CAPITOLO 5

I RAPPORTI CON LA NAZIONE MADRE

5.1 - GLI ANNI DEL DOPOGUERRA

In seguito al trattato di pace di Parigi, che sanzionò la cessione da parte dell’Italia, dell’Istria, di Fiume e di Zara alla Jugoslavia e l’esodo della stragrande maggioranza della popolazione italiana da queste terre, i rapporti di coloro che potremmo definire i "rimasti" con la Nazione Madre furono interrotti.

Le relazioni della componente italiana con la madrepatria mano a mano si diradarono sino al punto che a causa della cortina di ferro che allora gravava sull’Europa e rendeva i confini impermeabili, i rapporti personali e le relazioni familiari furono impediti.

Vennero a mancare le fonti primarie della cultura in lingua madre; libri, giornali, film, spettacoli teatrali e tutte le espressioni culturali provenienti dallo spazio italiano furono preclusi e, nello stesso tempo, si depauperò il patrimonio librario esistente nelle numerose biblioteche pubbliche e private a causa dell’"attenzione particolare" che il regime jugoslavo aveva nei confronti di opere e testi ad esso sgraditi.

A soffrire particolarmente questa condizione di isolamento furono le strutture scolastiche italiane di ogni ordine e grado, che subirono notevoli conseguenze a causa dell’esodo, dell’improvviso processo di epurazione di molti docenti e chiaramente dalla mancanza di libri di testo.

A questi gravi problemi tentò di fare fronte l’U.I.I.F. promuovendo ad esempio la formazione professionale di nuovi insegnanti, la stampa di nuovi libri e manuali e l’organizzazione di manifestazioni volte a salvaguardare ciò che restava della presenza culturale italiana.

Tra le più importanti iniziative a questo scopo vi fu senza dubbio la fondazione dei Circoli Italiani di Cultura con lo scopo di rivitalizzare l’humus della minoranza decapitato dall’esodo.

Durante gli anni ’50, come abbiamo visto nei precedenti capitoli, le iniziative della massima organizzazione degli italiani in Istria scemarono via via per il ridimensionamento che l’aveva colpita riducendola a mero ente culturale, e per l’idiosincrasia, appena mascherata, mostrata dal governo verso la componente italiana della regione.

I primi contatti significativi con il mondo della cultura in Italia avvennero nei primi anni ’60 e consistettero inizialmente nell’invio dalla Nazione Madre di un contingente di quasi novemila volumi, che contribuirono ad arricchire il patrimonio librario istriano, con la creazione di sette biblioteche circolanti.

Inoltre una delegazione ufficiale dell’U.I.I.F. si recò, guidata dal Prof. Antonio Borme, allora presidente della commissione scolastica, al congresso nazionale italiano degli insegnanti delle scuole medie del 1961, tenutosi in Piemonte.

Questi episodi furono solo l’inizio di una collaborazione che si mostrava però saltuaria e sporadica; ad esempio, sempre nel 1961, l’adesione di alcuni docenti universitari italiani contribuì alla riuscita del "Primo seminario di perfezionamento linguistico per gli insegnanti della minoranza", il quale diede notevoli risultati, convincendo le autorità scolastiche di Pola a costituire una sezione di magistero in lingua italiana presso la Facoltà di Pedagogia della città, sezione che opera ancora oggi.

La collaborazione andava oltremodo infittendosi, anche sfruttando il nuovo e migliore clima politico creatosi nei rapporti tra i due stati confinanti e l’U.I.I.F. capì che poteva giocare le sue carte a beneficio dei connazionali interpretando il ruolo di "ponte ideale per la pacifica collaborazione tra la Jugoslavia e l’Italia, coltivando relazioni con organizzazioni e istituzioni progressiste italiane" e "avviando un processo di consolidamento del ruolo culturale e sociale della minoranza italiana in Istria e nel Quarnero".

La sporadicità dei rapporti culturali tra la minoranza e la Nazione Madre venne interrotta parzialmente nel 1962, quando intercorse un accordo raggiunto dai componenti della commissione mista jugo-italiana, prevista dal Memorandum di Londra del 1954.

Questo accordo portò all’organizzazione di un "seminario di lingua e cultura italiana annuale", il primo dei quali fu tenuto da dodici professori provenienti dalle maggiori università della madrepatria; questo seminario, ideale proseguimento di quello dell’anno precedente, inserendosi nel quadro degli accordi derivanti dal Memorandum di intesa, fu riservato esclusivamente agli insegnanti e agli studenti del distretto di Capodistria e dell’ex distretto di Buie, che costituivano l’unica parte del territorio di insediamento storico destinata a fruire delle agevolazioni previste dall’accordo internazionale.

L’U.I.I.F., pur sottolineando la lodevole, anche se molto tardiva iniziativa, auspicò immediatamente l’estensione del seminario agli altri centri della regione, facendo presente del resto la necessità di inviare il corpo insegnante, che operava in Istria e a Fiume, a seguire particolari corsi di perfezionamento in Italia.

Da qualche anno inoltre, le relazioni culturali erano incentivate anche dall’"Ufficio di collegamento con il Ministero degli Esteri italiano", ufficio anch’esso costituito in base al dettato del Memorandum di intesa.

Verso la metà di luglio del 1964 Italia e Jugoslavia firmarono un accordo sulle questioni scolastiche dei due gruppi nazionali; tale accordo estendeva quello derivante dal Memorandum di intesa, prevedendo, oltre all’organizzazione dei seminari di aggiornamento già ricordati in precedenza, anche la nomina di un consulente pedagogico per parte, lo scambio di libri di testo e mezzi didattici, la concessione di borse di studio, l’organizzazione di gite scolastiche nei rispettivi paesi e le elaborazioni di programmi per l’insegnamento della storia.

Ancora una volta però i limiti territoriali dell’accordo si fermavano al fiume Quieto, escludendo la gran parte dei fruitori dai possibili risultati; la denuncia dell’U.I.I.F. e del suo deus ex machina Antonio Borme non tardò a farsi sentire.

Secondo l’U.I.I.F., l’esclusione arbitraria della maggioranza della comunità nazionale dalle misure contemplate dai due governi rendeva evidente la situazione anacronistica nella quale era costretta a vivere questa fetta di popolazione, nonché la pessima impostazione che al problema aveva dato il Memorandum di intesa.

