2.1.1  I rapporti demografici fra le etnie.

 

 

I censimenti italiani degli anni Venti e Trenta forniscono il quadro più preciso e recente sugli equilibri demografici e linguistici dell'area presa in esame prima della catastrofe bellica.

Per quanto riguarda l'Istria, delimitata a nord dalla catena del monte maggiore, escludendo Trieste con il suo circondario, l'ultimo censimento prima della guerra, effettuato nel 1936, rilevava su una superficie di 3718,30 Kmq una popolazione di 296.460 abitanti, con una densità media di 80 abitanti per Kmq, valore inferiore alla coeva media italiana (138,6 ab/Kmq), ma superiore a quella dei paesi dell'Europa Balcanica, in cui il valore più alto si registrava in Bulgaria (63 ab/Kmq) e quello minimo (39 ab/Kmq) in Albania (C. Schiffrer 1990: 244).

Dal punto di vista linguistico sono interessanti i dati di C. Battisti (1993: 137), basati sul censimento del 1921, escludente Trieste e Fiume, che evidenziano nella provincia istriana 195.047 italiani, 92.140 croati e 18.225 sloveni, mentre gli italiani costituiscono circa il 65% della popolazione.

Ritornando ai dati del censimento del '36, si rileva che esistono 354 centri abitati, dove dimora il 61,73 della popolazione, mentre il rimanente 38,27% vive in case sparse.

Inoltre viene fatta una distinzione fra i centri abitati; quelli che contano più di mille abitanti (26) sono definiti centri urbani o misti, quelli con una popolazione inferiore (328) centri rurali.

Abbiamo avuto più occasioni, nel corso di questa ricerca, per evidenziare come la storia dell'Istria, ma anche quella della Dalmazia, sia stata una contrapposizione fra il mondo cittadino e quello rurale, differenziati anche nella semplice definizione di centro abitato.

Il centro urbano, designato con il titolo città o con il diminutivo cittadina o paese, presuppone per antonomasia una antica tradizione storica e culturale, caratteri linguistici, architettonici e urbanistici principalmente italiani.

Le città sono poste nella fascia costiera della penisola e particolarmente in quella che volge ad Occidente, più recettiva agli influssi dell'Italia. Anche all'interno si hanno della città (Albona, Pisino, per esempio) che presentano caratteri misti e costituiscono, o forse più precisamente costituivano, dei punti di contatto fra le due etnie.

La frazione di campagna, che non sia semplicemente un casolare isolato, è chiamata villaggio o villa, un centro rurale di recente formazione che aveva accolto popolazioni alloglotte, e mantiene anche nella toponomastica il suo status: Villa Decani, Villa Rovigno, Villa Val d'Arsa.

Questa differenziazione non vuole avere una valore netto ed assoluto dal punto di vista linguistico; infatti se nelle città l'elemento italofono è sempre preponderante, e citiamo a questo proposito l'esempio del censimento del 1921, relativo a Capodistria, dove su 8622 abitanti ve ne sono 8432 che hanno per lingua d'uso l'italiano e solo 91 lo sloveno; nei centri rurali può presentarsi una maggiore o minore permeabilità all'italiano, che poté affermarsi nel tempo su una popolazione in origine parlante sloveno o croato.

Un caso simile si presenta a Villanova di Parenzo ('21) dove, su 1124 abitanti, 862 dichiarano come lingua d'uso l'italiano e 262 il serbo-croato.

Vi sono anche casi di centri rurali esclusivamente, o quasi, abitati da slavofoni, come Obrovo-S.Maria ('21) in cui l'intera popolazione ammontante a 428 unità si dichiara di lingua slovena, o Bresa, frazione di Castua ('21), i cui abitanti, 158, si differenziano in 136 di lingua serbo croata e 22 italiana.

Esaminiamo adesso quei centri urbani che sono rimasti esclusi dalla precedente analisi e che furono annessi dal Regno d'Italia dopo la prima guerra mondiale (G.Perselli 1993):

 

TABELLA A

abitanti

l.ital.

l.slov.

l.sr.-cr.

l.ung.

l.ted.

Trieste-

-città ('21)

228.583

198.886

11.694

-

-

-

Fiume ('25)

45.857

32.415

-

10.353

1.397

655

Zara ('21)

17.065

12.075

-

1.255

-

-

 

 

 

Per quanto riguarda i centri più importanti della Dalmazia che non fecero parte del territorio metropolitano dell'Italia, i risultati più recenti a disposizione, prima del 1941, sono quelli del 1910, anno in cui venne effettuato l'ultimo censimento dell'Austria-Ungheria (G. Perselli 1993):

 

 

 

TABELLA B

abitanti

l.ital.

l.sr.-cr.

l.ted.

