CAPITOLO QUINTO

1919

 

 

 

La questione della frontiera orientale d’Italia appare a prima vista meno chiara  di quella del confine settentrionale. La difficoltà di individuare a colpo d’occhio, per una parte almeno del tracciato, quegli elementi geografici dominanti che danno l’evidenza della necessità strategico-politica di un determinato confine: il perturbamento che si temeva potesse venire dallo spostamento delle vecchie frontiere in un assetto economico ben definito e fin qui decisamente orientato all’infuori della sfera italiana, come quello dei porti de Trieste e di Fiume, il mischiarsi delle popolazioni italiane con le popolazioni slovene o croate, e i contrasti di interesse e gli attriti inaspriti da lunghi anni di lotte nazionali e municipali fomentate e favorite dall’Austria, le ripercussioni che tali contrasti ed attriti ebbero all’estero, tutto ciò creò la persuasione che ostacoli forse insuperabili si opponessero ad una soluzione soddisfacente del problema del confine orientale.

 

Come scrisse il “Corriere della Sera” nel gennaio del 1919:

 

È essenziale dunque alla nostra sicurezza che la frontiera acquisti insieme le caratteristiche naturali di ostacolo geografico e la profondità necessaria ad un efficace difesa e ci dia il dominio completo delle zone di raccolta che possono servire da concentramenti offensivi.

E il confine amministrativo storico tra il Litorale e la Carniola, è il confine al quale noi abbiamo diritto se dobbiamo assicurarci un sufficiente dominio militare in questa zona che è la cerniera, lo spigolo cardinale della nostra frontiera, che è una delle più grandi e minacciose porte d’invasione. La complessa questione dei porti di Trieste e di Fiume e del loro hinterland non è di quelle che si possono decidere con un criterio puramente geografico,strategico o etnico, vi sono connessi problemi economici di importanza enorme.

Il territorio che deve appartenere all’Italia perché il suo confine politico coincida o quasi con il confine geografico, con il confine che dia la possibilità di una sufficiente difesa delle porte di casa, non è unitario da un punto di vista linguistico.

A oriente l’Italia finisce al Quarnero, come a settentrione finisce al Brennero, questi sono i suoi termini sacri. Vi saranno entro questa frontiera delle minoranze straniere, ma l’ideale di uno stato nazionale senza tali minoranze è praticamente irraggiungibile e in ogni caso il problema dei confini d’Italia non può essere risolto che in modo unitario ed integrale, vale a dire assorbendo le minoranze straniere nella misura richiesta dalla necessità di integrare l’Italia e di assicurarne l’esistenza.

Che l’Italia debba avere un buon confine impone la natura, ammonisce la storia, esigono la giustizia e la pace: il confine sicuro è l’unica vera garanzia di equilibrio, di giustizia, di libertà, e di pace per i popoli che ne sono separati.[1]

  

La questione dell’indennità di guerra:

 

La questione della indennità di guerra (non dubitiamo che le borghesie dell’Intesa ascriveranno tale parola) può essere concretata in due domande. Quale entità esse avranno? In che modo verranno pagate? Alla prima domanda non è facile rispondere perché gli appetiti sono tali e tanti da sopraffare qualsiasi forza di immaginazione, mentre d’altra parte, la colossale cifra suddivisa in un lunghissimo periodo di anni potrebbe anche presentare aspetto di riscossione e di creduto vassallaggio del vinto.

In tanto nessuno lo nega (ne lo si potrebbe) che il pagamento dei debiti di guerra, una nazione verso l’altra, non può avvenire, che con un unico mezzo, con delle merci.

E forse, quando gli anni saranno passati e la nuova Germania si ergerà nella sua nuova potenza veramente civile di grande produttività, incoraggiata ed aiutata dall’obbligo del pagamento dell’indennizzo, allora le borghesie nostrane (se le condizioni economico-politiche, non avranno anche in Occidente a subire un mutamento sia pure graduale ma sostanziale) le quali speravano di aver schiacciato il concorrente sotto il peso di un enorme debito, non confessassero di aver errato il calcolo sui benefizi da ritirarsi, ma arriveranno al nuovo imperialismo industriale-commerciale della democrazia socialista e sorgeranno i nuovi salvatori delle diverse patrie a domandare ancora protezioni su protezioni, apportatrici solo di pochi benefici e di grandissimi danni.[2]

 

Il confine orientale si presentava come un’annoso problema per la Delegazione italiana alla conferenza di Pace:

 

In realtà due sole frontiere sono logicamente e geograficamente consistenti. Una è quella dell’Isonzo, l’altra è quella che per le Alpi Giulie scende, poco ad est di Fiume fino al Quarnero. La prima mutila l’unità naturale dell’Italia e sottrae allo Stato italiano alcune decine di città italiane. La seconda compie l’unità geografica e nazionale italiana, includendo nello Stato italiano le campagne slave e le minoranze slave delle nostre città. Delle due frontiere intermedie alle quali si è pensato, una, quella del Monte Maggiore, non evita l’inclusione di una forte minoranza slava nello stato italiano. L’altra soluzione intermedia, quella a cui pensano o pensarono i jugoslavi italofili, è addirittura assurda. Si tratterrebbe di dividere la Venezia Giulia con un taglio approssimativamente corrispondente alle maggioranze nazionali. L’Italia avrebbe Gorizia, il basso Isonzo, Trieste, l’Istria occidentale con pola, la Jugoslavia avrebbe la regione montuosa e carsica, l’Istria orientale con Fiume.

Restano dunque le due soluzioni estreme: o il confine dell’Isonzo, o il confine delle Alpi Giulie. L’Istria, l’intera Venezia Giulia o sarà italiana o sarà slava. E i jugoslavi dovranno pur rassegnarsi. Essi hanno torto geograficamente, hanno torto storicamente. Hanno torto soprattutto moralmente. Le frontiere intermedie non soddisfano nessuno, nemmeno i loro connazionali. La frontiera Giulia include nello Stato italiano circa un quarto del popolo sloveno, gli sottrae l’ambito sbocco al mare e la possibilità di conquistare Trieste, porta Lubiana in prossimità dello Stato straniero. Italiani e sloveni sono concordi nel considerare la Venezia Giulia come un territorio compatto, come un’unità inscindibile. Chi avrà Trieste deve avere l’hinterland, chi avrà l’hinterland avrà Trieste. La costa, la città, la civiltà, di quel paese sono italiane. Anche a prescindere da ogni altra considerazione, esse spettano, per incontrovertibile diritto storico ed etnico all’Italia. Ma dare all’Italia le regioni marittime non si può senza darle anche la montagna che verso quel mare tende. Basta affermare questa elementare verità perché valga l’accusa che ci viene mossa di imperialismo per la necessità che ci costringe ad annettere anche il territorio slavo delle nostre città. Sono gli slavi stessi che ci assolvono, contro loro voglia, dall’accusa, Per virtù dell’atto stesso con cui per salvare la montagna slava, chiedono di annettere alla Slavia le città italiane di Gorizia, di Trieste, di Pola, di Fiume assoggettando a uno stato di nazionalità diversa quattrocentomila italiani.

