CAPITOLO SECONDO

Dal 1914 al 1915

 

 

 

Il 28 giugno 1914 furono assassinati a Sarajevo, in Bosnia, l’Arciduca Ereditario d’Austria e sua moglie la Duchessa di Hohenberg. L’autore dell’attentato fu uno studente di nome Gravilo Princip. Egli era stato poco tempo prima espulso dalla Bosnia, essendo sospettato di appartenere al Comitato rivoluzionario della Bosnia.

L’autore dell’attentato venne subito circondato dalla folla che tentò di linciarlo. Intervennero i gendarmi che dovettero lottare accanitamente per liberare lo studente, e scortarlo, poi, fino alla prigione.

 

“ In Italia – scrive il “Journal des Débats” – che era stata oggetto di precauzioni militari sospette da parte dell’Arciduca, non si è lasciato trapelare in nessun modo il sollievo intimo della scomparsa di un Principe i cui sentimenti erano per l’Italia e per gli Italiani della Dalmazia e dell’Istria almeno poco amichevoli.”.

Il corrispondente romano del “Temps” riporta: “gli Italiani non ignoravano che la politica fermamente pacifica del vecchio Imperatore aveva trovato nell’Arciduca una certa opposizione. Molti osservano che Francesco Ferdinando è caduto vittima dell’irredentismo slavo, mentre aveva sostenuto gli Slavi contro gli Italiani.”[1]

 

Il governo Imperiale Reale si vide costretto a dirigere il 23 luglio, per mezzo del ministro austro-ungarico, una nota al Governo Serbo. La medesima nota fu trasmessa in seguito, per mezzo degli ambasciatori d’Austria-Ungheria in Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Russia e Turchia. Nei circoli politici della capitale la nota austriaca a Belgrado produsse una vivissima impressione, suonava come un ultimatum, al Governo Serbo erano concesse 48 ore di tempo per la risposta. La nota era stata presentatata preventivamente al Governo di Berlino, mentre il Governo di Roma la ignorava, pertanto non può averla approvata o disapprovata, né può aver assunto qualsiasi impegno di fronte alle eventuali conseguenze dell’iniziativa maturata a Vienna.

 

La Serbia non aveva da scegliere se non fra l’umiliazione degradante e la guerra. Non poteva consentire a sopprimersi politicamente e moralmente, e dovrà subire la guerra. L’Austria l’ha voluta ad ogni costo ;poteva evitarla, chiedendo soddisfazioni compatibili con la dignità di un popolo e con la sovranità di un libero stato; ma non ha voluto.

Vienna nega che abbia ambizioni di conquiste territoriali; questo ha dichiarato ufficiosamente.

Noi crediamo fermamente che l’Austria raggiungerebbe il suo fine, molto meglio riducendo la Serbia a quelle condizioni di servaggio che sono indicate nella nota che illustrammo ieri, anziché occupando una parte del territorio del Regno.

Per noi, a dunque, sarebbe più dannoso questo secondo fatto del primo; ed insistiamo fin d’ora a dichiararlo, affinché non sorgano equivoci, e non se ne alimenti la politica della Consulta, che più improvvida, leggera e disgraziata non poteva essere durante gli ultimi 2 anni.

La conseguenza che deriverebbe dall’applicazione della nota austro-ungarica alla Serbia sarebbe il gigantesco rafforzamento dell’elemento slavo della Monarchia: rafforzamento che per dura fatalità delle cose si rivolgerebbe ad estremo danno degli elementi italiani che si trovano a contatto coi popoli slavi della Monarchia stessa: rafforzamento che darebbe d’un colpo all’Austria quel antico prestigio che ella aveva prima della duplice guerra balcanica nella penisola orientale; che le creerebbe un’autorità più vigorosa anche in Albania e la renderebbe infine più audace verso di noi. L’equilibrio delle forze della Triplice sarebbe rotto a nostro svantaggio.[2]

 

La guerra austro-serba era in ultima istanza una grande guerra, una di quelle che segnano i tratti storici fondamentali di un periodo storico. L’Austria aveva dichiarato di aver bisogno di soddisfazioni che la mettessero in grado di essere sicura della tranquillità entro il suo territorio e ai suoi confini; ma sotto questo linguaggio apparentemente modesto si celava un bisogno, un’imperiosa esigenza molto più vasta e vitale: quella di definire chi doveva comandare ai serbo-croati: se Vienna o Belgrado.

Gli unici che avrebbero potuto a questo punto intercedere presso il Governo di Vienna erano i tedeschi, ma a spezzare questa illusione giunge nella serata del primo agosto la notizia di un ultimatum inviato dalla Germania alla Francia e alla Russia. La guerra era ormai inevitabile.

 

Il I° agosto il governo italiano dichiarò:” lo spirito e la natura della Triplice Alleanza sono tali che per l’Italia non si verifica il “casus foederis” nell’imminente guerra tra l’Austria e la Germania da una parte e Serbia, Francia e Russia dall’altra.

L’Italia manterrà naturalmente un atteggiamento amichevole verso gli alleati, ma manterrà un atteggiamento amichevole anche verso l’altra parte, in modo da trovarsi in grado in un dato momento, di rendere qualsiasi servizio in favore della pace.

Quindi in un primo periodo converrà che l’Italia mantenga un’attitudine di distante riserbo. Qualora però gli eventi si delineassero in modo da far ritenere abile un rimaneggiamento territoriale ovvero uno spostamento di equilibrio allora il Governo provvederà alla difesa degli interessi nazionali.[3]

 

 Il consiglio dei ministri il 2 agosto aveva fissato i seguenti punti:

1.      E’  nello spirito della Triplice Alleanza che nessuna delle potenze alleate possa compromettersi in un’azione a conseguenze generali senza prima comunicare ed accordarsi con le alleate

2.      Questa disposizione generica del trattato è poi ribadita per ciò che concerne la situazione dei Balcani, in accordi particolari fra l’Austria e l’Italia

3.      Come tutti sanno, la nota dell’Austria alla Serbia, da cui è derivata la situazione attuale, non fu in alcun modo comunicata all’Italia. Quindi l’Italia non ha potuto esercitare su questo passo diplomatico, consigliando la sua alleata, l’azione cui aveva diritto. D’altra parte è chiaro che, presentate le domande austriache non poteva l’Italia, amica ed alleata dell’Austria, esigere che essa le ritirasse. Il Governo Italiano si è sforzato in tutti i modi di ottenere dall’Austria-Ungheria dichiarazioni impegnative per il rispetto della indipendenza serba, nel senso dell’integrità territoriale e della sovranità. L’Austria-Ungheria, pur ripetendo che tale era il suo fermo intendimento, non ha però mai dato a quelle sue dichiarazioni un carattere impegnativo.

4.      Il trattato di alleanza con la Germania e l’Austria è un trattato difensivo, non offensivo. L’Italia è obbligata per esso a scendere in campo quando la Germania o l’Austria o tutte e due siano aggredite da una o più potenze avversarie. Ha inoltre l’obiettivo del mantenimento dello status quo territoriale. Quindi l’Italia non poteva ritenersi impegnata da un’azione aggressiva di una o di entrambe le sue alleate, tanto più quando queste non abbiano scambiate con loro le necessarie intese.

