CAPITOLO TERZO

Dal 1916 al 1917

 

 

 

IL 1916 si apriva con discussioni e dibattiti riguardanti il completamento dei confini dell’Italia. Il “Corriere della Sera” riportava:

 

Per ciò che riguarda l’Italia, appena scoppiata la guerra europea ricominciò, com’ era fatale, la

discussione intorno al completamento storico, naturale e necessario della patria.

L’Italia esige, poiché si è pur voluto scardinare la vecchia costituzione politica del continente, che la nuova costituzione comprenda la costituzione dei suoi confini naturali e il suo predominio nell’Adriatico.

Di tale programma, esaminato con spirito di giustizia, l’Austria si trova esclusa. La monarchia degli Asburgo, non ha sull’Istria e sull’Adriatico altro diritto che quello di un più o meno lungo possesso, cosicché gli interessi che paiono in contrasto con le pretese italiane sono  soltanto, dal punto di vista nazionale, quelli degli slavi. Di solito, il diritto storico non basta, poiché il passato non ha più valore di una vecchia pergamena se il presente se ne mostra indegno, da solo il diritto naturale non basta, poiché può parere la maschera dell’iniqua cupidigia e dell’arbitrio. L’Italia ha provveduto a non lasciar cadere nella polvere il diritto storico, mostrando con il suo coraggio, e con il suo spirito di sacrificio che la sua anima del Risorgimento è più che mai capace di riconsacrare e di rilegittimare il passato, e di tale passato ancora vivo nelle cose e negli uomini si vale a piena giustificazione della necessità che accampa. In Istria e in Dalmazia gli slavi sono più numerosi degli italiani, ma se si domanda quale impronta abbiano ancora quelle terre la risposta non può essere dubbia.

Non bisogna cercare nel passato ragioni contro le pretese italiane, il passato con mille voci e una sola lingua, risponde che le pretese italiane sono puri e non mai decaduti diritti.

Dunque gli slavi hanno dalla loro parte soltanto la ragione del numero. Non diciamo che questa ragione sia nulla, ma diciamo che questa non può essere una ragione che annulli le altre.[1]

 

Con il seguente articolo il “Corriere della Sera” mirava a spiegare i perché della scelta dell’Italia di scendere in campo con l’Intesa contro l’Austria-Ungheria, vale a dire il suo alleato di ieri.

 

L’atto di volontà e di coscienza  compiuto dall’Italia non ha pari nella storia. Sapendo già quale fosse l’orribile gorgo di guerra in cui le toccava bagnarsi, libera della sua forza e della sua volontà e arbitra del fare e del non fare, protetta anche dalla scusa del debito di fedeltà preteso dagli alleati infedeli, essa ha preferito l’incomodo dovere della fedeltà alla sua anima migliore e alla causa del genere umano. Con la dichiarazione di neutralità rinunziò alla parte di Giuda e di sgherro dei violenti, con la dichiarazione di guerra respinse la parte di Pilato. La sua relativamente scarsa germanofobia, non è tanto una risultante politica quanto un risultato di intelligenza. Nel flutto della guerra non v’è entrato a capofitto, ma v’è entrato grado a grado, per successivi e fermi atti di coscienza, all’intervento facendo seguire l’adesione al patto di Londra e dopo altro tempo l’accordo intimo con la Francia. Oggi, alla vigilia della campagna decisiva, esso vi è, meno forse qualche ultimo atto formale, gia tutto intero. L’Italia d’oggi non è quella adolescente di Legnano, che combatteva l’Impero senza osare guardarlo in faccia. Non è quella del Risorgimento, che combatteva l’Austria, credendola un’entità a sé e diversa anzi opposta alla Germania in genere e alla Prussia in specie. Oggi, sa che l’Austria non è che una delle manifestazioni politiche del germanesimo, sa di combattere nell’Austria la Germania, e il suo sentimento popolare è, se mai, più acceso contro la Germania che contro l’Austria. Decidendo in favore dell’Intesa, l’Italia non le ha dato soltanto il consenso delle sue forze, le ha dato anche il giudizio di un popolo che è il più antico e il autorevole testimone della storia.[2]

 

Il “Corriere della Sera” commemorava con il seguente articolo il primo anniversario della guerra dell’Italia.

 

L’Italia doveva prendere il posto della nazioni oppresse contro i loro dominatori, non solo per compiere la sua unità, ma per associarsi agli stati redentori. Come si sarebbe potuto concepire un’Italia indifferente verso i dolori dei Belgi, dei Serbi, dei Polacchi, degli Armeni, dei Trentini, degli Istriani, dei Dalmati e degli Alsaziani e Lorenesi, la cui resistenza somiglia a quella dei Veneti e dei Lombardi ribelli al giogo dell’Austria? Oggi nessun pentimento è lecito, nessun dubbio è più onesto, nessuna esitazione è tollerabile. Certamente si tratta di una guerra aspra e crudele, certamente la commemorazione del primo anno del nostro conflitto, il più nazionale che si ricordi, non si celebra con il canto della vittoria. Ma appunto per ciò la fibra della nostra resistenza deve essere a parere anche più forte per mostrarsi degna dei dolori del passato, delle speranze dell’avvenire.[3]

 

Il presidente della Confederazione americana Wilson, ha pronunciato un discorso dinnanzi alla Camera per assicurare la pace futura. Wilson ha dichiarato che attualmente le cause della guerra non gli importano. Le grandi nazioni del mondo dovevano giungere ad un accordo per la tutela dei propri interessi, e cioè:

 

1.      Ogni popolo dovrebbe aver diritto di scegliere la propria sovranità,

2.      I piccoli stati dovrebbero avere il diritto di godere dello stesso rispetto per la loro sovranità integrato dei grandi stati,

3.      Il mondo dovrebbe essere liberato da ogni violazione della pace che abbia origine in una aggressione.

Gli Stati Uniti sono pronti a partecipare ad una associazione delle nazioni formata per attuare questi scopi e garantirli contro ogni violazione. I diritti e i beni degli Stati Uniti sono profondamente toccati dalla guerra. Quanto più la guerra dura tanto più saremo interessati a vederla finire. E quando essa terminerà noi saremo interessati a vedere stabilita una pace permanente.

Wilson ha concluso:

Se mai divenga nostro privilegio di suggerire o di iniziare un movimento della pace fra le nazioni belligeranti sono sicuro che, il popolo degli Stati Uniti vorrebbe che il Governo americano procedesse sulle seguenti direttive:

1.     Soluzione fra i belligeranti riguardo ai propri interessi immediati. Noi non vogliamo nulla di materiale domandare per noi stessi perché non siamo affatto implicati nel conflitto,

2.     Associazione universale delle nazioni per mantenere inviolata la sicurezza della grande via del mare per il libero comune godimento da parte di tutte le nazioni del mondo e per impedire l’iniziarsi di una guerra contraria ai trattati o senza preavviso e senza sottoporre tutte le cause all’opinione del mondo. Ciò che costituirebbe infatti la garanzia dell’integrità territoriale e della indipendenza politica.[4]

 

In questo articolo di A. Torre si parlava dei rapporti tra italiani e jugoslavi o slavi del sud.