Su questa necessità il pensiero dell’Italia coincide con quello dei suoi avversari. La frontiera d’Italia non può che essere dalle Alpi Giulie al Quarnero, non può essere altra da quella che la legge della natura, l’insegnamento di Dante e di tutti i nostri morti, la volontà di tutti i nostri vivi le assegnano concordi.[3]

 

Le pretese italiane e jugoslave sull’Adriatico:

 

Nella stampa borghese italiane ed è storia, s’è parlato molto ed ancora  si parla della questione jugoslava e dell’attinente problema adriatico per dimostrare la giustezza o l’esagerazione sia delle pretese italiane sia di quelle degli slavi del sud. Si è riusciti come al solito ad imbrogliare le cose molto più di quanto non lo siano già. Eppure la questione potrebbe essere molto facilmente risolta solo se i governi borghesi pensassero veramente ad applicare il principio dell’Autodecisione: i plebisciti, così si potrebbero decidere tutte le vertenze. Ma i governi borghesi non pensano così.

Anziché cercare di vedere chi ha ragione delle due borghesie contendenti, vediamo piuttosto quale contributo all’azione del proletariato internazionale potranno recare questi paesi e su quale base potranno svolgere la loro azione i nostri compagni jugoslavi.

La Dalmazia rocciosa e povera di risorse agrarie e industriali, per la sua posizione e configurazione geografica è necessariamente spinta a vivere di commercio con il suo hinterland, che è la Bosnia, della quale è il naturale sbocco al mare. La borghesia delle città marittime presto iniziò a slavizzarsi, perché più che mai era chiaro che non si poteva vivere alle spalle dell’hinterland. Da questo mutamento derivarono le lotte tra gli slavi e gli italiani. Lo sviluppo delle forti società di navigazione triestine,fiumane ed anche dalmate distrussero in poco tempo la piccola navigazione e contribuì alla formazione di un numeroso e mal pagato proletariato marittimo. Una intensa propaganda socialista potrebbe in breve tempo portare alla formazione di Leghe di marinai e cooperative di pescatori. In Serbia non tarderanno a formarsi delle società per lo sfruttamento delle miniere. Conseguenza ne sarà la formazione di un altro proletariato, dunque di un’altra base di azione socialista. Nella Slavonia si avranno a combattere i proprietari fondiari ungheresi e locali, che sono i detentori di tutte le ricchezze agrarie di questo paese. In Serbia il malcontento popolare deve essere molto grande in seguito alla distruzione di ogni tipo di ricchezza. La Serbia è troppo vicina al focolare del socialismo bolscevico per poter restare immune alla grande influenza che esso esercita sulle masse del mondo civile. E come la Serbia tutta la penisola balcanica.[4]

 

Un passo di una certa importanza lo tentarono i delegati jugoslavi a Parigi per la soluzione delle loro differenze con l’Italia intorno alle note questioni territoriali. Essi presentarono al Presidente della Conferenza interalleata, On. Clemenceau, una proposta in questa forma:

 

La delegazione del regno dei Serbi, Croati, Sloveni alla Conferenza della pace ha l’onore di comunicare a V. E. che, avendo piena fiducia nell’alto spirito di giustizia di Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti, ed essendo munita a tale scopo di formale autorizzazione da parte del Governo reale, è pronta a sottoporre all’arbitrato del presidente Wilson la controversia di indole territoriale fra il Regno Serbo, Croato, Sloveno e il Regno d’Italia. Essa prega V. E. di voler prendere cognizione di questi frutti e di comunicarli alla Conferenza. Essa ha già inviato un analoga comunicazione a sua Eccellenza il presidente degli Stati Uniti.

Firmati: Pasic, Trumbic,Vesnic,Zolger.

Questa proposte venne letta dall’On. Clemenceau alla Conferenza nella riunione del 17 febbraio. A tale lettera l’On. Sonnino diede da parte della delegazione italiana la seguente risposta:

In seguito alla comunicazione che ci è stata ora fatta dal nostro presidente credo mio dovere dichiarare che al Governo italiano rincresce di non poter assolutamente accettare alcuna proposta di arbitrato, su questioni per le quali l’Italia, in pieno accordo con i suoi alleati, ha sostenuto una durissima guerra per tre anni e mezzo, e che attualmente sono sottomesse all’esame della Conferenza.

Nella riunione del 18 febbraio, il Comitato dei 10 ammise i delegati serbi ad esporre le loro pretensioni territoriali. I confini del futuro Regno jugoslavo verso l’Italia dovrebbero comprendere tutta la parte montana della contea di Gorizia con la città, tutta l’Istria, Trieste con il suo territorio, Fiume, la Dalmazia con tutte le sue isole. Dalla esposizione risulta che tale richiesta è fatta pur ammettendosi che la città di Trieste è per due terzi italiana e che la costa occidentale dell’Istria è anche italiana. Nell’interno dell’Istria sono considerati italiani solo cinque villaggi a nord di Pola, anche a Fiume e a Zara è riconosciuta una maggioranza italiana.[5]

 

Secondo i delegati jugoslavi:

 

Gli interessi generali della pace esigono che le condizioni normali di esistenza siano finalmente assicurate in questa parte importante dell’Europa. Tali condizioni non possono aversi che mediante la creazione di un Stato unitario fondato sul principio dell’autodecisione, ma non potrà aversi se il nostro popolo non risolve il problema delle frontiere di Stato in modo che esse comprendano tutto ciò che appartiene alla nostra razza. Le nostre rivendicazioni sono dunque giuste, morali e liberali. Giusto, morale, e liberale che terre e città di popolazione italiana siano strappate alla madre patria e consegnate alla Jugoslavia, solo perché piace a un pugno di imperialisti slavi dichiarare che quelle terre appartengono alla razza dei serbo-croato-sloveni.

Poche obbiezioni furono rivolte alla Delegazione jugoslava dinanzi alla enormità delle sue pretese, il Consiglio dei Dieci si è limitato ad ascoltare questo rosario di rivendicazioni non senza curiosità. Ma la decisione presa al termine della seduta è sintomatica: soltanto le rivendicazioni territoriali verso la Bulgaria furono rinviate allo studio della sotto-commissione, le questioni riguardanti l’Italia, e che la Delegazione jugoslava voleva sottoporre ingegnosamente ad arbitrato, le giudicherà a suo tempo con calma ed equità lo stesso Consiglio delle grandi Potenze, quello stesso che la Delegazione jugoslava ha tentato di spodestare.[6]

 

Al suo rientro l’On. Orlando tenne un discorso il 22 di febbraio, i cui aspetti principali riguardavano le condizioni di politica estera e la Conferenza di pace. “Civiltà Cattolica” riferiva in questo modo il discorso di Orlando:

 

L’On. Orlando scusò la lentezza dei lavori riflettendo che, come la storia non vide mai simile guerra, così nessuna Conferenza internazionale ebbe mai un compito per estensione e per difficoltà paragonabile all’attuale. Circa le aspirazioni nazionali l’Italia ha creduto e crede fermamente nella giustizia di esse, poiché non domanda di più, ma non potrebbe ammettere meno di questo, ricongiungere a sé terre e genti italiane e rinchiudersi, per la sua integrità e per la sua difesa, entro i confini stessi che la natura le assegnò. Appunto perché consapevole del suo diritto, l’Italia non si nasconde quel elemento di limite da cui il diritto non si può scompagnare: il limite in cui il diritto proprio tocca il diritto altrui. Non spinta prima da calcoli di interesse, ora non turbata da risentimenti contro pretese folli, l’Italia ha sempre riconosciuto la necessità di accordare in un giusto compromesso i propri bisogni e quelli altrui e di non far prevalere il proprio interesse in dispregio dei bisogni essenziali altrui. Carattere di compromesso ebbe fin dall’inizio quel trattato con il quale l’Italia, entrando in guerra, altro non intese che far solennemente riconoscere dai suoi alleati quale estensione avesse il suo diritto nazionale.[7]