5.      Infine il fatto che l’Italia sia stata tenuta all’oscuro di tutto le ha impedito di prendere in tempo le necessarie precauzioni per alcuni suoi vitali interessi che nella guerra si troverebbero immediatamente e gravemente esposti.[4]

 

Il “Corriere della Sera” dal canto suo, dalla dichiarazione di neutralità italiana in poi aveva  sostenuto che:

 

La neutralità dell’Italia nel grande conflitto europeo non poteva essere fine a sé stessa, bensì un provvedimento provvisorio fatto per l’attesa e la preparazione. L’Italia sarà maggiore o minore in conseguenza della guerra, di quello che è oggi, non può rimanere tale quale è oggi. La neutralità non poteva, non può essere l’equivalente dell’isolamento, perché l’isolamento significherebbe danno sicuro, significherebbe l’Italia in balia degli eventi, in balia delle Potenze vincitrici, in balia delle conseguenze inevitabili che la guerra produrrà nel quadruplice campo: etnico, politico, economico, militare. La neutralità chiudeva per noi un periodo e ne apriva un altro: apriva il periodo delle intese, delle trattative diplomatiche, che dovevano stabilire il modo con il quale l’Italia avrebbe poi dovuto partecipare. Il Governo ha precisato la sua nuova posizione di fronte alle potenze della Triplice Intesa e di fronte alla Germania ed all’Austria? Parliamo di nuova posizione, perché evidentemente non esiste più la vecchia posizione in cui l’Italia si trovava nella Triplice Alleanza. Qual è la nostra nuova posizione? Se Germania ed Austria riusciranno vincitrici, quali saranno i nostri nuovi rapporti con esse? E se saranno vinte quali saranno i nostri nuovi rapporti con l’Inghilterra, la Russia e la Francia? I nostri vecchi legami con le potenze centrali non ci assicureranno certo, una situazione almeno eguale a quella che avevamo prima della guerra; per 2 ragioni: perché l’eventuale vittoria della Germania si tradurrebbe in una sua egemonia europea, in cui la nostra antica posizione sarebbe diminuita; e perché un eventuale vittoria dell’Austria si tradurrebbe in un accrescimento di importanza nella Monarchia a detrimento irrimediabile degli italiani che vivono all’interno della Monarchia stessa. Se Inghilterra, Russia e Francia vinceranno con le sole loro forze divideranno naturalmente fra loro i frutti della vittoria. Non ne offriranno certo a noi. Ma questo male il non guadagnare nulla non sarà il solo, sarà inevitabile l’altro male conseguente, cioè subire gli effetti dell’ingrandimento altrui. La Slavia del Sud, ad esempio, sarà immediatamente la nostra avversaria ai nostri confini. La neutralità non è che isolamento, e l’isolamento vuol dire tra pochi mesi un’Italia minore di quello che oggi è, minore non territorialmente, ma economicamente, militarmente, politicamente, minore anche moralmente per l’abbandono che avrà fatto degli italiani fuori del Regno.[5]

 

Intanto i vari partiti, radicale, repubblicano, socialista ufficiale e riformista hanno tenuto i loro convegni per stabilire la condotta propria nelle contingenze presenti. E tutti convennero di appoggiare la neutralità in che s’è messo il Governo, ammonendo però che essa deve essere armata, vigile e non assoluta, per il caso che il vantaggio del paese domandi altro atteggiamento. Più bellicoso sonò l’ordine del giorno dei cosiddetti nazionalisti. Più esplicitamente ancora il Federzoni capo riconosciuto di quel partito, nell’adunanza tenutasi a Roma il 7 settembre dichiarò: premesso che la dichiarazione di neutralità ha posto le basi di una nuova azione italiana in Europa, esamina i 2 più gravi pericoli contro cui l’Italia deve agire: una eventuale egemonia tedesca e il problema dell’Adriatico. Questo mare deve necessariamente divenire italiano per la nostra espansione e per la nostra sicurezza.[6]

 

L’opinione pubblica intanto stava oscillando e non sapeva se dare ragione al prudente riserbo del governo o alle ardimentose aspirazioni della stampa.

 

Sono per la neutralità assoluta, ma attiva ed operante. Sono per la neutralità assoluta, non per spirito pacifista od umanitario, ma perché essa assicura il nostro possibile sviluppo (date le circostanze), dei fattori rivoluzionari. Il Mussolini propone una formula nuova: neutralità attiva ed operante, ma nel senso di non ostacolare la guerra dell’Austria. Dovremmo dunque affiancarci ai partiti ( anche ostili al proletariato) che vogliono, o fanno mostra di volere quella guerra; dovremmo perfino votare in Parlamento il miliardo, o più, per le spese militari. Ma non basta. Se il Governo cedesse e dichiarasse la guerra all’Austria sarebbe palese che la formula pur ispirandosi alla neutralità ci porterebbe fuori dalla neutralità stessa.[7]

 

I socialisti, dal canto loro, sostenevano che:

 

Noi fummo e rimaniamo avversari alla tesi irredentista in maniera esplicita e senza riserve mentali di alcun genere, noi neghiamo ogni consistenza alle pretese sulla Dalmazia in nome ed in forza precisamente del principio di nazionalità e del diritto delle genti. Sta in linea di fatto che la Dalmazia è abitata da oltre 600000 serbo-croati e da circa 40000 italiani secondo gli stessi nazionalisti italiani di lassù. Come si può pretendere dal punto di vista demografico di legittimare l’annessione di un territorio abitato solo per una piccola minoranza da italiani? Si vuol forse invocare il diritto storico, ricordando la romana Illiria e la dominazione veneziana. Ma allora bisognerebbe giustificare la conquista di mezzo mondo da parte dell’Italia. Ma in questo momento si scrive la storia e non della letteratura classica: ma questa insistenza sull’obiettivo dalmata e irredentistico oltrechè infondata e ingiusta, è anche pericolosa; essa reca con sé il germe di un grave dissidio con la Serbia e con tutta la gente slava.[8]

 

La voglia di entrare in guerra andava crescendo ogni giorno anche in Italia, stando a quello che riferivano i giornali; i più accesi erano i nazionalisti. Dal “Giornale d’Italia” del 20 novembre:

 

A Roma il 19 corr., si sono riunite le tre direzioni dei partiti radicale, democratico-costituzionale e socialista-riformista, le quali hanno dichiarato che pur mantenendo ai partiti la loro particolare fisionomia, le forze dei partiti stessi si riuniranno per svolgere concordemente un’azione ispirata ai seguenti principi e di intesa nelle seguenti finalità: di liberare le terre irredente soggette all’Austria, opposizione alla propaganda neutralista, affermazione imprescindibile di tutelare gli interessi politici ed economici italiani, di concorrere alla vittoria della Triplice Intesa, di pesare sulla determinazione del futuro assetto europeo, in modo che sia attuato il principio di nazionalità, e vengono eliminati quanto più è possibile i futuri conflitti.

Le tre direzioni hanno provveduto alla nomina di una commissione esecutiva al coordinamento ed alla direzione del movimento da svolgere per mezzo delle rispettive sezioni, che dovranno dice il comunicato- promuovere il rinvigorimento della coscienza nazionale, la diffusione della coscienza dei più gravi problemi della situazione presente, allo scopo di preparare lo spirito pubblico ad ogni necessario sacrificio.[9]

 

Le diverse posizioni assunte dai partiti politici e dalle associazioni, in questo particolare momento storico dividevano l’opinione pubblica:

 

Il governo da l’impressione di voler restare saldo nei suoi intendimenti, o lascia intravedere che si dovrà ricorrere alle armi, non per combattere i due imperi centrali o favorire gli interessi della Triplice Intesa, ma soltanto per tutelare la libertà nell’Adriatico.