 

Dopo l’intervento dell’Italia nella guerra europea, la nostra stampa ha poco o nulla parlato dei  rapporti futuri fra italiani e slavi nell’Adriatico; la discussione è stata quasi sempre evitata per una ragione essenzialmente politica. Dal momento in cui italiani e serbi combattevano contro lo stesso nemico, non era opportuno insistere sui punti di eventuale contrasto. Meglio era dunque, in quel momento, non sollevare polemiche, non eccitare sentimenti che potessero creare o alimentari avversioni fra italiani e jugo-slavi. Purtroppo queste necessità non sono state comprese interamente e a fondo dai patrioti serbi e croati. La loro propaganda fu molto forte, e tenne conto di ragioni storiche, politiche, militari, geografiche ed economiche del regime dell’Adriatico fondato su duraturi rapporti pacifici fra italiani e slavi. A Londra e a Parigi venne creato un Comitato di emigranti jugo-slavi, nel quale erano rappresentati i diversi gruppi politici degli slavi di Dalmazia, d’Istria, di Trieste, di Croazia, di Bosnia, di Carniola e dei serbi d’Ungheria. Il Comitato fu attivissimo. Il I° maggio 1915 esso presentò a Delcassè, allora ministro degli esteri di Francia, e a Isvolski, ambasciatore russo a Parigi, un memoriale sulle aspirazione degli slavi meridionali.

All’organizzazione del Comitato si aggiunse quella della Gioventù serbo-croata e slovena riunita, che aveva il suo centro a Ginevra. E a tutte e due un bollettino jugo-slavo, che si pubblicava in tutte e due le lingue, inglese e francese, a Londra e a Parigi, e che era diffuso largamente anche in Italia. L’unità jugo-slava come è concepita dalla propaganda cui accenniamo, non soltanto escludeva l’Italia da ogni parte della Dalmazia, anche da quella più italiana per tradizione, per civiltà e per anima, ma la escludeva da quasi tutta Trieste e dall’Istria, dalle isole del Quarnero, da tutte le isole della Dalmazia, ed estende le proprie pretese fino alle porte di Udine. Una certa geografia riprodotta dalla libreria Delagrave e riprodotta abbondantemente, esprime in maniera chiara il disegno del nuovo Grande Stato, che dovrebbe riunire tutte le nazionalità slave meridionali. Pare che essi concepiscano la futura jugo-slavia come una forza che limiti e freni la forza italiana: concezione sbagliata perché presume che l’Italia faccia omaggio delle sue esigenze nazionali e statali alla futura Jugo-slavia che si sostituirebbe in diritto e in fatto alla monarchia d’Asburgo di fronte al nostro paese.[5]

 

In risposta a questo articolo di A. Torre, in cui si parlava delle aspirazioni degli slavi nell’Adriatico, e si facevano dei riferimenti a possibili simpatie alla causa slava da parte di Wickham Steed, direttore della politica estera del Times, questa era la sua risposta:

 

Mi permetta di correggere una parola di quanto scrisse l’On. Torre nel suo recente articolo sull’-Italia e il programma Jugo-slavo-. Egli disse che io quantunque amico dell’Italia mi sono fatto sostenitore di quasi tutto il programma slavo dell’Adriatico in contrasto con quello italiano. Se invece di quantunque amico dell’Italia, l’On. Torre avesse scritto perché amico dell’Italia, saremmo stati d’accordo. Credo di conoscere il programma slavo e quello dell’Italia nell’Adriatico. Sono ormai quasi venti anni che me ne occupo, cioè del problema Adriatico, sia in Italia dove stetti alcuni anni, come da Vienna, e dall’altra parte dell’amarissimo. I risultati di questi studi possono raccogliersi così:

1.      Non c’è nessun contrasto necessario od inevitabile fra gli interessi italiani e quelli degli Jugo-slavi,

2.       l’accordo completo tra gli italiani e gli jugo-slavi è non solo possibile e necessario, ma costituisce un interesse europeo di prim’ordine,

3.      Se questo accordo non si fa, l’Adriatico non sarà ne italiano, ne jugo-slavo, ma tedesco,

4.      I peggiori nemici dell’Italia e degli jugo-slavi, ed i migliori amici degli austro tedeschi sono coloro i quali suscitano o mantengono vivi malintesi e odi fra italiani e slavi,

5.      Chi vuole il bene dell’Italia, e conosce i fatti, non può augurare all’Italia il possesso di regioni dove gli jugo-slavi sono in forte maggioranza, che tale possesso impedirebbe l’accordo necessario,

6.      Mediante l’accordo, la lingua, la coltura, il commercio e l’influenza politica dell’Italia si potrebbero non solo mantenere, ma estendere in modo finora insperato sull’altra sponda e nei Balcani. Se l’accordo non si facesse, gli italiani vedrebbero sparire ogni influenza italiana da tutti i punti non occupati militarmente con forze schiaccianti, e si acquisterebbero l’odio feroce di 12milioni di gente robusta e tenace, la quale aprirebbe le sue scuole e le sue porte alla lingue ed al commercio del blocco germanico.

7.      La Germania meno miope dell’Austria, mira da anni ad unire sotto la sua egemonia tutte le genti jugo-slave, con il doppio scopo di assicurare con il suo predominio nell’Adriatico e di privare l’Italia di quel fortissimo baluardo della sua sicurtà e indipendenza quale sarebbe la costituzione di una Jugoslavia unita e compatta e legata da una salda amicizia all’Italia.

Ecco perché mi sono fatto sostenitore della causa jugo-slava, appunto perché mi sento amico dell’Italia.[6]

 

Riporto qui di seguito l’articolo scritto dall’On. Torre in risposta alle affermazioni di amicizia verso l’Italia pronunciate da W. Steed direttore del “Times”:

 

Lo Steed vorrebbe che io dicessi che egli sostiene il programma slavo contro quello italiano appunto perché egli è un amico dell’Italia. In sostanza la tesi dello Seed è questa: l’interesse dell’Italia deve propugnare e far valere e stimare il programma slavo nell’Adriatico, e non già il programma italiano. L’enormità della tesi è evidente. Ma lo Steed che è uomo di fine ingegno, la difende con tanta abilità che non è possibile lasciar passare in Italia la sua tesi senza mostrarne la sostanziale debolezza. Io sono perfettamente d’accordo con W. Steed nei primi quattro punti della sua lettera. Ritengo anch’io che gli italiani e gli jugo-slavi debbano essere d’accordo per la loro reciproca difesa e per lo sviluppo sicuro delle loro nazionalità. Ritengo anch’io che senza questo accordo l’Adriatico non sarà né italiano, né slavo, bensì tedesco. Ma appunto perciò non si può pretendere di risolvere la questione coi semplici dati esteriori statistici come pretendono gli jugo-slavi e i loro sostenitori inglesi fra i quali eminente W. Steed. La storia, quella connaturata nei valori nazionali, la geografia, quella che indica le ragioni e le esigenze dell’unità e della difesa nazionale, e tutto ciò che si connette a questi due fondamenti, lo storico e geografico, la tradizione civilizzatrice e la potenza di incivilmento, la difesa strategica e il dominio delle comunicazioni marittime, devono offrire gli elementi non isolati sebbene connessi e la soluzione definitiva del problema. Lo Steed vorrebbe invece risolvere una questione così complicata nella maniera più semplice e superficiale, guardando cioè alla maggioranza numerica delle popolazioni di cui si discute.

Uno stato nazionale non è soltanto un aggregato di individui, bensì una storia, una civiltà, una potenza politica con le sue esigenze caratteristiche e vitali, non è ciascuna di queste cose prese separatamente in sé, ma tutte queste cose prese nel loro insieme, nella loro connessione unitaria. È questo il punto fondamentale per risolvere con equità e con giustizia il problema dell’Adriatico. Le genti slave hanno invaso una parte del territorio che la natura assegna all’Italia per la necessità della sua difesa terrestre e marittima.