L’organizzazione in quegli anni stava rialzando la testa sotto la spinta del suo presidente; il gruppo dirigente aveva capito che la possibile soluzione dei suoi problemi non sarebbe potuta venire da un accordo ufficiale tra i due paesi, e che occorreva muoversi "motu propio" per tentare di uniformare le modalità di tutela e di trattamento dei connazionali e promuovere analoghi interventi culturali e didattici per le persone non comprese nel territorio dell’ex zona B.

Nel 1962 si tenne un primo incontro non ufficiale nella cittadina istriana di Dignano fra i rappresentanti dell’U.I.I.F. e quelli dell’Università Popolare di Trieste e in questa sede furono poste le basi per quella che doveva rivelarsi una collaborazione estremamente proficua.

 

 

 

 

 

 

 

 

5.2 - L’UNIVERSITA’ POPOLARE DI TRIESTE

L’Università Popolare di Trieste fu costituita nel lontano 1899, nel capoluogo giuliano, da prestigiosi intellettuali, quali Felice Venezian, Bernardo Benussi e Giuseppe Caprin e operò quale punto di riferimento della cultura italiana nella "città dell’alabarda", ancora sotto il dominio austriaco, a cavallo dei due secoli.

Scopo principale dell’ente, uno dei primi sodalizi italiani di questo tipo, fu quello di essere una "scuola libera municipale", nata per incrementare e sostenere l’alfabetizzazione e la cultura delle masse cittadine e dei sobborghi, organizzando corsi e conferenze nelle materie più disparate.

Scopo secondario, ma non troppo, fu coalizzare il forte sentimento nazionale italiano di larghissimi strati della popolazione sfidando la repressione di governo e polizia asburgici.

Una volta realizzata l’annessione di Trieste all’Italia, al termine della prima guerra mondiale, l’ente poté dedicarsi esclusivamente a finalità didattiche; la sua libertà di movimento fu però limitata dalle interferenze provenienti dalle strutture del Partito Nazionale Fascista.

La repressione esercitata in città dalla dittatura mussoliniana, che mal sopportava la tradizione irredentista dell’ente, e la relativa indipendenza dal regime, che il suo grande prestigio gli conferiva, fecero sì che l’istituzione triestina si defilasse in una posizione di secondo piano, inserita nelle strutture dopolavoristiche dell’"Opera Nazionale" con funzioni di organo ufficiale per le attività culturali.

Le vicende belliche portarono ad una sostanziale sparizione dell’ente morale; la profonda crisi susseguente al secondo dopoguerra, che si rifletté pesantemente sulla città di Trieste, fece però maturare l’esigenza di affiancare al processo di ristrutturazione materiale ed economico, iniziative volte ad affermare con forza il sentimento nazionale della popolazione, in un clima caratterizzato da profonde spaccature e dalla lotta per riannettere la città all’Italia.

La ricostruzione dell’U.P.T. avvenne per necessità contingenti al particolare momento politico sotto la direzione della Lega Nazionale, un’organizzazione che nell’immediato dopoguerra svolgeva in città una notevole opera culturale e politica a favore della causa italiana e dei sentimenti patriottici della popolazione.

L’U.P.T. riuscì comunque ad avere una propria autonomia politica, mantenendo direttore e consiglio d’amministrazione diversi da quelli della Lega Nazionale.

Il 19 luglio del 1951 il Governo militare alleato assegnò all’U.P.T. il titolo di Ente Morale disegnando per l’organizzazione un ruolo indipendente da quello di altri enti e associazioni e facendola dipendere direttamente dalla prefettura di Trieste, cioè da un’amministrazione che per sua natura mai avrebbe potuto sostenerla finanziariamente.

I problemi che angustiavano l’ente erano quindi prevalentemente di natura economica, tanto che i suoi programmi vennero interrotti per qualche tempo, fino a quando un energico intervento del Governo italiano, nel frattempo reinstauratosi in città, le consentì di riprendere l’attività.

L’U.P.T. si pose da subito il problema della conservazione dell’identità e della cultura italiana nei territori ceduti alla Jugoslavia, e allo stesso tempo si propose di incominciare l’instaurazione dei rapporti con la componente dei rimasti.

Il clima politico nei primi anni ’50 non era però adatto alla ripresa istantanea dei rapporti e i primi tentativi dell’ente triestino non ebbero alcun esito, anzi furono bersagliati da numerose polemiche, non ultima quella della componente triestina, e non, degli esuli, che non prendeva nemmeno in considerazione questa ipotesi.

Come già detto in precedenza, nel 1958 incominciarono ad operare, nell’ambito della Commissione mista italo-jugoslava per le minoranze prevista dall’articolo 8 del Memorandum di intesa, l’"Ufficio di collegamento con il Ministero degli Affari Esteri" e il consulente pedagogico del Governo italiano; la loro azione era però frenata dal limite territoriale più volte ricordato.

Il Governo italiano e i suoi organismi non potevano quindi attuare direttamente iniziative culturali in favore della minoranza oltre il Quieto, ma nessuno poteva impedire ad un ente morale non governativo come l’U.P.T. di iniziare e intensificare rapporti di collaborazione culturale e sociale a sostegno dell’identità nazionale e delle istituzioni della comunità italiana residente negli altri territori istro-quarnerini.

In base a queste esatte considerazioni l’ente giuliano avviò i primi contatti con l’U.I.I.F., superando anni di stallo durante i quali nessuno si era mosso per porgere un aiuto concreto alla comunità italiana; esso superò pregiudizi e preconcetti largamente diffusi e si impegnò con forza insieme al gruppo dirigente dei rimasti per incominciare una collaborazione al di fuori dei canali istituzionali che si rivelerà in futuro non solo feconda ma addirittura irrinunciabile.

 

5.3 - LA COLLABORAZIONE FRA U.P.T. E U.I.I.F.

L’avvio della collaborazione fra i due enti ebbe luogo a Rovigno nel settembre del 1964.

Nel corso di un incontro a cui presero parte i massimi dirigenti delle due organizzazioni, ovverosia Luciano Rossit, Giuseppe Rossi Sabatini e Antonio Borme, si tracciarono le condizioni e i principi portanti della collaborazione, che sopravvivono inalterati ancora oggi.