 

Il Patto di Londra rappresentava per la Delegazione italiana alla Conferenza di Parigi la base delle nostre rivendicazioni territoriali:

 

L’ Italia non voleva entrare in guerra a fianco degli Alleati finché la Russia, l’Inghilterra e la Francia rifiutavano di firmare un memorandum che garantisse all’Italia le coste dell’Adriatico con tutte le isolo della Dalmazia. Il memorandum fu firmato da quelle tre Potenze e dall’Italia a Londra il 25 aprile 1915. Il ministro degli Esteri On. Sonnino, ancora mantiene le clausole di quella convenzione. Essa fu pubblicata in Austria dopo che i bolscevichi la pubblicarono a Pietrogrado. Quella convenzione ha causato il più grande mal contento e la più profonda impressione fra i jugoslavi, che desiderano la loro libertà e non vogliono passare dal giogo austriaco a quello italiano. Questa è una delle principali cause di diffidenza dei jugoslavi nella loro relazione con l’Italia. La Francia e l’Inghilterra sono obbligate dalla loro firma a compiacere l’Italia ed i jugoslavi oggi si volgono all’America, che è per l’autodecisione delle nazionalità, perché li liberi e li metta in condizione di scegliersi il loro Governo.[8]

 

Ecco, un sunto del Memorandum, presentato in quei giorni dalla Delegazione italiana, relatore l’On. Barzilai, alla Conferenza di Parigi, per illustrare le rivendicazioni italiane sulle Alpi e in Adriatico:

 

Indipendentemente dalle Convenzioni che regolano la discesa in guerra dell’Italia e lo sforzo da essa compiuto ben superiore al previsto, le rivendicazioni italiane, premette il documento, hanno un loro oggettivo fondamento di giustizia, di legittimità, di moderazione, ed entrano pienamente nel quadro dei principi fondamentali enunciati dal presidente Wilson, che furono il pegno dell’armistizio. Certo le nostre domande implicano un’ aggiunta allo Stato italiano di un certo numero di cittadini di lingua e di origine diversa dalla nostra. Ma trattasi di un fenomeno che in ben maggior misura si verifica negli Stati già costituiti e sta per essere riconosciuto e legalizzato in quelli da sorgere. L’Italia scendendo in guerra per fronteggiare l’aggressione degli Imperi centrali proponeva queste sue particolari rivendicazioni: la liberazione dei suoi figli oppressi dallo straniero e l’integrazione della sua sicurezza terrestre e marittima. La vittoria, a cui essa ha contribuito con sacrifici tanto superiori alle previsioni, non la induce a negar fede ai principi informatori della sua risoluzione di partecipare al conflitto a fianco dell’Intesa contro i suoi alleati di ieri. Le richieste dell’Italia che si fondano essenzialmente sul principio di nazionalità, non hanno bisogno di particolare illustrazione. Passando all’esame del confine orientale, si ritiene di dover seguire lo stesso concetto di separazione geografica, di difesa naturale, di tradizione storica, di redenzione nazionale.

L’irredentismo italiano nacque il giorno in cui il paese del 1866 espiò solo in parte quella grande violenza politica che, compiuta a Campoformido, fu ribadita dal Congresso di Vienna. Occorre per ridare pace all’Europa centrale ed equilibrio all’Adriatico completare l’opera iniziata nel 66. Per ottenere tutto questo è necessario portare il confine del Regno d’Italia sulle Alpi Giulie. Solo con questo confine si chiude la “ Porta orientale d’Italia”, si sbarrano quelle che furono chiamate “le abituali strade dei barbari”, si da applicazione anche ad oriente del criterio che impone a settentrione il confine italiano nel Brennero.

Dimostrata l’unità storica e geografica il documento aggiunge:

Gorizia, Trieste, Fiume, Pola, sono italiane anche senza pensare al passato, è sufficiente riferirsi al censimento compiuto dalle autorità austro-ungheresi. Affermare l’indivisibilità della regione e la necessità che essa costituisca con il suo confine alpino il baluardo orientale d’Italia, non può recare pregiudizio alla rivendicazione italiana il numero di abitanti d’altra lingua che si trovano in minoranza fra gli italiani, o formano magari la maggioranza di alcuni estremi distretti della regione. Il nuovo confine delle Alpi Giulie, che include nel Regno la costa istriana con Pola, sino a Fiume riduce, ma non elimina l’inferiorità in cui, con tanto danno proprio e generale della pace in Europa, si è trovata sinora l’Italia nell’Adriatico. A compiere la riparazione di questo danno, a togliere di mezzo ogni pericolo, occorre ridare all’Italia una congrua parte di possesso nella Dalmazia. Dalla Dalmazia viene una minaccia per l’Italia se tutta in mano di un altro stato, quel tanto di possesso dalmatica cui sono circoscritte le aspirazioni italiane, non minaccia nessuno. In corrispondenza ai principi esposti, l’Italia deve richiedere che siano neutralizzati senza limiti di spazio e di tempo, tutti i tratti di costa e tutte le isole che in Adriatico saranno assegnati ad altri, anche di quei tratti dei quali la convenzione di Londra non prevede la neutralizzazione, con divieto assoluto di ogni armamento di terra e di mare e con obbligo della immediata inutilizzazione degli armamenti e di ogni altra opera militare esistente.[9]

 

Pasic, Presidente del Consiglio serbo, ha fatto le seguenti dichiarazioni al “Journal des Débats”:

 

Siamo i primi a deplorare gli incidenti di Lubiana. Non vogliamo dire nulla finché l’affare non sarà stato completamente chiarito, tuttavia fin da ora è permesso dedurne un avvertimento, questo episodio fa risaltare la necessità e l’urgenza di trovare una soluzione amichevole delle questioni che dividono l’Italia e il nuovo Stato. Questa soluzione non esito a dirlo, è assolutamente impossibile finché l’Italia pretende di mantenersi sul terreno del trattato di Londra. Questa convenzione conclusa a nostra insaputa tra l’Italia e l’Intesa e che noi non possiamo riconoscere, è stata formulata in un’epoca in cui si credeva che l’Austria-Ungheria avrebbe continuato ad esistere dopo la guerra. Si supponeva pure che la Russia, annettendosi Costantinopoli, avrebbe raggiunto il Mediterraneo. Infine, non si deve dimenticare che si contava di terminare la guerra in sei mesi con il concorso di tre milioni di soldati che l’Italia doveva dare. Ora, da quel epoca tutto è stato sconvolto. Gli Stati Uniti entrando in guerra hanno dichiarato il libero diritto di ogni popolo a disporre di sé stesso. Mettendo sopra ogni cosa la volontà dei popoli, gli Stati Uniti si sono pronunciati contro i trattati segreti. Questo programma esposto da Wilson è tutto il nostro ideale nazionale. Essendo le circostanze completamente mutate è evidente che il trattato di Londra non può più produrre i suoi effetti. Pasic sostiene quindi che il solo punto dove i jugoslavi possono accedere al mare in buone condizioni è Fiume e che d’altra parte tutto il territorio del Friuli e della Dalmazia è slavo. Trieste, Zara e Fiume sono nuclei italiani isolati in mezzo a masse slave. L’Italia ha visto nell’arbitrato una perdita di autorità della Conferenza. Noi siamo dell’idea che l’autorità della Conferenza non può che crescere se tutte le situazioni di litigio ricevono una soluzione che non lasci adito a nessun malcontento.”[10]

 

Con qualche giorno di ritardo l’ “Avanti” pubblicò il discorso che l’On. Claudio Treves, del gruppo parlamentare socialista, pronunciò alla Camera. Era un discorso in cui si parlava della guerra, della Conferenza di pace, e delle responsabilità delle borghesie che hanno voluto ed hanno fatto la guerra:  

 

Cosa resta dei 14 punti di Wilson che formano un patto con i nemici per la loro resa? Noi non siamo pessimisti o scettici in rapporto alle forze e ai mezzi cui si inspira la società borghese, ma siamo pieni di fiducia nelle forze, nei mezzi, nelle necessità che si imperniano nella classe internazionale dei lavoratori, schierati contro i Governi della borghesia.