Quando io dico che la questione adriatica deve risolversi sulla base di una ragione politica integrale, non intendo affatto sostenere un diritto proveniente da un’idea imperialistica, bensì un diritto fondato su esigenze della difesa dello Stato nazionale e della nazionalità, un diritto sostanziato di ragioni tradizionali e attuali insieme fuse, e di ragioni di vita e di sviluppo che non possono essere abbandonate senza rinunziare alla tutela della propria esistenza. La sponda orientale dall’Adriatico consente all’Italia ed alla Jugoslavia un accordo che tenga conto degli interessi e delle ragioni italiane e faccia larga parte alle esigenze jugo-slave. La Jugoslavia non si può e non si deve costituire contro l’Italia, si può e si deve costituire d’accordo con l’Italia, con l’appoggio sincero e totale della nostra nazione.[7]  

 

Intanto continuano ad arrivare notizie da Trieste, che parlano di una città abitata solo da donne, bambini e anziani, ridotta sotto le centomila unità, come al principio del secolo scorso.

Cessato ogni commercio, chiuse le fabbriche, due sole industrie continuano a lavorare le ferriere e i cantieri. Si succedono i raids della marina italiana alle porte di Trieste, e le nostre siluranti hanno attaccato Pola.

 

Già abbiamo visto nei giorni scorsi –l’Idea nazionale- insorgere vivacemente contro il riformista, e riformista è attualmente il prof. G. Salvemini, per le sue affermazioni circa la soluzione del problema nazionale della Dalmazia e delle altre coste orientali dell’Adriatico. Quelle affermazioni dello storico e del geografo, secondo le quali si devono tener nel dovuto conto anche gli interessi, i diritti, le aspirazioni dei jugoslavi, seppero di sapor di forte agrume, anzi di amarissimo tossico, per i nostri nazionalisti, i quali sono persuasi che spetti all’Italia non soltanto l’altipiano carsico, l’Istria, la Croazia, la Dalmazia, l’Albania, l’Epiro, l’arcipelago greco, ma anche l’Anatolia, lo Jemen, l’Abissinia e lo Jucatan. Onde essi, quando intesero per la penna del prof. Salvemini affermato il principio, veramente non peregrino, che il diritto nazionale italiano, deve cessare dove comincia un altro diritto nazionale e che precisamente questo altro diritto non ha il suo inizio alla fine del mondo, insorsero e strillarono come aquile e come oche capitoline, negando al prof. Salvemini la qualità d’italiano. Già a sentir l’Idea Nazionale, di italiani in Italia, non ci sono che loro, i nazionalisti, quattro caporali senza soldati, ed i pescecani della siderurgia, lanciandogli contro le più feroci invettive: croato, succube dei panslavisti, e roba del genere.[8]

 

I dissidi tra nazionalisti e democratici per il possesso della Dalmazia:

 

Uno dei più gravi motivi di discussione tra nazionalisti e democratici circa gli scopi da conseguire con la nostra guerra all’Austria è certo costituito dal possesso o meno della Dalmazia. Mentre i primi vedono la necessità di includere la Dalmazia fra le terre che l’Italia deve rivendicare, i democratici invece, tenendo conto della razza slava che costituisce la maggioranza della popolazione dalmata e del supremo interesse della Serbia ad avere convenienti sbocchi sul mare, si dimostrano inclini ad ammetterne le pretese.

Vi sono in Dalmazia circa quarantamila italiani, contro un mezzo milione di slavi, nel Tirolo e nell’Istria la maggioranza è italiana, dunque questi territori debbono essere uniti all’Italia: nella Dalmazia la minoranza è italiana, dunque, dobbiamo perseguire il possesso dalmata? Non passa ad essi per la testa, che come noi dovremo rispettare il sentimento nazionale degli slavi, che passeranno sotto l’Italia, così si potrebbe a buon diritto pretendere da parte della futura Slavia egual rispetto per i nostri connazionali della Dalmazia.[9]

 

Il 22 novembre 1916 giunse la notizia della morte dell’Imperatore d’Austria e re d’Ungheria Francesco Giuseppe nel castello di Schonbrunn. La sua ostilità per l’Italia resterà nella storia. La tenacia di Trento e di Trieste esasperava il sovrano, per il quale l’italianità dei suoi sudditi era un delitto, e l’italianità dei suoi alleati un’impertinenza. Non ammise mai l’opportunità di una politica, verso gli italiani del Tirolo, dell’Istria e della Dalmazia, di conciliazione, di pacificazione, di attrazione, riconoscere ad essi il diritto irrinunciabile del riconoscimento della civiltà della propria razza.

 

Le manifestazioni che hanno avuto luogo alla seduta inaugurale, della Lega anglo-italiana sono la prova più eloquente dell’avvenuto rinvigorimento dei rapporti tra Italia e Inghilterra. Tre punti sono emersi sopra agli altri:

1.      Runciman rivolto al ministro Raineri, lo ha assicurato che in questi tempi di scarsità l’Inghilterra è pronta al sacrificio perché gli italiani abbiano ciò di cui hanno bisogno,

2.      Il Governo inglese riconosce gli scopi nazionali che l’Italia si è prefissa. Il Governo inglese sa da fonte autorevole quali siano questi scopi. È nostra intenzione di assicurare all’Italia quegli scopi. L’Inghilterra non mancherà alla parola data.

3.      Borselli scolpisce la vocazione comune degli inglesi e degli italiani dicendoli “ popoli cui è gloria accrescere il patrimonio spirituale e materiale dell’Umanità”.[10]

Il 1917 si apre con incursioni aeree sia su Trieste che su Pola e con incursioni marittime in entrambi i porti.

“ Nei giorni 6,7 ed 8 gennaio si tenne a Roma alla Consulta una conferenza tra i rappresentanti dell’Intesa. I Governi alleati uniti per la difesa della libertà dei popoli e fedeli all’impegno preso di non deporre isolatamente le armi, hanno risoluto rispondere collettivamente alle pretese proposte di pace, che sono state loro dirette dai governi nemici, per tramite degli Stati Uniti, della Spagna, della Svizzera dei Paesi Bassi. Prima di qualsiasi risposta le Potenze alleate tengono a protestare altamente contro le due asserzioni essenziali della nota delle Potenze nemiche, che pretende rigettare sugli alleati la responsabilità della guerra e che proclama la vittoria delle Potenze centrali. Gli alleati non possono ammettere un’affermazione doppiamente sbagliata. In realtà l’apertura fatta dalle Potenze centrali non è che un tentativo calcolato allo scopo di agire sull’evoluzione della guerra e di imporre finalmente una pace tedesca.[11]

 

Secondo anniversario della dichiarazione di guerra dell’Italia:

 

Si compiono oggi due anni della nostra dichiarazione di guerra. Poiché la necessità della guerra ci urgeva con due scopi, liberare gli italiani ancora in servitù e assicurare in lega con le Potenze della liberazione europea un saldo avvenire all’opera della giustizia armata, noi abbiamo con la nostra guerra impedito che la vittoria austro-germanica ribadisse con l’irreparabile consenso della nostra rinunzia la catena ai polsi italiani e togliesse all’Europa la forza e l’ardimento di impedire una dittatura di razza ideologica e militaresca.[12]  

 

L’ “Avanti” in questo articolo parlava del nazionalismo degli imperialisti:

 