Capisaldi degli accordi erano, e sono tuttora, la non interferenza reciproca nelle questioni interne dei rispettivi istituti, il rispetto della piena autonomia dei due enti e la limitazione della collaborazione ai soli campi della cultura e della conservazione dell’identità nazionale della minoranza.

Obiettivo principale dell’iniziativa era riuscire ad evitare la regressione culturale degli italiani dell’Istria, che si paventava dato l’isolamento a cui la nostra minoranza doveva sottostare, isolamento dovuto principalmente a quella che allora era una vera e propria impermeabilità dei confini.

Borme, Rossit e Rossi Sabatini, si impegnarono ad assicurare alla collaborazione una costante continuità, escludendo ogni tipo di provvisorietà e di improvvisazione, poiché, a loro parere, rapporti ininterrotti e quotidiani con l’Italia sarebbero stati l’unica garanzia per la minoranza italiana di non essere progressivamente assimilata dalla maggioranza sloveno-croata.

L’U.I.I.F. si preoccupò di informare i connazionali e, in generale, l’opinione pubblica jugoslava, della grande novità e soprattutto, del fatto che i contatti con la cultura italiana non sarebbero più stati occasionali, ma permanenti.

Il rapporto di collaborazione, probabilmente dato l’estremo bisogno di "linfa culturale" della minoranza, decollò immediatamente, e il primo bilancio dei risultati conseguiti venne effettuato nella XII Assemblea dell’U.I.I.F. svoltasi a Pola nel 1965.

Qui il Borme, nella sua relazione ai delegati, rilevò gli ottimi risultati e ribadì la necessità della comunità nazionale di "attingere alle fonti culturali dell’Italia per garantire la nostra vitalità e assicurare le condizioni del nostro sviluppo".

Le iniziative prese nei primi anni si concretizzarono ad esempio in una "mostra itinerante del libro italiano" e in alcuni corsi di istruzione, che negli anni successivi avrebbero ottenuto uno sviluppo senza precedenti e sarebbero stati integrati dalle gite dopocorso in madrepatria per i partecipanti; ma soprattutto la collaborazione si incentrò sulla strenua difesa e la continua promozione della lingua italiana, nonché essendo la lingua un fenomeno in continuo divenire, nel suo costante aggiornamento.

Con lo scopo di rilanciare la componente degli intellettuali del gruppo nazionale, quasi completamente falciata dall’esodo, uno dei campi dell’accordo previde l’assegnazione di alcune borse di studio a sostegno di questa importante categoria; tutto ciò si sommò agli interventi a favore dell’aggiornamento culturale e professionale di insegnanti, giornalisti e professionisti dell’etnia.

La relativa libertà goduta in questo periodo dai nostri connazionali, libertà che si rifletteva nella trasparenza e nella sempre maggiore consistenza della collaborazione con l’U.P.T., era dovuta alle timide aperture che in qual periodo registrava la Federazione Jugoslava, che stava attraversando un periodo di cambiamenti e relativa democratizzazione.

Si susseguirono iniziative sempre più interessanti che coinvolsero una parte sempre maggiore della popolazione, come ad esempio le proiezioni di una serie film in lingua italiana i quali ottennero un grandissimo successo di pubblico, generando anche reazioni negative da parte delle autorità locali in alcune località dell’Istria.

Una menzione particolare merita il concorso di arte e cultura "Istria nobilissima", promosso dall’U.P.T. in collaborazione con il Circolo dei poeti letterati ed artisti, che vide la luce nel 1967 elevandosi a uno dei principali strumenti di crescita culturale della comunità italiana e costituendo un grande banco di prova e una grande cassa di risonanza per la produzione letteraria ed artistica del gruppo nazionale.

In questo concorso, giunto oggi alla trentaduesima edizione, l’attività letteraria in poesia e in prosa, sia in lingua italiana sia in dialetto, il teatro e la saggistica hanno sempre avuto grandissimo rilievo, ma sono ottimamente rappresentate anche le cosiddette arti visive e la musica.

Attualmente il concorso, che si prefigge di promuovere e affermare la creatività artistica e culturale della Comunità Nazionale nel suo territorio di insediamento storico e nella Nazione Madre, si è arricchito di alcune categorie quali il premio "Giovani", destinato a portare alla ribalta forze nuove, ma soprattutto è stato aperto anche agli esuli; ciò per ricordare che nonostante le due realtà siano divise esse mantengono sostanzialmente la stessa matrice culturale, che deve essere coltivata e rafforzata per far sì che la rinascita dei rapporti non sia più solamente un’utopia di pochi.

Il successo ottenuto dalle molteplici iniziative avviate dai due enti a favore della minoranza, iniziative che non avevano mai avuto riscontro negli anni precedenti, colse l’obiettivo di cementare le relazioni dei fruitori con l’Italia, stimolando l’U.I.I.F. ad aumentare la qualità e la natura dei contatti; d’altra parte ciò allarmò la componente nazionalista della maggioranza croato-slovena, che guidata, tra gli altri, dallo scrittore Zvane Crnja non perse occasione per gettare fango e discredito sulla natura di questi rapporti, parlando come sempre accadeva quando la minoranza provava ad alzare la testa, di "quinta colonna" e di "cricca degli irredentisti italiani".

Nonostante l’appoggio formale delle autorità, in particolare della ASPL, la polemica infuriò per molto tempo; sotto gli strali dei nazionalisti cadde in particolare il concorso "Istria nobilissima".

Italiani e croati non persero occasione per sostenere le proprie posizioni dalle colonne della Voce del Popolo o della rivista Dometi.

La minoranza non smise di combattere, ma in quanto minoranza, dovette subire la schiacciante supremazia numerica degli avversari i quali si riunivano intorno ai movimenti nazionalisti di "Matica Hrvatska" e "Masovni Pokret" che furoreggiavano in quegli anni soprattutto in Croazia e in particolare modo in Istria e a Fiume, e che si accanivano contro l’italiano che "tornava ad abbaiare" e contro le sue istituzioni come il neonato Centro di Ricerche Storiche di Rovigno.

Nonostante il fiorire di questi movimenti, l’inizio degli anni ’70 fu contrassegnato da un clima di grande apertura in tutti i campi della vita sociale, culturale e politica jugoslava, che culminò in emendamenti costituzionali di notevole portata, nonché in radicali modifiche degli statuti comunali.