Obiettivamente giudicando, che è delle grandi cose promesse ai popoli dell’Intesa? La fine della diplomazia segreta? Appena costituita la Conferenza, i sigr. Clemenceau e Pichon spiegarono con molte ragioni tecniche l’impossibilità della pubblicità. Ci dobbiamo contentare dei comunicati come al Congresso di Vienna. La partecipazione alle decisioni non ha niente a che fare con la pubblicità dei dibattiti. Gli atti hanno in sé la loro pubblicità. Ciò che interessava era la luce sui motivi, sulle ragioni delle decisioni, ma quelle restano più che mai celate nelle tenebre della storia.

Wilson aveva avuto un concetto giustissimo circa le colonie e l’aveva scolpito in uno dei suoi punti. Aveva lasciato intendere il proposito di costituire con i paesi nuovi, quasi un demanio comune internazionale delle Potenze, a quale, tutte, secondo i modi da stabilirsi potessero far ricorso per i bisogni del proprio sviluppo, dando le guarentigie necessarie alla protezione degli indigeni. Un’anticipazione socialista elimininatrice del più potente fattore di guerra, un incitamento alla più intensa produzione, facendo, dello sviluppo economico di ciascun Stato la condizione di sviluppo di tutti gli altri. Quale applicazione ha avuto il pensiero wilsoniano? Questa semplicemente che le colonie tedesche passarono ai vincitori.

E che dire del disarmo, inteso solo come il disarmo dei vinti? E dell’arbitrato? Inteso nell’articolo come la possibilità per i soci di ricorrervi nelle materie che crediamo arbitrabili. Per cui la materia non ha fatto passi avanti.

Codesta Società, si caratterizza come una società per la distribuzione tra i vincitori del bottino di guerra, dinamicamente è una società che riprende l’errore della Santa Alleanza, la quale mirava a rinforzare il legittimismo monarchico del trono, tende a puntellare il legittimismo della proprietà borghese, Lega delle nazioni contro i pericoli del socialismo, come allora era Lega contro i percoli del liberalismo. In questo momento in Italia, si discute da molte parti, in seguita ad una lettera molto grave, se l’On. Giolitti, chiamato per dare consiglio della pace, sia stato esattamente informato degli impegni assunti dal Governo a Londra, ma una cosa cortissima è che non è stato informato il Parlamento, non è stato informato il paese.

I Governi confondono la grandezza della patria con la superficie della patria. Per essi le questioni territoriali sono di prima importanza, non si pensa alle plebi, ma ad arraffare chilometri su chilometri, adducendo a ragioni linguistiche, storiche, etniche,strategiche, corsa alle zone di influenza, ai mandati di amministrazione, alla spartizione dei continenti. Tutto il male è venuto dall’imperialismo e i Governi studiano di curarlo, aumentando l’imperialismo. E non comprendono nulla delle aspirazioni antiterritorialiste delle masse. La riprova di tutto ciò si vede nel duplice sforzo dell’Intesa in questo momento, il primo volto ad assicurare la Francia da ogni ritorno offensivo della Germania, l’altro grande sforzo è volto contro la Russia.”[11]

 

Il “Times”  e la pace:

 

Il “Times” raccoglieva precisamente la proposta di distinguere le questioni, che la Conferenza della Pace deve risolvere, in due categorie: quella urgente, del problema che riguarda la pace della Germania, e l’altra delle questioni che possono aspettare. Fra queste ultime l’informatore parigino del “Times”, che era il suo direttore Steed, includeva la questione adriatica. Lo stesso “Times” aggiungeva, che era da vedersi se il Presidente Wilson sia di tale avviso. L’informatore parigino metteva tra le questioni che possono aspettare anche quelle riguardanti la revisione e l’approvazione finale del progetto della Società delle Nazioni, ma non vi è dubbio che su ciò sia in completo errore, perché il Presidente Wilson ha affermato con molta chiarezza che, secondo la decisione presa il 25 gennaio, in seduta plenaria della Conferenza della Pace, la creazione della Società delle Nazioni doveva fare parte integrante del trattato di pace. È dunque, ragionevole ritenere che, contrariamente al desiderio dello Steed, il Presidente Wilson consideri che tutte le questioni che attendono la soluzione dalla Conferenza della Pace debbano essere definite prima di procedere alle trattative con il nemico. È vero però, che a mano a mano che, si è approssimato il momento in cui la Conferenza avrebbe dovuto occuparsi delle nostre frontiere, si sono moltiplicate le manovre e gli incidenti provocati dai jugoslavi. Non ultimi il tentativo di far apparire rotte le relazioni diplomatiche fra l’Italia e la Serbia con il rifiuto di accettare le credenziali del nostro nuovo ministro a Belgrado Don L. Borghese, con il pretesto che era accreditato solo presso il Re di Serbia, invece che presso il Re dei serbi, croati sloveni. L’episodio è stato chiarito dal Governo italiano con un comunicato. Soltanto il Regno di Serbia è ammesso alla Conferenza della Pace, e nessuna Potenza ha ancora riconosciuto il nuovo Stato dei serbi, croati,sloveni. Vi sarà inoltre a breve la richiesta jugoslava di far decidere la sorte dei territori reclamati dall’Italia per mezzo dei plebisciti. Queste deviazioni, che avranno l’effetto di ritardare e complicare le decisioni della Conferenza, non hanno probabilità di riuscita, dato che il concetto non è stato accordato per nessuna delle altre soluzioni territoriali, che importano annessioni di popolazioni ben più numerose di quelle che passeranno all’Italia.[12]


Giungevano nel frattempo notizie da Parigi inerenti la situazione in Istria, dopo l’arrivo degli italiani:

 

I giornali francesi hanno pubblicato che durante l’occupazione italiana dell’Istria la situazione politica è stata sempre ottima. La stessa popolazione slava delle campagne ha accolto con viva simpatia le truppe italiane. Tutte le scuole italiane e slave sono state aperte, a tutti i bambini che si trovavano in miserevole stato di deperimento fisico viene fornita dai comandi militari la refezione scolastica e vengono distribuiti indumenti e libri scolastici. Nei villaggi di popolazione mista, dove esisteva la scuola italiana e la scuola slava, le scuole italiane erano state disertate in seguito all’agitazione anti-italiana accentuarsi durante la guerra. Venuta l’occupazione, le popolazioni ne chiesero subito l’apertura. Le scuole sono molto frequentate, tanto che si dovrà aumentare il numero degli insegnanti. Inoltre vari Comuni dell’interno, di popolazione quasi esclusivamente slava che parla italiano, hanno già chiesto l’apertura di scuole italiane.[13]