Sebenico

12.588

810

10.819

249

Spalato

21.407

2.082

18.235

-

Ragusa

8.958

409

6.466

322

Cattaro

3.178

257

1.489

152

 

 

 

2.1.2.  Gli italiani rimasti.

 

 

Gli esiti dolorosi del secondo conflitto mondiale alterarono in modo irreparabile gli assetti etnici e linguistici dell'area istro-dalmata. Esulerebbe dalla nostra ricerca seguire lo stillicidio di privazioni e sofferenze che gli autoctoni di lingua italiana dovettero subire, tuttavia, per amore del vero, non possiamo tacere le persone, molto spesso inermi, uccise più per discriminazione etnica che per precise responsabilità politiche.

A distanza di circa cinquant'anni non è dato sapere con precisione quanti e chi sono stati infoibati, affogati, fucilati o semplicemente dimenticati per anni nei campi di concentramento in Slovenia e Croazia.

Esistono molti elenchi di uccisi o di dispersi: il più recente attualmente è quello di G. La Perna 1993: 344-399, ma ancor oggi l'argomento non è mai stato affrontato in modo serio dall'Italia ed è stato minimizzato o addirittura negato un tempo dalla Jugoslavia ed oggi dalla Slovenia e dalla Croazia.

Allo stesso modo non può passare sotto silenzio un doloroso esodo, in molti casi coatto, attuato in nome di una pulizia etnica (espressione attuale, ma già sperimentata con efficacia molti anni fa) che mirava ad annientare ogni vestigia di italianità in quelle terre e guadagnarle definitivamente alla neocostituita Repubblica socialista jugoslava ad ogni costo, anche a quello di alterare scientemente la storia.

In questa sequenza di sofferenze deve essere ricordato il misconosciuto sacrificio di Zara. La città di San Crisogono vide la sua popolazione decimata dai bombardamenti anglo-americani, nonostante non costituisse un obiettivo bellico, e fu la città italiana, dopo Milano, che subì il maggior numero di incursioni aeree nell'intero corso della guerra.

Queste furono le forche caudine, cui dovettero sottostare gli italiani, per le quali si attende ancor oggi un giudizio storico non di parte, aderente alla realtà dei fatti, privo di remore e di silenzi imbarazzati.

Se i fatti non cessano di esistere perché vengono ignorati, è vero che mezzo secolo di silenzio pervicace è una testimonianza vergognosa di negazione della giustizia e di bieco cinismo.

 

L'esodo non si attuò in un unico lasso di tempo, ma si articolò in diverse fasi. La prima fu dopo l'otto settembre 1943, quando l'Italia firmò l'armistizio con le potenze alleate e prima che i tedeschi riuscissero a riguadagnare il controllo dell'Istria e della coste dalmate.

Nel clima di incertezza e nello sbandamento generale, vi fu da parte dell'elemento slavo una caccia indiscriminata all'italiano, che sfociò nei numerosi casi di infoibamento.

La seconda fase si ebbe nell'immediato dopoguerra dopo il Trattato di Parigi, l'abbandono di Pola da parte degli americani e l'uscita della Jugoslavia dal Patto di Varsavia, e contemplò l'esodo numericamente più consistente.

L'Italia del dopoguerra favorì l'esodo in ogni modo, riconoscendo il diritto di conquista degli slavi che auspicavano nella migliore delle loro previsioni di poter imporre la linea di confine sulle rive dell'Isonzo.

L'abbandono delle terre giuliane era in quel momento un utile escamotage, poiché risolveva per sempre ogni possibilità di contenzioso fra i due paesi, non presentandosi più le basi per una ripresa, seppur lontana, dell'irredentismo che per gli jugoslavi era sempre identificato con il fascismo, o di una richiesta di autonomia, peraltro improbabile nel regime titino.

L'ultima fase si ebbe nel 1954, quando Trieste ritornò all'Italia e la zona B del Territorio Libero di Trieste fu annessa dalla Jugoslavia, per cui molti italiani preferirono emigrare nel capoluogo giuliano.

Oltre a questi tre momenti, perdurò una continua micro-emigrazione, molto spesso sotterranea, che continuò fino ai primi anni Sessanta.

Una ripresa dell'emigrazione si è avuta recentemente nel 1991, durante la guerra fra la Jugoslavia e le Repubbliche secessioniste di Slovenia e Croazia, quando molti giovani di etnia italiana hanno cercato scampo nel nostro paese per non essere coinvolti nel conflitto.

tornando all'esodo del secondo dopoguerra, occorre rilevare che provocò una frattura innanzitutto numerica, poiché la grande maggioranza degli italofoni scelse di emigrare in Italia, dove parte si fermò e parte poi si trasferì in altri paesi europei, oppure in Canada, USA e Australia.