I socialisti, nella grande maggioranza resistono alle lusinghe dei loro compagni di Germania e di Francia, si sono dichiarati risolutamente fautori della pace. Per la pace, sottoforma di neutralità armata, votarono anche i cattolici milanesi, adunatasi con l’On. Meda e altri parlamentari, in un’assemblea molto numerosa a metà settembre.

Il partito liberale, per bocca dei suoi rappresentanti di Montecitorio, s’è accontentato di riconfermare la propria fiducia nell’opera del governo. Restano dunque fautori di un intervento armato nel conflitto europeo, in aiuto della Triplice Intesa o, se non tanto a danni dell’Austria, i repubblicani, i nazionalisti e la massoneria: quelli per evidente simpatia verso la Francia: gli altri per desiderio di liberare Trento e Trieste e, se possibile sarà anche la Dalmazia, dal così detto giogo straniero: la massoneria per i segreti suoi scopi.[10]

 

I socialisti ribadivano la loro scelta: restare neutrali:

 

“Il compito italiano non è di trovare il momento buono, di carpire con accortezza, di annettere; compito mal rispondente alle tradizioni della storia; compito inferiore ed indegno dell’avvenire di un paese; il nostro compito è di lanciare il grido della fratellanza, della concordia della pace di tutti i popoli che sono fuori della mischia feroce e insensata, e preparare la pace e l’arbitrato che decida.”[11]

 

I cattolici dal canto loro facevano sentire la loro voce per mezzo del conte Della Torre:

 

“L’unità internazionale della Chiesa non ammette né divisioni, né lotte, mentre la neutralità dei figli di una Patria, non intesa solo nella materialità del suo territorio, ma nelle tradizioni della sua gente, nella grandezza della sua storia e più nella missione sociale cui anche il popolo anela con sentimenti di legittimo orgoglio per la grandezza dei suoi padri e la forza viva delle sue virtù religiose e civili, non può essere che condizionata all’inviolabilità di quei diritti, di quelle aspirazioni, di quegli interessi che costituiscono il patrimonio non soltanto materiale della nazione, ma sono la vita della sua vita, la speranza di tutto il suo avvenire; non può essere condizionata questa neutralità, che nell’integrità di quelle supreme ragioni di giustizia, in ordine al diritto della nostra esistenza e del nostro sviluppo nel mondo, quindi se vilipeso e conculcato, nella legge cristiana della civiltà, eguale per tutti i popoli, è ammessa ed accettata l’eventualità della guerra.

Il popolo brama la pace, ma è altresì vero che noi vogliamo la neutralità condizionata, non già assoluta, e quindi crediamo che il giorno in cui il Governo del nostro Paese non dovrà ricorrere ad un pretesto per scendere in campo, il popolo comprenderà che è giunta l’ora del sacrificio e lo affronterà per la Patria con l’invincibile entusiasmo della sua fede.”[12]

 

Il pensiero del conte Andrassy, scrittore ungherese, riportato in un articolo del “Corriere della Sera”, usato per spiegare ciò che conviene all’Italia di fronte all’Austria in questo particolare momento:

 

L’Italia deve mettersi contro gli slavi, a fianco dell’Austria. Questo è il pensiero dominante del conte Andrassy.Il più grande pericolo dice lo scrittore ungherese, sarebbe duplice: in quanto pericolo propriamente serbo e in quanto pericolo russo. Gli slavi del sud, e molta parte degli altri slavi che oggi dipendono dalla Monarchia danubiana, concepiscono la solidarietà fra di loro non nel senso in cui i russi concepiscono il panslavismo, pongono la loro indipendenza fuori dall’idea panslava e la porrebbero contro l’idea panslava se questa fosse minacciosa per loro.

Del resto, se noi oggi aiutassimo l’Austria contro il mondo slavo, non per questo avvantaggeremmo la nostra situazione, perché l’Austria non può sopprimere quello che si chiama pericolo slavo; ella aspira anzi ad organizzare gli slavi e a dargli maggiore importanza nella Monarchia. Il pericolo che ella rappresenta è dunque, anche da questo aspetto, più forte ed imminente. Infatti, ella ha esaltato l’elemento slavo contro l’elemento italiano; lo ha trapiantato anche dove non arrivava, o arrivava a stento, come a Trieste o nell’Istria. La vittoria austro-ungarica significherebbe per noi non uno ma due pericoli: il pericolo etnico della espansione, incoraggiata ed aiutata, degli slavi nelle terre italiane della Monarchia e ai nostri confini, e il pericolo politico di un Austria resa più possente e prepotente da una migliore sistemazione degli slavi in seno al proprio organismo statale.

Ecco perché noi non possiamo aiutare l’Austria-Ungheria in questo momento: aiutandola prepareremmo una subordinazione politica a lei. A noi conviene intenderci con gli slavi invece, perché in un accordo con loro possiamo garantire una parte dei nostri essenziali interessi. A noi conviene che nella penisola orientale si costituisca un assetto delle nazionalità che possa vivere indipendente. L’Italia non fa e non aspira a fare una politica di egemonia: aspira soltanto a difendere la propria nazionalità e ad estenderla mediante ragionevoli e realizzabili intese con gli altri popoli che hanno interessi nel Mediterraneo.[13]

 

La posizione dell’On. Giolitti affermata in una lettera inviata all’On. Peano e pubblicata dalla “Tribuna”:

 

La “ Tribuna” la sera del primo febbraio, dopo aver ricordato la sua spontanea smentita alle voci che correvano sul conto dell’On. Giolitti circa i colloqui attribuitigli con l’ambasciatore germanico principe di Bülow e circa la sua adesione al partito della neutralità assoluta, dichiara di assumersi la responsabilità di pubblicare una lettera diretta dall’On. Giolitti all’On. Peano, aggiungendo di sperare che questa lettera sarà ritenuta decisiva in questo momento in cui tutte le polemiche, specie quelle fatte su semplici fantasticherie, sono inopportune. È la seconda volta dall’inizio della guerra che l’On. Giolitti fa dichiarazioni di carattere politico che si riferiscono alla situazione internazionale. E le dichiarazioni contenute nella lettera da lui inviata all’On. Peano e pubblicata dalla “Tribuna” non sono tardive, come quelle fatte alla Camera sulla neutralità italiana allorché la neutralità italiana era già un fatto compiuto, ma giungono invece in tempo opportuno, poiché era interessante conoscere oggi il pensiero dell’ex Presidente del Consiglio intorno a ciò che all’Italia e al suo Governo conviene meglio di fare nell’ora presente. L’On. Giolitti giudica della situazione internazionale e delle decisioni che essa impone all’Italia assumendo questi due criteri, che la guerra sia non già una fortuna, ma una disgrazia, la quale deve affrontarsi quando l’onore e i grandi interessi del Paese lo impongono, e che non sia lecito portare il Paese alla guerra per un sentimentalismo verso altri popoli. Nella sua lettera egli afferma  di ritenere possibile, anzi non improbabile che, nelle attuali condizioni dell’Europa, parecchio possa ottenere senza la guerra. Questo è il punto essenziale. Ma dobbiamo aggiungere che, la conflagrazione europea non fa sorgere, dinnanzi all’Italia, unicamente problemi territoriali o di nazionalità, essa fa sorgere, prima e al di sopra di ogni altro, il problema della posizione futura dell’Italia nell’equilibrio dell’Europa e del mondo. L’Italia cioè, deve tendere, non solo al raggiungimento delle proprie aspirazioni nazionali e territoriali, ma altresì, e prima di tutto, ad evitare l’isolamento. Egli smentisce, in pari tempo, di essere fautore della neutralità assoluta, e ammette che, sulla possibilità di ottenere ciò che importa all’Italia senza la guerra, chi non è al Governo non ha elementi per un giudizio concreto.[14]

