    A onor del vero in un’analoga situazione si trovò anche la minoranza slovena residente nelle province di Udine, Gorizia e Trieste, protetta da tutela internazionale soltanto per una parte limitata, cioè gli abitanti dei pochi comuni della provincia di Trieste ubicati nella zona A.

  5. Il Trattato di Osimo

Il 10 novembre del 1975 Italia e Jugoslavia firmarono nella cittadina marchigiana di Osimo un accordo che componeva definitivamente il contenzioso generato dalla seconda guerra mondiale; fino a questa data l’Italia aveva infatti mantenuto la sovranità sulla zona B, anche se sostanzialmente il territorio era completamente sotto controllo slavo.

Il Trattato di Osimo, oltre a regolare la questione confinaria e occuparsi di aspetti economici (ad esempio prevedeva la creazione di una zona economica franca a cavallo di Trieste e Sesana per incrementare i rapporti economici tra i due stati, che tra le altre cose non fu mai creata) tornava brevemente sulla questione della tutela giuridica accordata alle due minoranze e precisamente lo faceva nell’articolo 8.

Secondo questo articolo "al momento in cui cessa di avere effetto lo Statuto speciale allegato al Memorandum di intesa di Londra, ciascuna parte dichiara che essa manterrà in vigore le misure interne già adottate in applicazione dello statuto suddetto e che essa assicurerà nell’ambito del suo diritto interno il mantenimento del livello di protezione dei membri dei due gruppi etnici rispettivi previsto dalle norme dello Statuto speciale decaduto".

Ancora una volta, nonostante la dirigenza dell’U.I.I.F. premesse per questo da molti anni, dalla tutela giuridica veniva esclusa la maggior parte dei componenti dell’etnia italiana, poiché l’Accordo di Osimo non allargava in alcun modo l’estensione geografica dell’area "tutelata" dall’allegato al Memorandum di intesa, cioè l’ormai ex zona B.

Sarebbero dovuti trascorrere altri vent’anni e il crollo di un regime per ottenere, almeno sulla carta, questa uniformità di trattamento che sembrava naturale concedere sin dal principio.

 

D- Memorandum di Intesa tra Croazia, Italia e Slovenia sulla tutela della minoranza italiana in Croazia e Slovenia.

La dissoluzione dell’ex Jugoslavia, se da un lato significò un rinnovamento in chiave positiva per la Comunità Nazionale Italiana, dall’altro portò un’ulteriore divisione che poteva e può tuttora rischiare di piegare ulteriormente la resistenza di un gruppo già piccolo.

Un nuovo confine di Stato, infatti, fu tracciato e la minoranza italiana fu spaccata in due tronconi di diverso peso numerico e con una differente tutela giuridica interna.

Le rivendicazioni del gruppo dirigente minoritario (ricordiamo che da poco l’U.I.I.F. si era trasformata in Unione Italiana) si basavano sulla richiesta di un’uniformità di trattamento per gli italiani, sottolineando il carattere storicamente unitario della C.N.I..

La dirigenza richiedeva soprattutto una tutela attraverso accordi interstatali bilaterali, tra Slovenia e Croazia, o trilaterali, comprendendo anche l’Italia, i quali avrebbero dovuto estendere la tutela prevista dal Trattato di Osimo a tutto il territorio istriano.

Nel 1992 i tre Stati interessati firmarono un Memorandum sulla tutela della minoranza; questo documento, che si ispirava ai documenti finali della Conferenza sulla sicurezza e cooperazione in Europa, alla Carta di Parigi e ad alcuni documenti della Conferenza C.S.C.E. di Copenaghen riguardanti i diritti umani e delle minoranze, confermava in primis il carattere autoctono e le caratteristiche specifiche che aveva assunto la C.N.I. in seguito all’esodo.

I tre Stati si impegnavano a concludere il più presto possibile i trattati bilaterali rispettivi relativi alla tutela della minoranza, i quali avrebbero dovuto basarsi, oltre che sugli accordi internazionali e al requisito dell’"autoctonia" già citati, anche su altri capisaldi.

All’articolo 2 si sottolineava il riconoscimento della rappresentatività legale nell’ambito delle leggi di Croazia e Slovenia, della più importante organizzazione della minoranza italiana, cioè l’Unione Italiana, come unica organizzazione che potesse rappresentare la minoranza stessa in entrambe gli Stati.

E’ di facile comprensione che il primo passo per riconoscere l’uniformità di trattamento è proprio quello di scegliere lo stesso interlocutore, in questo caso l’Unione Italiana, da parte di tutti e tre gli stati interessati.

All’articolo 3 veniva confermata l’uniformità di trattamento basata sui diritti acquisiti allora esistenti, compresi quelli che derivavano da strumenti internazionali, nonché i nuovi diritti che derivavano dagli atti costituzionali ed altre leggi della Croazia e della Slovenia.

All’articolo 4 si garantiva, nelle aree di entrambi gli Stati dove risiedeva la minoranza, la libertà di movimento per i cittadini croati e sloveni appartenenti alla C.N.I.; oltre a questa libertà si concedeva anche la libertà di lavoro a coloro i quali erano impegnati in attività quali le istituzioni, le scuole, i mass media.

Nell’ultimo paragrafo di questo documento era previsto che esso entrasse in vigore dopo la firma di almeno due delle parti contraenti e che rimanesse aperto alla firma dell’altra; esso però fu sottoscritto solamente da Italia e Croazia.

Sei mesi dopo però l’Ambasciatore Sloveno a Roma consegnò al Ministro degli Esteri Italiano Colombo, una serie di note verbali con le quali il suo paese dichiarava di subentrare alla ex Jugoslavia in alcuni accordi bilaterali tra i quali quello di Osimo del 1975.

Il Governo Italiano accettò le note con soddisfazione; anziché contribuire alla chiarezza questo scambio di note ebbe l’effetto di rendere ancora più debole la posizione dell’Italia, che avrebbe avuto minori argomenti per sostenere la necessità di nuovi accordi per la protezione delle minoranze una volta confermata la validità di quelli vecchi.

Il problema della tutela delle minoranze si incrociò allora con altre due questioni che tormentavano i rapporti bilaterali tra Roma e Lubiana: quello della restituzione delle case agli esuli e quello dell’adesione della Slovenia all’Unione Europea, alla quale l’Italia, anche per questi motivi, aveva reiteratamente posto il veto.