Non c’è che una cosa vera e sana al mondo: la forza. Ed è in nome di questa forza, esercitatesi nell’espansione militare, politica, industriale, intellettuale, morale, che l’Italia deve lanciare al volo le sue aquile, oltre Trento oltre Trieste, dovunque. Non vi sono dei diritti democratici da far trionfare, ma delle conquiste imperialistiche da imporre ai più deboli, onde la Dalmazia, l’Albania, le isole greche, l’Epiro, lo Yemen, l’Abissinia, il centro dell’Africa tutto il mondo se occorre, Italien uber alles. Ora è evidente che una tale dottrina di violenza e di prepotenza nazionalista non può essere predicata e praticata che nell’isolamento. Ed ecco che il patriottismo, quale è inteso dai nostri imperialisti, anche soltanto per questa ragione di ordine generale, tradisce gli interessi della patria, in quanto pone l’Italia in antagonismo coi propri alleati, la rende sospetta di mire annessioniste, mentre gli alleati si affannano a proclamarsi mondi da ogni peccato di cupidigia territoriale, e la strappa da quella concordia degli spiriti intesisti che è affermata come uno degli elementi indispensabili per la vittoria. Vi è dunque tradimento da parte dei nazionalisti, tradimento per esagerazione di patriottismo. È noto infatti, che si può peccare per difetto e per abbondanza. Da questo vizio capitale del nazionalismo derivano tutti gli altri difetti di ordine immediato ed attuale.[13]

 

In questo articolo del “Corriere della Sera” si affermavano le aspirazioni dell’Italia riconosciute dalla Lega anglo-italiana:

 

L’Italia di solito passa per fare soprattutto una guerra adriatica. In un certo senso è vero. Poiché la guerra dell’Intesa prende sempre più il carattere di una guerra di redenzione e di pacificazione, una guerra che mira ben al di là degli egoismi parziali, a creare un nuovo assetto, a tentare una riorganizzazione di tutta la vita politica dei popoli, è logico che nel quadro generale di questo lavoro, come all’Inghilterra il problema coloniale e alla Francia il problema renano, e alla Francia il problema renano, così tocchi all’Italia il diritto di rivendicare a sé la competenza di questi problemi. Per questo diritto l’Italia è entrata in guerra, per questo diritto combatte. Abbiamo sempre fatto capire che avevamo un programma di aspirazioni, ma non abbiamo mai dimostrato che questo programma si integrava per noi in un altro più vasto programma, in un programma sub specie aeternitatis in cui noi intendevamo dar posto accanto alle nostre, anche alle aspirazioni altrui. Affermare teoricamente il nostro primato sull’Adriatico non vuol dire nulla, perché un primato, appunto come tale, ha per definizione dei limiti in altri diritti, e non lo si può giuridicamente né definire, né esercitare se non si definiscono questi diritti. Il senso che la pace non può essere ridata all’Adriatico che dall’Italia, che l’Italia è per elezione l’elemento di controllo e d’equilibrio indispensabile, si fa sempre più strada anche nel mondo slavo. Vi contribuiscono parecchi elementi: la cresciuta convinzione della nostra potenza militare, il senso che la Russia, rinunciato ormai per sempre all’antico programma panslavista, sta per abbandonare gli slavi dei Balcani a sé stessi. Il progetto trialista, nonostante il discorrere che se ne fa è ancora in alto mare: la verità è che gli slavi del sud non credono all’Austria. Vi sono sintomi non dubbi i quali fanno ritenere che i serbi sono propensi ad attendere dall’Italia quell’appoggio che prima contavano di avere dalla Russia. Tutto questo sembra creare all’Italia una posizione particolarmente favorevole. Se l’Itala riuscisse ad uscire dalla guerra e ad imporre un assetto adriatico (che poi sarebbe qualcosa di più in quanto si ripercoterebbe su tutto il sistema dei popoli balcanica) fondato su larghi, armonici principi di giustizia e di armonia di bisogni e di forze, l’Italia non potrebbe incamminarsi verso la sua nuova storia ricca di una più benefica gloria ne più solenne.[14]

 

Il comunicato del 3 agosto diceva:

 

La notte scorsa poderose squadre aeree bombardarono efficacemente l’arsenale e le opere militari di Pola, ritornando al completo ai propri campi.” Un altro del 4 comunicava che:” squadriglie aeree avevano ripetuto il bombardamento dell’arsenale e delle opere militari di Pola. Favoriti da leggera foschia che ostacolava l’opera dei riflettori e il tiro della difesa, i nostri aviatori lanciarono con precisione sugli obbiettivi otto tonnellate di bombe ad alto esplosivo, causando varie distruzioni e violenti incendi.” Il bombardamento parve danneggiare grandemente l’arsenale di Pola, la stazione di sottomarini, l’ancoraggio della flotta, e in generale le opere militari della città.[15]

 

Il “Times” riprodusse dal giornale ufficiale del Governo serbo il testo dell’accordo intervenuto fra il Governo serbo ed i delegati della province jugoslave dell’Austria, firmato dopo sei settimane di trattative a Corfù, il 20 luglio da Pasic e dal dottor Trumbic, presidente del Comitato dei jugoslavi, cioè dei slavi meridionali.

 

Dopo aver, quindi, affermato che, malgrado la divisione secolare dovuta a nemici orientali e occidentali i quali applicano la massima brutale che la forza opprime il diritto, impedirono ai jugoslavi di mantenere la loro unità come nazione e come stato, gli jugoslavi costituiscono una stessa nazione da tre nomi, la stessa per sangue, per lingua, per il sentimento della propria unità, per la continuità ed unità del territorio, ed aver asserito che la guerra attuale ha tolto gli jugoslavi dall’isolamento in quanto Francia, Russia ed Inghilterra combattono per la libertà e l’indipendenza dei piccoli popoli, il comunicato viene a stabilire nel seguente modo le basi del futuro stato:

1.      Lo stato dei serbi, croati, sloveni che sono anche conosciuti col nome di slavi meridionali o jugoslavi, sarà uno stato libero, indipendente, con territorio indivisibile e unità di regime. Questo stato sarà una monarchia costituzionale, democratica, parlamentare, sotto la dinastia dei Karageorgevic, che ha sempre condiviso il sentimento nazionale e posto la libertà e la volontà nazionale in cima ad ogni altra cosa,

2.      Questo stato sarà chiamato regno dei serbi, croati e sloveni ed il titolo del sovrano sarà di Re dei serbi, crati, sloveni,

3.      Lo stato avrà un unico stemma, un’unica bandiera, un’unica corona i quali saranno composti degli emblemi attuali,

4.      Le speciali bandiere e gli stemmi serbi, croati e sloveni potranno essere liberamente usati,

5.      Le denominazioni nazionali saranno uguali davanti alla legge e potranno essere liberamente usate nella vita pubblica,

6.      I due alfabeti cirillico e latino avranno pure eguale riconoscimento in tutto il regno,

7.      Tutte le religioni riconosciute saranno esercitate liberamente, pubblicamente. Specialmente i credi ortodosso, cattolico, musulmano, che sono quelli principalmente professati dai nostri popoli, saranno uguali e avranno gli stessi diritti davanti allo stato,

8.      Il calendario dovrà venire unificato al più presto possibile,

9.      Il territorio del regno comprenderà il territorio compattamente abitato dal nostro popolo e non potrà essere mutilato senza danno ai vitali interessi della comunità. La nostra nazione non chiede nulla che appartenga agli altri, ma solo ciò che le è proprio. Desidera l’unità e la libertà per ciò respinge coscientemente e fermamente ogni soluzione parziale del problema della sua liberazione dalla dominaziona austro-ungarica e della sua unione con la Serbia ed il Montenegro in uno stato formante un’indivisibile entità,

10.  Nell’interesse della libertà e dei diritti uguali di tutte le nazioni il mare Adriatico sarà libero ed aperto a tutti,

11.  Tutti i cittadini saranno uguali e godranno gli stessi diritti verso lo stato dinanzi alla legge,

12.  I deputati al parlamento nazionale saranno eletti col suffragio universale con votazione segreta,

13.  La costituzione da stabilirsi dopo la conclusione della pace da un’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale, costituirà la base dello stato.