 

Si parlava di un possibile accordo tra L’Austria e l’Italia auspice la Germania:

 

Da oltre un mese si discute intorno ad un accordo che dovrebbe farsi fra l’Austria e l’Italia, auspice la Germania. Noi invece abbiamo sempre detto che trattative vere e proprie per cessioni territoriali non esistono, vi sono bensì continue conversazioni fra i rappresentanti della Germania e dell’Austria e il nostro Governo, ma le conversazioni dicono coloro che sanno sono state sempre generiche. A Vienna e a Berlino si crede che, nel caso si debbano fare cessioni territoriali all’Italia, esse non dovrebbero avere attuazione se non dopo la fine della guerra. Per contro nostro non abbiamo mai creduto che l’Austria spontaneamente offrisse i territori che costituiscono la frontiera naturale al nostro paese. Del resto se l’Austria avesse avuto realmente intenzione di proporre un’intesa all’Italia, l’avrebbe già fatto in una maniera esplicita, chiara, precisa, il non averlo fatto dimostra che le sue intenzioni sono diverse da quelle che alcuni italiani vogliono attribuirle. L’Austria immagina che l’attuale guerra finisca per non mutare radicalmente le condizioni europee in genere, adriatiche e balcaniche in specie, da quelle che erano prima della guerra, e immagina quindi che l’Italia abbia tutto da guadagnare da una transazione, più o meno limitata, con lei. Viceversa l’Italia non può non considerare tutta la situazione internazionale come profondamente differente da quella su cui era fondata la Triplice Alleanza, e non può quindi non vedere l’inanità, da un verso, il danno, da un altro, di un accomodamento con l’Austria che leghi il nostro paese ad una vecchia situazione insostenibile e già sconvolta. Per questo noi non prestiamo fede ai presunti accordi di cui tanto si parla, per questo siamo convinti che, se un giorno si vorrà definire e concludere, si vedrà che i bisogni, gli interessi e le ragioni delle due parti sono più differenti e irriducibili di quello che oggi i sognatori dell’accordo non vogliono confessare.[15]

 

In base alle informazioni particolari del corrispondente romano, il “Temps” faceva un quadro della situazione diplomatica in un telegramma:

 

Si afferma che la Germania sia riuscita alfine a persuadere l’Austria a porsi in contatto diretto con l’Italia, ma a vero dire questo contatto diretto finora non pare avere altro effetto se non quello di far risaltare ancora più l’enorme distanza che separa le aspirazioni degli italiani e i sacrifici che l’Austria sarebbe eventualmente disposta a fare. Ora, in questa nuova situazione, l’Italia ha verso sé stessa il dovere di realizzare tre ordini di aspirazioni:

1.      Una frontiera territoriale che non sia più, come quella fissata nel 66, una minaccia e un pericolo aperto,

2.      Una situazione strategica nell’Adriatico che non dia più all’Austria la preponderanza marittima come le da ora il fatto che tutte le coste orientali dell’Adriatico e dell’arcipelago dalmata sono in potere dell’Austria-Ungheria,

3.      Il dovere di salvare la razza italiana attualmente soggetta all’Austria, razza minacciata di distruzione di fronte alla politica di oppressione e di persecuzione costante e sistematica adottata dall’Impero.

Dati questi tre ordini di aspirazioni legittime, che non datano da ieri, l’Italia ha coscienza di aver fatto in cinquanta anni, cioè dal 66, numerosi sacrifici per amore della pace e per mantenere la parola data, quando assurse a nazione, di essere in Europa un elemento d’ordine e non di conflitto. Ma ora che tutti i valori politici, morali, militari, economici dell’Europa e di una grande parte del mondo stanno per essere trasformati in seguito alla guerra che l’Italia non solo non ha provocata, ma ha lealmente tentato di impedire, l’Italia stessa non può fare a meno di realizzare le sue proprie aspirazioni nazionali. L’Austria ci si fa osservare qui, è sempre la stessa, sempre l’Austria del 49, del 59, del 66, che rifiuta di cedere al popolo italiano, quello che gli appartiene in forza del diritto di nazionalità.[16]

 

Gli Slavi e le loro pretese sull’Adriatico:

 

La grossolana contraddizione che si racchiudeva nella formula interventista appare oggi in tutta la sua stridente evidenza. Non si può volere ad un tempo la guerra all’Austria per Trieste l’Istria e la Dalmazia ed essere alleati, che vuol dire essere aiutati da serbi e russi che su quei paesi appuntano i loro appetiti.

Ma sono legittime e fondate le pretese slave sull’altra riva adriatica? Secondo i punti di vista. Se la cancelleria, la stampa borghese, anche quella che parla di democrazia, di civiltà, di nuovo assetto europeo basato sulle ricostituite nazionalità, riconoscessero che nei paesi a razze miste non si deve imporre nessuna dominazione, ma si deve lasciare ai paesi stessi di darsi quel ordinamento che meglio risponda ai loro interessi, allora si dovrebbe concludere che le pretese russe e serbe sono assurde e ingiuste, data la commistione etnografica di quelle terre.

Ma allora e per le stesse ragioni dovremo negare anche fondamento e legittimità dell’imperialismo italiano. Abbiamo messo il dito sulla piaga: abbiamo commesso il grande delitto di negare che i paesi adriatici siano solamente e compattamente italiani.

È ben vero che si sente ora parlare con certa insistenza di un accordo italo-serbo, che presumibilmente si ingegnerà di trovare un punto d’appoggio nella spartizione della torta adriatica. Ma chi non vede l’assurdità di un accordo che si proponga di tagliare, poniamo, il litorale in senso orizzontale, per dare, alla Serbia, la Dalmazia, e all’Italia l’Istria e Trieste, Friuli compreso? Infatti, con tale assetto, il contrasto di stirpe non viene né eliminato, né attutito.

In questo disastro sarebbero comunque travolti slavi e italiani. Torna dunque propizia e opportuna la formula del Convegno socialista di Londra, laddove si è detto che nessun mutamento territoriale debba compiersi se non per manifesta ed espressa volontà delle popolazioni interessate.

Nel caso nostro, senza lasciarci prendere la mano da fantasiose illusioni, senza esagerare pericoli e vantaggi, ma al solo e unico e veramente “patriottico” scopo di risparmiare a noi disinganni amari e ad altri sicuri disastri economici, ributtiamo le velleità imperialiste che vorrebbero portare i confini d’Italia fino a lontananze fantastiche anche a costo di andare contro gli slavi (cioè contro la Serbia e la Russia) e mantenendo fermo il principio di nazionalità che spesso si invoca per farne esempio, dichiariamo esplicitamente che slavi e italiani nella regione adriatica devono vivere d’accordo ugualmente irredenti da qualsiasi dominio politico.”[17]

 

Da oltre un mese si discute di un possibile accordo tra l’Italia e l’Austria-Ungheria, auspice la Germania. L’Austria non può fare l’accordo con noi, la composizione della Monarchia è tale, e tale è la situazione in cui oggi si trova di fronte alle razze che la compongono, che non può pacificamente transigere senza pericoli. La transazione solo in un caso sarebbe possibile ed agevole per lei: se si restringesse a qualche rettifica insignificante di confine. L’accordo non conviene d’altro canto all’Italia, e cioè perché ci si dovrebbe contentare di concessioni che non soddisferebbero né le nostre aspirazioni etniche, né né le nostre necessità militari sia terrestri che marittime. Inoltre Trieste è per l’Italia una condizione sine qua non, ma l’Austria vuol e conservare Trieste il suo polmone marittimo. L’Italia allora non avrà avuto i confini naturali, e non avrà quindi la sicurezza della difesa terrestre di cui avrà più che mai bisogno, non avrà modificato in nulla la sua sfavorevole situazione nell’Adriatico, resterà subordinata agli imperi centrali; avrà in una parola, minore indipendenza e libertà internazionale.