Gli ordinamenti di Slovenia e Croazia, infatti, impedivano (e lo fanno tuttora) a non-cittadini di acquistare beni immobili nei propri territori, e questo costituisce sicuramente una barriera all’ingresso in Europa dei due stati.

Tutto ciò non contribuì alla chiarezza della situazione giuridica della nostra minoranza, né alla sua uniformità di trattamento; essa fu invece addirittura utilizzata come "merce di scambio" all’interno di un contenzioso tra i due Stati che la vedeva interessata solo marginalmente.

Tuttavia il Governo Sloveno, pur non avendolo firmato, dichiarò di sentirsi comunque impegnato a rispettare i principi del Memorandum, contestando però la mancanza di una clausola di reciprocità riguardante la minoranza slovena in Italia.

Solo oggi i rapporti tra Italia e Slovenia sono migliorati; alcune parti del contenzioso sembrano avviate ad un’evoluzione positiva, ad esempio la possibile restituzione dei beni immobili agli esuli. Ciò fa ben sperare in un positivo evolversi dello status giuridico della C.N.I..

E -Trattato Italo-Croato sui diritti della minoranze

Il 6 novembre del 1996 Italia e Croazia conclusero un accordo sui diritti delle rispettive minoranze. La Croazia, in conformità alla sua legge costituzionale, confermava il riconoscimento del carattere autoctono e dell’unità della C.N.I. e si impegnava a prendere le misure necessarie per la sua protezione in conformità ai suddetti principi.

Lo stato Croato, in base a questo documento, garantiva i diritti acquisiti dalla minoranza italiana in base ai trattati internazionali, nonché i nuovi diritti acquisiti dopo la creazione della Repubblica stessa.

All’articolo 3 la Croazia si impegnava a uniformare al più elevato livello possibile il trattamento nel suo ordinamento giuridico del "gruppo etnico", tale uniformità avrebbe dovuto essere raggiunta attraverso la graduale estensione del trattamento garantito nell’ex zona B alle altre aree tradizionalmente abitate dalla minoranza italiana e dai suoi membri.

Si risolveva così uno dei più annosi problemi del nostro gruppo etnico.

L’articolo 4 riconosceva l’Unione Italiana come organizzazione rappresentante la minoranza, conferendole personalità giuridica; veniva inoltre confermata la libertà di movimento e di lavoro per i membri, cittadini sloveni, impegnati nelle Istituzioni, nelle scuole e nei mass media.

L’articolo 8 curiosamente poneva l’accento sulla tutela della minoranza croata esistente nella regione Molise (circa 3mila persone), per la quale l’Italia si impegna a garantire un elevato standard giuridico.

Questo trattato, figlio del Memorandum del 1992, costituisce certamente un passo in avanti per gli appartenenti alla C.N.I. il cui livello di tutela in Croazia era sicuramente, e lo è tuttora, inferiore a quello esistente in Slovenia.

A prescindere dall’applicazione che la Croazia farà di questo accordo, un problema irrisolto è quello della rappresentatività legale dell’U.I. in entrambe gli Stati.

La Slovenia infatti, non avendolo firmato, non è vincolata dalla norma del Memorandum del 1992 che prevedeva questa importante prerogativa. Lo Stato predilige come interlocutore un’altra figura da esso creata: le C.A.N. (Comunità Autogestite della Nazionalità Italiana) che possono assumere, su sua delega, competenze di livello statale.

Tali organismi sono ad esempio cofondatori, insieme ai Comuni, degli asili, delle scuole elementari e medie inferiori ed, insieme allo Stato, delle scuole medie superiori.

Ciò, pur essendo il livello di tutela sloveno più alto di quello croato, costituisce chiaramente una pugnalata al caposaldo della "uniformità di trattamento", che la dirigenza U.I. lotta per affermare.

Essa chiede pertanto allo Stato Sloveno di riconoscerla quale interlocutore principale.

Un altro problema, proprio però di tutti i trattati, è l’aderenza della protezione effettiva a quanto disposto dalla norma; a questo proposito non si può dire che la Croazia brilli per impegno.

Gran parte delle battaglie dell’U.I. sono indirizzate proprio a questo scopo.

4.2 – LA TUTELA GIURIDICA INTERNA

A – Breve storia della tutela giuridica nella ex Jugoslavia

Nell’ex Jugoslavia la minoranza italiana era tutelata a vari livelli, in una maniera che potremmo definire piramidale.

Al vertice stava la costituzione federale Jugoslava, che solitamente, attraverso enunciazioni di principio, regolava i diritti fondamentali.

Appena al di sotto di essa si collocavano le due Costituzioni Repubblicane Croate e Slovene, che si occupavano della situazione minoritaria nei territori di loro competenza.

Alla base di questa immaginaria costruzione c’erano gli statuti comunali, che integravano a livello locale le statuizioni contenute nei documenti aventi valenza giuridica più importante.

Fino al 1963 i diritti minoritari furono regolati attraverso norme di principio e fu solo dopo l’emanazione della cosiddetta "terza costituzione federale" che le minoranze etniche godettero di maggior spazio e libertà.

La Costituzione del 1974 portò ulteriori e rilevanti novità nei rapporti fra le "nazioni", cioè Croazia, Slovenia, Bosnia ecc. e le proprie minoranze. Tra i principi fondamentali di questo documento possiamo ricordare l’articolo 1 che definiva la Jugoslavia come "Stato Federale e comunità socialista democratica e autogestita dei lavoratori, dei cittadini, dei popoli e delle nazionalità su piede di eguaglianza".

Dunque i popoli jugoslavi, cioè le cosiddette etnie maggioritarie, erano giuridicamente parificati alle minoranze etniche.

Questa enunciazione di principio veniva ripresa ad esempio dagli articoli 124 e 154 per i quali "i popoli e le nazionalità sono pari nei diritti", "i cittadini sono uguali nei diritti e nei doveri indipendentemente dalla nazionalità, dalla razza, dal sesso, dalla lingua, dalla religione […]".

L’articolo 170 consentiva al cittadino la libertà di esternare la propria appartenenza etnica e di esprimere la propria cultura usando la lingua madre in forma sia parlata sia scritta.

In fede al principio del decentramento l’articolo 248 chiariva che "oltre ai diritti costituzionali i diritti delle minoranze verranno tutelati anche a livello repubblicano e comunale".

La tutela giuridica era perciò diversa a seconda che ci si trovasse in Slovenia, Croazia o in uno dei vari Comuni.