La collaborazione non conobbe ostacoli richiamandosi anche ai dettami dell’emendamento XXXIV alla Costituzione Federale, che, al punto 3 riconosceva alle organizzazione autogestite "la facoltà di stabilire la collaborazione e di intrattenere rapporti con affini organizzazioni straniere".

Le attività si indirizzarono anche verso campi non propriamente culturali; ad esempio vennero organizzate delle colonie estive per gli alunni delle scuole italiane, che divennero una delle manifestazioni più sentite e proficue a favore della minoranza, nonché nuovi seminari didattici; venne inoltre fortemente sostenuta l’attività teatrale del Dramma Italiano che si batteva sempre, contro la scarsità dei fondi a sua disposizione, per migliorare la qualità dei suoi spettacoli ed evitare la scomparsa.

 

5.4 - LA MINORANZA E’ COSTRETTA A PIEGARSI

Purtroppo gli strali dei nazionalisti non smisero di colpire la comunità nazionale e in particolare la sua fruttuosa intesa con l’U.P.T..

Le polemiche lanciate dal Crnja e dalla rivista Dometi si scagliarono in particolare contro il nuovo statuto comunale di Rovigno, accusato di essere pensato a favore degli italiani, e contro il C.R.S., che fin dalla sua costituzione era divenuto il punto fermo della cultura italiana in Istria e il motore di sviluppo nei rapporti con l’Italia.

Le polemiche non rimasero lettera morta poiché la stessa conferenza della Lega dei Comunisti di Fiume propose di analizzare la posizione ed i programmi dell’U.I.I.F. "che riceveva sovvenzioni da oltre confine".

Nel 1971 inoltre ci fu la storica XIV assemblea di Parenzo nella quale l’U.I.I.F. intensificò i propri sforzi per la tutela dei connazionali costituendo ad esempio, come già detto nei precedenti capitoli, le Comunità degli Italiani e varando la piattaforma programmatica volta a conseguire la rappresentanza qualificata.

Il Prof. Borme pose l’accento sulle relazioni con la madrepatria, elaborate in ben quattro punti nel nuovo indirizzo programmatico; in essi si rilevava espressamente il diritto e il dovere degli appartenenti alla Comunità di attingere alle fonti della cultura della propria Nazione Madre e di svolgere un costruttivo ruolo di ponte nel dialogo tra Italia e Jugoslavia.

In particolare, secondo il Presidente dell’U.I.I.F., l’organizzazione doveva operare per il risveglio della coscienza nazionale e per fare ciò bisognava incrementare i rapporti instaurati anni prima con l’Ente morale triestino.

L’eco suscitata dall’Assemblea di Parenzo fu vastissima e negli anni successivi le autorità politiche regionali colsero ogni pretesto per vanificare gli sforzi fatti.

Nonostante ciò, e pur fra molti condizionamenti, l’indispensabile intesa U.I.I.F.-U.P.T. proseguì e non poté fermarla nemmeno la destituzione del Presidente Antonio Borme avvenuta in seguito alle polemiche suscitate dal già ricordato "foglio di informazione dell’U.I.I.F."; anzi, in concomitanza con una conferenza internazionale sulle minoranze, che ebbe luogo il 12 luglio del 1974, avvenne il primo incontro ufficiale tra una delegazione dell’U.I.I.F. e la Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia.

Questo fu un incontro importantissimo, che segnò l’inizio dei rapporti con l’Amministrazione Regionale e il suo intervento a sostegno dell’U.P.T. e dei progetti da questa ideati a favore della minoranza italiana.

Il periodo di crisi dell’U.I.I.F., costretta a ritornare mera istituzione culturale, durò a lungo e ai dirigenti fu imposto un nuovo Statuto rispecchiante le posizioni e gli interessi della classe al potere.

Per fortuna, grazie al buon livello raggiunto negli anni precedenti, e soprattutto al timore delle autorità jugoslave di incrinare i rapporti con l’Italia, appena regolati dal Trattato di Osimo, gli interventi dell’U.P.T. non subirono sostanziali battute d’arresto anzi vennero incrementati per sopperire al disagio che aveva colpito le organizzazioni della comunità.

Inoltre il peso economico esercitato dagli accordi intercorsi con la regione Friuli Venezia Giulia resero gli aiuti sempre più cospicui; questi furono indirizzati soprattutto al campo editoriale, incrementando la fornitura di libri alle biblioteche scolastiche, sostenendo la diffusione delle pubblicazioni dell’EDIT, potenziando le iniziative culturali come corsi, seminari, convegni e manifestazione e aumentando il numero delle borse di studio.

Notevoli furono anche gli interventi a favore delle C.D.I. che in quegli anni, dopo un faticoso avvio, tentavano di ergersi come punto di riferimento "in loco" per i connazionali.

 

5.5 IL CONSOLIDAMENTO DEI RAPPORTI

Con la ratifica degli accordi di Osimo, Italia e Jugoslavia ufficializzarono e riconobbero la natura dei rapporti tra U.I.I.F. e U.P.T..

Il Governo italiano inoltre poté estendere ufficiosamente la propria azione di sostegno alla Comunità Nazionale su tutto il territorio di insediamento storico, delegando all’ente morale triestino il compito di intervenire direttamente nei territori ove esso non poteva farlo.

La ratifica degli accordi di Osimo portò anche all’approvazione da parte del Parlamento Italiano della legge n° 73 del 14 marzo 1977.

Con questa legge il Governo "è altresì delegato ad emanare con uno o più decreti aventi valore di leggi ordinarie, le norme necessarie a favorire attività culturali ed iniziative per la conservazione delle testimonianze connesse con la storia e le tradizioni del gruppo etnico in Jugoslavia"; in base a questa disposizione il 19 settembre 1978 venne emanato il Decreto Presidenziale n° 615 il quale autorizzava il contributo di circa 10 miliardi da distribuire in quattro anni per "favorire attività culturali e iniziative per la conservazione delle testimonianze connesse con la storia e le tradizioni del gruppo etnico italiano in Jugoslavia e la conservazione dei suoi rapporti con la nazione di origine".

A questi importanti provvedimenti si sommò la legge n° 79 del 2 luglio 1978 emanata dalla Regione Friuli Venezia Giulia, la quale concesse un contributo di 100 milioni a favore dell’U.P.T. per la realizzazione dei suoi progetti legati allo sviluppo della storia e della cultura del gruppo etnico in Istria e a Fiume.