“Io comprendo e giustifico l’avversione di voi socialisti alla Triplice Alleanza. Voi volete che l’Italia non sia alleata di chi che sia, che rinunci alla sua politica di grande potenza. Ciò che sarebbe allegro se non fosse triste è l’improvviso rancore che contro la nostra trentennale  alleanza sfoggiano coloro i quali fino a ieri hanno considerato provvida per l’Italia non solo l’alleanza stessa in sé, ma il sistema sul quale essa poggiava, e cioè l’adesione del gruppo tedesco concepito come un efficace neutralizzatore dell’egemonia franco-inglese nel Mediterraneo. Non sono dunque i traditori gli infami triplicasti i venduti alla Germania, ma sono quegli altri, sono i russi, i serbi e i loro ciechi amici d’Italia, i quali si incaricano di dimostrare che o noi cerchiamo sulla base delle nostre legittime aspirazioni nazionali l’accordo con la Germania o rimarremo diminuiti nell’Adriatico. Come fanno a considerare nemica la Germania ed alleate la Serbia e la Russia coloro i quali considerano, d’accordo con il nostro Stato Maggiore, indispensabile all’Italia non solo il possesso del litorale adriatico fino a Zara, ma la limitazione dell’espansione serba tanto nel territorio quanto all’efficienza militare marittima? Perché il problema è qui, è tutto qui.”[18]

 

Il “Corriere della Sera” nel mese di aprile concesse ampio spazio alle tesi interventiste, tenendo presente di informare l’opinione pubblica sia del punto di vista italiano, sia dal punto di vista degli stranieri con particolare attenzione alle posizioni serbe, russe e franco-inglesi. Non mancarono inoltre articoli che tendevano a dimostrare “l’italianità” di Trieste e dell’Istria[19], in polemica con i socialisti e con l’ “Avanti”, che riconoscono, che la conquista  e  la difesa del confine naturale renderebbe più sicuro il paese dalle minacce straniere e quindi meno grave il suo permanente sforzo militare, e otterrebbero quindi un argomento in più a favore delle loro campagne sul disarmo.

Vi troviamo inoltre riportato un articolo scritto da Gabriele D’Annunzio e pubblicato nella “Petite Gironde di Bordeaux”, uno degli organi più importanti della stampa di provincia, un articolo intitolato “ l’amarissimo Adriatico”. Ma esso affermava con una certa eloquenza i diritti dell’Italia sul mare orientale, con riferimenti alla situazione dell’epoca. D’Annunzio ricordava come le conseguenze della sconfitta della battaglia di Lissa pesarono sull’anima italiana. Dopo aver dimostrato che l’Adriatico, per diritto divino ed umano, appartiene agli italiani, il poeta alludendo al problema slavo concluse:

 

“Io so bene che vi è in Europa ed alle porte stesse di quel mare un’altra razza che coltiva un ambizioso sogno di egemonia nell’avvenire. Questo popolo crede che come nel passato fu latino e nel presente sembra debba essere germanico, in un avvenire misterioso sarà slavo. Noi sapremo strappare la statua ideale della più grande Italia dall’abisso amarissimo dove giace da quasi mezzo secolo, custodita da eroi insanguinati che aspettano il nuovo giorno.”[20]

 

I cattolici di fronte all’imminenza della guerra:

 

 Il Papa non si lascerà influenzare dalle pressioni austro-tedesche anche perché è generale la convinzione che l’entrata in guerra dell’Italia non porterà alcuno screzio fra il Vaticano e il Governo italiano, alcun turbamento, benché minimo, nella coscienza del clero e dei cattolici italiani, i quali è ormai ammesso senza alcun dubbio che compiranno in perfetta  tranquillità, senza dualismi né apparenti né intimi, il loro dovere di cittadini qualora fossero chiamati a dar prova del loro patriottismo.[21]

 

Il movimento panslavista:

 

“Il movimento panslavista non ha base esclusivamente politica: è un problema antropologico sollevato con la dichiarata aspirazione di stringere in una solidarietà d’acciaio tutti i milioni di slavi che vanno dal Mar Nero al Mar Bianco e dall’Adriatico al Pacifico. Una solidarietà di razza che si propone di superare tutte le differenze statali, etnologiche, linguistiche e religiose, per formare il più vasto reggimento politico della terra. Questo movimento è stato profanato dalla presente guerra. Non a torto si è fatto risalire il movimento panslavista all’epoca dell’occupazione di Costantinopoli da parte dei turchi. L’ideale della Gran Serbia come tema panslavista fu lanciata dall’” Omladina”. È l’ideale per il quale oggi si battono la Russia e la Serbia dopo l’attentato panslavo al granduca austriaco: unire i serbi di Serbia, Bosnia Erzegovina, Slovenia e Dalmazia, sotto l’unico scettro di Serbia. Il panslavismo perde l’andatura decisa dei suoi primi anni e deve dibattersi come il ragno tra la luce della nazionalità e l’ombra dell’accentramento. Comincia a claudicare.”[22]

 

Il neo-slavismo:

 

I popoli slavi, quelli ai quali il panslavismo ortodosso e classico auspicava l’unità di linguaggio, formano invece una Babele di fragorose dissensioni e di numerosi disaccordi. I popoli slavi sognano ciascuno un proprio regno nazionale. Essi si considerano come popoli giunti alla maggiore età che si ribellano al maggiorasco: la Russia deve smettere le sue arie altezzose di fratello maggiore. I popoli slavi vanno ormai orgogliosi del loro tipo speciale di cultura, della loro particolare tradizione storica e considerano come una grave disgrazia la loro dipendenza culturale. Il neo-slavismo modernizza le scure facciate dell’edificio panslavista antidemocratico e anti-occidentale. Esso non distingue più tra popoli slavi deboli o forti, tra pupilli e tutori, ma non rinuncia a fonderli in una solidarietà superiore che li renderà, a lungo andare, membra libere e vigorose di un unico gran corpo. I croati rappresentano con il loro antagonismo manifesto alle mire panserbe un altro scoglio contro il quale va ad urtare, come nave in gran tempesta, la spedizione argonautica del panslavismo.