La Nazione, così, unificata formerebbe uno stato di 12 milioni di abitanti, che costituirebbe una potente barriera contro l’Aggressione tedesca e un inseparabile alleato di tutti gli stati civili.

Il “Times” non commenta il comunicato.[16]

 

IL giorno seguente, 04.08.1917, il medesimo comunicato venne pubblicato in prima pagina anche sull’ “Avanti”, dove si legge però,in conclusione una nota polemica con il “Corriere della Sera”:

 

La stampa italiana, almeno quella che da Milano pare dettare il la patriottico a tutta Italia, finge di non ammettere che ormai scarsa importanza a questo atto politico della rappresentanza ufficiale di una nazione alleata dell’Italia e la cui difesa il governo sabaudo ha portato fra le ragioni dell’intervento italiano nella configurazione europea.[17]

 

Le reazione avute dall’opinione pubblica italiana in seguito alle dichiarazioni di Pasic dopo l’accordo di Corfù:

 

Le dichiarazioni che il capo del Governo serbo, Pasic, ha fatto al “Times” hanno messo in maggior rilievo l’accordo da lui concluso a Corfù coi delegati delle nazionalità serbo-crote-slovene, soggette all’Austria, ed hanno per l’Italia un interesse particolare. È innegabile d’altra parte che un certo senso di diffidenza ha regnato, fin dall’inizio della guerra, in molti ambienti, di fronte al problema jugoslavo, diffidenza dovuta principalmente agli eccessi intollerabili della propaganda compiuta, dai fautori della coalizione serbo-croato-slovena. Coloro possono addurre a scusa la necessità di richiamare a qualunque costo l’Attenzione sul loro programma, ma è un fatto che le pretese assurde di tale programma hanno vivamente irritato e indisposto l’opinione pubblica italiana. Perché la vittoria dell’intesa sia feconda, perché siano scongiurati i pericoli di nuovi conflitti in un non lontano avvenire e sia scalzato dalle fondamenta il colossale edificio di predominio germanico in mezzo all’Europa, è necessario che l’Austria non abbia a sopravvivere nella sua forma attuale né che abbia a salvare la sua compagine con qualche lieve rosicchiatura agli orli, è indispensabile che tutte le aspirazioni che debbono appagare, a spese dell’Austria, le loro più sacre aspirazioni, Gettare le basi di un simile accordo è un’opera di alta saggezza politica, a cui certamente si è accinto l’On. Sonnino, per quello spirito pratico e realistico che in lui lodano anche gli inglesi. L’ostacolo maggiore viene dai dissensi che hanno potuto separare gli slavi del sud dall’Italia, ed è anzi su tale dissenso che l’Austria attivissima nella difesa politica e diplomatica, come in quella militare, fa assegnamento per sventare ogni piano di accerchiamento. L’Austria sembra ormai disposta a concedere sotto l’una o l’altra forma una larga autonomia agli slavi del sud, medita forse anche di accordare privilegi alla sua vittima palpitante, la Serbia, pur di farsene uno strumento contro l’Intesa. Il dovere essenziale, primordiale dell’Intesa, di fronte a simili manovre, è di cementare sollecitamente gli accordi, che la vittoria comune dovrà suggellare, tra i vincitori dell’Austria. È un dovere di cui l’Italia deve assumere di buon grado la parte direttiva, perché la formazione di un futuro stato antiaustriaco, oltre la sponda orientale dell’Adriatico, risponde ai suoi più vitali interessi. L’Italia ha già mostrato verso la Serbia e gli jugo-slavi il suo buon volere. Rinunziando, nei patti che la legano agli alleati e che per questi costituiscono un impegno d’onore, in una misura compatibile coi suoi più essenziali diritti a una parte del suo programma massimo perché anche le nazionalità slave con le quali dovremo avere comuni i confini sull’altra sponda dell’Adriatico abbiano libero accesso al mare, ha già dato prova di grande spirito conciliativo, agli jugo-slavi di ottenere con la loro moderazione l’appoggio dell’Italia per il compimento del loro ideale.[18]

 

Un banchetto in onore di Pasic è stato offerto dalla società serba d’Inghilterra. Durante tale riunione Lloyd Gorge e Lord Cecil hanno pronunziato discorsi in onore del Presidente del Consiglio serbo e della sua eroica nazione.

 

L’odierna manifestazione deve considerarsi come un importante contributo verso quel sincero accordo fra gli interessi italiani e gli interessi serbi sulla riva orientale dell’Adriatico, che viene disegnandosi sempre più chiaramente come una possibilità del prossimo avvenire. Ma l’importanza della manifestazione non consiste soltanto in questa favorevole tendenza, il cui carattere è più che altro platonico, quanto nell’impostazione pratica che il problema ha ricevuto forse per la prima volta, almeno pubblicamente. Pasic dichiarò, che una pace onorevole si avrà soltanto se la Francia riottene l’Alsazia-Lorena, se gli italiani completano l’unità nazionale con i fratelli irredenti, se verrà compiuta l’unificazione dei serbi, croati, sloveni, tre nomi dello stesso popolo, se questi e i nostri alleati italiani raggiungono un equo accordo, se l’unità dei romeni viene completata, se i czechi-slovacchi saranno unificati o fatti indipendenti, se le questioni polacca o rutena verranno risolte ed ogni nazione sarà libera di disporre dei propri destini. Ma Cecil sembra distinguere tra il programma minimo e quello massimo che gli Alleati possono proporsi, cioè fra quello degli impegni imprescindibili assunti e quello complementare che rappresenterebbe l’ideale e che sarà attuato se le circostanze lo consentiranno. Però bisogna aspirare ad un assetto che sia definitivo, perciò basato sul principio di giustizia naturale e che tenga conto delle aspirazioni nazionali e di razza dei paesi interessati. Quando ci si afferma che vi ha incompatibilità fra le aspirazioni dell’Italia e quelle della Serbia posso rispondere che, per conto mio, sono convinto che tale incompatibilità non esiste. Credo che le due nazioni possono invece attendersi un lungo e prospero avvenire, una a fianco all’altra, ed è perché sono convinto che Pasic, più che chiunque altro, ha modo di assicurare tale risultato. L’importanza di tale dichiarazione non sfuggirà a nessuno. Esse significano un chiaro invito a Pasic di iniziare con l’Italia quei negoziati che debbono portare al completo accordo. Pasic si dispone a recarsi a Roma, dove la sua presenza può veramente determinare quell’inizio di una più vigorosa azione diplomatica che tutti gli Alleati, ma specialmente l’Italia e la Serbia hanno interesse a sferrare contro l’Austria, accanto all’offensiva militare. Il vigoroso piano di smembramento della duplice Monarchia, oggi tracciato dal Presidente del Consiglio serbo, avrà modo di attuarsi, soprattutto per l’appoggio e la salda opera dell’Italia, che condivide, più chiaramente di tutti gli altri Alleati la necessità di liberare dal giogo degli Asburgo tutte le popolazioni oppresse, anche quelle che sinora non hanno saputo scorgere in lei, ciò che invece è, cioè la liberatrice.[19]    

 