La costituzione repubblicana slovena, nei propri principi fondamentali, garantiva ai cittadini italiani ed ungheresi (l’altra consistente minoranza in Slovenia) la realizzazione dei loro diritti costituzionali inserendoli su un piede di eguaglianza con i cittadini di etnia maggioritaria.

Al suo interno ad esempio spiccava l’articolo 157 che dava la possibilità agli italiani e agli ungheresi di essere adeguatamente rappresentati nelle Delegazioni.

Merita menzione anche l’articolo 251 che prevedeva la possibile nascita di "Comunità di interesse autogestite" per sviluppare la cultura, l’educazione, l’istruzione e la stampa nella propria madrelingua.

Queste "Comunità", che erano in sostanza organi statali nei vari Comuni, avevano grossomodo potere di decisione e veto sulle questioni riguardanti la nazionalità italiana.

In Croazia i diritti della nazionalità erano garantiti, ma ad un livello più basso. Gli articoli 219 e 380 prevedevano ad esempio la nascita di Commissioni nei vari Comuni e nel Sabor, cioè il Parlamento Croato.

I diritti erano sanciti anche a livello comunale. Lo schema dei vari statuti era tutto sommato uniforme e seguiva la falsariga delle costituzioni; i punti principali che si potevano rinvenire in tutti gli statuti erano l’uguaglianza dei diritti civili e politici, la multilateralità dello sviluppo politico ed economico, la libertà di uso della lingua madre, la possibilità di costituire organizzazioni culturali, l’accesso ai pubblici impieghi, la rappresentanza presso le assemblee comunali e l’insegnamento in lingua nelle scuole.

Le Comunità italiane dei tre Comuni sloveni godevano di più diritti nel campo del bilinguismo; l’italiano era lingua ufficiale insieme allo sloveno e vi era un perfetto bilinguismo nei documenti e negli atti pubblici nonché negli uffici e nei tribunali.

Negli altri comuni croati, ad esclusione di Buie e di Rovigno il bilinguismo aveva una minore diffusione. Nei grossi centri come Pola e Fiume esso trovava una certa applicazione, mentre era quasi assente altrove come a Pinguente, a Pisino, ad Albona e ad Abbazia.

Non dobbiamo dimenticare che parte del territorio occupato dalla comunità nazionale italiana era sottoposto alla tutela internazionale derivante prima dallo statuto speciale annesso al Memorandum di intesa e poi dal Trattato di Osimo; in queste zone quindi, che coincidevano grossomodo con la parte slovena dell’Istria con l’aggiunta del buiese, lo standard di protezione giuridica era sicuramente più elevato che nel resto della penisola.

L’applicazione di tutte queste norme, sulla carta sufficienti a garantire una adeguata protezione, era però decisamente deficitaria e la violazione delle stesse era estremamente frequente.

Come visto nel capitolo 2 una delle maggiori lotte portate avanti dal prof. Borme e dal resto del gruppo dirigente fu quella di pareggiare l’effettiva applicazione delle norme "sul campo" a quello che era previsto "sulla carta"; a distanza di tanti anni questo è ancora uno dei problemi o forse il problema più rilevante che si pone di fronte alla "intellighenzia" dell’Unione Italiana.

B – La tutela giuridica in Croazia

La "prima" costituzione della Croazia indipendente, del 22 dicembre 1990, tuttora in vigore, prevede al suo interno alcuni articoli concernenti la tutela delle minoranze etniche tra le quali si colloca a pieno diritto anche quella italiana.

Nell’articolo 15 è sanzionato che "nella Repubblica di Croazia gli appartenenti a tutti i popoli e minoranze hanno pari diritti […] si garantisce la libertà di esprimere l’appartenenza nazionale, il libero uso delle proprie lingua e scrittura nonché l’autonomia culturale".

I diritti dei vari gruppi etnici vengono però trattati in forma più ampia nella cosiddetta "Legge costituzionale sui diritti dell’uomo e sulla libertà ed i diritti delle comunità o minoranze nazionali ed etniche", anch’essa ancora valida.

Questa normativa risente della drammatica situazione generale e soprattutto della conflittualità innescatasi con la Comunità serba, allora dominante nella regione della Krajna.

E’ lecito sospettare che la questione serba abbia condizionato il riconoscimento stesso dello stato e che i metodi a dir poco impositivi cui si ricorse nel perseguire una progettazione politica fondata sull’unitarietà e l’omogeneizzazione culturale dello stato, siano stati in parte provocati da tale tensione.

Questa normativa di rango costituzionale si compone di 65 articoli, la maggior parte dei quali riferiti alla Comunità serba. Pochi articoli trattano dei diritti dei piccoli gruppi etnici, cioè delle minoranze che non raggiungono la quota dell’8%; la legge prevede l’autonomia culturale per tutte le minoranze etniche considerate nel testo costituzionale (musulmani, sloveni, cechi, slovacchi, italiani ed ebrei), ma concede l’autonomia politica solo alla comunità serba insediata nei due distretti (Kotar a statuto speciale).

Gli articoli dal 3 al 6 definiscono e tutelano in maniera molto generica l’autonomia culturale e la parità.

Il criticatissimo articolo 7 regola il bilinguismo e l’uso ufficiale della lingua della minoranza che è garantito solo nei comuni nei quali il gruppo etnico interessato rappresenti la maggioranza assoluta della popolazione.

Questa statuizione è parzialmente addolcita dall’articolo 8 che concede alle autorità locali, in maniera vaga e generica, di stabilire l’uso ufficiale di due o più scritture.

Questo articolo può essere interpretato in maniera controversa ed una sua eventuale interpretazione restrittiva (che sembra quella preferita dalle autorità croate, N.d.A.), non andrebbe certo a vantaggio della minoranza italiana che non era (e non è) maggioranza assoluta in quasi nessun comune.

Gli articoli dal 9 al 12 regolano l’uso dei simboli nazionali, l’attività d’informazione e l’editoria, l’organizzazione di istituzioni finalizzate alla tutela e allo sviluppo dell’identità della minoranza, stabilendo che è compito esclusivo dello stato fondare istituzioni etniche pubbliche.

Sotto il dettato di questa norma ricadono tutte le istituzioni della Comunità Nazionale Italiana (Edit di Fiume, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, mass media, Dramma Italiano ecc.); facendo ciò si riduce l’autonomia cui si fa cenno nella formulazione dei diritti fondamentali ad una vuota enunciazione di principio.