 

L’ “Avanti” e la Società delle Nazioni:

 

Interpretando la guerra come fenomeno fatale della produzione capitalistica, è più che naturale lo scetticismo verso una creazione politica che risulta essere fatta esclusivamente dagli aderenti alla guerra stessa. In realtà l’avversione contro la Società delle Nazioni ha tre motivi fondamentali: l’insincerità dei suoi maggiori fautori, l’insufficienza relativa nel campo della politica internazionale, l’insufficienza assoluta nel campo più strettamente sociale. Per il socialismo vero è importante che la borghesia internazionale non riesca a creare di fronte alle masse proletarie di ogni paese una verginità che non è realmente tale. Gli avversari della Germania intendono giustificarsi dell’immane disastro della guerra con la fondazione della Società delle Nazioni, che dovrebbe essere un acquisto degno di un tale prezzo di sangue. L’unico reale valore della Società delle Nazioni è che i suoi più o meno sinceri autori hanno efficacemente contribuito ad impedire al mondo la sciagura del trionfo pangermanista. Il resto è illusione e inganno. La pace è oggi affidata ad elementi instabili, precisamente come prima. Qualunque società fra membri potenzialmente molto distanti è destinata a perire presto oppure a risolversi in un egemonia di fatto, di un’infima minoranza sulla maggioranza. Così la Società delle Nazioni intenderebbe conservare un accordo fra una trentina di membri in cui tre o quattro possiedono o intendono conservare e sfruttare una somma di energie dinamiche eguale o superiore alla somma di tutti gli altri insieme. Un altro argomento di scetticismo contro la Società delle Nazioni, e questo è il più forte di tutti, il carattere eminentemente dinamico ed egoistico dei singoli membri, che imporrà fatalmente una profonda alterazione nei rapporti reciproci.”[14]

 

Il Presidente Wilson fece la seguente dichiarazione ufficiale a Parigi, il 15 aprile 1919:

 

Poiché le questioni che dovranno essere determinate nella pace con la Germania sono state condotte così vicino alla loro soluzione definitiva che, si può accelerare la redazione del testo definitivo, coloro che non hanno cessato di discutere, hanno giudicato essere venuto il momento di invitare per incontrarsi a Versailles il 25 aprile, i plenipotenziari tedeschi con quelli delle Nazioni belligeranti associate. Si spera che le questioni che riguardano direttamente l’Italia, e specialmente il problema adriatico, saranno prontamente risolte. Quanto alla questione adriatica, essa avrà per il momento la precedenza su tutte le altre questioni e sarà studiata senza interruzioni per affrettarne la soluzione. Gli accordi che in modo speciale fanno parte del trattato di pace con la Germania, saranno così stabiliti nel tempo stesso in cui tutte le altre soluzioni saranno completamente raggiunte.

La speranza di Wilson, per la rapida conclusione di accordi nei problemi che riguardano l’Italia, e specialmente nella questione adriatica, è speranza alla quale tutti ci dobbiamo associare. Il fatto stesso che il Presidente degli Stati Uniti esprime questa opinione dimostra che egli considera possibile, che entro la settimana trovino una soluzione equa i nostri legittimi interessi.[15]

 

Siamo all’ora più grave e più critica della Conferenza, l’ora nella quale gli Alleati tentano con tattiche varie e abilmente ripartite di imporre all’Italia rinunzie ingiustificate.

L’Italia è venuta alla Conferenza con animo pieno di fiducia. Era tra tutti gli Alleati, quella che aveva aspirazioni più moderate. Non chiedeva imperi coloniali, non favolose miniere, ma poche terre povere di risorse, dove erano città italiane affacciate sul mare italiano, che chiedevano di rimanere italiane. Abbiamo visto alla Conferenza assegnare terre e popoli con molta disinvoltura. Ma i rappresentanti ufficiali degli Stati Uniti, della Francia, dell’Inghilterra sono colti da bizzarri scrupoli quando si tratta di riconoscere all’Italia Fiume italiana o Zara italiana. Si era creduto che il Presidente Wilson, nella riunione che sta mane hanno tenuto i Capi di Governo e i Ministri degli Esteri della tre Potenze firmatarie del patto di Londra, avrebbe permesso ai rappresentanti di Francia ed Inghilterra di trovare con i plenipotenziari italiani una formula di accordo, in quanto, erano vincolati da un impegno territoriale specifico sul quale era fondata l’alleanza militare, non avevano ragioni di violare il diritto a una decisione della quale Fiume aveva fatto libero uso, reclamando l’unione alla madre patria Italia. È questa inspiegabile intolleranza, della quale Alleati e Associati danno prova da tre giorni nei quali l’esame del problema adriatico è stato discusso, che rende singolarmente delicata la posizione della delegazione italiana.[16]

 

Secondo il corrispondente del “Times”:

 

Wilson avrebbe fatto distinzione tra il problema di Fiume, rispetto al quale riteneva di poter mantenere piena indipendenza di giudizio, e gli altri punti del problema adriatico riguardo ai quali la Francia e l’Inghilterra erano vincolate da obblighi precisi non condivisi dall’America; Wilson desiderava perciò che la questione di Fiume venisse risolta indipendentemente da quella della Dalmazia, e in seguito alle obbiezioni dei delegati italiani, i quali insistevano perché l’intero problema adriatico venisse esaminato e risolto in una volta, giudicò opportuno ritirarsi dal Consiglio.[17]

 

Con l’Italia Wilson ha voluto agire altrimenti, quasi che verso noi credesse lecito quello che verso altri si inibisce. La violenza del suo atto è apertamente biasimata anche dalla Francia e dall’Inghilterra, che in un comunicato ufficioso asseriscono la loro volontà di tener fede agli impegni e riversare implicitamente sull’arbitrario scatto di Wilson la responsabilità della tragica crisi in cui entra la Conferenza. Egli consente all’Italia la Venezia tridentina fino al Brennero, la Venezia Giulia fino allo spartiacque, ci consente, o dice di consentirci, la nostra unità dentro le nostre frontiere naturali. E ci nega non soltanto la Dalmazia delle Dinariche di Selenico, ma Zara, le isole e Fiume. In cospetto di Fiume, che pure a lui si rivolse quasi supplichevole. Wilson tradisce il principio di autodecisione di popoli, che egli parve portare in Europa come un vangelo. In cambio di Fiume e del resto ci da la Società delle Nazioni. La società delle nazioni assicurerà la libera vita delle minoranze italiane incluse nello Stato jugoslavo, La Società delle Nazioni disarmerà i nostri vicini togliendo ad essi ogni possibilità di aggressione, a noi ogni necessità di garanzie.