Nei riguardi dell’Italia la Conferenza ha fornito l’occasione di meglio chiarire quella perfetta comunanza di interessi che la unisce all’Inghilterra. Ieri stesso il Governo inglese, per bocca del sottosegretario agli esteri, Cecil, ha limpidamente riaffermato le nostre aspirazioni Adriatiche assieme a quelle irredentiste come a patti essenziali dell’Alleanza, equiparandole pienamente a quelle degli altri alleati.[20]

 

La posizione inglese rispetto alle nostre aspirazioni nazionali:

 

Per effetto della lunga e fruttuosa permanenza a Londra dell’On. Sonnino, e del chiaro e fermo linguaggio della stampa italiana, contro l’omissione troppo ripetuta delle nostre aspirazioni, nei discorsi degli uomini di stato inglesi, l’ambiente di Londra è sensibilmente migliorato negli ultimi giorni nei nostri riguardi. Per ridare alla Francia l’Alsazia e la Lorena bisogna vincere la guerra, e allora, se la guerra si vince, si deve smembrare o, se la parola smembrare urta, si deve ridurre l’Austria di quanto occorre per soddisfare italiani, serbi e romeni e per stabilire un assetto europeo il quale, secondo la famosa nota di Balfour, garantisca la pace futura con l’autonomia di tutte le nazionalità. Le parole sono parole, ma perché l’Italia abbia dall’Austria quello che pretende senza che l’Austria possa risarcirci a sud, cioè ai danni della Serbia, di quello che perderebbe a ovest, ciò che naturalmente Lord Cecil ha escluso, bisogna vincere la guerra e, se la guerra si vince, è inutile parlare di programma minimo. La verità è che avventurarsi nel terreno di un programma minimo è assai pericoloso: si corre il rischio di distribuire in vari piani le aspirazioni degli Alleati e di creare profondi malcontenti. Evidentemente nulla vi è di definito fra le potenze dell’Intesa se nella questione fondamentale dei rapporti fra italiani e jugo-slavi Lord Cecil deve accontentarsi di esprimere la speranza che si venga ad un accordo fra noi e i serbi.

Ora, tocca a noi italiani di porre il problema dell’assetto dell’Austria, al quale siamo i più diretti interessati. Ciò che si dice per l’assetto dell’Austria-Ungheria vale per la questione jugo-slava, che in quell’assetto rientra. Noi abbiamo lasciato che i jugo-slavi si agitassero, facessero una propaganda sfrenata delle loro ambizioni territoriali in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti, in Russia nei paesi neutrali, ci dipingessero come i tedeschi dell’Intesa spinti alla guerra da spirito di sopraffazione e di conquista, ci alienassero così, molte simpatie, creando ovunque un ambiente poco favorevole a noi. Avevamo ed abbiamo un mezzo di difesa validissimo, decisivo: ad esso bisogna ricorrere sempre e col maggior vigore ogni volta che occorra. Le nostre rivendicazioni, cioè, non sono qualcosa di astratto, di nebuloso, d’incerto, d’indeterminato, sono state discusse lungamente coi nostri alleati, hanno avuto il solenne loro riconoscimento in accordi scritti e firmati, nei quali si è cercato di contemplare i diritti che ci danno la storia, la geografia e le esigenze della nostra difesa, coi diritti delle altre nazionalità che popolano la costa orientale adriatica e domandano il loro sbocco al mare.

È dopo aver ottenuto questo riconoscimento, è dopo aver compiuto le transazioni necessarie che l’Italia è scesa in guerra, salvando per la seconda volta l’Intesa, e tutto arrischiando, la sua esistenza, la sua ricchezza, il suo sangue, per completare la sua unità. Toccava e tocca ad essi dire che i diritti degli jugo-slavi non possono cominciare se non dove finiscono i diritti degli italiani riconosciuti dalle Potenze dell’Intesa che nessun Patto di Corfù può infirmare per queste Potenze la posizione che all’Italia è stata riconosciuta nell’Adriatico. Errore, lo abbiamo detto, e lo ripetiamo, che gli accordi sepolti nelle casseforti delle Cancellerie ingialliscono, si stingono, finiscono con non fare più fede. Errore, chè in tal modo si è fatto credere che fosse ancora aperta una questione per noi chiusa, che avessimo aspirazioni le quali andassero oltre i diritti riconosciutici.[21]

 

La notte del 9 alcune squadriglie di nostri veivoli da bombardamento rinnovarano l’attacco degli impianti militari di Pola. In condizioni di luce favorevole, i nostri aviatori colpirono efficacemente quell’arsenale e la flotta nemica all’ancora, perfettamente visibile, con otto tonnellate di bombe ad alto espolsivo, poi, sfuggendo all’intenso tiro antiaereo  e respinti gli idrovolanti nemici levatisi in caccia, fecero tutti ritorno ai propri campi.[22]  

 

La statistica era contro le nostre aspirazioni in Dalmazia:

 

V’è un argomento statistico contro alcune fra le più gelose nostre rivendicazioni. L’Italia si dice, non ha diritto che ai territori dove gli uomini della sua razza o lingua sono in maggioranza. Viene subito sulle labbra la risposta, che le ragioni delle aspirazioni e delle rivendicazioni d’un grande e progressivo organismo nazionale come l’Italia si basano anche sopra altre ragioni che non quelle puramente etniche: sicurezza di confini, o confini naturali, difesa strategica, sbocchi di espansione, ecc. L’Italia che è venuta per ultima, ha bisogno di fare quello che gli altri Stati di qualche importanza hanno già fatto. La ragione statistica è, certamente, da tenere nel maggior conto, ma, anche considerata a sé, non va intesa troppo meccanicamente. Tipico rappresentante francese dell’argomento statistico contro l’Italia è il dott. Chervin, direttore dell’Insitut des bèques di Parigi, e presidente della Societé de Statistique de Paris. Fondandosi su dati della lingua parlata raccolti dal censimento austriaco del 1910, per quanto li sospetti partigiani, egli afferma come premessa che – quale che sia l’origine primitiva e lontana delle razze popolanti l’impero austro-ungarico, la lingua parlata è divenuta attualmente il fattore determinante della razza, e la ragione d’essere delle aspirazioni nazionali.- In Friuli, Gradisca ci è assegnata, Gorizia negata. Ma qui espressamente sottopongo al presidente dell’autorevole società di statistica, quattro fra le osservazioni che potrei fare sempre sulla base dell’argomento statistico:

1.      L’Amministrazione austriaca nel 1910, non si trovò contenta del primo risultato del censimento per quanto concerneva Gorizia e Trieste. Ne ordinò la revisione e fu l’unica si noti, praticata per tutto l’impero.

2.      Per Gorizia e Trieste si prese per base la lingua materna e non la lingua d’uso, adottata come regola generale,

3.      Gli italiani nel Friuli austriaco, in Trieste, in Dalmazia, ecc, contano più degli sloveni e dei serbo-croati,

4.      Il progresso numerico degli sloveni e il regresso relativo degli italiani dovevano apparire più che sospetti, e per le stesse ragioni che lo Chervin ammette in generale. Gorizia e Trieste sono le terre contro cui l’Austria più si accaniva per snaturarle, servendosi dell’elemento slavo.