Gli articoli dal 14 al 17 trattano dell’educazione e dell’istruzione degli appartenenti alle minoranze. L’articolo 17 stabilisce il diritto alla minoranza di fondare proprie istituzioni scolastiche de-mandandone però allo stato la regolamentazione.

Tali articoli garantiscono l’esistenza di istituti scolastici con lingua d’istruzione della minoranza, laddove essa rappresenti la maggioranza relativa della popolazione comunale e, indi-pendentemente dalla sua dimensione numerica, nei comuni interessati dal fenomeno dell’esodo, i quali godono di un regime di tutela particolare, anche se ancora indefinito, per quanto concerne l’amministrazione pubblica, l’educazione, la cultura, la religione, i mass media e l’insegnamento della lingua della minoranza nelle scuole croate.

Questa norma sembra calzare a pennello per i comuni e le città nelle quali è storicamente presente l’insediamento italiano che altrimenti non godrebbe di alcuna tutela tranne che in rarissime eccezioni (comune di Verteneglio e di Grisignana N.d.A).

L’articolo 20 riconosce l’Ufficio, oggi quasi inattivo, per i rapporti con le nazionalità e il 64 coinvolge tutti i gruppi etnici poiché garantisce il livello di tutela già acquisito dai trattati internazionali, facendo menzione proprio del Trattato di Osimo.

Gli importanti articoli 18 e 19 riguardano la rappresentanza politica delle minoranze; a livello parlamentare ai grandi gruppi etnici, cioè in sostanza solamente al gruppo serbo, viene garantito un numero di seggi proporzionale alla loro dimensione, mentre ai piccoli un numero predeterminato di 5 seggi.

A livello locale tutti i gruppi etnici hanno diritto ad una rappresentanza predeterminata.

Questi articoli sono stati oggetto di contestazione poiché in definitiva negano l’esercizio del doppio voto "politico e nazionale" estendendo la possibilità di eleggere i canditati di minoranza indistintamente a qualsiasi elettore, e impedendo ai gruppi etnici di usufruire appieno del diritto di voto.

Al coro delle critiche si sono unite anche le organizzazioni della minoranza italiana e soprattutto in quanto massima esponente politica l’Unione Italiana, la quale ha stipulato un accordo elettorale su base informale con il partito regionalista della Dieta Democratica Istriana (D.D.I), il più vicino per programma al gruppo etnico italiano, che ha consentito l’elezione di un centinaio di consiglieri comunali di etnia italiana, di cui 8 su 40 al Consiglio regionale.

Attualmente il parlamentare italiano al Sabor croato è l’on. Furio Radin.

Questa legge è stata oggetto di numerosissime critiche da parte del gruppo dirigente della C.N.I.; in particolare, secondo costoro, una delle sue mancanze principali è l’omesso riferimento all’autoctonia del gruppo minoritario, requisito riconosciuto da tutti i trattati internazionali sull’argomento; inoltre l’eccessiva importanza che viene data al "fattore numerico" corre il rischio di trasformare i censimenti in vere e proprie campagne politiche.

Infine sono totalmente assenti concetti come quello della soggettività economica e politica, della uniformità di trattamento e dell’integrità della minoranza stessa che invece dovrebbero trovare collocazione in un documento di rilevanza costituzionale come questo.

Un’altra legge molto importante emanata dal neonato stato croato è la "Legge sulle autonomie locali", promulgata nel 1993, senza il voto della Dieta Democratica Istriana.

Questa legge definisce le regioni, il loro status e il loro ruolo nonché i compiti delle nuove circoscrizioni comunali e cittadine.

In precedenza, non esistendo le regioni, i comuni godevano di ampie autonomie, ad esempio nell’amministrazione, nella giustizia e nell’ambito della polizia locale, competenze che dopo questa legge sono passate allo stato.

La norma in questione prevede la divisione dei comuni "storici" in unità più piccole realizzando così un ulteriore dispersione degli italiani; inoltre le nuove circoscrizioni regionali dividono la minoranza italiana dell’Istria croata in due regioni differenti.

La prima è la regione Istria, con capoluogo Pisino, storica roccaforte croata, che ha vinto il ballottaggio con Pola, più aperta all’influenza italiana; questa scelta è stata tra le altre cose molto criticata dagli esponenti della C.N.I.. La seconda regione è quella Litoraneo-Montana (o Quarnero) con capoluogo Fiume.

Il confine tra queste due regioni corre a est di Fianona, pressappoco dove era situato il vecchio confine della Repubblica Serenissima; la consistenza numerica degli italiani nella regione Litoraneo-Montana è veramente piccola, poiché tale territorio si estende molto oltre quelli che sono i luoghi storici di insediamento della minoranza.

Ciò rappresenta indubbiamente un grave pericolo per l’unità di trattamento del nostro gruppo nello stato croato.

Tra l’altro nel Quarnero il gruppo etnico italiano non ha neanche quella tradizionale compattezza e comunanza d’intenti, che invece ha nell’Istria propriamente detta, e che ne ha, ogni tanto, semplificato l’esistenza.

Gli statuti regionali e quelli comunali sono stati principalmente emanati nel 1994; un’importante polemica, che vale la pena sottolineare, è quella avvenuta tra la regione Istria, dove la maggioranza politica è detenuta con consensi quasi plebiscitari dal partito plurietnico della D.D.I. (molto ben disposto verso la C.N.I.), e lo stato centrale croato.

Nel suo statuto la regione Istria aveva dato grandissimo risalto alle problematiche della minoranza italiana.

Nell’articolo 3 ad esempio la lingua croata e quella italiana venivano definite paritetiche, realizzando perciò un "bilinguismo perfetto".

Nell’articolo 23 era tutelata l’istrianità come espressione di plurietnicità.

La parità della lingua italiana rispetto a quella croata veniva garantita anche dall’articolo 24, che statuiva che nel territorio ove risiede storicamente la C.N.I. autoctona, italiano e croato fossero perfettamente equiparati.

Agli appartenenti alla minoranza si garantiva altresì il diritto di uso pubblico della lingua e scrittura italiana, il diritto di organizzare liberamente la propria attività informativa ed editoriale ed il diritto all’educazione ed istruzione ad ogni grado nella propria lingua secondo programmi particolari che contenessero in modo adeguato la loro storia, cultura e scienza, collegandosi, nel caso, con istituzioni in Croazia o all’estero (in Italia N.d.A.).