Nei primi anni ’80 però il mancato rifinanziamento delle leggi che dovevano garantire la sussistenza alla minoranza creò un clima di sfiducia tanto che l’U.P.T., la quale era dovuta ricorrere a cospicui fidi bancari, e l’U.I.I.F., di comune accordo, decisero di sospendere l’attività.

Lo stallo venne superato con la legge 960 del 22 dicembre 1982, con la quale il Ministero degli Affari Esteri veniva autorizzato a proseguire gli interventi definiti dal D.P.R. n° 615.

Nuove forme di sostegno furono ideate dalle due organizzazioni e il ventennale della collaborazione fu festeggiato con un incontro al Quirinale con l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, alla presenza di numerosi esponenti di enti e istituzioni della minoranza.

Negli anni ’80 l’U.I.I.F. varò nel corso dell’Assemblea di Pirano le cosiddette "Dieci tesi sulla socializzazione della lingua e cultura italiana", un progetto politico che si prefiggeva di estendere l’uso della lingua e della cultura italiane nell’area istro-quarnerina e di fare sì che queste divenissero, anche con la graduale introduzione del bilinguismo, un patrimonio anche delle popolazioni di maggioranza.

Come già avvenuto dieci anni prima i progetti dell’U.I.I.F. vennero ritenuti troppo avanzati dai principali organismi politici della regione e i rapporti di collaborazione con l’U.P.T. furono sottoposti a più attento vaglio o osteggiati apertamente.

La Lega dei Comunisti di Fiume fece circolare un documento segreto nel quale si ripeteva come sempre l’atteggiamento di "quinta colonna" e di "cricca degli irredentisti italiani" tenuto dall’U.I.I.F., e si criticavano i contenuti della collaborazione con l’U.P.T..

Scoppiarono feroci campagne stampa contro l’Unione, che coinvolsero anche il giornale del P.C.I. l’Unità, il quale aveva preso fortemente le difese della minoranza, denunciando montature giudiziarie allo scopo di intimidire la dirigenza della Comunità; tutto ciò si inserì nel contesto politico del momento come reazione alla già ricordata Petizione di Capodistria promossa da Franco Juri e alla nascita del "Gruppo di opinione ‘88".

 

5.6 - COLLABORAZIONE CON L’UNIONE ITALIANA

I tempi erano maturi per la democratizzazione interna dell’U.I.I.F., che si realizzò con le elezioni dell’"Assemblea Costituente", le quali portarono nel 1991 alla nascita dell’Unione Italiana.

Prima di questo, nel quadro di un incontro tra i capi del Governo italiano e jugoslavo, Giovanni Goria e Branco Mikulic, furono stipulati importanti accordi economici tra i due paesi, nei quali l’Italia si impegnò ad assicurare 18 miliardi a favore della C.N.I., somma che doveva servire alla realizzazione di tre importanti progetti: la fornitura di un nuovo impianto tipografico all’EDIT, la costituzione del Business Innovation Center di Capodistria (un incubatore per la nascita di piccole e medie aziende nel settore industriale e dei servizi) e il restauro di Palazzo Manzioli a Isola.

Pochi mesi dopo i dirigenti della moribonda U.I.I.F. ebbero l’occasione di incontrarsi a Trieste con rappresentanti delle associazioni degli esuli, ponendo le basi, con molte difficoltà, delle future relazioni dei rapporti tra esuli e rimasti.

La collaborazione culturale U.I.I.F.-U.P.T. segnò in quel periodo una grave battuta d’arresto a causa della feroce guerra scoppiata in Jugoslavia, che interessò di riflesso la nostra minoranza.

A questo proposito, per attenuare il generale impoverimento che interessò soprattutto la parte croata del gruppo etnico, l’Italia adottò nel 1991 uno strumento d’emergenza varando la legge n°19/91 che prevedeva interventi a suo favore, contemplando lo stanziamento di 4 miliardi annui per il quadriennio 1991/94.

Le risorse finanziarie, affidate congiuntamente dal Governo italiano all’U.P.T. e all’U.I., sotto la sua attenta supervisione, furono utilizzate in un modo completamente diverso dal passato.

L’attività di ristrutturazione e di costruzione di scuole, di C.D.I. e di istituzioni comuni, che prima avevano natura del tutto eccezionale, assunsero caratteristiche di intervento ordinario e su ampia scala per sopperire alla precarietà e all’insufficienza delle dotazioni assicurate dagli stati domiciliari.

Nonostante le difficoltà fu possibile costituire, con i fondi della 19/91, il CIPO che come visto nel capitolo precedente, è insieme al C.R.S. di Rovigno l’unica istituzione di "proprietà" della minoranza.

Tale normativa, prorogata nel 1995 con la legge n° 295/95 e nel 1998 con la n°89/98, aumentò lo stanziamento a circa 8 miliardi annui, cifra che, nonostante l’impegno dell’U.P.T., non sempre basta ad assicurare il puntuale intervento, date le notevoli e molteplici voci di spesa.

D’altro canto, ma questa è opinione personale, al contribuente italiano non può essere chiesto di finanziare all’infinito la costruzione di scuole ed edifici oltre confine; gli stati domiciliari dovrebbero occuparsi di quello che succede al loro interno soprattutto ora che chiedono insistentemente di essere associati all’U.E. e dovrebbero altresì rispettare gli accordi internazionali sottoscritti con il governo italiano che prevedono una tutela anche economica della minoranza.

Comunque gli ultimi anni rappresentano uno dei periodi più ricchi e fruttuosi nell’ambito della collaborazione U.I.-U.P.T.; l’aumento numerico degli italiani, soprattutto nelle località più piccole e dimenticate, il fascino esercitato dalla stampa e dai mass media dello "stivale", le resistenze opposte dalla popolazione locale di ogni etnia ai disegni nazionalistici di Zagabria, hanno contribuito a stimolare ulteriormente i piani di sviluppo, promuovendo numerosi progetti allo scopo di affermare il potenziale soprattutto economico della Comunità Nazionale.

Oltre a ciò, negli ultimi mesi, contribuisce a alimentare i rapporti un protocollo di collaborazione fra il Friuli Venezia Giulia e l’Istria, che, nell’esigenza di rafforzare le relazioni transfrontaliere e di tutelare maggiormente la minoranza italiana, si è preoccupato di creare programmi comuni riguardanti i trasporti, lo sviluppo economico, l’industria, l’artigianato, l’agricoltura, la pesca, il turismo, la tutela ambientale e la pianificazione territoriale.