E al posto di questa Austria non morta, ecco nata, a sentir Wilson, la Società delle Nazioni. La Società delle Nazioni in cui si stirano e si amputano i corpi delle nazioni secondo le dimensioni di un letto di Procuste impiantato nel bel mezzo di una diplomatica camera di tortura, la Società delle Nazioni in cui si tagliano a fette i corridoi e gli sbocchi, in cui si danno milioni di tedeschi di magiari e di bulgari ai popoli finitimi. Wilson, forse assillato dalla mordente inquietudine di essere stato impari al compito sovrumano che si era imposto, incapace di disfare l’artificiosa struttura da cui non le sue idee (che non sono patrimonio suo e sono grandi e sopravvivono alle fortune degli uomini), ma il suo compito personale è rimasto soffocato, egli cerca, per districarsi, un alibi. Ed accusa l’Italia, ecco la colpevole, l’Italia imperialista, la cinica. L’Italia sola è responsabile dello sfacelo di Parigi, perché voleva che tutti i suoi figli fossero riuniti in un’unica casa, perché non consentiva a credere che i croati avrebbero, meglio di lei, amministrato il porto di Fiume.[18]

 

La situazione nelle terre liberate:

 

Tutte le cittadine dell’Istria orientale affermarono in solenne plebiscito l’unanime volontà di appartenere all’Italia. Volosca, Abbazia, Ica, Lovrana, Moschenise, Albona e altri paesi del Quarnero manifestarono gratitudine all’esercito americano che combatte per la redenzione dei popoli e protestarono contro chi cerca di violare la secolare libertà e il secolare diritto di Fiume e la millenaria italianità della Dalmazia.[19]

 

Riavvicinamento della posizione italiana e francese per la ripresa delle trattative:

 

Le nostre informazioni ci consentono di affermare che le notizie parigine non sono prive di fondamento, e che lo scambio di informazioni diplomatiche fra Roma e la capitale francese, avvenuto intensamente negli ultimi giorni, si è concluso in un effettivo riavvicinamento. Un invito per ritornare a Parigi è realmente arrivato oggi al nostro Governo, in termini tali che non ha ritenuto di doverlo declinare. Rimarrebbe da sapere su quali basi precise il nostro Governo crederebbe di poter utilmente rinnovare il corso delle trattative, sospese con la partenza da Parigi dei nostri delegati.[20]

 

Sappiamo dunque, o popoli che c’è una grande novità in vista: Francia ed Inghilterra riconoscono il Patto di Londra e si adoperano per convincere Wilson a fare altrettanto. Allora la cosa si fa veramente seria, mica come le altre volte, perché chi non si ricorda, i giornali italiani è da due mesi che ci ricamano in tutti i toni che gli Alleati europei hanno solennemente affermato sempre che il Patto di Londra, che gli italiani ancora ignorano, è legge sacra e che sarà senza dubbio rispettato. La novità sarebbe in questo, nella scoperta fatta ora che gli Alleati avrebbero tutto da perdere a rispettare intero il Patto di Londra e perciò chiederebbero che in qualche punto fosse rimaneggiato, per trattare, come sappiamo su Fiume.[21]

 

L’Osservatore Romano pubblicò il testo integrale del Patto di Londra che la censura aveva finora non consentito fosse reso di pubblica ragione. Il Patto di Londra, fu letto alla Camera dall’On. Bevione, onde il testo ne è noto. Non era invece noto il famoso art. 15, riguardante la Santa Sede, alla quale le Potenze attribuivano di non procedere a qualsiasi iniziativa diplomatica riguardante la pace. L’art. 15 viene ora riportato di seguito:

 

La Francia, la Gran Bretagna, e la Russia prendono l’impegno di appoggiare l’Italia nel non permettere ai rappresentanti della Santa Sede di intraprendere qualsivoglia azione diplomatica, riguardo alla conclusione della pace e alla soluzione di questioni connesse con la guerra.[22]

 

Nota polemica dell’ “Avanti” contro gli imperialisti:

 

I sostenitori della guerra devono avere la testa ben dura se riescono a sopportare senza stramazzare al suolo sodi e continuati colpi. Ormai non c’è giorno senza notizie di sventura per essi. Fiume, il Patto di Londra, l’alleanza a tre, la compilazione del trattato in assenza dei delegati italiani, il carbone che aumenta, la dannosa esclusione dal bottino coloniale, la federazione danubiana, Zollferein, degli antichi Stati austro-ungarici.

Noi siamo veramente dispiaciuti di queste delusioni che il fato inesorabile della guerra procura all’imperialismo coloniale, ma certo non piangiamo se la forza delle cose ci mette in condizione di non poter raggiungere gli altri Stati più forti nella corsa all’imperialismo. Certe sorprese bisogna aspettarsele quando si va in cattiva compagnia e quando si acquistano vizi nella prima gioventù.[23]

 

Il Presidente Wilson che doveva intrattenersi con i delegati jugoslavi diceva il “Temps”, ha dato il suo assenso ad un compromesso accettato da Orlando, di cui ecco le linee essenziali:

 

1.      La città di Fiume, non compreso il sobborgo di Susak, formerà insieme con la regione ad ovest, uno Stato indipendente posto sotto l’egida della Società delle Nazioni. Questo Stato sarà limitrofo al territorio italiano e includerà al ferrovia che da Fiume si dirige a Lubiana,

2.      Zara e Selenico saranno poste sotto al sovranità dell’Italia, che rinunzierà ad ogni altra parte della costa dalmata e del suo hinterland

3.      L’Italia avrà pure sotto la propria sovranità le isole dette strategiche, cioè Cherso e Lussino a sud-ovest di Fiume e le isole esterne che le sono vicine,

Inoltre la Società delle Nazioni attribuirà al Governo italiano il mandato sull’Albania, dove il trattato di Londra assicurava già all’Italia un’influenza preponderante.”

Fin qui il “Temps” il quale, ha riprodotto il progetto di Tardieu, plenipotenziario francese. Molti giornali affermano che il compromesso sarebbe già stato approvato da Wilson, e qualcuno afferma che sarebbe stato accettato inoltre dall’On. Orlando. Ma i giornali meglio informati rilevano come nessuna adesione al progetto sia ancora venuta da parte italiana.

I termini del compromesso proposto, secondo informazioni pubblicate, si delineavano come segue.

“La città di Fiume escluso il sobborgo di Susak, forma insieme con i territori di Volosca e di Castua, le isole di Cherso, Arbe e Veglia, uno Stato libero posto sotto l’egida della Società delle Nazioni. Il nuovo Stato include nei suoi confini il tronco sudorientale della ferrovia che da Fiume si dirige verso Lubiana e confina con l’Italia, alla quale è assegnata tutta la rimanente parte dell’Istria. Zara, Selenico insieme con le isole Lussino, Lissa e Curzola spetteranno all’Italia. Finalmente l’Italia avrà dalla Società delle Nazioni il mandato per l’Albania”.

Contrariamente, dunque a quanto pubblicava ieri sera il “Temps”, Cherso farebbe parte, secondo il compromesso, dello Stato libero e non del Regno d’Italia. Susak e il suo porto spetterebbero al nuovo Stato jugoslavo. Questo regime avrebbe vigore per quindici anni, allo scadere dei quali la sorte definitiva di Fiume e del Suo territorio verrebbe decisa con un plebiscito.[24]

 

Le modifiche proposte da Wilson al progetto Tardieu:

 

Le modifiche che Wilson avrebbe proposto al progetto Tardieu presentavano le seguenti caratteristiche. Anzitutto allargano il confine dello Stato verso occidente, così da includervi il territorio istriano che la proposta Tardieu lasciava all’Italia, la frontiera occidentale che suggerisce scenderebbe al mare fra Volosca ed Albona. Ma più che nelle estensioni territoriali, è nel regime e nelle garanzie che le proposte wilsoniane snaturano completamente il primo compromesso, che pure il Presidente aveva approvato in massima. Infatti nel progetto Tardieu si accoglieva il concetto, che è stato norma in tutti i rari casi nei quali la Conferenza ha sanzionato, del ricorso limitato ai plebisciti, cioè che il referendum delle popolazioni dovesse svolgersi per zone o comuni, in modo da rispettare le decisioni di nuclei nettamente definiti. Viceversa, nel caso dello Stato fiumano, Wilson vorrebbe che, contrariamente ad ogni precedente, il plebiscito fosse globale. L’altra modificazione del progetto Wilson riguarda la Dalmazia e le isole. Di queste solo pochissime verrebbero riconosciute all’Italia, quanto alla terraferma dovrebbe essere tutta ceduta ai jugoslavi, con l’eccezione di Zara eretta Stato libero con rappresentanza all’estero affidata all’Italia.