L’articolo 26 prevedeva il diritto di usare l’italiano nei tribunali e negli uffici amministrativi.

Nell’ipotesi che i comuni e le città della Regione Istria avessero adottato lo statuto bilingue veniva reso obbligatorio studiare la lingua italiana anche nelle scuole croate, mentre nei comuni che non avessero dovuto compiere questa scelta ciò sarebbe stato una semplice facoltà.

L’articolo 28 prevedeva che in merito alle questioni di particolare rilievo per la minoranza si garantisse il diritto di consenso alla "commissione per le questioni e la tutela dei diritti della C.N.I. autoctona".

La regione Istria riconosceva inoltre l’U.I. come unico rappresentante di tutti gli appartenenti alla comunità nazionale italiana e stimolava le condizioni "per l’attuazione del libero rientro e per l’ottenimento del pieno status di cittadini a tutti gli emigrati istriani" (cioè gli esuli, N.d.A.).

Secondo l’on. Furio Radin, parlamentare italiano al Sabor croato, "questo statuto regola in maniera ottimale la posizione della comunità italiana" e lo stesso Consiglio Europeo ha valutato positivamente i suoi articoli.

Il Governo croato avviò però una "procedura di costituzionalità" verso numerosi articoli dello statuto, molti dei quali riguardanti la minoranza italiana.

La Corte Costituzionale della Repubblica di Croazia, investita della questione, stralciò numerosi articoli di cui nove riguardanti la C.N.I. (ad esempio le norme sulla pariteticità della lingua e sulla realizzazione del bilinguismo).

Secondo la Corte le regioni sono enti statali e non possono introdurre altre lingue ufficiali; tale facoltà, secondo la Costituzione, sarebbe riservata ai comuni, ma non c’è ancora nessuna legge di attuazione, e quella in progetto è aspramente criticata dalla dirigenza U.I..

In Croazia quindi sembrerebbe anticostituzionale affermare che una lingua minoritaria sia paritetica alla lingua croata e quindi la costituzione croata non conoscerebbe il termine di bilinguismo o multilinguismo.

C’è pericolo perciò che negli statuti comunali recentemente approvati le norme sul bilinguismo vengano cancellate dal Governo croato o dalla Corte Costituzionale; inoltre la Corte Costituzionale ha cancellato anche l’articolo relativo al riconoscimento dell’U.I. come unico interlocutore della regione Istria e ciò in palese violazione degli accordi internazionali sottoscritti dal Governo croato, come il Trattato italo-croato sulla tutela delle minoranze del 1992, nei quali questo ruolo è ampiamente riconosciuto.

Il ruolo attivo della D.D.I. ha permesso comunque di raggiungere alcuni obbiettivi provvisori; l’U.I. sta inoltre richiedendo l’aiuto della Nazione Madre nel combattere questa battaglia che altrimenti rischierebbe di essere impari.

Il potere centrale aveva capito probabilmente la posta in gioco; uno stato centralista e nazionalista come quello croato, che aveva al Governo un partito come l’H.D.Z. e un Presidente semi despota come il defunto Franjo Tudjman, non poteva permettersi una eccessiva espansione del concetto di "regionalismo istriano".

La questione serba, come prima accennato, ha condizionato notevolmente l’attività del legislatore; alle minoranze autoctone infatti è stato applicato lo stesso trattamento riservato alle comunità etniche sorte in conseguenza dell’emigrazione territoriale nell’ex Jugoslavia.

In tal modo sembrerebbe essersi ridotto il livello di tutela maturato nell’assetto statuale e nel regime politico precedenti.

Le conseguenze di ciò si riflettono negativamente sulla rappresentatività politica, sull’autonomia culturale e sul livello di diffusione del bilinguismo.

Il Quarnero (la regione Litoraneo_Montana) è la parte più vulnerabile della minoranza italiana; il livello di tutela si colloca infatti al minimo accettabile e i rapporti interetnici sono più complessi che nell’area istriana, causa una ridotta dimensione numerica del gruppo e l’assenza di un partito regionalista che come la D.D.I. ne sostenga le richieste.

Nello statuto della regione Litoraneo-Montana viene prevista solo una generica possibilità di esercitare la libera scelta di appartenenza nazionale e il libero uso della lingua, mentre il resto dei diritti viene lasciato alla piena discrezione dei vari statuti comunali, Fiume in primis.

E’ auspicabile che l’entrata in vigore del Trattato Italo Croato del 5 novembre 1996 e l’ambizioso progetto politico della D.D.I. (cioè la creazione di una regione Istria Italo-Croato-Slovena multietnica e inserita nell’Europa unita) diano i propri frutti migliorando una situazione che al momento è abbastanza deficitaria.

Un altro grosso punto interrogativo è dato al momento dal risultato delle elezioni appena conclusesi che hanno visto il trionfo dei partiti che si opponevano all’egemonia dell’H.D.Z..

E’ auspicabile e probabile che questa nuova maggioranza di centro sinistra della quale fa parte anche la D.D.I. possa prestare maggior attenzione e dimostrare meno pregiudizi verso la minoranza di quanto facesse il precedente "regime" al potere.

Probabilmente una delle possibili strade per incrementare il livello effettivo di protezione è quella intrapresa dall’U.I., cioè l’accomunamento con il partito plurietnico della D.D.I., nel quale molti italiani sloveni e croati hanno potuto incontrarsi superando antichi conflitti e unendosi nel riconoscimento di una specificità istriana, che è una specificità plurietnica.

C – Tutela giuridica in Slovenia

La Costituzione Slovena, al contrario di quella Croata, non usa la formula di "Stato Nazionale", definendo invece il paese all’articolo 3 come Stato di tutti i cittadini, pur concedendosi il diritto permanente e inalienabile all’autodeterminazione.

Nell’articolo 5 essa prevede un’ampia tutela dello Stato verso i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali; i diritti delle Comunità Nazionali autoctone italiane e ungheresi sono espressamente menzionati, così come specularmente gli interessi degli sloveni emigrati.

L’articolo 11 sancisce l’ufficialità del bilinguismo nei territori dei Comuni in cui vivono le due minoranze; al contrario di quanto accade in Croazia, dove il gruppo italiano è sparpagliato a macchia di leopardo, in Slovenia, pur essendo di ridotte dimensioni (poco più di 3 mila unità), esso è concentrato sostanzialmente in tre cittadine: Capodistria, Isola e Pirano.