Le cifre dell'emigrazione furono molto discordanti: si pensò come cifra massima a 350.000 esuli (F.Rocchi 1972).

Quel che fu certo, fu la profonda depauperazione che afflisse l'etnia italiana, la quale, privata della media e piccola borghesia, della sua cultura, pur allettata dalla propaganda, che esaltava la fondazione di uno stato democratico al di sopra di ogni divisione etnica e religiosa, cadde in preda alla più completa disorganizzazione.

Lo stato jugoslavo fu assai prodigo di promesse in nome di un'ideale fratellanza tra i popoli della nuova repubblica, tuttavia le speranze furono ampiamente disattese: le scuole italiane furono nella quasi totalità chiuse, alcune addirittura nello spazio di una notte, e furono sostituite con scuole slovene e croate; se da un lato il regime, almeno esteriormente, mostrava di avere a cuore le sorti della sua minoranza più esigua, quale era quella italiana, d'altro canto premeva per costringerla ad una crescente quanto inevitabile assimilazione e a diventare un mero fenomeno di folclore.

 

2.2.1     Le attività culturali e i mass-media degli                       italiani in Jugoslavia.

 

 

L'Associazione culturale coagulante per gli italiani fu l'UIIF (Unione degli Italiani dell'Istria e di Fiume), fondata nel luglio 1944 a Camparovica, vicino ad Albona, da un gruppo di antifascisti locali; per le comunità italiane in Dalmazia non vi fu alcun riconoscimento fino al 1991, in quanto ufficialmente non era rimasto più nessun italiano in quella regione.

L'UIIF già nell'immediato dopoguerra aveva risolto l'intricato problema dei nuovi confini con l'Italia, sposando in toto le teorie annessionistiche jugoslave in nome di un internazionalismo e di una 'fratellanza tra popoli liberi' che non si concretizzò mai.

L'Ente si rivelò subito una strumento in mano alla dirigenza politica di Belgrado, che allora era in tensione con l'Italia e con il mondo comunista per le scelte politiche di Tito, che portarono la Jugoslavia ad avere dei durissimi contrasti con Mosca.

L'UIIF avrebbe dovuto dimostrare che la cultura italiana nella Venezia Giulia sarebbe sopravvissuta, nonostante la separazione con la madrepatria, e compito primario degli appena istituiti Circoli di Cultura fu quello di produrre cultura: “sana cultura regionale, popolare”, di qualsiasi livello, per eliminare quella “borghese” in odore di fascismo.

Le pubblicazioni in lingua italiana si moltiplicarono: Il Giornale del Popolo, stampato a Fiume, divenne, e lo è tuttora, il quotidiano più letto dalla minoranza; fra le riviste, che si svilupparono  nel dopoguerra e si pubblicano ancor oggi, si ricordino le più importanti come La Battana, che affronta argomenti letterari, culturali, storici e linguistici, Scuola Nuova, poi cambiata in Scuola Nostra, rivolta alle problematiche pedagogiche della scuola in lingua italiana, e Panorama, che si interessa di fatti di costume, politica e dei problemi dell'etnia ed è rivolto ad un bacino di utenza molto più ampio delle prime due pubblicazioni citate.

La radio e la televisione hanno un ruolo importante nella comunicazione e informazione della nostra etnia.

In Slovenia v'è la sede di Radio Capodistria, fondata nel 1949 che trasmette programmi in lingua italiana, estesi per quasi l'intero arco della giornata. Insieme ad essa abbiamo Tele Capodistria che ha iniziato le sue trasmissioni nel 1971; attualmente (1994) la ricezione dell'emittente televisiva non copre l'intera Istria e il Golfo del Quarnero, ma è limitata alla Slovenia.

In Croazia gli spazi di comunicazione sono più esigui: abbiamo Radio Pola e Radio Fiume, che inviano giornalmente programmi di mezz'ora in lingua italiana sui principali avvenimenti e le attività della Comunità italiana.

Non esistono televisioni italiane nella repubblica croata e le emittenti televisive nazionali offrono poco spazio alla nostra minoranza. Forse proprio per questo c'è da parte degli italiani un rifiuto quasi totale delle programmazioni croate, ad eccezione dei notiziari, e un'unanime preferenza alle televisioni italiane, la cui ricezione attualmente è buona in Istria, mediocre a Fiume e quasi nulla a Zara, dove sono necessarie speciali antenne, che con l'attuale crisi economica, provocata dalla guerra, ben pochi sono in grado di permettersi.