Il bello è che la differenza fra la prima, e la seconda edizione del censimento, ci precisa il minimo della falsificazione accertabile che la seconda edizione ha perpetrato a nostro danno. Per Trieste e per Gorizia vanno sottolineate violenze governative, immigrazione slovena artificiale, ecc., si vedrà che la resistenza italiana è meravigliosa. Dell’Istria lo Chervin, ci affida la costa occidentale (e allora non ci sarebbe una soluzione di continuità fra l’Italia e l’Istria?) e della Dalmazia nulla. Noi sentiamo che le grandi aspirazioni, le grandi passioni storiche non possono giudicarsi con concetti semplicistici, meccanici e unilaterali. Esse vengono dalla coscienza profonda dei popoli, coscienza che è la sintesi meravigliosa di tutti gli elementi del passato e del presente, noi sappiamo che cosa vuole la nostra coscienza per le terre irredente.[23]

  

In questo articolo A. Tamaro esprimeva le propria posizione riguardo i rapporti tra italiani e jugoslavi e i pericoli per l’Italia connessi alla costituzione della Jugoslavia: 

 

Il Patto di Corfù e l’eventualità della costituzione di una Jugoslavia indipendente in cui si uniscono Slovenia, Croazia e Serbia, hanno sollevato qua e là preoccupazioni di vario genere, delle quali si sono fatte eco la “Tribuna” e la “Perseveranza” e che sono state riassunte soprattutto in un articolo di Attilio Tamaro nell’Idea Nazionale. Si afferma che il movimento jugoslavo è una creazione fittizia, di marca austricante, ed avente lo scopo di offrire agli Asburgo una via per evitare la possibile rovina, si prevede che, costituita la Jugoslavia sarà fatalmente nemica dell’Italia e attirata a gravitare nell’orbita della politica austro-tedesca, così che l’Italia si troverà ad avere ai suoi confini non una sola Austria, ma due Austrie, si presenta come vantaggiosa politica per l’Italia quella di contrapporre una Slovenia-Croazia indipendene alla Serbia indipendente, cioè, in sostanza, si consiglia al Governo italiano una applicazione dell’austriaco sistema del divide ed impera.

In realtà il movimento degli Slavi del sud, iniziatosi nell’epoca napoleonica è rimasto latente gran parte del XIX sec., ebbe un singolare risveglio dopo il 1905, quando si formò la coalizione serbo-croata, ebbe uno sviluppo potente dopo le vicende del 1912-1913, che tanto ingrandirono moralmente e materialmente la Serbia. Per paura che la Jugoslavia si accordi ai nostri danni con la Germania-Austria, si pensa di creare una Croazia-Slovenia indipendente.

Per quanto riguarda il Patto di Corfù, la nostra posizione è chiara. Noi abbiamo dichiarato che il Patto stesso va esaminato con cautela, e che a priori si deve da esso ecludere quanto possa, sia pur lontanamente, minacciare o insidiare i nostri sacrosanti interessi, garantiti dai trattati ormai fuori di discussione. Ma nello stesso tempo non riescono a persuaderci che sia contro tali interessi il fatto in sé stesso della costituzione di una Jugoslavia, e che tale costituzione si debba senz altro avversare e combattere come certi fanno.

Diversa deve essere la nostra politica. Una volta chiariti e fatti trionfare i nostri punti di vista, una volta assicurati i nostri sacrosanti interessi nazionali nell’ Adriatico, tendiamo la mano agli slavi del sud, incoraggiandone alla lotta contro i tedesco-magiari, decisiva per il nostro avvenire come per il loro. Questa politica non solo tutelerebbe attualmente l’ interesse nostro, ma getterebbe semi preziosi per l’avvenire, legando all’azione dell’Italia le sorti di un movimento nazionale prima o poi destinato a trionfare, assicurando all’Italia la riconoscenza e la clientela degli slavi del sud.[24]

 

Il “Corriere della Sera” proponeva un’intervista rilasciata a Londra da Supilo, uno degli uomini più influenti del movimento serbo-sloveno-croato:

 

L’On. Bovione manda alla Gazzetta del Popolo, il resoconto di una sua intervista a Supilo a Londra. Francesco Supilo, uno degli uomini più influenti del movimento serbo-sloveno-croato, aveva l’anno scorso annunciato il suo distacco dal Comitato jugoslavo in seguito alla prevalenza presa nell’azione del Governo serbo dalla tendenza ortodossa che imponeva al Regno dei Karageorgevic una decisa rinunzia alla parte più cospicua delle aspirazioni sulle terre slave della Monarchia austro-ungarica. Prima che l’Italia intervenisse nel conflitto, furono discusse a Pietrogrado fra il ministro Sazonoff e il vostro ambasciatore Parlotti, le condizioni preliminari, che vennero in seguito accettate dalle altre Potenze dell’Intesa, e che costituiscono la base dei trattati oggi vigenti per l’Adriatico. In quell’occasione, la Russia, chiese, che fosse pattuito il veto alla unificazione dei serbi ortodossi coi croati e sloveni cattolici, e accettò l’assegnazione all’Italia del tratto di Dalmazia che l’Italia reclamava, oltre l’Istria e Valona. Ma oggi, che il Vaticano ortodosso è caduto la Serbia si sente libera nei suoi movimenti, poi, il veto resta sulla carta del trattato firmato dalle grandi Potenze dell’Intesa, ma è cessato completamente l’interesse della Russia, a cui favore la stipulazione fu fatta. Ecco le ragioni per le quali il Patto di Corfù è divenuto possibile il 27, luglio, 1917. Supilo insiste poi, nel dire, che tutta la nostra azione deve tendere al raggiungimento di un’intesa precisa, illimitata, perfetta con l’Italia. Non vi sono in Europa che due Potenze interessate interessate direttamente alla dissoluzione della Monarchia asburgica: l’Italia in quanto rivendica la supremazia dell’Adriatico, e la Serbia in quanto si è messa a capo del movimento per l’unificazione sotto la sua dinastia di tutte le genti slave che abitano il sud della Monarchia danubiana. Se l’Austria-Ungheria sussiste, l’Italia può ottenere il Trentino, forse anche Trieste, ma non Pola, non il pezzo di Dalmazia a cui aspira: ciò che significa che l’Adriatico continuerà ad essere conteso fra le due grandi Potenze, cioè che l’Italia non avrà raggiunto uno degli obiettivi massimi per i quali è scesa in campo, e conserverà ai suoi confini un nemico assettato di vendetta e in forze sufficienti per tentarne all’ora propizia il compimento.

Il dissolvimento dell’Austria è anche un interesse fondamentale delle altre grandi Potenze dell’Intesa, sopratutto dell’Inghilterra e della Francia. In verità, l’andamento della guerra ha dimostrato che la vittoria spetterà all’Intesa, se l’Austria-Ungheria cesserà di esistere come grande Potenza. Lo stato serbo-croato-sloveno, che ha bisogno dell’appoggio dell’Italia più di qualsiasi altra potenza europea, deve compensare con adeguate concessioni questa collaborazione.[25]

 

Un comunicato di Cadorna:

 

Nella scorsa notte in favorevoli condizioni atmosferiche, trenta nostri aeroplani volarono su Pola e bombardarono gli impianti militari della grande piazza marittime e la flotta nemica all’ancora nel porto e nel canale di Fasana.Sui bersagli vennero gettate nove tonnellate di bombe, che provocarono distruzioni e vasti incendi. Le nostre unità sebbene attaccate da idrovolanti e battute dai fuochi delle batterie antiaeree, ritornarono incolumi ai propri campi.[26]

 

Le dichiarazioni rilasciate dal dott. Milchich all’ “Avanti”, riguardo il movimento degli jugoslavi dopo il Patto di Corfù:

 