Tradotto in parole povere il progetto di Wilson rappresenta un ritorno del Presidente ai confini e alle idee del suo noto messaggio, salvo la concessione di quattro isole e il riconoscimento a Zara di essere città libera. Il progetto di Wilson negherebbe la Dalmazia, per toglierci a breve distanza non soltanto Fiume, ma anche parte dell’Istria.

È inutile aggiungere che questa singolare proposta che si sovrappone a quella Tardieu e la snatura, rende impossibile ogni sua discussione. [25]

 

Fiume, 10 giugno:

 

Si è diffusa stamane in città la notizia che il compromesso Tardieu è stato abbandonato causa l’intransigenza dei jugoslavi. Trumbic presentò a Wilson il suo contro progetto chiamato dei sette punti, sette colonne d’Ercole al di là delle quali i delegati jugoslavi si erano rifiutati di andare. I sette punti di Trumbic erano:

 

1.      Il territorio dello stato libero di Fiume ad occidente deve contenere i capitanati di Fiume, Volosca, Albona, Pisino, Pinguente,

2.      Il territorio ad oriente deve essere limitato dal fiume Eneo,

3.      L’isola di Veglia annessa al territorio della Jugoslavia come tutte le isole immediatamente lungo la costa dalmatica,

4.      L’isola di Cherso con le isole attigue ad occidente passate sotto il regime della lega delle Nazioni,

5.      Zara e Selenico incondizionatamente passate in possesso dei jugoslavi,

6.      Compensi in favore della Jugoslavia in due distretti dell’Ungheria,

7.      Altri compensi di territorio in Corinzia.

I jugoslavi chiedono compensi, oltre tutto quello che pretendono , in cambio della perdita non solo di Fiume, ma di Pola, dell’Istria, di Trieste, di Gorizia.[26]

 

L’On. Fittoni sosteneva:

 

La questione dei nostri rapporti con Wilson dovrà un giorno essere ben chiarita, però bisognerà allora non limitarsi soltanto al periodo che si iniziò nel febbraio scorso con le prime discussioni dei nostri delegati con il Presidente della Conferenza, ma risalire all’intervento dell’America nella guerra ed anche più in là. Infatti fu nel 1916, quando Wilson, come rappresentante del più grande degli Stati neutri, lanciò il noto manifesto che invitava i belligeranti a considerare se non fosse venuta l’ora della pace, ed apparve chiaro come egli volesse esserne arbitro, in mezzo ai contendenti. Dopo l’intervento dell’America questa fisionomia d’arbitro si andò sempre più accentuando. Sia dal 22 dicembre 1917, il nostro ministro degli Esteri era informato che ormai in Inghilterra il Presidente Wilson era considerato arbitro supremo, sia per la prosecuzione della guerra sia per la pace. Alcuni dei nostri diplomatici avvertivano sin da allora la necessità di assicurare senza indugio l’appoggio del Presidente Wilson alle nostre più essenziali rivendicazioni nazionali.

Poco dopo e precisamente l’8 gennaio 1918, questa necessità doveva apparire evidente a tutti. Infatti nel suo messaggio al Congresso, il Presidente Wilson dichiarava solennemente di non riconoscere i trattati segreti stipulati per la guerra e quindi negava ogni valore del nostro Patto di Londra. Inoltre egli enunciava i ben noti quattordici punti nei quali fin da allora si profilava la possibilità di un malinteso con l’Italia. Infatti il punto nono riassetto delle frontiere italiane secondo linee di nazionalità chiaramente riconoscibili, era talmente ambiguo da prestarsi a tutte le possibili interpretazioni. Sin dai primi di ottobre del 1918 una riunione di senatori e deputati italiani preoccupati da tutto ciò, e dal fatto che Wilson non riconosceva come validi i trattati segreti, chiedeva al Governo di indagare su quale fosse l’esatta posizione del Presidente americano. Ovvero, se accettava del tutto o in parte le rivendicazioni italiane contenute nel trattato di Londra, e se quindi il Governo italiano riteneva di dover agire presso il Presidente Wilson per assicurarsi il suo appoggio. Nel 1919, quando avvenne l’incontro con i nostri delegati, Wilson ebbe notizia precisa della stipulazione del trattato di Londra. Era troppo tardi, ormai era chiaro che Wilson non concordava con la tesi italiana nella sua integrità. Alla Conferenza Wilson fu l’arbitro. Noi rifiutammo un suo arbitrato quando fu proposto, ma fu un rifiuto puramente formale, perché di fatto non fummo in grado di sottrarci ad esso. Wilson fu l’arbitro della Conferenza non solo per il fatto che Wilson diede l’ultimo impulso alla vittoria nella guerra, ma anche perché l’Europa è affamata, e questa crisi della produzione e dell’alimentazione potrà essere superata solo con l’aiuto dell’America. L’America ha salvato l’Europa con il suo intervento nella guerra, deve ora salvarla in questa crisi suprema, salvando l’Europa salverà se stessa, d’altra parte è nel nostro proprio interesse che noi dobbiamo soccorrere i popoli al di là del mare, perché l’Europa è il nostro miglior cliente.