Fra le attività culturali annoveriamo anche il Dramma Italiano, sezione del Teatro del Popolo di Fiume, che fu fondato nel 1946.

All'inizio l'attività fu rivolta al repertorio classico italiano e, in particolare, a Goldoni, Ruzante e Pirandello, più vicino alla sensibilità degli italiani.

Questo favorì la formazione di ottimi autori come Pietro Rismondo ed Osvaldo Ramous, e fece sì che il Dramma Italiano ottenesse importanti riconoscimenti sia in Jugoslavia che in Italia, dove svolge tuttora delle tournees.

Per circa un ventennio la cultura italiana visse in uno stato di aureo isolamento: in qualche modo venivano incoraggiate dal governo di Belgrado attività spontanee, popolari, per dimostrare che la minoranza, dove per lo meno se ne riconosceva la presenza, era vitale nonostante l'isolamento dalla madrepatria.

In realtà, la cultura italiana progrediva fra mille difficoltà e un valido incentivo poté esserle dato solo a partire dal 1964, quando nel clima di maggiore distensione fra i due paesi, vi furono dei contatti assai proficui e, primo fra tutti, quello tra l' UIIF e l'Università Popolare di Trieste, che infuse nuova linfa alla minoranza.

La ripresa della cultura italiana ebbe come testimonianza più importante la fondazione del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, le cui origini risalgono al 1968.

Il Centro, diretto dal professor Giovanni Radossi, è senza dubbio l'emblema tangibile della sopravvivenza della cultura italiana in Istria, infatti oltre a racchiudere la biblioteca più fornita sugli argomenti di carattere storico, letterario e giuridico della nostra etnia nell'area istro-quarnerina, pubblica varie collane, ognuna rivolta ad una particolare tematica.

Gli studi compiuti dai ricercatori del Centro sono di alto livello e meriterebbero maggiore diffusione nella madrepatria.

La riuscita dell'esperimento del Centro di Rovigno è molto importante: sarebbe auspicabile che sorgessero altri enti equivalenti e, in particolar modo, uno a Fiume e uno in Dalmazia, affinché le nostre comunità siano rinforzate e sostenute dall'autorità della cultura italiana, e i documenti e gli archivi storici non siano lasciati nell'abbandono e nell'incuria, ma conservati con cura come le memorie scritte di un popolo meriterebbero.

 

Negli anni Sessanta i dati numerici dei censimenti dello stato jugoslavo relativi alla nostra minoranza, mostrarono un grave calo, frutto di una pertinace volontà di assimilazione da parte della maggioranza e da una difficoltà o diffidenza degli italiani di mantenere la propria identità nazionale in un ambiente spesso ostile.

La diminuzione demografica fu il dato più evidente della profonda crisi della comunità, una fra le più esigue dei popoli della Jugoslavia; essa fu molto estesa e coinvolse anche i vertici direttivi: tutti quelli che si adoperarono per un'effettiva autonomia furono rapidamente estromessi e costretti al silenzio.

Il limbo in cui la minoranza dovette sopravvivere fu scosso solo recentemente alla vigilia del disfacimento della Jugoslavia, quando furono elargite alcune concessioni e furono riabilitati personaggi di grande rilievo relegati in posizioni del tutto marginali.

Questo era il preludio della fine dello stato multinazionale e multietnico, che, a dispetto di un'autonomia nominalmente concessa a tutti e di un riconoscimento di tutte le etnie nel nome di una fratellanza nazionale, tendeva a compattare il particolarismo jugoslavo in un unicum di timbro serbo.

La divisione della Jugoslavia consegnò alla Comunità Internazionale nuove repubbliche, sovrane ed indipendenti, e la comunità italiana, che era stata sempre compresa in un unico ordinamento nazionale, si vide divisa da una nuova frontiera che, sulle rive del Dragogna, separa attualmente la Slovenia dalla Croazia.

L'attuale guerra fra la Croazia e la Serbia e i rinascenti nazionalismi esasperati fanno sì che il futuro della nostra etnia sia molto incerto e nebuloso. Tuttavia, nonostante il clima caotico, proprio in questi ultimi anni si è avuta una ripresa di prestigio dell'elemento italiano: la possibilità, per ora ancora tutta da definire, che lo stato italiano e la Slovenia e la Croazia concedano la doppia cittadinanza agli italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia ha fatto sì che le domande di iscrizione alle Comunità italiane aumentassero considerevolmente, che nuove Comunità sorgessero là dove ufficialmente non esistevano più italiani, come a Cherso, Zara e Spalato, e che l'elemento italiano fosse rivalutato suscitando in molti casi sospetti nelle autorità locali, tanto che, ad esempio, le famiglie di lingua slovena o croata molto spesso mandano i loro figli a studiare nelle scuole italiane, perché ritenute d'élite, e, in un secondo tempo fanno completare gli studi a Trieste o a Padova piuttosto che nelle Università locali.