Questo attrito fra pancroati e panserbi, che si accende intorno al pomo di Paride della Dalmazia, che i nostri imperialisti vorrebbero ambire per esporre l’Italia a seri conflitti a breve scadenza, sospinge questa altra frazione slava a servire da cemento alla compagine storica austriaca. Se il panslavismo riuscirà a comporre il litigio è questione di tempo: ma non ci pare che la guerra sia il mezzo migliore per raggiungere l’intento, e tutto lascia prevedere che, anche restando vittoriosa l’Intesa, la Serbia dovrà fermare i confini alla Bosnia ed Erzegovina con una ristrettissima lingua di terra.”[23]

 

L’ “Avanti” e le guerre di smembramento:

 

Ho sempre creduto che le guerre del 49 e del 68, che le fecero perdere il Lombardo-Veneto, non dovessero essere riguardate come guerre di smembramento, e lo stesso Proudhon che aveva un sentimento così vivo delle questioni nazionali, scriveva, nel 60, che l’Austria avrebbe fatto bene ad abbandonare Venezia dietro una congrua indennità. E Proudhon non era certo uomo da ritenere che uno smembramento potesse regolarsi con un risarcimento dei danni. I paesi italiani, governati o sorvegliati dall’Austria, indebolivano la sua potenza militare, senza procurare all’impero nessun vantaggio reale, materiale o morale.

La Dalmazia pare destinata ad essere spartita, dopo la guerra, fra la Serbia ed il Montenegro, l’Austria perderà in quel modo una sorgente non indifferente per il reclutamento del personale della sua marina. È l’Italia che soffrirà maggiormente per questa trasformazione, poiché lo stabilire basi russe in Adriatico, contribuirà notevolmente a limitare la sua posizione marinara, ma pare che in Italia si sia rassegnati a questa diminuzione nazionale. Quanto all’Istria, mi limiterò a riferire ciò che Proudhon scriveva nel 1861 nell’opera “ La guerra e la pace” , che in nessun caso l’impero d’Austria potrebbe perdere la costa orientale dell’Adriatico. Ad un grande stato è necessario lo sbocco sul mare.[24]

 

Il Libro Verde si iniziava con un telegramma del Ministro degli Affari Esteri al Regio Ambasciatore a Vienna, in data 9 dicembre 1914.

Il Barone Sonnino incaricava il Duca Avarna di comunicare al Conte Berchtold che l’avanzata austro-ungarica in Serbia costituisce un fatto che deve essere esaminato dai governi austro-ungarico ed italiano in relazione all’articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza.

 

L’Italia ha un interesse di primo ordine alla conservazione della piena integrità e dell’indipendenza economica della Serbia. Il Governo austro-ungarico ha bensì a varie riprese dichiarato di non avere intenzione di fare acquisti territoriali a danno della Serbia, ma una dichiarazione così formulata non costituisce un impegno stabile.

Deve pur essere notato che la stipulazione del predetto articolo VII dà all’Italia diritti per compensi anche per vantaggi di carattere non territoriale che il Governo austro-ungarico avesse a conseguire nella regione dei Balcani.

Gli scambi tra Berlino e Vienna continuavano, i primi volevano persuadere gli austriaci a concedere all’Italia almeno Trento. Il Barone Sonnino continuava:

“Il principe Bülow si raccomandava che non allargassimo le domande, perché certamente l’Austria avrebbe preferito la guerra alla cessione di Trieste. Egli riteneva di poter riuscire con il Trentino, non più oltre.”.

Il Barone Sonnino insisteva sull’urgenza che a Vienna si prendessero decisioni:

“Presenterò le nostre domande solo quando sapremo se l’Austria-Ungheria accetta come terreno della discussione che si tratti di cessioni di territori oggi posseduti dalla Monarchia, e che fino a quel giorno non preciserò né escluderò nulla, né riguardo Trentino, né riguardo Trieste o all’Istria o ad altro.”.

Dalla risposta di Burian traspare evidente l’intenzione di far precedere un’azione militare austro-ungarica alla discussione dei compensi di cui all’articolo VII.

Il ministro degli Affari Esteri incarica il Duca Avarna di comunicare a Vienna che:

“Opponiamo un veto ad ogni azione militare  dell’Austria-Ungheria nei Balcani fino a tanto che non si verifichi in precedenza l’accordo sui compensi voluti dall’articolo VII.”

Il ministro degli Affari Esteri riassume il 4 marzo il suo pensiero così:

Che nessuna azione militare dell’Austria-Ungheria nei Balcani deve potersi iniziare senza che sia stato antecedentemente portato a termine l’accordo sui compensi, tenendoci noi rigorosamente al testo dell’articolo VII;

1.      Che ogni infrazione di quanto sopra  sarà da noi considerata come un’aperta violazione del trattato, di fronte alla quale l’Italia riprende la piena sua libertà d’azione a garanzia dei propri diritti e interessi;

2.      Che nessuna proposta o discussione di compensi può condurre ad un accordo se non prospetta la cessione di territori già posseduti dall’Austria-Ungheria;

3.      Che valendoci del disposto dell’articolo settimo, esigiamo compensi per il fatto stesso dell’inizio di un’azione militare dell’Austria-Ungheria.[25]

 

Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarava guerra all’Austria-Ungheria. In una nota italiana alle Potenze.

Il Ministro degli Affari Esteri ha diretto ai Rappresentanti all’Estero il seguente telegramma circolare:

 

Il carattere eminentemente conservativo e difensivo della Triplice Alleanza risulta evidente dalla lettera e dallo spirito del Trattato e dalle intenzioni chiaramente manifestate e consacrate in atti ufficiali dei ministri che fondarono l’Alleanza e ne curarono i miglioramenti.

Agli intenti di pace si è costantemente ispirata la politica italiana. Provocando la guerra europea, respingendo la risposta remissiva della Serbia che dava all’Austria-Ungheria tutte le soddisfazioni che essa poteva legittimamente chiedere, rifiutando di dare ascolto alle proposte conciliative che l’Italia aveva presentato ad altre Potenze nell’intento di preservare l’Europa da un immane conflitto che avrebbe sparso sangue ed accumulato rovine in proporzioni mai vedute e neppure immaginate, l’Austria-Ungheria lacerò con le sue stesse mani il patto di Alleanza con l’Italia, il quale, sino a che era stato lealmente interpretato non come strumento di aggressione, ma solo come difesa di possibili aggressioni altrui, aveva validamente contribuito ad eliminare le occasioni o a comporre le ragioni di conflitto, e ad assicurare ai popoli per molti anni i benefici inestimabili della pace.[26]

 

Era ben naturale che la dichiarazione italiana di guerra, benché da lungo tempo prevista, suscitasse negli imperi centrali un fiero sdegno. Sarebbe stata forse miglior politica non mettere troppo in mostra il vivo risentimento; invece, sia in Germania, sia in Austria-Ungheria si credette di dover ostentare forza con una veemenza di linguaggio che, oltrepassando la misura, perdeva di dignità e di valore. A Berlino il cancelliere dell’impero, nella seduta del 28 maggio, dinanzi al Reichstag espressamente radunato, espose l’andamento della crisi e lo scoppio della guerra in Italia.

La nota dominante delle recriminazioni sorte contro l’Italia sia a Berlino che a Vienna era l’accusa di slealtà e di tradimento.[27]

 

Il ministero non poteva tacere davanti a tali imputazioni: non era solo questione di vivacità di parole, era questione anche di fatti taciuti o malamente esposti, bisognava richiamarli alla luce o rettificarli per la verità della storia, e l’On. Salandra si assunse di farlo profittando di una adunanza indetta dal comitato romano per la mobilitazione civile. La riunione si tenne il 2 giugno nella sala degli Orazi e Curiazi.