Ad ogni modo anche prescindendo da tutto ciò, tutto consigliava la delegazione italiana a risolvere al più presto la questione adriatica. Come? Bisognava uscire dal circolo vizioso, Fiume senza il Patto di Londra, o il Patto con Fiume alla Croazia. Il Patto con il solo appoggio della Francia e dell’Inghilterra, senza gli Stati Uniti non significava nulla. La delegazione ha sempre tenuto presente che, qualunque compromesso per l’Adriatico dovesse avere queste basi fondamentali: che nessuna terra o città in maggioranza italiana, fosse assoggettata a dominio straniero, che dovunque esistessero minoranze italiane, queste fossero efficacemente tutelate nella loro esistenza nazionale, che fossero garantiti i nostri interessi economici, che fosse validamente provveduto alla nostra sicurezza nella frontiera di terra ferma e nel mare Adriatico e non nel Quarnero soltanto, ma dal Quarnero al Canale d’Otranto. A questi principi rispondono le proposte che, dopo lunghe trattative furono sottoposte a Wilson. Quindi, in prima linea vi era il progetto della sovranità su Fiume, e con il confine jugoslavo tracciato da Punta Fianona a Idria, comprendente in territorio jugoslavo i distretti di Volosca in parte di Castelnuovo, Adelsberg e Idria. In linea subordinata vi era la garanzia di italianità e di completa indipendenza di Fiume, ma il nostro confine sarebbe stato con uno Stato libero che il Presidente Wilson avrebbe voluto dapprima sottoporre a plebiscito, ciò che virtualmente avrebbe voluto dire darlo ai jugoslavi. In ambo i casi però, il porto e la ferrovia di Fiume avrebbero dovuto avere carattere internazionale ed essere amministrati dalla Lega delle Nazioni, e la Dalmazia tranne Zara e poche isole avrebbe dovuto essere assegnata alla Jugoslavia, con efficaci garanzie per le minoranze italiane e per gli interessi economici italiani. In ambo i casi, tutto il Quarnero e tutta la costa della Dalmazia fino al Cattaro incluso, avrebbero dovuto essere neutralizzati, con formule rigorose e che dessero pieno affidamento, e ugualmente neutralizzato avrebbe dovuto essere il territorio segnato per lo Stato libero, sia che questo territorio, come nella prima proposta, fosse stato assegnato ai jugoslavi, sia, che come nella seconda, lo Stato libero fosse stato costituito con carattere e garanzia di stabilità. In ambo i casi ci sarebbe stato affidato il mandato per l’Albania, ci sarebbe stata riconosciuta Valona e si sarebbe neutralizzato il corridoio di Corfù. Se voi diceste che queste proposte non vi contentano, non mi meraviglierei, non soddisfano neanche me. Ad ogni modo, esse rappresentano tutto ciò che può darci la collaborazione della Francia e dell’Inghilterra, le quali, se hanno consentito ad affermare con noi la sovranità italiana su Fiume, contro la quale, con suo recentissimo telegramma, di cui ebbe verbale comunicazione la nostra delegazione a Parigi, il Presidente Wilson, persiste a muovere obbiezioni, sono però, parimenti d’accordo con Wilson nel ritenere che il porto e la ferrovia di Fiume devono essere affidati alla Lega delle Nazioni e la Dalmazia, tranne Zara assegnata ai jugoslavi, dando invece, all’Italia il controllo dell’Albania che con la neutralità del canale di Corfù assicurerebbe ad essa la padronanza assoluta del Canale d’Otranto e quindi dell’Adriatico.[27]

 

Ratifica italiana dei trattati di Versailles e Saint-Germain: 

 

Quali sono le conseguenze principale della ratifica regia con cui l’Italia rende, per suo conto, esecutivi i trattati di Versailles e di Saint-Germain. Il trattato di pace con l’Austria, recentissimo e non ancora munito di altre indispensabili ratifiche, non entra ancora in vigore, non appena il voto del Senato francese confermi tra pochi giorni il voto del Palais Bourbon, il trattato di pace con la Germania, firmato fin dal 28 giugno e già ratificato a Weimar e a Londra. Questo trattato, di gran lunga più importante degli altri, restituisce l’Alsazia-Lorena alla Francia, risuscita la Polonia, riconosce i nuovi Stati dell’Europa centrale e su-orientale e fonda la Società delle Nazioni. Poiché esso costringe la Germania all’accettazione degli ulteriori trattati di Pace e poiché la Germania è l’unica Potenza superstite del blocco centrale, il trattato de Versailles contiene le assise della nuova Europa. Quanto all’Italia in particolare , il trattato di Versailles le garantisce il riconoscimento tedesco del confine del Brennero e di ogni altro suo acquisto, la libera dal millenario incubo germanico, le garantisce vantaggi economici che non è ancora possibile apprezzare positivamente, come non è possibile per conto suo alla Francia, ma che sono virtualmente considerevoli. Sopra tutto, il trattato di Versailles offre all’Italia un posto di primissimo ordine nel Consiglio della Società delle Nazioni e nella Commissione delle Riparazioni. Nella Società, il posto che l’Italia vi tiene, ci assicura un’altra occasione per agire veramente da grande Potenza, speriamo che almeno questa vota gli uomini politici e l’opinione pubblica se ne accorgano.

Il Re ha firmato ieri, i decreti approvanti il trattato concluso fra l’Italia e la Germania a Versailles, il 28 giugno 1919, e quello concluso a Saint Germani il 10 settembre 1919. Il testo:

 

1.      è approvato il trattato concluso fra l’Italia e la Germania, sottoscritto a Versailles il 28 giugno del corrente anno 1919 ( e per il trattato con l’Austria: fra l’Italia e l’Austria sottoscritto a Saint Germani il 10 settembre).

2.       il presente decreto sarà presentato al Parlamento per essere convertito in legge,

Con altro nostro decreto da presentare al Parlamento per la conversione in legge, sarà stabilito il giorno in cui dovrà essere considerato cessato lo stato di guerra per ogni effetto di ragione e di diritto.[28]



[1] I confini della nuova Italia. La frontiera orientale, “ Corriere della Sera”, 01.01.1919.

[2] G.Baldesi, …e senza indennità, “ Avanti”, 02.01.1919.

[3] L’unità inscindibile della Venezia Giulia, “ Corriere della Sera “, 11.01.1919.

[4] V. S., Nazioni vere e nazioni artificiali al Congresso di Parigi Dalmazia, Bosnia, Jugoslavia, 10.02.1919.

[5] “ Civiltà Cattolica”, volume I, 1919.

[6] G. Emanuel,Gli argomenti addotti,” Corriere della Sera”, 20.02.1919.

[7] “ Civiltà Cattolica”, Volume I, 1919.

[8] Le rivendicazioni territoriali dell’Italia, “ Corriere della Sera”, 05.03.1919.

[9] Stefani, Le rivendicazioni territoriali dell’Italia presentate alla Conferenza della Pace, 12.03.1919.

[10] La questione Adriatica. Dichiarazioni di Pasic, “ Corriere della Sera”, 13.03.1919.

[11] La pace secondo i popoli. Discorso di C.Treves nella tornata del 9 marzo, “ Avanti”, 16.03.1919.

[12] G. Emanuel, Tentativi jugoslavi per intralciare le rivendicazioni italiane, 18.03.1919.

[13] Stefani, Il regime italiano in Istria. Constatazioni francesi, “ Corriere della Sera”, 27.03.1919.

[14] L. D’Avio,La Società delle Nazioni e il Socialismo, prima pagina, “ Avanti”, 01.04.1919.

[15] G. Emanuel, Wilson e il problema dell’Adriatico. Una dichiarazione ufficiale, “ Corriere della Sera”, 17.04.1919.

[16] G. Emanuel, Nessuna decisione, “ Corriere della Sera”, 23.04.1919.

[17] L’atteggiamento di Wilson, “ Corriere della sera”, 23.04.1919.

[18] L’ora grave d’Italia, “ Corriere della Sera “, 25.04.1919.

[19] E. S., Plebiscito d’italianità nell’Istria orientale, 04.05.1919.

[20] La nuova situazione dell’Italia, “ Corriere della Sera “, 06.05.1919.

[21] L’Italia novità da Parigi, “ Avanti”, 15.05.1919.

[22] Il testo integrale del Patto di Londra, prima pagina, “ Avanti”, 16.05.1919

[23] Altri dispiaceri, “ Avanti”, 19.05.1919.

[24] Verso il compromesso per la questione dell’Adriatico, “ Corriere della Sera”, 31.05.1919.

[25] G. Emanuel, Il progetto di Wilson, “ Corriere della Sera”, 11.06.1919.

[26] G. B.,Le pretese jugoslave per l’Adriatico, “ Corriere della Sera”, 11.06.1919.

[27] Wilson e la questione adriatica, “ Corriere della Sera”, 28.09.1919.

[28] Stefani, La ratifica italiana dei trattati di pace, “ Corriere della Sera”, 08.10.1919.