La Comunità degli italiani, sorretta in molti casi anche dagli sloveni e dai croati, punta al riconoscimento di un'autonomia dell'Istria, e con forza minore anche di Fiume e della Dalmazia, in contrapposizione alle volontà centralistiche dei governi di Lubiana e Zagabria.

La storia ci dirà se questa ripresa sarà l'estremo sforzo di una comunità divisa, in guerra, indebolita, o il segno di un nuovo sviluppo affinché l'area istro-quarnerina e dalmata non perda in modo irreparabile e definitivo una sua componente basilare, ma torni ad essere terra di contatto e di scambio fra etnie diverse ma complementari fra loro.

 

 

 

2.3.1  Monolinguismo, bilinguismo, multilinguismo.

 

 

Il quadro delle dominanze linguistiche è estremamente complesso, come complesso è il numero e le varietà linguistiche nell'area istro-quarnerina e dalmata.

Allo scopo di offrire un panorama più completo possibile sugli attuali domini linguistici, cercheremo di schematizzare la situazione.

Il caso più semplice, che racchiude il maggior numero di parlanti, è quello dei monolingue, ossia coloro che parlano solo la lingua della maggioranza.

 

(a) sloveno                        (b) croato

 

Per non appesantire ulteriormente la casistica, non considereremo la conoscenza e l'uso dei dialetti sloveni e croati, diffusi nell'area in questione, anche perché intervengono in modo del tutto marginale nella nostra inchiesta. Pertanto quando si indicherà la lingua della maggioranza, si intenderà lo sloveno o il croato standard.

Gli appartenenti all'etnia italiana non sono più monolingui, anche se questa era una condizione molto frequente fino al termine della seconda guerra mondiale. Personalmente non abbiamo ravvisato nel corso delle nostre ricerche, anche fra gli anziani, persona incapaci di servirsi, sia pur elementarmente, della lingua della maggioranza, per cui si ritiene che la categoria dei monolingue italiani sia scomparsa o comunque ininfluente.

Fra l'etnia di maggioranza abbiamo riscontrato una situazione di diglossia di questo tipo:

 

(c) sloveno X istroveneto

(d) croato X istroveneto

 

La diglossia compare, in particolare, fra gli anziani di origine slava, tuttavia esistono molti casi in cui anche fra i giovani vi sono elementi in grado di utilizzare un semplificato registro istroveneto come forma di comunicazione bassa.

Mentre la lingua standard ha una posizione di privilegio nell'ambito formale ed informale, quella istroveneta viene usata solo in particolari campi informali, per esempio con gli amici mentre si gioca a carte o a bocce, in momenti in cui convergono sensazioni emozionali, e per questo si può assistere al passaggio dal registro della maggioranza ad intercalari, esclamazioni o espressioni in istroveneto.

Inoltre questo registro, quasi sempre semplificato, può essere usato come forma di comunicazione con un interlocutore italiano non autoctono, mentre se si deve svolgere una comunicazione con un soggetto del luogo prevale quasi sempre lo sloveno o il croato.

A Boccagnazzo, una località distante circa tre chilometri da Zara, abbiamo potuto avere una diretta esperienza di ciò.

Grazie all'intervento di un'interprete abbiamo potuto comunicare con due parlanti di questo tipo. La prima, una donna di circa sessant'anni, inizialmente parlava in croato, poi senza che fosse forzata in questo senso, ha iniziato a parlare in veneto-dalmata, prima con titubanza e poi con maggiore sicurezza.

La sua capacità di esprimersi in dialetto era maggiore per quanto riguardava i fatti o le cose risalenti alla sua gioventù, mentre quando raccontava cose recenti, preferiva il registro croato, imponendo l'intervento dell'interprete.

In particolare, questa donna raccontava dei tempi dello sfollamento, quando i civili di Zara e del circondario erano stati evacuati ad Ascoli Piceno nel 1941, all'atto dell'invasione italiana della Jugoslavia, e i bambini giocavano sulle rive di un ruscello, e del giorno della prima comunione a Boccagnazzo, quando le donne di quel borgo l'avevano soprannominata “bamboleta” perché era carina e ben agghindata e che quel soprannome durava ancor oggi.

Il secondo soggetto, un uomo anziano di circa ottant'anni, ha utilizzato subito il dialetto come forma di comunicazione non appena ha saputo di avere dinanzi interlocutori italiani.