 

Se v’erano ancora sino a ieri i dubbiosi che, mal convinti dell’assoluta necessità di questa guerra, si stringevano attorno al Governo per puro spirito di disciplina e per devozione alla Patria, quei dubbiosi debbono oggi, dopo il discorso dell’On. Salandra, bandire le ultime incertezze e riconoscere che il Governo ha preso la sola soluzione conveniente alla salvezza del Paese.

Il nostro torto fatale era, non già volerci estendere per bramosia di conquista, ma di non aver mai rinnegato nelle mani dei poliziotti e dei luogotenenti di Trento e di Trieste la fraternità di sangue per i sudditi italiani offesi nella loro dignità e nelle loro libertà civili. Ci eravamo rassegnati ad aspettare, passivamente, che il destino stesso ci chiamasse un giorno a compiere l’unità italiana; e intanto eravamo i servi più pazienti e leali della pace europea. L’ucciso Arciduca ereditario s’era fatto dello schiacciamento dell’Italia il programma capitale della sua politica.

Noi siamo stati salvati oggi, in parte dalla risolutezza finale del nostro Governo, in parte dalla cecità politica dell’Austria. Siamo stati salvati anche, bisogna dirlo, dal disprezzo in cui l’Austria ci teneva, dalla convinzione austriaca che, pur tentando il riscatto, non avremmo mai osato avventurarci nella guerra.[28]

 

Il “Piccolo Giornale d’Italia” dava da Zurigo le seguenti notizie:

 

Notizie viennesi confermano che grandissimi danni sono stati prodotti dal bombardamento dei nostri dirigibili a Pola e dei nostri cacciatorpediniere a Monfalcone. L’arsenale di Pola fu realmente in fiamme e a stento con i moderni mezzi di estinzione di cui sono forniti gli arsenali, poté essere domato l’incendio. I danni sono stati grandi e avranno conseguenze notevoli. Altre notizie confermano che l’Imperatore è molto abbattuto e che la situazione in Austria si fa ogni giorno più critica per le tragiche vicende della guerra e per la tragica situazione finanziaria e la carestia.[29]

 

A Zurigo arrivavano quasi tutti i giorni dalle terre irredente fuggiaschi che non potendo direttamente raggiungere la frontiera italiana prendevano la via della Svizzera. Raccontavano:

 

Il Piccolo, del quale non esistono ora più che i muri esterni. Tutto il resto è stato devastato e incendiato. Gli assalti contro Il Piccolo sono stati tre e furono capitanati dall’esercito austriaco. Quasi contemporaneamente vennero demoliti e devastati molti negozi e locali pubblici. I negozianti che non possono dichiararsi sudditi austriaci, tedeschi od ottomani o di stati neutri, sono obbligati a tener chiuso per motivi di ordine pubblico. Saccheggiati sono molti edifici ed esercizi pubblici della città frequentati di solito dai fautori del partito nazionale italiano. I viveri scarseggiano, fino a pochi giorni fa c’era ancora un po’ di carne che si vendeva a prezzi enormi. Di farina non se ne trova. La frutta è a buon mercato, ma non può essere inoltrata nell’interno perché mancano le combinazioni ferroviarie. Non si trovano a Trieste che quattro medici; tutti gli altri sono stati chiamati dalle autorità militari.[30]

 

L’Italia, la Serbia e la necessita di giungere ad un accordo:

 

È arcinoto che per noi socialisti la legittimità di ogni sorta di aspirazioni territoriali dipende dal loro sincero e incontestabile carattere di “unificazione territoriale”. Nei mesi passati prima che l’Italia intervenisse nella guerra europea noi in queste stesse colonne motivammo con abbondanza e con insistenza la necessità per l’Italia di addivenire ad un preciso concordato con la Serbia, precisamente per la Dalmazia e per l’Albania per eliminare la possibilità dell’insorgere di qualsiasi divergenza in rapporto fra due stati marcianti in guerra contro un nemico comune. E non nascondemmo mai, anzi lo precisammo sempre, il nostro dissenso da quei gruppi politici del nostro paese, i quali insistono nel rivendicare per l’Italia il possesso di tutta la Dalmazia.”[31]

 

“Non vi è un uomo in Serbia che non comprende e non giustifichi le esigenze strategiche e politiche, per le quali l’Italia aspiri al dominio sull’Adriatico. Su questo mare noi non domandiamo se non di poter respirare e di poter creare le condizioni adatte al nostro sviluppo commerciale ed economico. Noi ne abbiamo diritto e ne abbiamo bisogno e l’Italia non  solo non ha e non può avere nulla contro questa nostra aspirazione, ma è anzi interessata ad agevolarne la realizzazione. Infatti, una volta aperta alla Serbia la porta sull’Adriatico, su questo mare chi potrà giovare dei facilitati traffici con tutta la penisola balcanica se non l’Italia. Ve lo ripeto: la nostra uscita nell’Adriatico da un punto di vista economico giova anche all’Italia, con la quale i caratteri della produzione serba escludono ogni possibilità di concorrenza. Anzi, l’Italia può in questo campo fornire solo ciò che a noi manca. E in quanto al resto la Serbia conta di arrivare in Dalmazia solo fin dove si trovano popolazioni che hanno con essa in comune la tradizione e la lingua, i martiri del passato e le speranze nell’avvenire. Ma una cosiddetta Gran Serbia, se poteva costituire l’incubo dell’Austria, non può in alcun modo preoccupare l’Italia i cui interessi di ogni genere costituiscono, come i nostri, una completa suggestione ed un cordiale ed un durevole buon vicinato italo-serbo nell’Adriatico.[32]

 

Zurigo, 9 luglio, notte. Si riceveva da Vienna la seguente notizia:

 

Il “Wiener Journal” reca che il Commissario imperiale di Trieste cerca di trasformare la città in città austriaca. Le divise degli uscieri, delle guardie dei mercati e dei pompieri sono state cambiate con quelle viennesi. Lo stemma della città è stato ritoccato facendo predominare sullo scudo l’aquila bicipite. Sono stati cambiati i nomi delle vie.[33]

 

“Mentre prima della guerra si avevano in Trentino e nella Venezia Giulia complessivamente 900000 italiani, ora il numero di quegli abitanti è valutato in poco più di 200000 persone, ossia più di tre quarti degli italiani in Austria sono scomparsi o spontaneamente o forzatamente. Molti hanno cercato rifugio in Italia ancora prima della guerra, parecchi sono stati arruolati e hanno dovuto combattere nell’esercito austriaco in Galizia e in Serbia, e quando scoppiò la guerra con l’Italia i pochi che erano rimasti sono stati obbligati a partire dalle autorità locali, oppure sono stati relegati nell’interno della Monarchia.

Queste cose mi sono state ripetutamente confermate da molti profughi irredenti che si trovano anche qui in Svizzera e che, a ragione, sono molto indignati della storiella della fedeltà alla casa d’Asburgo.”[34]  

 

Sabato 7 agosto Gabriele D’Annunzio volò sopra Trieste, fece due giri sulla città che appariva deserta, immediata fu la risposta dei cannoni, delle mitragliatrici e dei fucili. Con il primo volo furono lanciati i messaggi, chiusi in sacchetti impermeabili, la cui caduta era regolata da un peso di sabbia e da una lunga fiamma tricolore.