A poco tempo di distanza dal cosiddetto Patto di Corfù, alla vigilia forse della visita del ministro Pasic a Roma, m’è parso non privo di interesse avere una conversazione con qualcuno dei rappresentanti diretti di questo movimento jugo-slavo. In assenza del dott. Trumbich autore del Patto di Corfù mi ricevette il dottor Milchich, uno dei membri più attivi ed influenti del Comitato londinese. Alla mia richiesta di qualche informazione circa l’origine, l’estensione, lo sviluppo e gli scopi del movimento jugoslavo si dichiarò, immediatamente pronto a darmi ogni particolare, pur non ignorando che la tesi del nostro giornale è altrettanto lontana dal regionalismo jugoslavo, come da quello italiano. Prima della guerra non vi era e non vi poteva essere un movimento jugoslavo ufficiale ed organizzato, perché non sarebbe stato permesso dal Governo austriaco. Vi era, però, uno stato d’animo e le aspirazioni jugo-slave erano coltivati in modo segreto, in special modo dagli studenti. La guerra balcanica rinverdì ed eccitò maggiormente le speranze nostre, e dopo i fatti di Srajevo ci sentimmo liberi di agire. Alcuni organizzatori del movimento fra i profughi serbo-croati-sloveni si recarono a Parigi, e quindi, in pochi e con pochi mezzi, fondarono il programma della liberazione ed unificazione di tutti i jugo-slavi, lo consegnarono ufficialmente alle ambasciate delle nazioni alleate e neutrali, richiamando attorno ad esso l’attenzione della diplomazia internazionale ed in pari tempodichiarammo costituito il Comitato jugo-slavo, ed iniziammo per suo mezzo la più intensa propaganda possibile. A Londra, abbiamo ora, questo Comitato, che funge da fulcro e pubblica un giornale e delle riviste che servono da trait d’union fra tutti gli emigranti e gli esuli. A Parigi abbiamo un sotto Comitato che opera nello stesso modo per la propaganda in Francia e paesi latini e pubblica un edizione francese del nostro giornale. A Ginevra un altro Comitato pubblica la Serbia, che non è un nostro organo diretto, ma procede sullo stesso piano.[27]

 

Il dott. Milchich volle anzitutto stabilire, che il movimento jugoslavo, che taluni giornali italiani dello stampo dell’ “Idea Nazionale” accusarono di austricantismo, è la vittima perseguitata, non l’amico dell’Austria.Senza fallo alcuno noi abbiamo ed abbiamo avuto molte più vittime fra i nostri aderenti di quelle che non abbiano mai avuto i nazionalisti italiani. Il Patto di Corfù, non è un Patto lo hanno chiamato così molto impropriamente i giornalisti, ma noi non accettiamo la definizione. Il patto avviene fra due o più parti diverse, ma Slovenia-Croazia-Serbia non sono diverse, sono un tutto unico, sono la Jugoslavia. Per il Patto di Corfù non è quindi, appropriato parlare di Patto, ma di una deliberazione politica che conferma in tutte le sue parti il nostro programma di liberazione e di unificazione dei paesi jugoslavi sotto la dinastia dei Karageorgevich. Noi non abbiamo assunto costituendoci un programma di conquista, ma un programma di conquista nazionale secondo il diritto dei popoli a disporre della propria unità ed indipendenza. Rivendichiamo un diritto nazionale quale è stabilito da ragioni storiche e da ragioni etniche. Data la situazione e data l’alleanza con l’Italia, il prodotto dei nostri sforzi non potrà evidentemente essere la soluzione ideale, ma una soluzione di compromesso.[28]  

 

Le dichiarazioni della stampa inglese verso l’Italia raccolte dal “Corriere della Sera”:

 

Questo momento della grande prova e di grande sacrificio, è psicologicamente il momento adatto per rinnovare ai nostri alleati italiani l’assicurazione del nostro sostegno nelle loro aspirazioni e della nostra fede nelle loro capacità di vincere il nemico.” Questa dichiarazione del Daily Chronicle riassume in breve quasi tutti gli articoli pubblicati dalla stampa inglese.[29]

 

I perché del tentativo austriaco di abbattere e sconfiggere l’Italia:

 

In verità abbattere e schiacciare l’Italia era per l’Austria-Ungheria sconfiggere più pericoli in una sola volta: anzitutto la maggiore vivente affermazione, avvenuta a sue spese, di quel principio di nazionalità che è, di per sé stesso soltanto, negazione dell’attuale sopraffazione austro-ungarica, poi un potente centro di attrazione, un sensibile centro dei gridi di dolore degli italiani ancora dominati, infine un forte rivale nell’Adriatico e nel Mediterraneo.[30]



[1] E. Janni, il dominio dell’Adriatico, “ Corriere della Sera”, 28.01.1916.

[2] G. A. Borgese, le due anime dell’Italia, “ Corriere della Sera”, 20.03.1916.

[3] L. Luzzatti, l’anniversario della nostra guerra, “Corriere della Sera, 24.05.1916.

[4] Stefani, le direttive per la pace in un discorso di Wilson, “ Corriere della Sera, 29.05.1916.

[5] A. Torre, l’Italia e il programma Jugo-slavo, “ Corriere della Sera”, 27.05.1916.

[6] W. Steed, italiani e slavi nell’Adriatico, “ Corriere della Sera”, 07.07.1916.

[7] A. Torre, italiani e slavi nell’Adriatico, “ Corriere della Sera”, 07.07.1916.

[8] Leonida il croato, “ Avanti”, 03.10.1916.

[9] L’ex-cheminet, il problema della Dalmazia, “ Avanti”, 05.10.1916.

[10] Le aspirazioni italiane riconosciute alla Lega anglo-italiana, “ Corriere della Sera”, 25.11.1916.

[11] “Civiltà Cattolica” volume I, del 1917.

[12] Il secondo anniversario, “ Corriere della Sera”, 23.05.1917.

[13] Il loro patriottismo, “Avanti”, 28.06.1917.

[14] Per l’assetto adriatico, “ Corriere della Sera”, 25.07.1917.

[15] Civiltà Cattolica, volume III, 1917.

[16] L’accordo serbo-jugoslavo concluso a Corfù. L’annunzio serbo, “ Corriere della Sera”, 03.08.1917.

[17] La Jugoslavia, prima pagina, “ Avanti”, 04.08.1917.

[18] L’Italia e il patto di Corfù, “ Corriere della Sera”, 05.08.1917.

[19] G. E., l’intesa fra l’Italia e la Serbia, “ Corriere della Sera”, 10.08.1917.

[20] G. E., la Conferenza di Londra terminata. Unità d’azione anche nel campo politico, “ Corriere della sera”, 10.08.1917.

[21] Responsabilità nostre, prima pagina, “ Corriere della Sera”, 11.08.1917.

[22] Cadorna, nuova incursione su Pola. Otto tonnellate di esplosivi sulla flotta e sull’arsenale, “ Corriere della Sera”, 11.08.1917.

[23] F. Coletti, l’argomento statistico contro l’Italia, “ Corriere della Sera, 12.08.1917.

[24] le discussioni sul Patto di Corfù,  “Corriere della Sera”, 14.08.1917.

[25] La tesi di Supilo per l’Adriatico, “ Corriere della Sera”, 02.09.1917.

[26] Cadorna,IL comunicato di Cadorna, “ Corriere della Sera”, 05.09.1917.

[27] Il movimento jugoslavo, “ Avanti”, 12.09.1917.

[28] I problemi nazionali. Italia e Jugoslavia, “ Avanti”, 14.09.1917.

[29] G. E., il dovere di aiutare l’Italia, “ Corriere della Sera”, 28.10.1917.

[30] Semplicismi pericolosi, “ Corriere della Sera”, 16.11.1917.