Quest'uomo aveva una buona padronanza del registro veneto-dalmata, anche se il suo lessico era assai semplificato. Anche in questo caso, il discorso si snodava più sciolto quando raccontava episodi accaduti durante la sua gioventù, ad esempio, il servizio militare, piuttosto che dei fatti recenti della guerra del '91.

 

(e) sloveno X italiano

(f) croato X italiano

 

Questa condizione si presenta quasi esclusivamente nell'etnia slava, fra chi ha compiuto gli studi nelle scuole italiane locali e, in taluni casi, ha potuto successivamente perfezionarli nelle università italiane o nelle facoltà di italianistica delle università slovene o croate, oppure fra quelli che hanno perfezionato il proprio italiano in ambiti che prevedevano l'uso di tale registro. L'ambiente primario, che consente quest'uso, è quello lavorativo, soprattutto inerente al turismo, all'informazione e all'insegnamento, per cui si richiede questo secondo canale di comunicazione.

Il bilinguismo di questo tipo è maggiormente diffuso in Slovenia, poiché in questa piccola repubblica si è perseguito da molto tempo l'insegnamento obbligatorio dell'italiano nelle località costiere, che sono maggiormente esposte al contatto dell'Italia e che per secoli hanno vissuto della cultura italiana.

La conoscenza della lingua italiana è dovuta alla buona volontà e all'interesse del soggetto, essendo, come avremo più volte occasione di dimostrare, l'utilizzo di questo canale limitato a pochi luoghi deputati.

(g) sloveno X italiano X istroveneto

(h) croato X italiano X istroveneto

 

Nell'etnia italiana è questo il caso più diffuso, ammesso che la diglossia italiano X istroveneto sia ormai scomparsa. Adesso gli italofoni usufruiscono della condizione di plurilingue, dove ognuno dei registri menzionati ha un'origine e un apprendimento particolare.

Nelle famiglie italiane, in cui entrambi i genitori sono italofoni, caso non ascrivibile alla norma, la lingua materna che il bambino apprende è il dialetto, registro informale proprio degli italiani.

In un secondo tempo, durante il contatto con i coetanei all'asilo, il bambino inizia ad avere i primi rapporti con la lingua di maggioranza che perfeziona a scuola e nella relazione con il mondo esterno.

La conoscenza dell'italiano standard si ha solo a scuola; se i suoi genitori vogliono che frequenti una scuola italiana e per quanto abbia una buona padronanza della lingua, ha canali infinitamente minori per approfondirla o mantenerla come avremo modo di illustrare.

La situazione varia di poco nel caso dei matrimoni misti, quando uno dei membri della coppia appartiene all'etnia di maggioranza.

Il bambino della famiglia mista si trova di fronte ad una influenza continua di due registri diversi sin dalla prima infanzia, e, durante la crescita, man mano che è in grado di scorporarli mentalmente, riesce ad alternare l'uso di entrambi a seconda della lingua con la quale il genitore gli si rivolge.

l'approccio con l'italiano standard si ha, parimenti al caso precedentemente citato, se il bambino frequenta una scuola italiana.

 

(i) croato X italiano X istroveneto X istrioto

 

Un soggetto multilingue di questo tipo non è dei più ricorrenti; infatti lo si può trovare solo in alcune cittadine dell’Istria (Rovigno, Valle, Dignano, Gallesana, Sissano) dove sopravvive, oppure, secondo alcuni, prolunga la sua agonia, il dialetto istrioto.

Questa condizione multiforme è possibile solo su pochi elementi, che affidano a ciascuno di questi registri un ambito ben definito.

Le lingue nazionali standard vengono usare soprattutto nella sfera formale, mentre l'istroveneto e l'istrioto hanno una potenzialità d'utilizzo concentrata nell'ambiente familiare, nella cerchia degli amici e dei parenti, tenendo conto però che l'istrioto interessa un campo ancor più circoscritto, riferentesi a persone anziane, in massima parte le uniche che mantengono una padronanza completa dell'istrioto.

Si esamina solo questo caso e non le seguenti possibilità di parlanti:

croato X istroveneto X istrioto

italiano X istroveneto X istrioto

croato X italiano X istrioto

istroveneto X istrioto

 

in quanto estinte o che possono essere riferite a casi sporadici non significativi.

 

(l)croato X italiano X istroveneto X istrorumeno

oppure

(m) croato X italiano X istrorumeno

 

Questa è una particolarità che può ritrovarsi in quelle cittadine sulle pendici del Monte Maggiore, dove risiedono gli ultimi sparuti gruppi linguistici istrorumeni.