Ecco il testo del messaggio ai triestini:

 

“Coraggio fratelli! Coraggio e costanza! Per liberarvi più presto combattiamo senza respiro. Nel Trentino, nel Cadore, nella Carnia, sull’Isonzo conquistiamo terreno ogni giorno. Non v’è sforzo del nemico che non sia rotto dal valore dei nostri. Non v’è sua menzogna impudente che non sia sgonfiata dalle nostre baionette. Abbiamo già fatto più di ventimila prigionieri. In breve tutto il Carso sarà espugnato. Io ve lo dico, io ve lo giuro, fratelli: la nostra vittoria è certa. La bandiera d’Italia sarà piantata sul grande arsenale e sul colle di San Giusto.

Coraggio e costanza! La fine del vostro martirio è prossima. L’alba della nostra allegrezza è imminente.

Dall’alto di queste ali italiane, che conduce il prode Miraglia, a voi getto per pegno questo messaggio e il mio cuore. Io Gabriele D’Annunzio. Nel cielo della Patria.”[35]

 

Notizie successive parlano di un ulteriore volo di D’Annunzio su Trieste in data 30.08.1915, e di un suo saluto a bordo di una nave da guerra italiana. A Trieste ci furono inoltre appelli da parte del commissario imperiale affinché, la città partecipasse alla sottoscrizione del prestito di guerra austriaco, appelli che suonavano come un obbligo. Numerosi italiani, che lavoravano per il Comune, furono invitati a presentarsi al Municipio per assoggettarsi a processo disciplinare, essendo assenti furono licenziati. Se si fossero presentati, la loro sorte sarebbe stata di essere inviati a Katzenau o a Leibnitz.

Frattanto continuavano le persecuzioni di ogni sentimento italiano. Il Tribunale provinciale di Rovigno, ora trasferito a Pisino, pubblicò questo decreto:

 

L’Imperiale e Reale Tribunale circolare di Rovigno, quale giudizio di stampa, deliberando in seduta non pubblica sulla proposta dell’I. R. procura di stato del 5 ottobre 1915, decide:

1.      Costituire il disegno e il contenuto della cartolina contrassegnata con la sigla F. D. T. e il numero 9576 recante la data Udine I° giugno 1913 e spedita realmente da Udine da certa Maria Goblony alla maestra suaccennata (la cartolina suddetta raffigura la coppia reale italiana e la bandiera di italiana di guerra, sormontata dallo stemma sabaudo r riproduce le testuali:” Gli Italiani irredenti felicitano i loro amati Sovrani”) gli elementi oggettivi del delitto previsto dal paragrafo 305 c. p.

2.      Pronunciare il sequestro, vietare l’ulteriore diffusione di altri stampati, ecc.

Il decreto non dice chi sia la maestra suaccennata. Evidentemente esso è la conclusione di una perquisizione, di un processo e forse di una condanna della maestra in discorso.

Il Tribunale di Trieste ora in Volosca Abbazia vuole distruggere la storia d’Italia almeno nei libri, ha ordinato il sequestro di diversi libri, tra cui: Storia d’Italia, Storia dei Mille, I Mille, I Garibaldini, Storia dell’Unità d’Italia, e di una dozzina di altri libri storici e letterari.[36]

 

 

 

 

                                                                



[1] L’Arciduca assassinato e L’Italia  Rilievi francesi (servizio part. del Corriere sella Sera)  “Corriere della Sera”, 01.07 1914.

[2] “ L’azione austriaca e gli interessi italiani”, “Corriere della Sera”, 26.07.1914.

[3] “L’ultimatum e la neutralità dell’Italia”, “Corriere della Sera”, 01.08.1914.

[4] “Civiltà Cattolica”, Volume III 1914.

[5] T., con chi è l’Italia? I danni dell’isolamento, “ Corriere della Sera”, 21.09.1914.

[6] “Civiltà Cattolica” Volume III 1914.

[7]A. Caroti, Per la neutralità assoluta ma attiva ed operante, “Avanti”, 28.10.1914.

[8] Le incognite insidiose dell’idillio italiano per la lega balcanica la Dalmazia, la Serbia e l’Italia, “Avanti”, 12.11.1914.

[9] “Civiltà Cattolica”, volume IV 1914.

[10] “Civiltà Cattolica”, volume IV 1914.

[11] A Guarnirei-Ventimiglia, “ i nuovi motivi della neutralità socialista”, Avanti, 27.12.1914.

[12] I cattolici di fronte alla guerra. Le direttive esposte a Roma dal conte Della Torre, per telefono al “Corriere della Sera”, 06.01.1915.

[13]  Ciò che conviene all’Italia di fronte all’Austria, ”Corriere della sera”, 29.01 1915.

[14] Una lettera di Giolitti sulla sua visita a Bülow e sulla situazione dell’Italia, “ Corriere della Sera”, 02.02.1915.

[15] T., i colloqui austro-tedeschi circa le offerte territoriali all’Italia,  servizio particolare del “Corriere della Sera”, 19.03.1915.

[16] La situazione dell’Italia di fronte all’Austria, secondo informazioni francesi, servizio particolare del ” Corriere della Sera”, 27.03.1915.

[17] L’ostacolo slavo, ”Avanti”, 01.04.1915.

[18] “ Con la Germania o diminuiti nell’Adriatico”, ” Avanti”, 21.04 1915.

[19] Vedi cartina n°1  in appendice, pag. 140.

[20] I diritti dell’Italia sull’Adriatico. Un articolo di G. D’Annuunzio, “ Corriere della sera”, 26.04.1915.

[21] Le pressioni austro-tedeshe per indurre il Papa a lasciare Roma. La diplomazia in caso di guerra (dal nostro corrispondente in Vaticano), “ Corriere della sera”, 10.05.1915.

[22] E. Leone, panslavismo zoppo, “ Avanti”, 12.05.1915.

[23] E. Leone, il neo-slavismo, “ Avanti”, 13.05.1915.

[24] G. Sorel, le illusioni della guerra. Il destino dell’Austria, “Avanti”, 15.05.1915.

[25] I documenti del Libro Verde. Cinque mesi di risposte evasive dell’Austria e di vane insistenze dell’Italia, “ Corriere della sera”, 21.05 1915.

[26] La Nota dell’Italia alle Potenze, “ il Corriera della Sera”, 24.05.1915.

[27] “ Civiltà cattolica”, volume II 1915.

[28] Dopo il grande discorso di Salandra. Per la nostra salvezza, “ Corriere della sera”, 04.06.1915.

[29] Nuove conferme austriache dei danni a Pola e Monfalcone prodotti dalle nostre operazioni, “Corriere della Sera”, 06.06.1915.

[30] La devastazione e gli incendi di Trieste. La città rimasta con quattro medici (servizio particolare del Corriere della Sera), “ Corriere della Sera”, 16.06.1915.

[31] Il retroscena balcanico. L’Italia e la Serbia,  l’ “Avanti”, 25.06.1915.

[32] Fra la Serbia e l’Italia. Un intervista con l’ex ministro serbo Staianovich,  l’ “Avanti”, 04.07.1915.

[33] Stefani, Trieste in veste austriaca. Lo stemma della città cambiato. Nomi italiani di vie sostituiti, “Corriere della Sera”, 10.07.1915.

[34] Tre quarti degli italiani hanno abbandonato il Trentino e la Venezia Giulia, servizio particolare del “Corriere della Sera”, 13.07.1915.

[35] Il volo di D’Annunzio su Trieste, servizio particolare del “Corriere della Sera”, 12.08.1915.

[36]Stefani, Miserie e inganni a Trieste. Caccia ai libri e cartoline italiani, “ Corriere della Sera”, 28.10.1915.