Secondo l’articolo 61 ogni persona ha il diritto di esprimere liberamente i sentimenti di appartenenza nazionale, mentre l’articolo successivo consente alle persone appartenenti ai gruppi minoritari di usare dinanzi agli organi statali e agli altri organi che svolgono pubblici servizi la propria lingua materna e la propria scrittura.

Di fondamentale importanza è l’articolo 64; in questa norma viene consentito alle minoranze l’uso di esibire i propri simboli nazionali, di istituire organizzazioni e sviluppare attività economiche, culturali e di ricerca scientifica nel settore della pubblica informazione e dell’editoria, di ottenere nei territori dichiarati bilingui l’istruzione nella propria lingua madre.

Inoltre l’articolo permette alle Comunità Nazionali il diritto di coltivare i rapporti con la propria Nazione Madre; lo Stato garantisce copertura economica e sostegno materiale, nel limite del possibile, riguardo a tutte queste iniziative.

La parte forse più interessante dell’articolo è quella in cui vengono definite le cosiddette "Comunità di Autogestione Nazionale" (C.A.N.), che possono ottenere dallo Stato il permesso di svolgere determinate mansioni e il sostegno per realizzarle; queste C.A.N. sono organi statali, ma alle Comunità Nazionali è consentito di esservi rappresentate, e di essere rappresentati anche negli organi delle autonomie locali e nel Parlamento Sloveno.

I diritti costituzionali sono garantiti a prescindere dal numero degli appartenenti alle Comunità; in questo caso il requisito dell’autoctonia, proprio del gruppo italiano e ungherese, è stato dallo stato sloveno ritenuto più importante di quello del peso numerico.

La chiosa a questo lungo articolo è data dal diritto di veto che i rappresentanti delle Comunità Nazionali hanno nei riguardi delle leggi e degli altri atti generali relativi all’attuazione dei diritti previsti dalla Costituzione che li interessano direttamente.

Nel settembre del 1994 è stata emanata dal Parlamento Sloveno l’importante "legge d’attuazione" dell’articolo 64 della Costituzione inerente alla materia delle C.A.N..

Secondo la legge, le C.A.N., che ricordiamo essere organi statali, deliberano autonomamente su tutte le questioni di loro competenza in conformità alla Costituzione, esprimono un consenso su questioni relative alla tutela dei diritti minoritari adottando prese di posizioni e avanzando proposte ed iniziative agli organi competenti.

Compito delle C.A.N. è altresì promuovere ed organizzare attività culturali, di ricerca, editoriali ed economiche in favore dello sviluppo delle Comunità Nazionali, fondare organizzazioni ed enti pubblici, partecipare attivamente all’organizzazione delle attività scolastiche e sviluppare contatti con la Nazione Madre; tutto ciò in collaborazione con i rappresentanti delle Comunità Nazionali eletti negli organi sloveni a qualsiasi livello.

La struttura delle C.A.N., stabilita dalla legge 9/94, si può definire a più strati, comprendendo alla base le Comunità Autogestite Comunali della Nazionalità (C.A.c.N.) elette dagli appartenenti alle minoranze che risultino iscritti nei particolari elenchi elettorali comunali e al vertice la C.A.N. stessa, risultante delle locali C.A.c.N.

Le particolarità di questi organi, oltre che da questa legge, sono fissate anche dai singoli statuti che esse hanno la facoltà di emanare per regolare la propria attività.

Gli organi dell’autonomia locale e gli organi statali hanno il dovere di ascoltare le richieste delle varie comunità autogestite, le quali hanno in pratica, come già visto in precedenza, una sorta di diritto di veto per tutte le questioni che riguardano da vicino il gruppo minoritario.

Il finanziamento dell’attività di questi organi, è dalla legge demandato in parte ai comuni sloveni, teatro delle loro operazioni, in parte alla stessa repubblica di Slovenia.

L’U.I. è riuscita ad evitare, dopo lunghe trattative, la divisione della rappresentatività poiché questa è permessa dalla legge anche ad altre organizzazioni.

Le autorità slovene mantengono comunque tuttora, nei confronti della massima organizzazione rappresentativa degli italiani, un atteggiamento che potremmo definire di "sopportazione", privilegiando come interlocutori principali C.A.N. e C.A.c.N.

Unica "consolazione" per i dirigenti U.I. è l’elevato livello di tutela garantito dalla Costituzione e dalle leggi che ne completano l’applicazione, nonché dalla superiore buona volontà che il Governo di Lubiana mostra nei confronti delle sue minoranze rispetto a quello di Zagabria.

Un altro punto a favore della C.N.I. è il processo, che sembra ormai irreversibile, che sta portando la Slovenia all’ingresso nell’Unione Europea, e che vede come "madrina" principale dello stato slavo, anche se dopo molti screzi, l’Italia stessa.

Un eventuale ingresso dello stato slavo in Europa significherebbe l’adeguamento degli standard di tutela giuridica, e non solo, (comunque già più che sufficienti) a quelli in vigore negli altri stati europei; una delle speranze dell’Unione Italiana è quella che la Slovenia riesca a trascinare con sé con il suo esempio al di fuori del "calderone balcanico" anche la cugina Croazia, che sarebbe così costretta a comportarsi di conseguenza.

Unico altro neo, oltre a quello della relativa mancanza di uniformità di trattamento, che si pone indirettamente di fronte alla nostra minoranza in Slovenia, è quello inerente alla non ancora del tutto sopita polemica tra Italia e Slovenia sulla rinegoziazione dei trattati ed in particolare degli accordi di Osimo del 1975.

Tutto sommato possiamo però definire la situazione della C.N.I. in Slovenia più che sufficiente.

 

D – Breve excursus sugli statuti Comunali più importanti

La posizione della C.N.I. è regolata a livello statutario in pressoché tutti i comuni e le "città" del territorio sloveno e croato.

Il livello di tutela è molto diverso a seconda delle zone, e rispecchia la falsariga delle impostazioni date dalle Costituzioni e dalle Leggi statali.

Nell’Istria croata brilla per l’elevato standard riservato alla minoranza, lo statuto della Città di Rovigno, dove la presenza italiana o mistilingue è tutt’oggi molto rilevante costituendo più del trenta per cento del totale.