Il dominio linguistico qui descritto è prevalentemente diffuso nelle classi più anziane, che hanno appreso l'istroveneto, quando esso manteneva ancora la funzione di koinè regionale, ed erano entrati in contatto con l'italiano standard a scuola nel tempo in cui l'intera regione era sottoposta alla sovranità italiana e l'apprendimento di questa lingua era obbligatorio.

 

(n) croato X istrorumeno

 

E' la condizione più diffusa fra l'etnia rumena, ciononostante questa, come i casi (l) ed (m), in grave regresso, sia per l'esiguo numero di coloro che conservano la parlata etnica, che per la grande forza di penetrazione del croato.

 

 

 

2.3.2.  Il bilinguismo imperfetto.

 

 

Abbiamo evidenziato nel paragrafo precedente come la situazione maggiormente diffusa presso la nostra minoranza sia quella del trilinguismo. In altre parole, molti possiedono tre registri linguistici: la lingua di maggioranza, l'italiano standard e il dialetto.

I primi due registri, lo sloveno o il croato standard e l'italiano standard, sono costituiti da due lingue nazionali, consolidate nei secoli ed irrobustite da una lunga tradizione letteraria, in particolare l'italiano.

Il dialetto istroveneto, fiumano o veneto-dalmata, non ha mai potuto assurgere al ruolo di lingua, pur godendo di quella particolare condizione di lingua franca nell'area giuliana e sulle sponde orientali dell'adriatico.

Il dialetto, quindi, pur potendo vantare una consolidata tradizione storica, non fu, o fu poco, sorretto dall'autorità della cultura, venendo scalzato dall'italiano a base fiorentina già a partire dal XVI secolo.

In Italia i ruoli tra lingua e dialetto sono ampiamente definiti: la prima è usata in ambiti molto ampi, e costituisce la cosiddetta variante alta, usata nella sfera formale, coprendo gli spazi più vasti della comunicazione.

Al dialetto è stato affidato un raggio di azione assai limitato, che copre in prevalenza la sfera informale, ossia quella cerchia ristretta di amici, parenti e conoscenti, per i quali la comunicazione in dialetto è immediata, diretta e, diremmo, naturale.

La divisione dei ruoli fra le due parlate non determina una situazione di bilinguismo, ma di diglossia: le due lingue non partono da presupposti egualitari, ma sono divise da ruoli più o meno importanti, stabiliti e consolidati nel tempo.

La “superiorità” dell'italiano standard sul dialetto la definiremmo fisiologica, in quanto il primo, tralasciando per un momento la tradizione culturale di cui all'inizio, possiede un lessico molto più ampio ed è comprensibile in tutta la nazione, mentre il dialetto è instabile e, a volte, nella stessa regione la comunicazione può risultare difficoltosa.

La situazione nell'area istro-quarnerina e in Dalmazia è molto più complessa, come si è avuto modo di vedere, poiché abbiamo il concorso di due lingue standard.

In una situazione di bilinguismo reale le due lingue nazionali godono di una posizione di egual valore e viene riconosciuta loro eguale dignità. Ognuno potrebbe usare l'una o l'altra lingua senza difficoltà, con qualsiasi interlocutore locale, sapendo di essere compreso.

Oltre a questo i diritti linguistici di una minoranza dovrebbero essere riconosciuti e fissati in modo inequivocabile.

In Istria solo in alcune zone viene riconosciuta la condizione di bilinguismo: in particolare a Capodistria e Pirano in Slovenia, a Parenzo, a Rovigno, a Dignano e in altri centri minori della Croazia; nel resto del territorio, dove sopravvivono le minoranze italiane, il bilinguismo non esiste.

Tralasciando questi ultimi casi e incentrando la nostra attenzione nelle cittadine dove il bilinguismo è pacificamente accolto, non vi è una situazione ottimale.

Il problema primario è che le due lingue sono poste su due gradini diversi: la lingua della maggioranza assorbe gran parte delle funzioni comunicative nell'ambito informale; l'italiano agisce, o perlomeno dovrebbe agire, allo stesso modo, in realtà copre una sfera infinitamente ridotta: non è usato nella comunicazione con gli sloveni o i croati, perché non tutti lo conoscono, non è usato con i connazionali, perché con essi si usa principalmente il dialetto, data la sua grande diffusione.

Questa lingua così ingombrante, anche se viene letta od ascoltata più volte tramite i mass media, può paradossalmente avere un uso più consistente nella comunicazione con i connazionali provenienti dall'Italia.