All’articolo 18 di questo protocollo le due parti si adoperano per una compiuta e reale tutela della minoranza italiana, favorendo libertà di espressione e cultura nonché riconoscendo e incoraggiando le iniziative economiche e imprenditoriali della comunità.

 

5.7 - UNA VALUTAZIONE D’INSIEME

Una valutazione del ruolo giocato dall’Italia nei confronti della C.N.I. in Istria e a Fiume non può prescindere dalla fondamentale attività svolta dall’Università Popolare di Trieste.

Nei 35 anni di collaborazione con l’U.I.I.F. prima e l’U.I. successivamente, l’ente morale triestino si è sempre accollato con dignità e capacità il compito di tenere viva e vegeta la fiammella della lingua e della cultura italiana nel territorio di insediamento storico.

Un po’ di cifre possono far meglio comprendere gli sforzi compiuti a questo proposito: oltre 4 mila conferenze seguite da quasi 300 mila ascoltatori sui temi più svariati, più di 250 gite dopo corso che hanno coinvolto 13 mila connazionali, mille viaggi di istruzione con la partecipazione di quasi 35 mila persone a cui è stato consentito di conoscere l’Italia, quasi 1500 borse di studio a vantaggio di intellettuali e professionisti, nonché insegnanti e ricercatori, immense forniture di materiale librario soprattutto alle scuole che grazie ad esso hanno una sopravvivenza più dignitosa quando non addirittura una "sopravvivenza vera e propria", concerti vocali e strumentali, importantissimi seminari e studi di aggiornamento, abbonamenti a giornali e riviste, proiezioni cinematografiche con un’affluenza di pubblico davvero eccezionale, fondamentali restauri e forniture di attrezzature per le C.D.I., per il C.R.S., per il Dramma Italiano, per l’EDIT, per la Facoltà di Pedagogia di Pola, promozione di spettacoli dei complessi musicali e corali del gruppo nazionale in Italia, colonie estive, oltre 200 escursioni a Trieste con la partecipazione di più di 6 mila connazionali.

Tutto questo giustifica il perché, quando si parla di rapporti tra Italia e italiani dell’Istria, non si può fare a meno di citare l’ideale cinghia di trasmissione che ha costituito l’U.P.T., la quale ha sempre utilizzato degnamente i fondi stanziati dal Governo allo scopo.

Inoltre in più di 30 anni di collaborazione gli screzi e le tensioni con le istituzioni della minoranza sono sempre stati ridotti al lumicino grazie ai presupposti di non interferenza nelle vicende interne e di apoliticità posti alla base dei rapporti all'atto dell'inizio della collaborazione; è auspicabile che l’attività del Governo e dell’ente triestino possa continuare in quest’opera di valorizzazione dell’elemento italiano, ma possa molto presto tornare ad occuparsi principalmente dell’aspetto culturale; ciò vorrebbe dire che gli stati domiciliari stanno finalmente assolvendo degnamente al compito che spetterebbe loro di dovere.

 

 

 

 

 

5.8 - LA "DOPPIA CITTADINANZA"

E’ doveroso almeno accennare, anche se l’argomento meriterebbe uno studio più approfondito, alla legge n°2/92 della Repubblica Italiana riguardante la doppia cittadinanza.

Questa disposizione all’articolo 17 prevede che "chi ha perduto la cittadinanza italiana […] la riacquista se effettua in tal senso una dichiarazione entro due anni dall’entrata in vigore della presente legge".

Letto così, il dettato risulta alquanto ambiguo e si presta a più letture; la legge infatti si riferiva agli emigrati, ma gli italiani in Istria non lo sono.

Un regolamento del 1993 ha chiarito i dubbi, stabilendo che la cittadinanza italiana doveva essere concessa, senza trasferire la propria residenza in Italia, a mezzo di una dichiarazione di volontà da fare alle autorità diplomatico-consolari, ma solo a coloro che erano cittadini italiani prima del 15 settembre 1947, data dell’entrata in vigore del Trattato di Parigi, e ai loro figli (all’epoca) minorenni.

La lacuna è evidente, non essendo prevista l’estensione della disposizione agli appartenenti alla C.N.I. nati dopo quella data (3 marzo 1977 per la ex zona B) e ai loro discendenti, cioè ad una buona fetta dei nostri connazionali ancora in vita e comunque a tutte le forze "giovani".

Lubiana e Zagabria hanno inoltre denunciato la legge come palese ingerenza e violazione dei precedenti accordi internazionali; queste contestazioni appaiono comunque strumentali poiché la doppia cittadinanza è strumento molto utilizzato dai due stati specie per quanto riguarda le loro minoranze rimaste accidentalmente oltre i confini nazionali.

5.9 - I RAPPORTI FRA GLI ESULI E I RIMASTI

Fin dai primi anni del dopoguerra i rapporti fra gli "esuli" e i "rimasti" furono improntati ad un’aperta diffidenza, quando non addirittura ad un mal soffocato rancore.

Era infatti ancora troppo fresco il ricordo, vivo in molti esuli, della patria perduta, e delle ingiustizie e atrocità subite dai partigiani filo-titini, che in alcuni e significativi casi erano gli stessi italiani comunisti venuti a dar loro man forte per appoggiare le rivendicazioni nazionali jugoslave a scapito di quelle italiane, nell’interesse per loro superiore del comunismo mondiale.

Da parte dei rimasti invece c’era una sorta di orgoglio volto a dimostrare che la scelta fatta, scelta sempre condannata dagli esuli che li consideravano traditori per non essere partiti e aver così rinnegato la madrepatria, era la scelta giusta.

I tempi non erano assolutamente maturi, e lo scontro fra le due componenti della realtà degli italiani dell’Istria si inseriva perfettamente in quella che era la situazione politica dell’epoca.

Il mondo intero era diviso in due blocchi, separati dalla cosiddetta "cortina di ferro", il primo dei quali si riconosceva negli Stati Uniti e nei valori da essi propugnati come il liberalismo e l’imperialismo, il secondo nell’Unione Sovietica e nel suo comunismo stalinista.