Nella città di Rovigno è garantita l’assoluta parità delle lingue croata ed italiana (articolo 7); l’articolo 10 si impegna a favorire il libero rientro e l’acquisizione dello status di cittadino a pieni diritti a tutti gli esuli e gli optanti e favorisce i loro rapporti con il paese natio.

All’articolo 19 viene garantita l’autonomia culturale alla C.N.I. e ai suoi appartenenti e vengono create le condizioni per la fondazione e l’attività di società specifiche della minoranza.

La lingua croata e la lingua italiana sono considerate paritetiche e tutte le affissioni pubbliche e le pubblicazioni degli atti normativi e in genere tutta la comunicazione scritta con tutti i cittadini, devono essere bilingui.

Gli organi statali, i partiti politici e tutte le persone giuridiche devono fare uso di timbri bilingui e così sono anche carte di identità e moduli pubblici. Gli impiegati degli Uffici dell’amministrazione devono conoscere italiano e croato.

L’articolo 32 riconosce la Comunità degli Italiani di Rovigno come rappresentante ufficiale di tutti gli appartenenti alla C.N.I. e il suo sostentamento viene demandato alla città stessa; agli appartenenti alla C.N.I. sono garantiti inoltre dall’articolo 33 la salvaguardia dell’identità nazionale, il diritto di fondare società culturali autonome, il diritto all’educazione e all’istruzione nella propria lingua madre, nonché quello di esibire i propri segni distintivi nazionali, in particolare la bandiera tricolore italiana.

Ad essa inoltre è consentito di stabilire liberi contatti con la Nazione Madre.

Le lingue d’uso sono addirittura parificate nelle scuole; in particolare nella scuola con lingua d’insegnamento croato è obbligatorio l’insegnamento della lingua italiana.

Una speciale commissione "per le questioni e la tutela dei diritti della C.N.I. autoctona" opera con diritto di veto presso il Consiglio Municipale cittadino, nel quale gli italiani devono essere obbligatoriamente presenti in un determinato numero e con determinate cariche.

Anche nella Città di Pola, tradizionale punto di riferimento del sentimento italiano in Istria, le norme dello Statuto tutelano in maniera sufficiente le esigenze della C.N.I.; a Pola vivono tuttora circa 5 mila italiani su un totale di quasi 70 mila abitanti, dei quali numerosi sono di recente immigrazione interna.

Alcuni articoli di questo Statuto prevedono che all’interno del Consiglio Comunale vi siano un certo numero di appartenenti alla minoranza italiana, ad esempio italiano deve essere uno dei due vicepresidenti e uno dei due sostituti del sindaco.

L’articolo 97 prevede la libertà di esprimere l’appartenenza nazionale ed il libero uso della lingua, nonché la tutela nella partecipazione agli affari pubblici, a prescindere dall’incidenza numerica del gruppo sulla popolazione complessiva.

Agli appartenenti alla C.N.I. viene garantita, oltre al libero uso della lingua, la promozione culturale e il diritto ad ottenere una propria istruzione; l’articolo 100 assicura infatti agli alunni italiani che frequentano scuole di ogni ordine e grado che l’insegnamento sia impartito nella propria madrelingua.

Anche a Pola, nelle scuole della maggioranza, è obbligatorio lo studio della lingua italiana.

L’articolo 102 riconosce la C.D.I. di Pola come rappresentante ufficiale della nazionalità e dà ad essa sostegno e supporto morale e materiale.

Il bilinguismo, pur essendo esteso anche a tutti gli atti pubblici nonché a tutte le insegne e le tabelle, non è "perfetto" come a Rovigno perché manca nello statuto un’esplicita dichiarazione di pariteticità delle due lingue.

Nel capoluogo della regione Istria, la Città di Pisino, gli italiani rimasti non sono molti (circa 500); Pisino, già nell’epoca in cui l’Istria era italiana, era considerata la roccaforte delle rivendicazioni nazionali croate.

In particolare il fatto che sia stata scelta dallo stato come capoluogo regionale nonostante conti meno di un quarto degli abitanti di Pola, è suonato quantomeno strano ai rappresentanti dell’U.I. nonché a quelli della D.D.I..

Lo statuto della Città di Pisino tratta della minoranza in un solo articolo, l’8, nel quale è previsto il diritto all’uso libero e paritario della lingua e della scrittura, della bandiera e l’esercizio degli altri diritti stabiliti dalla costituzione.

Lo studio della lingua italiana è garantito come facoltativo in tutte le scuole elementari e medie, e la Città si fa carico di assumere operatori scolastici e dipendenti pubblici che conoscano anche la lingua italiana.

Anche nella Città di Pinguente, situata come Pisino in pieno entroterra, i diritti degli italiani sono scarsamente tutelati; lo statuto pinguentino segue la falsariga di quello del capoluogo, concedendo alla C.N.I. l’uso libero della lingua e lo sviluppo della cultura italiana.

La presenza italiana, storicamente forte nella Città di Albona, si riflette in uno Statuto Comunale che riserva alcune caratteristiche originali.

Oltre a stabilire la libera espressione delle peculiarità nazionali, l’uso libero e paritario della lingua e scrittura, l’educazione e l’istruzione nella sua lingua e l’autonomia culturale, l’articolo 13 dello Statuto riconosce la locale Comunità degli italiani quale "rappresentante autoctono, democratico, apartitico e ufficiale degli appartenenti alla C.N.I. con attributi di natura economica, culturale e sociale […] Ad essa la città assicura i mezzi finanziari e correnti".

L’articolo 15 assicura alla minoranza l’istruzione elementare e media nella lingua materna, in seno alle istituzioni in cui l’insegnamento si svolge in lingua italiana.

E’ curioso notare che dal 1953, dai tempi del "Decreto Perusko", ad Albona non esiste una scuola italiana!

L’articolo 15 prevede altri diritti riservati alla minoranza, quali quello di avere un certo numero di dipendenti pubblici che conoscano l’italiano, di poter celebrare matrimoni e di vedersi rilasciati, dietro richiesta, certificati, attestati e moduli in lingua italiana.

Anche la Città di Parenzo prevede nel proprio Statuto numerosi articoli riguardanti la minoranza italiana.

La qualità della tutela giuridica ricorda molto da vicino la "Carta" albonese appena esaminata, ma il gruppo è più tutelato per quanto riguarda determinati aspetti.