La difficoltà di un effettivo status di bilinguismo va ricondotta, a nostro parere, ad un motivo fondamentale: la staticità dell'insegnamento della nostra lingua nella maggioranza. Infatti viene incentivato molto poco l'apprendimento della nostra lingua presso i giovani sloveni o croati, quindi un insegnamento più approfondito, esercitato dalle scuole italiane, è solo rivolto ai figli dei nostri connazionali o a quei giovani dell'etnia slava desiderosi di impadronirsi del registro e della cultura italiana. Se la lingua fosse un po’ più diffusa potrebbe uscire dal limbo, in cui sopravvive, e guadagnarsi qualche spazio comunicativo.

La latitanza della lingua nazionale favorisce la continuità del dialetto che, pur incalzato dalla lingua della maggioranza, mostra la sua vitalità, rimanendo il registro privilegiato per la comunicazione tra i nostri connazionali.

Il dialetto infatti esercita un ruolo molto più ampio e complesso di quello svolto in Italia, nonostante mantenga la posizione di registro secondario. La sua forza principale è la sua grande diffusione che travalica gli stessi limiti della comunità nazionale.

Questa situazione dimostra come sia improprio, dal punto di vista linguistico, parlare di bilinguismo nell'area, ma di doppia diglossia, anche se giuridicamente vengono soddisfatte tutte le condizioni; infatti abbiamo una lingua nazionale standard, la lingua della maggioranza, che assolve tutte le funzioni primarie della comunicazione, un'altra lingua nazionale standard, quella italiana, relegata a svolgere il proprio ruolo in ambiti molto ristretti e il dialetto che, pur costituendo la variante bassa della seconda lingua, è nobilitato, per così dire, da una possibilità di comunicazione assai ampia.

 

 

 

2.3.3  L'erosione della lingua.

 

 

Il luogo deputato all'insegnamento dell'italiano standard è la scuola italiana, che si dibatte fra mille difficoltà.

Prima dello scoppio della guerra, che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, i quadri insegnanti erano eccellenti, formati su profondi studi pedagogici e sociolinguistici; ma la guerra e la conseguente crisi economica hanno duramente colpito la scuola italiana, amplificando le difficoltà didattiche che esistevano in precedenza.

Molti insegnanti, costretti a vivere con stipendi irrisori, hanno dovuto trovarsi lavori più remunerativi. a volte oltre confine, e la scuola si è trovata in molti casi sguarnita e costretta a rimpiazzare le mancanze con elementi la cui preparazione o la disposizione verso l'insegnamento non è ottimale.

In questi frangenti così drammatici riveste particolare importanza il ruolo dell'Università Popolare di Trieste che fornisce ancor oggi gli insegnanti necessari affinché le scuole italiane non si fermino.

Dal punto di vista linguistico, un grave handicap è costituito dal fatto che molto spesso le classi italiane, soprattutto le equivalenti alle medie in Italia, sono sbilanciate, cioè non tutti gli studenti hanno la stessa comprensione della lingua: alcuni appartenenti all'etnia di maggioranza non hanno seguito regolari corsi nelle scuole italiane e, molto spesso, sono dirottati lì dopo aver seguito studi diversi.

La presenza di questi elementi fa segnare il passo all'insegnamento della lingua italiana.

Se è giusto e anche positivo che l'insegnamento delle scuole italiane sia aperto a tutti, dovrebbero però essere usati criteri di selettività, in modo che fra gli studenti non vi siano dei divari troppo evidenti.

Al termine dei loro studi, nell'ultimo anno delle medie superiori, i giovani raggiungono un' ottima competenza dell'italiano standard, ma il problema che si pone, a quel punto, è il mantenimento di un buon livello della lingua che, come si è illustrato nel paragrafo precedente, ha possibilità di utilizzo molto limitate.

E' in questa situazione di impotenza che la lingua viene maggiormente attaccata dagli influssi della lingua di maggioranza e dal dialetto, manifestando talvolta fenomeni di interferenza o di scorrettezza grammaticale.

L'ancora di salvezza dell'italiano standard è data dalla grande forza propulsiva della radio e della televisione, che fanno sentire costantemente la loro presenza e agevolano il mantenimento passivo della lingua (v. par. 3.2.6.).

Un altro fattore positivo è dato dal fatto che nell'area, anche se può manifestarsi un degrado linguistico, la cultura italiana costituisce un richiamo molto forte per entrambe le etnie e, a prova di questo, si leggono molti giornali, riviste, ed anche libri italiani.

Nonostante tutto questo, le premesse non sono rosee: l'etnia italiana vede continuamente minacciata la propria sopravvivenza, non solo dal punto di vista linguistico, ma anche biologico, dato che, oltre ad essere una delle comunità meno numerose della ex Jugoslavia, è anche quella meno prolifica.

La sua salvezza è legata invariabilmente alla capacità dei giovani di resistere alle pressioni assimilatorie.