Complicò ulteriormente le cose la "terza via" scelta dal Maresciallo Tito, che rifiutò la sottomissione politica all’Unione Sovietica ricevendo in cambio la scomunica del grande ex alleato e dall’insieme dei partiti comunisti, compreso quello italiano, riuniti nel Cominform.

Per entrambe le componenti degli istriani italiani la preoccupazione principale era inoltre quella di migliorare le condizioni della propria esistenza.

Bisogna ricordare che nei primi anni ‘50 per molti esuli la realtà si chiamava ancora "campo profughi" e che i rimasti invece si trovavano a subire, come già ricordato, il primo forte tentativo di assimilazione in seguito alla diatriba Tito-Pella per l’assegnazione del mai costituito Territorio Libero di Trieste.

In quegli anni gli esuli si raccoglievano intorno all’"Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia" (A.N.V.G.D.), che fin dal primo dopoguerra tentò di accorpare le varie leghe e associazioni, sorte sullo slancio emotivo del momento e con l’esigenza di "fare comunità" in una terra ancora inospitale.

A cavallo degli anni ’60 sorsero i cosiddetti "liberi comuni di Fiume, di Zara e di Pola" in esilio, con sede a Padova e Gorizia; all’origine della nascita di questi organismi c’era l’insoddisfazione diffusa per l’azione svolta fino a quel momento dall’A.N.V.G.D accusata da più parti di inerzia e subalternità nei confronti di alcune forze politiche.

La nascita e la più accentuata vitalità di queste nuove associazioni mise in luce la crisi di rappresentatività di cui iniziava a soffrire l’A.N.V.G.D.; questa associazione perse infatti il crisma di organizzazione di tutti gli esuli giuliani, fiumani e dalmati, al punto di diventare una fra le tante realtà complesse scaturite dall’esodo.

Tra le altre organizzazioni che si riproponevano di tenere viva la memoria dell’esodo e rappresentare la numerosa e complessa realtà degli istriani, possiamo ricordare anche l’Unione degli Istriani con sede a Trieste e la Federazione delle Associazioni degli Esuli, nata però al termine degli anni ottanta, la quale si propose all’atto della sua creazione di essere organo di collegamento delle precedenti affinché queste riuscissero a coordinare le loro voci e a raggiungere una migliore unità d’intenti.

I liberi Comuni di Pola, Zara e Fiume nacquero per raggruppare i profughi di queste città e dei centri limitrofi; come accennato prima l’incipit per la loro fondazione fu dato dalla scarsa grinta che essi rimproveravano all’A.N.V.G.D., la quale, a loro parere, era troppo politicizzata e non lottava a sufficienza per conseguire quelli che erano in ultima istanza gli scopi degli esuli, cioè il recupero dei beni abbandonati o quantomeno un equo indennizzo e, soprattutto, il ripristino della verità storica a riguardo dei fatti che insanguinarono la Venezia Giulia nel secondo dopoguerra.

La funzione prioritaria dei Liberi Comuni fu la ricostruzione delle anagrafi comunali, grazie a un difficile lavoro di censimento degli esuli in Italia e all’estero che queste associazioni vollero il più preciso possibile.

Un’altra iniziativa importante, portata avanti ad esempio dal libero comune di Fiume, fu quella di provare a salvaguardare lo storico cimitero cittadino di Cosala dal degrado; in questo cimitero infatti riposano intere generazioni di fiumani italiani.

Il fiorire di associazioni con scopi e idee politiche differenti non impediva però a questi organismi di acquisire una posizione abbastanza netta nei confronti dei rimasti.

Pur con varie sfaccettature le associazioni degli esuli non avevano e non volevano avere nessun rapporto ufficiale con l’U.I.I.F. o chi per essa, anche se lasciavano ai loro affiliati piena libertà per quanto riguardava i rapporti interpersonali.

Un aspetto negativo fu sicuramente dato dal fatto che solamente il Movimento Sociale, e successivamente Alleanza Nazionale, sostenessero le rivendicazioni degli esuli, connotando politicamente in maniera negativa per la maggioranza dell’opinione pubblica italiana la questione, nonostante la grande maggioranza degli interessati fosse lontana dall’ideologia del partito di Almirante.

Anche in Jugoslavia la situazione politica non consentiva agli italiani molti spazi per cercare il dialogo con la Nazione Madre e in secondo luogo con quelli che fino a pochi anni prima erano stati i loro fratelli, parenti e amici.

La pressione assimilatoria esercitata dal Governo Federale tollerava a malapena il rapporto che l’U.I.I.F. aveva iniziato con l’Università Popolare di Trieste per salvaguardare la lingua e la cultura italiana nella regione.

Non dimentichiamo inoltre che era vivo, specialmente nei più anziani il ricordo degli avvenimenti bellici e post bellici, come ad esempio da un lato le foibe e dall’altro le violenze fasciste, e ciò impediva a queste persone di prendere in considerazione l’idea di riallacciare dei normali rapporti.

La prospettiva di un dialogo con i rimasti si andò definendo concretamente nel corso del 1989, quindi oltre quarant’anni dopo il termine della seconda guerra mondiale, in concomitanza con il crollo della Jugoslavia e con la fine formale del regime comunista che in essa esercitava il "dominio".

Alcune delle associazioni degli esuli, in primo luogo il libero Comune di Fiume, superando una serie di resistenze interne, decisero di dare attenzione alla componente dei rimasti, insistendo soprattutto sulla via di un "ritorno culturale" nelle terre d’origine.

Per fare ciò delegarono, sottolineando così l’assenza di velleità irredentistiche, meritorie associazioni culturali, come la Società di Studi Fiumani, nata a Fiume nel 1923 e ricostituitasi a Roma nel 1964 grazie alla volontà dello stesso Libero Comune e all’opera di alcuni intellettuali fiumani esuli in Italia.

Il delegare un possibile avvio dei rapporti ad associazioni culturali poteva sicuramente facilitare il decollo degli stessi facendo sì che un eventuale ripresa fosse vista con meno sospetto dai neonati stati domiciliari nei quali, e specialmente in Croazia, trionfavano all’epoca partiti di idee nazionaliste.

Sono ormai dieci anni che i tentativi, fra alti e bassi, si susseguono. Opere sicuramente apprezzabili, come ad esempio l’invio di aiuti umanitari nell’Istria e a Fiume colpite di riflesso dal conflitto che ha insanguinato la Jugoslavia, hanno sicuramente contribuito a spronare i tenaci tentativi che una buona fetta degli esuli prova a mettere in atto per normalizzare la situazione.