Ad esempio l’articolo 7 definisce autoctona anche la parte italiana della popolazione, l’articolo 17 prevede che negli abitati di Parenzo e Torre le scritte sulle tabelle e le indicazioni stradali e toponomastiche debbano essere bilingui e l’articolo 21 consente agli appartenenti alla C.N.I. locale di allacciare con la Nazione Madre relazioni nel campo della cultura ed in altri settori.

E’ interessante raffrontare gli statuti precedenti con quello della Città di Buie che, avendo fatto parte dell’ex zona B ha sempre goduto di una tutela particolare ed "internazionalizzata" rispetto a quella vigente nel resto della zona di insediamento del gruppo etnico italiano.

Nello statuto della Città è sancita all’articolo 7 la perfetta pariteticità delle lingue croata e italiana; l’articolo 16 prevede che tutte le disposizioni e le insegne pubbliche siano esposti in entrambe le lingue.

Alla C.N.I. è consentito anche esporre la propria bandiera, organizzare ogni genere di attività culturali ed economiche e far si che ai propri figli sia impartita istruzione, anche prescolare, in lingua italiana.

Lo statuto, ricco di interessanti disposizioni, ripercorre la falsariga di quello di Rovigno, dimostrando così l’ottima tutela esistente in quest’ultimo comune.

Passando ad esaminare lo statuto della Città di Fiume, capoluogo della regione Litoraneo-Montana, il salto all’indietro è immediatamente riscontrabile.

Nella Città di Fiume vive la comunità italiana più numerosa; quasi 7 mila fiumani sono infatti iscritti alla locale Comunità degli Italiani e il loro numero è in continuo aumento, facendo peraltro nascere qualche sospetto sull’effettiva italianità di tutte queste persone.

Questi 7 mila italiani vivono in una città di quasi 200 mila abitanti, che si può definire tranquillamente come un crogiolo di razze tra le più disparate, dato che l’immigrazione del dopoguerra (sia quella verso l’Italia che quella dall’interno della Jugoslavia verso la città) ha completamente stravolto la fisionomia etnica precedente.

Il dettato dello statuto fiumano ricalca quello delle carte di Pisino e Pinguente, prevedendo perciò poche norme a favore della C.N.I.; a questa è garantito il libero uso della propria lingua, l’autonomia culturale e la partecipazione paritaria ai pubblici affari, nonché una rappresentanza proporzionale al proprio numero nel Consiglio cittadino all’interno del quale opera anche un "comitato per le questioni delle comunità etniche", che però al contrario di quanto accade in altri comuni, ha solo un potere consultivo.

Negli altri comuni quarnerini dove risiede storicamente la minoranza, come ad esempio Abbazia, Laurana e Mattuglie, la situazione ricalca quella esistente nel capoluogo.

Si può dedurre quindi che la tutela in Croazia è molto diversificata; vi sono due regioni e tantissimi comuni, in ognuno dei quali la C.N.I. è trattata in modo diverso.

Come già detto in precedenza il tasto dell’uniformità di trattamento è quello maggiormente toccato dall’U.I. che, come tutti gli italiani in Istria, auspica che l’entrata in vigore degli strumenti internazionali di recente ratifica e un più solerte intervento della Nazione madre, possano migliorare la situazione.

Non dimentichiamo che sugli statuti comunali pende la spada di Damocle della sentenza della Corte Costituzionale che ha stralciato molti articoli dello statuto della regione Istria e che, se interpretata restrittivamente, potrebbe ripercuotersi su di essi con gravissime conseguenze; una sfida molto importante sarà quella di far si che la futura uniformità livelli verso l’alto e non verso il basso la tutela giuridica delle minoranze.

Chi vi scrive ha soggiornato per un certo periodo di tempo in Istria e vi può assicurare che talvolta spostamenti di pochi chilometri portano a scoprire realtà totalmente differenti e nelle quali la minoranza italiana è considerata nei modi più disparati; auspichiamo quindi che il nuovo esecutivo di centrosinistra guidato da Racan presti maggiore attenzione alle problematiche del G.N.I..

Esaminiamo infine lo statuto del "Comune Città" di Capodistria portandolo ad esempio della situazione che regna nella parte slovena della regione.

Alla tutela della minoranza italiana è dedicata un intera sezione dello statuto e più esattamente la quinta, che tratta della "Posizione della Comunità Nazionale Italiana e dei suoi appartenenti".

L’articolo 92 consente agli italiani di manifestare liberamente la propria appartenenza nazionale, di usare la propria bandiera e la propria lingua, nonché di istituire organizzazioni in campo culturale, sociale ed economico.

La peculiarità, rispetto agli statuti dell’Istria croata, è costituita dal ruolo che la C.A.c.N. è chiamata a giocare dalla Carta capodistriana nella quale essa è l’organo che deve attuare i diritti e i doveri di particolare importanza per la comunità nazionale.

Ad esempio le è demandato il compito di esprimere il consenso su tutte le questioni che riguardino la tutela dei diritti minoritari, di assumere prese di posizioni e di avanzare proposte presso gli organi competenti, e più in generale di attuare tutte le prerogative proprie della C.A.c.N. già menzionate nella Costituzione slovena e nella legge sulle C.A.N. del settembre 1994.

Vale la pena sottolineare che la C.A.c.N. deve fornire un parere preliminare su molti atti del Comune, come ad esempio lo Statuto stesso e il Bilancio di Previsione.

Nel Comune di Capodistria, così come nel resto dell’Istria slovena, il bilinguismo è pressoché perfetto; lo Statuto lo prevede in molti articoli, ammettendo ad esempio che procedimenti penali e civili si svolgano in entrambe le lingue.

Gli italiani, naturalmente, hanno diritto ad un’istruzione nella propria lingua, che viene studiata anche nelle scuole della maggioranza, ma anche a vedersi rilasciati certificati e documenti in lingua materna.

Notiamo che anche a livello statutario, così come a livello costituzionale, i nostri connazionali godono di una maggiore protezione, sia sulla carta sia effettiva.

Occorre rammentare che la situazione economica in Slovenia è molto migliore rispetto a quella della Croazia, la quale sta uscendo faticosamente dalle secche del conflitto che ha insanguinato l’ex Jugoslavia; quindi non diciamo un’eresia se affermiamo che la parte di minoranza che abita in Slovenia gode di un livello di vita, sotto tutti gli aspetti, superiore.

I richiami all’unità effettuati dall’U.I. corrono pertanto il rischio di diventate anacronistici qualora la Croazia dovesse veder aumentare ulteriormente il gap economico-sociale che la separa dai cugini sloveni.