I gravi problemi consistono, come già detto in precedenza, nella diffidenza di buona parte dei componenti di entrambe le entità, che stentano a superare anni di sospetti e rancori; la situazione allo stato delle cose è molto fluida, poiché l’ossatura dei rapporti è ancora fragile al punto che basta una parola fuori posto o una piccola incomprensione per rovinare mesi di paziente tessitura e opera diplomatica.

Ad esempio nel 1997 un raduno di esuli a Trieste, conclusosi al grido di "Vogliamo ritornare. Istria, Fiume e Dalmazia italiane!" suscitò un vespaio di polemiche non solo tra esuli e rimasti ma anche all’interno delle stesse associazioni degli esuli.

Si incrinarono ad esempio i rapporti tra Libero Comune di Fiume e Società di Studi Fiumani, la cui collaborazione aveva aiutato moltissimo anche la Comunità degli Italiani del capoluogo quarnerino, e la cui opera congiunta aveva ricevuto il plauso e riconoscimento dell’attuale sindaco croato della città.

E’ chiaro perciò che bisogna assecondare l’evolversi degli eventi senza lasciare che reazioni personali cancellino quanto di buono è stato fatto sino ad oggi e che fino a dieci anni fa sembrava impensabile.

Bisogna inoltre vincere la storica diffidenza che soprattutto i più anziani hanno al riguardo di questa problematica; ciò probabilmente potrà essere fatto sfruttando il naturale ricambio generazionale poiché le giovani generazioni, che non hanno vissuto in prima persona certi drammi, tendono ad assumere un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti dell’altro.

Un atteggiamento di totale chiusura verso tutto ciò che è italiano oggi in Istria è sicuramente improduttivo perché proietta in una dimensione passata tutte le energie che queste persone mettono a disposizione per la causa anelando ad uno stato di cose che non tornerà più e impedendo uno schiudersi di aspetti positivi altrimenti irrealizzabili.

Una fondamentale iniziativa è stata realizzata proprio nel corso degli ultimi mesi: un convegno internazionale tenutosi a Fiume dal titolo "Fiume nel secolo dei grandi mutamenti" con la partecipazione di studiosi italiani, croati, sloveni e ungheresi, che ha suggellato l’idea di un ritorno culturale che la "Città della memoria" ha effettuato nella "Città del presente".

Questo convegno ha riscosso un grande successo suscitando un’eco vastissima negli ambienti non solo di esuli e minoranza, ma soprattutto negli istituti di cultura e storia patria degli stati domiciliari.

Probabilmente ancora più importante è stato il recentissimo e storico incontro tra i vertici dell’U.I. e della Federazione delle Associazioni degli Esuli svoltosi a Roma alla presenza del Presidente della Camera On. Violante, del vice presidente del Senato, On. Giovanardi e dei Deputati della Commissione Esteri.

Ufficialmente la rappacificazione avvenne nel 1992 quando i rappresentanti delle due parti si incontrarono a Venezia sotto l’egida dell’allora Presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga.

Solamente otto anni dopo è stato possibile organizzare, grazie anche alla sensibilità del Presidente della Camera, un nuovo storico meeting tra le due parti, nel quadro di una mutata situazione politica in Croazia.

Proprio in questa occasione U.I. e Federazione hanno presentato una dichiarazione congiunta nella quale, riconoscendo l’importantissimo contributo dato alla crescita della minoranza dagli strumenti finanziari e dai provvedimenti legislativi varati dal Parlamento italiano, hanno illustrato le iniziative comuni che assumeranno per rafforzare sul territorio di insediamento storico una presenza civile e moderna della cultura italiana che possa contribuire alla pace e alla stabilità democratica dell’area istro-quarnerina.

I due gruppi sembrano essere decisi a compiere una rivoluzione copernicana nei reciproci rapporti; probabilmente hanno compreso che oltre ad avere una storia in comune, hanno in comune anche un avvenire dato dalla presenza italiana in questi territori e dalla valenza sociale e culturale che questa comporta.

Per questo motivo occorre unire le energie delle nuove generazioni degli esuli e dei rimasti e volgerle a questo obiettivo comune.

Nella dichiarazione congiunta, la prima in oltre 50 anni, si parla anche di un’azione sinergica tra esuli e rimasti per un’informazione più attenta da parte dell’opinione pubblica italiana sulle vicende storiche spesso drammatiche della regione istro-quarnerina nel XX secolo, nonché sull’attualità delle vicende politiche che vedono coinvolta la nostra minoranza.

A questo proposito è in programma un Convegno, in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione italiana, con lo scopo di avviare una riscrittura dei testi scolastici per quanto attiene le vicende dell’esodo, che ora sono poco e male trattate.

Inoltre le due delegazioni hanno appoggiato le rispettive rivendicazioni a riguardo dell’annosa questione dei beni abbandonati, o per meglio dire nazionalizzati, che sta vivendo in questo periodo un impasse in Parlamento e a riguardo di una "proposta di legge di interesse permanente" che sostituisca le leggi triennali con le quali lo stato eroga i fondi alla minoranza.

Attraverso questa auspicata legge i fondi diventerebbero per così dire "automatici".

La situazione quindi sembra evolversi favorevolmente, ma, come già sottolineato in precedenza, la strada da percorrere è ancora lunga e ricca di ostacoli.

E’ importante che i sospetti lascino il posto ad una costruttiva collaborazione e a questo proposito, a nostro parere è importantissimo il ruolo giocato dall’On. Violante che in più occasioni ha mostrato una notevole sensibilità a riguardo di questa problematica.

E’ importante anche che, soprattutto all’interno delle associazioni degli esuli, le energie non vadano disperse e che i malintesi generatisi ultimamente tra alcuni benemeriti enti, vengano superati nel quadro di una rinnovata collaborazione che, travalicando querelle personali, potrà portare certamente a una migliore riuscita delle notevoli e importanti iniziative poste in essere.

In conclusione possiamo dire che passi avanti sono stati compiuti, purtroppo a questi è seguito anche qualche passo indietro; non siamo più al "muro contro muro" di quindici anni fa, e siccome la posta in gioco è il futuro della presenza italiana nell’area istro-quarnerina, l’impegno delle due parti deve essere totale.